Sovraindebitamento Ditta Individuale Cessata: Come Funziona

Sei una ditta individuale cessata e hai bisogno di accedere ad una procedura di sovraindebitamento?

Allora qui di seguito abbiamo preparato per te la Guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in procedure di sovraindebitamento.

Leggi con cura la guida ed in fondo troverai tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in sovraindebitamento per richiedere una consulenza:

Sovraindebitamento Ditta Individuale Cessata: Come Funziona

1. Introduzione

Il sovraindebitamento è la condizione in cui una persona non riesce più a far fronte ai debiti con il proprio patrimonio o reddito disponibili. In Italia, grazie alla cosiddetta “Legge Salva Suicidi” (Legge 3/2012), sono state introdotte procedure speciali per aiutare chi – pur non soggetto alle ordinarie procedure fallimentari – si trova schiacciato dai debiti. Dal 15 luglio 2022 è in vigore il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, “CCII”), che ha riformato e ampliato queste tutele, integrando la Legge 3/2012.

Questa guida pratica, aggiornata ad aprile 2025, offre un quadro completo di come un ex imprenditore – titolare di ditta individuale cessata e cancellata – possa difendersi dai creditori e liberarsi dai debiti tramite le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. Adotteremo uno stile divulgativo ma accurato, con riferimenti normativi vigenti (Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche), richiamando anche le sentenze più rilevanti di Cassazione e tribunali, nonché la prassi degli Organismi di Composizione della Crisi (OCC). Verranno forniti esempi e casi pratici per facilitare la comprensione.

Cosa troverai in questa guida:

  • Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento e quali debiti vi rientrano.
  • Analisi delle diverse procedure previste dal Codice – dal Piano del Consumatore al Concordato Minore, dalla Liquidazione Controllata all’Esdebitazione del debitore incapiente – con spiegazione di requisiti, documenti necessari, costi e tempi.
  • Come queste procedure consentono di bloccare pignoramenti ed esecuzioni e arrivare all’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui).
  • I principali orientamenti giurisprudenziali a favore degli ex imprenditori cessati, con le sentenze chiave commentate.
  • Esempi pratici e casi reali (es. come salvare la prima casa da un’asta, come trattare debiti fiscali, ecc.) per aiutarti a capire come applicare queste soluzioni nella realtà.
  • Indicazioni sulla presentazione della domanda, il ruolo dell’OCC e i passi operativi da seguire.

Prima di addentrarci nei dettagli, vale la pena sottolineare che l’obiettivo finale di queste procedure è offrire una “seconda opportunità” al debitore onesto ma sfortunato, in linea con i principi sanciti anche a livello europeo (Direttiva UE 2019/1023 sulla ristrutturazione e insolvenza). Ciò significa che, a determinate condizioni, il debitore potrà ottenere l’esdebitazione, ovvero la cancellazione dei debiti non pagati al termine della procedura, tornando a una vita finanziaria sostenibile senza lo stigma del fallimento.

Passiamo ora a vedere chi può utilizzare queste procedure e quali debiti possono essere trattati.

2. Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento? Soggetti ammessi

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, cioè quelle persone fisiche o enti che non possono (o non possono più) essere assoggettati alle tradizionali procedure concorsuali come il fallimento (oggi chiamato liquidazione giudiziale nel CCII). In pratica si tratta di piccoli debitori – consumatori, imprenditori minori, professionisti, ex imprenditori che hanno cessato l’attività, agricoltori, start-up innovative non fallibili, enti non commerciali, ecc. – che versano in stato di insolvenza o grave difficoltà economica ma sono esclusi dalle procedure fallimentari ordinarie.

Vediamo le principali categorie di soggetti ammessi:

  • Consumatori: persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei ad un’attività d’impresa o professionale. Non svolgono attività con Partita IVA (o comunque i loro debiti non sono legati all’impresa). Esempi: lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati. Il Codice definisce il consumatore come “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta” (art. 2, comma 1, lett. e, CCII). Novità: rispetto al passato non si richiede più che tali scopi siano “esclusivamente” estranei all’impresa. Ciò significa che oggi anche chi ha qualche debito di natura “promiscua” (in parte personale, in parte d’impresa) può essere considerato consumatore limitatamente ai debiti personali. Ad esempio, un ex piccolo imprenditore che, cessata l’attività, sia rimasto solo con debiti personali (es. un mutuo casa, finanziamenti al consumo, ecc.) potrà essere trattato come consumatore ai fini dell’accesso al Piano del Consumatore (vedremo questo caso particolare tra poco). Anche se rimangono alcuni debiti d’impresa, l’importante è che non siano prevalenti e che la crisi finanziaria sia dovuta principalmente alla sfera personale/familiare (come confermato da alcune pronunce di merito).
  • Piccoli imprenditori commerciali “non fallibili”: imprenditori individuali o società di persone che, per dimensioni, rientrano sotto le soglie di fallibilità previste dalla legge fallimentare (ora abrogata) e dal Codice della Crisi. In passato la legge indicava parametri di riferimento (attivi, ricavi lordi, debiti) al di sotto dei quali l’imprenditore non era assoggettabile a fallimento. Anche con il CCII, l’imprenditore minore (piccolo imprenditore) rimane escluso dalla liquidazione giudiziale e dunque può accedere alle procedure di sovraindebitamento. Rientrano in questa categoria, ad esempio, molti artigiani e titolari di piccole ditte individuali con fatturati modesti.
  • Imprenditori agricoli: tradizionalmente esclusi dal fallimento, anche gli imprenditori agricoli (coltivatori diretti, aziende agricole individuali) possono ricorrere alle procedure di sovraindebitamento per risolvere la propria crisi, visto che la normativa speciale li tutela come “non fallibili”.
  • Professionisti e lavoratori autonomi: avvocati, medici, commercianti, consulenti, ecc. con Partita IVA individuale, non essendo soggetti alle procedure fallimentari, possono avvalersi delle procedure di composizione della crisi se sovraindebitati. Ad esempio, un avvocato con studio individuale sommerso dai debiti fiscali e dai mutui può accedere a queste procedure in qualità di debitore civile (non imprenditore commerciale).
  • Enti non commerciali e start-up innovative non fallibili: associazioni, fondazioni, ONLUS, o start-up innovative che la legge esenta dal fallimento, rientrano tra i soggetti che possono attivare le procedure ex L.3/2012–CCII.
  • Ex imprenditori individuali cessati: questa è la categoria su cui ci focalizziamo, cioè persone fisiche che in passato avevano un’attività commerciale individuale (ditta individuale), l’hanno cessata (cancellandosi dal Registro delle Imprese) e ora rimangono con debiti legati in parte a quella ex attività e/o alla vita personale. Questi soggetti – spesso chiamati anche “ex imprenditori non fallibili” – possono accedere alle procedure di sovraindebitamento, ma con alcune peculiarità normative da tenere presenti, specie riguardo al tempo trascorso dalla cessazione. Infatti, il Codice della Crisi stabilisce che una ditta individuale cessata da oltre un anno non può più accedere ad alcune procedure come il concordato preventivo o minore (vedremo il dettaglio dell’art. 33 CCII). In compenso, per gli imprenditori cessati da oltre 12 mesi resta aperta la via della liquidazione controllata e dell’esdebitazione (in pratica, una procedura liquidatoria semplificata al termine della quale si ottiene la cancellazione dei debiti). Approfondiremo più avanti questo aspetto, molto rilevante per chi ha chiuso l’attività da tempo e teme di non poter accedere ad alcuna procedura.

In sintesi, tutti i debitori civili che non possono essere assoggettati a liquidazione giudiziale (fallimento) possono trovare sollievo nelle procedure di sovraindebitamento. Ciò include anche l’ex imprenditore individuale “sotto soglia” che abbia chiuso bottega: se l’attività è cessata da meno di un anno, potrà eventualmente accedere a procedure di ristrutturazione (concordato minore); se è cessata da oltre un anno, userà la liquidazione controllata (lo vedremo al §4.2 e §4.3). L’importante è che ricorra il presupposto oggettivo di queste procedure, ossia lo stato di sovraindebitamento, che vediamo subito.

2.1 Presupposto oggettivo: lo stato di sovraindebitamento

Oltre all’appartenenza a una delle categorie soggettive sopra descritte, è necessario che il debitore versi in una situazione di sovraindebitamento ai sensi di legge. Per sovraindebitamento si intende “lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, nonché di ogni altro debitore non assoggettabile a liquidazione giudiziale…” (art. 2, co.1, lett. c, CCII). In parole semplici, occorre che il debitore non sia in grado di pagare regolarmente i propri debiti – ad esempio che abbia rate scadute non pagate, cartelle esattoriali non saldate, esposizioni debitorie che superano la capacità di rimborso, pignoramenti in corso o minacciati, ecc. Non è necessario essere del tutto nullatenenti o senza reddito: basta che il complesso delle obbligazioni sia sproporzionato rispetto alle proprie risorse, creando una situazione di insolvenza o di crisi irreversibile.

Esempi di stato di sovraindebitamento:

  • Un ex artigiano che, chiusa l’attività, si ritrova con €50.000 di debiti tra fornitori e fisco, a fronte di uno stipendio da dipendente di €1.200 mensili: chiaramente non riuscirà mai a pagare interamente quei debiti con il reddito attuale.
  • Un commerciante pensionato con una pensione minima, che ha ancora da saldare un vecchio mutuo e prestiti personali per complessivi €200.000: è in insolvenza poiché il suo patrimonio/reddito non consente di farvi fronte.
  • Una famiglia sommersa dalle rate (mutuo, finanziarie, bollette arretrate) che ha già subito precetti e il cui bilancio è costantemente in rosso.

In tutti questi casi c’è uno squilibrio insuperabile tra debiti e capacità di pagamento, che configura il sovraindebitamento. È questo il presupposto oggettivo per poter accedere alle soluzioni di composizione della crisi.

Nota: Non si può accedere alle procedure di sovraindebitamento se si è già soggetti a una procedura concorsuale “maggiore” (es. un fallimento in corso). Inoltre, la legge richiede che il debitore non abbia fatto ricorso a queste procedure nei 5 anni precedenti e non abbia già ottenuto un’esdebitazione in un recente passato. In altre parole, non si può usare il “paracadute” del sovraindebitamento troppe volte: c’è un limite temporale (5 anni) fra un’eventuale esdebitazione e la successiva, e comunque un giudice valuterebbe con rigore il caso di chi ci riprova più volte. Eccezione: la nuova procedura di esdebitazione per il debitore incapiente (di cui diremo al §4.4) pone un limite di due volte nella vita per ottenere tale beneficio, e mai a distanza inferiore di 5 anni l’una dall’altra.

Riassumendo i requisiti soggettivi e oggettivi:

  • Soggetto ammesso: persona fisica (o ente) non fallibile, ad esempio consumatore o piccolo imprenditore, anche se l’attività è cessata.
  • Stato di sovraindebitamento: incapacità di soddisfare i propri debiti in maniera regolare, situazione di insolvenza conclamata o incombente.
  • Assenza di dolo o frode recente: il sovraindebitamento non deve essere stato causato da comportamenti gravemente colposi o fraudolenti del debitore (su questo torneremo parlando di “meritevolezza” al §5.1).
  • No procedure analoghe pendenti o concluse da poco: il debitore non dev’essere in corso di un fallimento né aver beneficiato di un’esdebitazione negli ultimi 5 anni.
  • Documentazione regolare: il debitore deve poter presentare i documenti richiesti (elenco debiti, patrimoni, redditi, ecc.) in modo completo e trasparente. La mancanza ingiustificata di documenti essenziali può rendere inammissibile la domanda (art. 268, co.2, CCII prevede l’inammissibilità se la domanda è priva della documentazione senza motivo).

Dopo aver chiarito chi può chiedere aiuto, passiamo a quali debiti possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento e quali invece sono esclusi o trattati con regole particolari.

3. Quali debiti si possono inserire? Debiti ammessi ed esclusi

Una domanda cruciale per ogni debitore è: quali debiti posso includere in una procedura di sovraindebitamento? In linea generale, quasi tutte le tipologie di debito possono essere ricomprese nel piano o nella liquidazione, inclusi i debiti verso banche, finanziarie, fornitori, privati e anche quelli verso l’erario (Agenzia Entrate, ex Equitalia) e verso enti previdenziali. Tuttavia, esistono alcune eccezioni importanti: certi debiti non possono essere cancellati nemmeno con l’esdebitazione finale. Inoltre, alcuni crediti particolari (come quelli con garanzie o privilegi, ad esempio mutui ipotecari, debiti fiscali, ecc.) hanno un trattamento specifico all’interno del piano.

3.1 Debiti che possono rientrare nelle procedure

Ecco un elenco non esaustivo dei debiti generalmente inseribili in un piano di ristrutturazione o in una liquidazione controllata:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui ipotecari, prestiti personali, scoperti di conto, finanziamenti rateali, leasing. Questi debiti possono essere ristrutturati (ad esempio pagando solo una parte del dovuto, o allungando il piano di ammortamento) previa eventuale approvazione dei creditori interessati. Anche le garanzie collegate (ipoteche, pegni) saranno disciplinate nella procedura: ad esempio, un mutuo con ipoteca sulla casa potrà essere rinegoziato prevedendo che la banca ottenga almeno il valore di realizzo dell’immobile. Le finanziarie e banche sono solitamente i creditori più significativi nei piani.
  • Debiti verso fornitori e professionisti: se derivano dalla precedente attività d’impresa o anche da spese personali (bollette non pagate, parcelle di professionisti, canoni di locazione arretrati, ecc.), questi debiti chirografari (non garantiti) possono essere falcidiati (ridotti) nell’ambito di un concordato o di un piano del consumatore. Ad esempio, un ex commerciante potrà proporre ai fornitori di saldare il 30% del loro credito, come stralcio a saldo e stralcio nell’ambito del piano.
  • Debiti fiscali e contributivi: SI, possono essere inclusi. Il Codice della Crisi consente di inserire debiti verso il Fisco (es. IVA, Irpef, cartelle esattoriali dell’Agenzia Entrate Riscossione) e verso enti previdenziali (INPS) nelle procedure di sovraindebitamento. È possibile proporre anche qui un pagamento parziale (salvo limiti specifici su alcune imposte). Occorre però rispettare certe condizioni: ad esempio, l’IVA e le ritenute non versate, in passato, non potevano essere falcidiate nelle procedure minori (dovevano essere pagate integralmente salvo transazione fiscale). Con la riforma, è stata introdotta la possibilità di trattare anche questi crediti, ma serve il voto favorevole dell’ente o comunque garantire loro almeno quanto otterrebbero in una liquidazione. In pratica, nel concordato minore il debitore può proporre un taglio dei debiti fiscali, a patto che l’Erario non riceva meno di quanto ricaverebbe dalla vendita dei beni del debitore in liquidazione (principio del “trattamento non deteriore”). Se la proposta soddisfa questa condizione, l’Agenzia delle Entrate può anche non opporsi. Inoltre, esiste la possibilità di utilizzare lo strumento della transazione fiscale all’interno del piano, concordando con il Fisco un pagamento parziale e dilazionato dei tributi. Esempio pratico: Tizio, ex titolare di ditta individuale, ha €60.000 di debiti fiscali (IVA e imposte) e un piccolo capannone come unico bene. Nella liquidazione il capannone varrebbe €30.000 netti; Tizio può proporre nel concordato di pagare al Fisco €30.000 in 4 anni, evitando di dover liquidare l’immobile e ottenendo il voto favorevole dell’Erario perché è lo stesso importo che otterrebbe vendendo. Così Tizio evita la vendita coattiva e salva l’immobile. Questo approccio è ormai consolidato.
  • Debiti da garanzie personali (fideiussioni): se il debitore ha prestato fideiussioni o avalli e questi impegni sono stati escussi, diventando debiti personali, essi rientrano a pieno titolo nella procedura. Ad esempio, Caio ha garantito un prestito della propria ex ditta; dopo la cessazione dell’attività la banca ha chiesto a lui come fideiussore €20.000. Questo debito può essere incluso nel suo piano di sovraindebitamento.
  • Debiti verso amici o parenti: anche i prestiti informali tra privati (magari fatti per aiutare l’imprenditore in difficoltà) possono essere inseriti. Ovviamente devono essere riconosciuti formalmente (meglio se documentati da scritture private o riconoscimenti di debito) per essere ammessi. Saranno trattati come crediti chirografari qualsiasi.
  • Multe, sanzioni amministrative: possono essere ricomprese nella procedura, ma attenzione al loro trattamento in esdebitazione (vedi paragrafo successivo). Le multe stradali, ad esempio, possono essere incluse in un piano; si può prevedere di pagarle in parte (magari solo il 50%). Tuttavia, come vedremo tra poco, non tutte le sanzioni sono esdebitabili: alcune potrebbero rimanere a carico del debitore anche dopo la procedura (quelle di natura penale ad esempio).

In generale, tutti i debiti antecedenti la presentazione della domanda possono essere inclusi nel perimetro del sovraindebitamento. Non sono invece compresi i debiti sorti dopo l’apertura della procedura (che rimangono a carico del debitore al di fuori di essa). È importante elencare tutti i propri debiti al momento del deposito del ricorso, in modo che nulla rimanga escluso: cartelle esattoriali, decreti ingiuntivi, rate scadute, ecc. Qualora emerga un debito non dichiarato, potrà essere comunque inserito se innocuo; ma se il debitore tenta di occultare volutamente un debito per favorire qualcuno, ciò comprometterebbe la buona fede.

3.2 Debiti esclusi dall’esdebitazione (non cancellabili)

Sebbene quasi ogni debito possa essere “gestito” nella procedura, non tutti possono essere cancellati con l’esdebitazione finale. Alcune categorie di debiti, per espressa previsione normativa (oggi contenuta nell’art. 283 CCII), restano comunque a carico del debitore anche dopo la chiusura della procedura. In pratica, il debitore dovrà comunque pagarli (per intero o per la parte non soddisfatta) pure se ottiene l’esdebitazione, oppure dovrà continuare a esserne obbligato. Ecco i principali debiti esclusi dalla liberazione:

  • Obblighi di mantenimento (alimenti): Debiti derivanti da assegni di mantenimento per coniuge, figli o altri familiari. Esempio: gli arretrati dell’assegno di mantenimento dovuti all’ex coniuge o ai figli non possono essere esdebitati. Il debitore dovrà adempierli comunque, perché hanno natura personale e tutelano diritti fondamentali.
  • Debiti da risarcimento di danni extracontrattuali causati con dolo o colpa grave: Se il debitore è stato condannato a risarcire un danno derivante da un fatto illecito particolarmente grave (es. un risarcimento per lesioni personali causate volontariamente, danni per truffa, disastro ambientale causato da dolo o colpa grave), quei debiti non saranno cancellati. Sono obbligazioni che nascono da condotte illecite gravi e la legge esclude possano essere perdonate.
  • Sanzioni penali pecuniarie e amministrative di natura penale: Multe, ammende e ogni altra sanzione derivante da condanna penale non si estinguono con l’esdebitazione. Ad esempio, una multa penale per guida in stato di ebbrezza rimane dovuta. Anche alcune sanzioni amministrative assimilabili (come le multe stradali) tendenzialmente non vengono cancellate: su questo la giurisprudenza ha interpretazioni, ma l’orientamento prevalente è di escludere anche le sanzioni amministrative “punitive” dalla liberazione. In altri termini, la procedura non può diventare uno strumento per sottrarsi alle punizioni previste dalla legge.
  • Obbligazioni civili derivanti da reati: Oltre alle sanzioni statali, anche i debiti verso le parti civili costituite in un processo penale, cioè i risarcimenti per reato, non vengono meno. Se Tizio è stato condannato penalmente a risarcire Caio per una truffa, quel debito resta.
  • Debiti fiscali derivanti da condotte fraudolente accertate penalmente: Se il debitore è stato condannato con sentenza definitiva per reati tributari (ad esempio dichiarazione fraudolenta, occultamento di documenti contabili, emissione di fatture false), i relativi debiti fiscali non possono essere esdebitati. Questo perché il sovraindebitamento non deve diventare uno scudo per eludere la giustizia penale tributaria. Solo in presenza di condanna penale definitiva scatta questo divieto: ad esempio, evadere il fisco in sé non preclude la falcidia dei debiti, ma se c’è stata frode fiscale accertata penalmente, niente esdebitazione su quelle somme.
  • Debiti contratti con dolo o malafede verso i creditori: Se si dimostra che il debitore ha contratto il debito sapendo di non poterlo pagare o con l’intento di frodare i creditori, quel debito può essere escluso dal beneficio. Esempio: un soggetto che fa più prestiti contemporaneamente da varie banche nascondendo l’esposizione complessiva, oppure che pochi mesi prima di fare domanda di sovraindebitamento accumula volutamente debiti senza intenzione di restituirli, potrebbe vedersi negare l’esdebitazione su quelle somme “fraudolente”. Allo stesso modo, se prima di presentare la procedura il debitore ha dissipato beni o trasferito denaro a terzi per svuotare il patrimonio, i creditori potrebbero chiedere di escludere quei debiti dal beneficio (oltre ad altre sanzioni procedurali).
  • Debiti salariali, stipendi e contributi non pagati ai dipendenti: Se il debitore era un datore di lavoro che ha omesso di pagare retribuzioni, TFR o contributi, tali somme godono di particolare tutela. In genere questi debiti verso i lavoratori non vengono perdonati facilmente, specie se l’omissione è frutto di comportamento grave o sfruttamento. Sarà il giudice a valutare caso per caso, ma la normativa privilegia la tutela dei crediti di lavoro.
  • Debiti derivanti da responsabilità professionale gravemente colposa o dolosa: Ad esempio, un medico condannato per grave malpractice con colpa grave o dolo: il risarcimento dovuto al paziente potrebbe essere dichiarato non esdebitabile. Se invece la colpa del professionista è lieve (errore non grave), il debito da risarcimento può rientrare nella procedura.
  • Debiti verso fondi di garanzia pubblici: Somme dovute a enti come il Fondo di garanzia per le vittime della strada o il Fondo di prevenzione dell’usura spesso sono escluse dall’esdebitazione. Ciò perché riguardano risarcimenti sociali o di solidarietà che la legge vuole salvaguardare.
  • Debiti sorti dopo l’apertura della procedura: Come anticipato, qualsiasi debito nuovo contratto dopo la data di presentazione della domanda non fa parte della procedura e quindi non viene toccato da essa. Ad esempio, se continuo a usare la carta di credito dopo aver depositato il ricorso, quelle spese restano fuori e dovrò pagarle integralmente.
  • Sopravvenienze entro 4 anni dall’esdebitazione dell’incapiente: Questo è un caso particolare relativo alla procedura di esdebitazione “a zero” per il debitore incapiente (§4.4). Se il debitore incapiente ottiene la cancellazione dei debiti senza pagare nulla, per i successivi 4 anni ha l’obbligo di comunicare eventuali sopravvenienze attive (eredità, vincite, introiti straordinari). In caso di sopravvenienze rilevanti, dovrà destinare fino al 10% di quanto ricevuto ai creditori originari, a parziale pagamento dei debiti cancellati. Se il debitore omette di dichiarare queste sopravvenienze, perde il beneficio dell’esdebitazione (quindi i debiti reviviscono).

Di seguito riassumiamo in tabella i debiti che non possono essere cancellati nemmeno con l’esdebitazione finale, o che hanno restrizioni:

Tipo di debitoEsdebitabile?Note
Obblighi alimentari (mantenimento)❌ NoVerso coniuge, figli, parenti o affini
Risarcimenti da fatto illecito (dolo o colpa grave)❌ NoDanni da reato, lesioni volontarie, ecc.
Sanzioni penali pecuniarie e ammende❌ NoMulte da condanna penale, pene pecuniarie.
Sanzioni amministrative (es. multe stradali)In genere noSe di natura punitiva (orient. prevalente: escluse)
Obbligazioni civili da reato❌ NoRisarcimenti a vittime di reato (parte civile).
Debiti fiscali da reati tributari (condanna)❌ NoSe c’è condanna penale definitiva
Debiti contratti con frode o dolo❌ NoPrestiti ottenuti in malafede, frode ai creditori.
Salari, stipendi e contributi non pagati❌ NoCrediti di lavoro (tutela prioritaria).
Risarcimenti per colpa grave professionale❌ No (salvo eccezioni)Esclusi se condotta grave/dolosa.
Debiti verso Fondi di garanzia pubblici❌ NoFondo vittime strada, usura, ecc..
Debiti post-domanda (nuovi)❌ NoNon inclusi nella procedura.
Sopravvenienze entro 4 anni (incapiente)❌ ParzialeFino al 10% da restituire su nuove utilità.

Come si nota, le eccezioni riguardano per lo più debiti alimentari, da illecito o sanzionatori, oppure casi di mala fede del debitore. L’idea di fondo è che l’esdebitazione è un beneficio per il debitore onesto e sfortunato, non una scorciatoia per i furbi. Infatti, oltre alle categorie di debito, conta molto il comportamento del debitore. Il giudice valuta sempre la cosiddetta meritevolezza: se il debitore ha agito con correttezza, trasparenza e diligenza sia prima che durante la procedura. Chi presenta documenti falsi, nasconde beni o ha causato la propria insolvenza con azioni dolose perderà il diritto al beneficio dell’esdebitazione.

In conclusione, quasi tutti i debiti di un ex imprenditore (bancari, fiscali, fornitori, ecc.) possono essere inseriti nel percorso di sovraindebitamento. Tuttavia, alcuni debiti – per legge – dovranno comunque essere pagati anche dopo, o non potranno essere falcidiati. È fondamentale sapere cosa è davvero cancellabile e cosa no per costruire un piano serio e non illudersi. Un legale esperto o un OCC saprà analizzare la situazione e distinguere i debiti “trattabili” da quelli esclusi, così da gestirli correttamente (ad esempio, prevedendo nel piano il pagamento integrale delle somme non esdebitabili, come gli alimenti o certe multe, per evitare problemi in fase di omologa).

Dopo aver definito soggetti ammessi e natura dei debiti, entriamo ora nel vivo delle procedure di composizione della crisi previste dal Codice e disponibili per il debitore sovraindebitato. Sono essenzialmente quattro, come vedremo nel prossimo paragrafo.

4. Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Il Codice della Crisi disciplina quattro principali procedure dedicate ai debitori sovraindebitati (artt. 65-83 CCII per piani e concordato; artt. 268-277 CCII per liquidazione; art. 283 CCII per esdebitazione incapiente). Ciascuna ha caratteristiche proprie e si adatta a situazioni diverse. Ecco le soluzioni disponibili:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (il vecchio “Piano del consumatore”) – procedura riservata al debitore consumatore. Permette di omologare un piano di pagamento dei debiti senza bisogno del voto dei creditori, sulla base della meritevolezza del debitore.
  2. Concordato Minore (ex “accordo di ristrutturazione dei debiti”) – procedura per debitori non consumatori (imprenditori minori, professionisti, ecc.). Si basa su un accordo con i creditori, che votano la proposta di ristrutturazione.
  3. Liquidazione Controllata del sovraindebitato (ex “liquidazione del patrimonio”) – procedura liquidatoria giudiziale per i debitori non fallibili. Paragonabile ad un piccolo fallimento: il patrimonio del debitore viene liquidato sotto il controllo del tribunale, e al termine si ottiene l’esdebitazione (cancellazione dei debiti) alle condizioni di legge.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche “esdebitazione senza utilità”) – la novità più recente, introdotta prima nel 2020 e poi confluita nel Codice. Permette al debitore persona fisica nullatenente e incapace di offrire alcunché ai creditori, di ottenere comunque la cancellazione dei propri debiti residui, a certe condizioni di meritevolezza, senza dover preventivamente liquidare beni.

Vediamole una per una nel dettaglio, focalizzando in particolare come queste procedure si applicano al caso di un’ex ditta individuale cessata.

4.1 Il Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore)

Il Piano del consumatore è la procedura di sovraindebitamento dedicata esclusivamente al debitore consumatore persona fisica. È uno strumento di ristrutturazione del debito in cui il debitore propone al giudice un piano di pagamenti (anche parziale) di tutti i suoi debiti, da attuarsi in un certo periodo di tempo, e il giudice – valutata la correttezza e fattibilità – può omologarlo senza necessità di accordo con i creditori. Infatti, a differenza del concordato, nel piano del consumatore i creditori non votano: il tribunale può imporre loro il piano, purché sia equo e il debitore sia meritevole. Questa è una caratteristica fondamentale che rende il piano del consumatore molto vantaggioso per chi può accedervi.

Requisiti principali:

  • Essere consumatore, cioè persona fisica con debiti di natura personale (non legati ad un’attività d’impresa in corso). Può accedervi anche chi in passato era imprenditore, purché i debiti oggetto del piano siano estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta. In pratica, se un ex imprenditore ha chiuso l’attività e ha prevalentemente debiti personali (es. mutuo, finanziamenti familiari, bollette) e i pochi debiti d’impresa residui non sono determinanti, può provare a qualificarsi come consumatore. Come visto al §2, la definizione attuale di consumatore non esclude chi abbia avuto un’attività, quindi c’è margine per l’ammissione in questi casi borderline, purché i debiti d’impresa non siano predominanti. Alcuni tribunali hanno ammesso al piano ex imprenditori con debiti “misti” applicando un criterio sostanziale: valutare lo scopo originario dei debiti. Se la gran parte dei debiti deriva da esigenze personali o familiari, il soggetto può essere trattato come consumatore. Ad esempio, il Tribunale di Napoli Nord (sentenza 12/11/2022) ha ammesso un ex imprenditore al piano del consumatore se (a) tutti i suoi debiti residui erano personali, oppure (b) se anche vi erano debiti d’impresa, le sue difficoltà economiche originavano principalmente da obbligazioni personali/familiari, oppure (c) l’attività era cessata e i debiti d’impresa rimasti non erano più funzionali ad un’impresa in corso. In quel caso, addirittura, fu omologato un piano del consumatore per un debitore che aveva anche debiti IVA e tributari d’impresa, perché si dimostrò che tali debiti erano stati contratti per il sostentamento familiare (il debitore aveva omesso di versare imposte per pagare spese di famiglia). Questo orientamento giurisprudenziale “estensivo” punta a non escludere dal piano del consumatore chiunque abbia anche solo 1 euro di debito d’impresa, se ciò non danneggia i creditori e se la situazione è in sostanza quella di un comune consumatore sovraindebitato.
  • Il debitore deve essere meritevole, ovvero non aver causato il proprio sovraindebitamento con dolo o colpa grave. In sede di omologazione, il giudice valuta la condotta: se emergono, ad esempio, spese spropositate e ingiustificate, frodi, o leggerezza estrema nell’indebitarsi, il piano può essere respinto per indegnità. Tuttavia, su questo punto è intervenuta la Cassazione affermando che la valutazione deve tener conto anche della condotta delle banche finanziatrici: se queste hanno concesso credito in modo imprudente violando il dovere di valutare il merito creditizio (art. 124-bis TUB), il debitore non va considerato automaticamente in malafede. In pratica, se una persona ha accumulato troppi prestiti, ma perché le finanziarie glieli hanno dati senza verificare la sostenibilità, il giudice potrebbe comunque dichiararlo meritevole e omologare il piano, stigmatizzando semmai la condotta degli istituti di credito (Cass. n. 28225/2022). Questa è un’ottima notizia per i consumatori sommersi dai debiti di finanziarie: la colpa non è solo loro, e ciò non li esclude dalla procedura. Sul punto, il nuovo Codice (art. 69 CCII) ha recepito in parte questo principio.
  • Fattibilità del piano: il piano proposto deve offrire ai creditori un soddisfacimento ragionevole in relazione alle risorse del debitore. Non c’è un minimo percentuale di legge, ma va garantito che il piano sia eseguibile e che i creditori ricevano quantomeno più di quanto otterrebbero in caso di liquidazione del patrimonio. Ad esempio, se il debitore ha uno stipendio disponibile di 300 € al mese per 4 anni, potrà proporre 300 € x 48 mesi = 14.400 € da distribuire ai creditori in percentuale ai crediti. Se in una liquidazione dai suoi beni i creditori prenderebbero solo 5.000 €, il piano che ne offre 14.400 € è certamente migliorativo.
  • Presenza di un reddito o contributi di terzi: poiché il piano del consumatore prevede pagamenti nel tempo, è necessario che il debitore disponga di entrate sicure e continuative (stipendio, pensione, affitto attivo) oppure di aiuti da familiari/terzi disposti a contribuire. Senza un flusso di cassa, il piano non sarebbe sostenibile. Non occorre coprire il 100% del debito, ma bisogna dimostrare la capacità di onorare la percentuale proposta. Esempio: se un ex imprenditore ora pensionato percepisce 1.000 € al mese e ne può destinare 300 ai creditori, quello è il “polmone” su cui costruire il piano; se i figli sono disposti a versare 5.000 € una tantum, meglio ancora, aumenterà la percentuale offerta.
  • Assenza di precedenti: come detto, il consumatore non deve aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti e non deve avere un’altra procedura pendente. Inoltre non può accedere se soggetto a liquidazione giudiziale (fallimento) aperta.

Funzionamento: Il consumatore presenta, tramite l’OCC, un ricorso al tribunale con il piano contenente la descrizione di come intende pagare i debiti (es. “pagherò il 20% dei chirografari in 4 anni, garantirò il pagamento integrale dei debiti alimentari e delle spese procedurali, conferirò ai creditori la somma di € XX frutto della vendita dell’auto, manterrò la prima casa fuori dalla liquidazione continuando a pagare il mutuo…”). Al piano si allegano tutti i documenti (elenco creditori, inventario beni, redditi, relazione OCC, ecc. – v. §5.2) e si chiede al giudice l’omologazione. Non c’è votazione dei creditori: questi vengono informati e possono eventualmente fare opposizione se ritengono il piano non conveniente o il debitore in malafede, ma decide il giudice.

Il tribunale, dopo aver sentito le parti in un’udienza, valuta:

  • la completezza e regolarità formale (documenti in ordine);
  • la fattibilità del piano (che i pagamenti prospettati siano realistici, es. verifica che il reddito c’è, che l’eventuale immobile da vendere abbia quel valore, ecc.);
  • la convenienza rispetto alle alternative (che di solito significa confrontare con la liquidazione controllata: se nel piano i creditori prendono più o almeno uguale, il requisito è soddisfatto);
  • soprattutto, la meritevolezza del debitore (assenza di atti in frode, indebitamento non colpevole in modo grave, ecc.), anche avvalendosi della relazione dettagliata dell’OCC sulla condotta del debitore.

Se tutto è ok, emette il decreto di omologazione e il piano del consumatore diventa vincolante per tutti i creditori. Da quel momento il debitore dovrà eseguire puntualmente quanto previsto (versare le somme secondo il piano). Durante la pendenza del giudizio e dopo l’omologa, i creditori non possono iniziare né proseguire azioni esecutive individuali: i pignoramenti vengono sospesi o revocati, perché sostituiti dalla soluzione collettiva del piano.

Vantaggi del piano del consumatore:

  • Non serve accordo coi creditori, dunque anche se i creditori sono ostili il giudice può omologare d’ufficio se il piano è corretto. Questo è ideale quando, ad esempio, c’è una finanziaria o banca che non vuole saperne di stralci: il consumatore può imporglielo.
  • Il consumatore mantiene il controllo: può decidere quali beni sacrificare e quali tenere (purché il piano sia equo). Ad esempio può decidere di salvare la prima casa: se il valore di mercato non copre il mutuo, può chiedere di continuare a pagarlo regolarmente tenendo l’immobile e offrire ai chirografari altro. Molti tribunali mostrano sensibilità nel consentire di conservare l’abitazione principale, se il piano lo consente senza ledere i creditori. Caso reale: il Tribunale di La Spezia nel 2021 ha omologato un piano in cui il debitore manteneva la propria casa e la banca ipotecaria accettava un rimborso dilazionato, ritenuto più vantaggioso di una vendita forzata. In generale, se vendere la casa in asta darebbe pochi soldi ai creditori, un piano che evita la vendita e prevede pagamenti equivalenti o superiori sarà preferibile e potrà essere approvato.
  • Permette di bloccare subito i pignoramenti: spesso il giudice, già nel decreto di fissazione dell’udienza, concede misure protettive sospendendo le esecuzioni in corso. Ciò significa che dal momento in cui il piano viene ammesso e comunicato ai creditori, nessuno può più procedere con azioni individuali (pignoramenti mobiliari, immobiliari, stipendi) senza autorizzazione del tribunale. Per un debitore assediato dai creditori è un enorme respiro.
  • Durata contenuta: l’omologazione può arrivare in pochi mesi e il piano di solito prevede pagamenti in un periodo ragionevole (spesso 4 anni, ma può essere modulato). In casi semplici si è visto un piano omologato anche in 2-3 mesi dal deposito. Dopodiché il debitore paga secondo le scadenze stabilite (tipicamente rate mensili o trimestrali ai creditori). Finito il periodo del piano, se ha rispettato tutto, ottiene l’esdebitazione: cioè la cancellazione di eventuali importi residui non pagati (a parte i debiti esclusi di cui sopra).

Svantaggi o limiti:

  • Accesso ristretto ai soli consumatori meritevoli. Un ex imprenditore con debiti promiscui rischia di non essere ammesso se la linea interpretativa è restrittiva (Cassazione insiste che basta un debito d’impresa per escludere dal piano del consumatore). In tal caso dovrà optare per il concordato minore o la liquidazione.
  • Manca il voto dei creditori, ma possono fare opposizione: ad esempio, una banca potrebbe opporsi sostenendo che il debitore non è meritevole. Il giudice dovrà decidere, e ciò può creare contenzioso e allungare un po’ i tempi (si parla comunque di mesi, non anni).
  • Il debitore deve rispettare rigorosamente il piano: se dopo l’omologa non paga come dovuto, il piano può essere revocato e allora i creditori riacquistano la libertà di agire. Quindi serve un impegno serio e costante; non è adatto a chi non ha entrate certe.
  • Non consente di liberarsi subito dei debiti senza pagare nulla: per quello c’è la procedura dell’incapiente (ma solo se davvero non si ha niente). Nel piano del consumatore bisogna offrire il massimo possibile compatibile con le proprie risorse, quindi l’impegno finanziario c’è (sebbene ridotto rispetto all’intero debito iniziale).

Esempio pratico di Piano del Consumatore (ex imprenditore): Mario era titolare di un negozio, ha chiuso l’attività due anni fa. Ora lavora come dipendente con stipendio di 1.300 €/mese. Ha debiti totali per €80.000: €20.000 di carte di credito e prestiti personali (debiti “consumo”), €15.000 di bollette e affitti arretrati (personali), €10.000 di un fido bancario legato al negozio (debito d’impresa), €35.000 di cartelle esattoriali (di cui €5.000 IVA non versata durante gli ultimi anni di attività, il resto Irpef personale). Non possiede casa (vive in affitto) ma ha un’auto modesta. Mario, con l’aiuto di un OCC, elabora un piano del consumatore così strutturato: mette a disposizione €300 al mese per 4 anni (totale €14.400) derivanti dal suo stipendio, più la vendita dell’auto per €2.000, per pagare complessivamente circa €16.400 ai creditori. Propone di soddisfare integralmente l’IVA (€5.000) e in parte gli altri crediti: in pratica i creditori chirografari riceveranno circa il 30% del loro credito. L’OCC evidenzia che l’insolvenza di Mario è dovuta soprattutto al calo di vendite e a spese familiari, non a sperperi, e che Mario ha chiuso l’attività proprio per cercare un lavoro stabile e pagare i debiti. Il tribunale valuta che in una liquidazione i creditori prenderebbero meno (solo il ricavato dell’auto), che Mario è stato diligente (ha cercato lavoro, non ha nascosto nulla) e che la banca creditrice del fido è in parte corresponsabile per avergli concesso fido senza garanzie durante la crisi. Il giudice omologa il piano. Mario paga per 4 anni quanto stabilito; durante questo periodo i creditori non possono agire contro di lui. Alla fine dei 4 anni, Mario ha versato tutto il previsto e il tribunale gli dichiara esdebitati i residui: restanti debiti cancellati. Mario può ripartire pulito, con un risparmio di oltre €60.000 rispetto al dovuto originario.

4.2 Il Concordato Minore (accordo di ristrutturazione per imprese minori e professionisti)

Il Concordato Minore è la procedura rivolta ai debitori non consumatori – quindi tipicamente imprenditori individuali, piccoli imprenditori commerciali, professionisti con debiti professionali, imprenditori agricoli, start-up innovativa non fallibile, ecc. – che si trovino in sovraindebitamento. È l’equivalente, per i soggetti “non consumatori”, del concordato preventivo ma in versione semplificata e accessibile ai non fallibili. Prima dell’entrata in vigore del CCII, questa procedura era prevista dalla Legge 3/2012 come “accordo di composizione dei debiti” ed era abbastanza simile, con la differenza che richiedeva il voto favorevole del 60% dei crediti. Oggi la soglia è ridotta al 50% e la procedura è maggiormente integrata con le norme generali concorsuali.

Requisiti principali:

  • Soggetto non consumatore e non fallibile: il concordato minore è destinato a chi esercita o ha esercitato attività d’impresa o professionale, dunque non rientra nella definizione di consumatore, ma al tempo stesso non può accedere al concordato preventivo “maggiore”. Ci rientrano quindi l’imprenditore “sotto soglia” e anche l’imprenditore cessato da meno di un anno (vedremo questo limite). Esempio: artigiano in attività ma sovraindebitato; ex commerciante cessato 6 mesi fa con debiti d’impresa; avvocato con debiti del proprio studio; agricoltore indebitato, ecc.
  • Imprenditore cessato: attenzione al limite temporale. L’art. 33, comma 4, CCII stabilisce che “La domanda di accesso alla procedura di concordato minore … presentata dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese è inammissibile.” . Ciò significa che se l’imprenditore individuale si è cancellato dal Registro Imprese prima di presentare la domanda, non può accedere al concordato minore. Questa norma è molto dibattuta, perché di fatto esclude i piccoli imprenditori cessati dalla ristrutturazione: secondo una lettura, la preclusione vale dopo un anno dalla cessazione (richiamando l’art. 33, co.1: trascorso un anno, non c’è più “impresa” da ristrutturare). La Cassazione, con un’ordinanza del 2023 ex art. 363-bis c.p.c., ha confermato un’interpretazione rigorosa: un ex imprenditore cancellato da oltre un anno non può accedere al concordato minore, equiparandolo a un accordo di ristrutturazione post-cessazione. La ratio è che non c’è più un’attività da risanare (“inesistenza del bene impresa a cui mirare il risanamento” recita una massima). In compenso, dice la Cassazione, all’ex imprenditore rimane comunque la liquidazione controllata e quindi il diritto all’esdebitazione dopo 3 anni. Tuttavia, alcuni tribunali nel 2025 hanno seguito un orientamento diverso, ammettendo anche imprenditori cancellati: ad esempio i Tribunali di Vicenza, Ancona e Modena in pronunce di marzo-aprile 2025 hanno ritenuto di poter ammettere al concordato minore un imprenditore cancellato, probabilmente sostenendo che la norma non vieta se l’attività è cessata da poco e c’è ancora utilità nel concordato. Questo per dire che la questione è delicata: se hai chiuso la ditta da oltre 12 mesi, è molto probabile che dovrai orientarti sulla liquidazione controllata e non sul concordato. Se l’hai chiusa da meno, invece, potresti ancora fare un concordato minore, magari “liquidatorio” (di fatto un accordo per liquidare i beni in modo concordato). Va valutato caso per caso con l’assistenza dell’OCC e del legale.
  • Stato di sovraindebitamento e non assoggettabilità a liquidazione giudiziale: occorre la solita condizione oggettiva (insolvenza conclamata). Inoltre, il soggetto non deve essere fallibile: se un imprenditore supera le soglie dimensionali di fallibilità, in teoria dovrebbe andare in concordato preventivo ordinario, non in quello minore. Ma se supera le soglie non sarebbe sovraindebitamento, quindi in pratica la questione non si pone.
  • Proposta di soddisfacimento migliore della liquidazione: nel concordato minore, come in ogni concordato, il debitore propone ai creditori un certo trattamento (pagamento integrale o parziale dei debiti, eventualmente liquidazione di alcuni beni, stralcio di altri). È necessario che la proposta garantisca ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella che avrebbero in una liquidazione controllata del patrimonio. Questo principio di convenienza è valutato dal giudice e dall’OCC: se il debitore, liquidando tutto, darebbe 30 ai creditori, non può proporre un concordato che dia 10, altrimenti converrebbe liquidare. Deve dare almeno 30, o idealmente di più (così i creditori sono incentivati ad accettare). Spesso ciò si ottiene grazie a contributi esterni (familiari, garanzie terzi) o perché la procedura concordata riduce i costi rispetto a una liquidazione giudiziale.
  • Voto dei creditori: a differenza del piano del consumatore, qui i creditori contano. Affinché il concordato minore sia approvato, occorre il voto favorevole di almeno il 50% dei crediti ammessi al voto. Non tutte le categorie votano: i crediti privilegiati che sono pagati integralmente ad esempio non hanno motivo di votare (sono soddisfatti al 100%, salvo diversa proposta). I chirografari votano. Se ci sono diverse classi, il 50% si intende in ogni classe oppure sul totale, a seconda di come il piano è strutturato (il codice parla in genere del 50% dei crediti, ma occorre attenersi alle norme specifiche). In pratica la maggioranza richiesta è più bassa di quella che era nella legge 3/2012 (60%), il che facilita l’approvazione. Se non si raggiunge il 50%, il concordato non è approvato e solitamente si apre la strada alla liquidazione controllata.
  • Meritevolezza e condotta: anche qui il debitore deve aver tenuto un comportamento onesto e collaborativo. Pur non essendo formalmente richiesta la “meritevolezza” in modo stringente come nel piano del consumatore, frodi o atti in malafede possono portare all’inammissibilità o al diniego di omologa. Ad esempio, se l’OCC rileva atti in frode (es. beni sottratti ai creditori prima della domanda), il giudice può non ammettere il concordato. Quindi vale lo stesso principio: trasparenza e buona fede sono imprescindibili.

Funzionamento: Il debitore – con l’ausilio dell’OCC – elabora un piano di concordato minore, che può prevedere sia misure di carattere patrimoniale (cessione o liquidazione di beni, pagamento parziale dei crediti, ecc.) sia eventuali aspetti di continuità aziendale minore (ad esempio un piccolo imprenditore potrebbe proporre di continuare l’attività mettendo a disposizione ai creditori parte degli utili futuri, ma sono casi rari in contesto di sovraindebitamento, di solito c’è chiusura o liquidazione). Il piano viene depositato in tribunale insieme alla documentazione e alla relazione dell’OCC. Il tribunale, verificato che la proposta non sia inammissibile, convoca i creditori per esprimere il voto (oppure dispone una votazione con modalità semplificate, ad esempio scritto). Nel frattempo, come per il piano del consumatore, può emanare misure protettive per congelare le azioni esecutive dei creditori in attesa della decisione.

I creditori votano (in udienza o per via telematica secondo le procedure OCC) sulla proposta. Se si raggiunge la maggioranza del 50% dei crediti, la proposta si intende approvata. A quel punto il tribunale procede a omologare il concordato minore, valutando l’assenza di cause ostative (ad esempio eventuali opposizioni di creditori dissenzienti sulla convenienza). Se non si raggiunge la maggioranza, il tribunale dichiarerà improcedibile il concordato minore e normalmente, contestualmente, aprirà d’ufficio la liquidazione controllata (salvo che il debitore già non preferisca ritirare la domanda e magari tentare un piano del consumatore se nel frattempo mutata la qualifica, ma è complicato).

Con l’omologa, il concordato minore diventa vincolante per tutti i creditori anteriori. Il debitore (o un liquidatore nominato, a seconda che il piano preveda la liquidazione di beni) eseguirà quanto previsto: pagamenti, vendite, ecc. Al termine, se ha adempiuto, otterrà l’esdebitazione dei debiti residui. Anche qui vale la regola che l’esdebitazione cancella i debiti non soddisfatti tranne quelli non esdebitabili di cui al §3.2 (mantenimento, risarcimenti illeciti, ecc., che restano).

Vantaggi del concordato minore:

  • Coinvolgimento dei creditori in modo negoziale: se i creditori principali sono disponibili a trovare un accordo, il concordato minore è un’ottima soluzione perché consente di modellare la ristrutturazione in modo condiviso. Ad esempio, si possono ridurre i debiti con il consenso dei creditori, evitare fallimenti personali e arrivare comunque a liberarsi dai debiti residui. Spesso le banche preferiscono un concordato minore a una lunga e incerta esecuzione, ottenendo magari un pagamento parziale subito.
  • Flessibilità: si può prevedere sia la continuità sia la liquidazione. Ad esempio, un professionista potrebbe proporre di pagare i debiti in 5 anni usando i suoi redditi futuri (continuità); un ex imprenditore con beni, invece, può proporre direttamente la vendita di alcuni cespiti tramite un liquidatore nominato (concordato minore liquidatorio) ma in modo ordinato, magari vendendo a prezzo di mercato invece che svendere all’asta.
  • Possibilità di trattare i crediti privilegiati e pubblici: nel concordato minore, come nel consumatore, si possono falcidiare i crediti privilegiati (purché non oltre il valore del bene su cui insiste il privilegio) e trattare i debiti fiscali con transazioni. Se l’Erario vota a favore (o non vota contrariamente ed è in minoranza), le riduzioni proposte diventano efficaci. Questo consente, ad esempio, di stralciare cartelle esattoriali con l’assenso implicito dell’Agenzia Entrate Riscossione, che spesso in queste procedure si astiene lasciando decidere ai giudici, purché il trattamento rispetti le regole di legge (miglior soddisfazione rispetto alla liquidazione, pagamento di eventuali parti non falcidiabili come IVA se non accordata etc.).
  • Protezione dalle azioni esecutive: come per le altre procedure, anche il concordato minore consente di ottenere dal tribunale la sospensione dei pignoramenti in corso e il divieto di iniziarne di nuovi durante la procedura (le cosiddette misure protettive). Questo mette al riparo il patrimonio del debitore mentre si negozia col ceto creditorio.

Svantaggi o criticità:

  • Necessità di voto favorevole: se i creditori (o alcuni grandi creditori) sono ostili, il rischio è di non raggiungere il 50%. Ad esempio, se c’è un solo creditore chirografario importante che si oppone, potrebbe bloccare tutto. In tal caso, fallito il concordato, si finisce comunque in liquidazione. Questo rende il concordato minore meno “sicuro” rispetto al piano del consumatore dove il creditore non può opporsi più di tanto.
  • Limite per imprenditori cessati: come detto, la legge attuale esclude chi è cancellato dal Registro Imprese. Ciò può sembrare paradossale, ma è la lettera dell’art. 33 co.4 CCII. Dunque molti ex imprenditori, quelli proprio che più beneficerebbero di un concordato minore per evitare la liquidazione personale, non possono usarlo se hanno chiuso l’attività. Questa rigidità è criticata e, come visto, alcuni giudici di merito la superano (vedi Tribunale di Pordenone 2021 che ammise un ex imprenditore al piano del consumatore ritenendolo sostanzialmente tale nonostante debiti fiscali d’impresa). Ma stando alla Cassazione, se sei oltre l’anno di cessazione niente concordato.
  • Procedure un po’ più complesse: c’è il meccanismo del voto, eventuali classi di creditori, potenziali opposizioni all’omologa da creditori dissenzienti. Insomma è una mini-procedura concorsuale a tutti gli effetti. Ciò richiede assistenza tecnica e tempi leggermente più lunghi rispetto a un piano del consumatore non opposto.
  • Impegno nelle trattative: serve spesso confrontarsi con i creditori per spiegare la proposta e convincerli che è la soluzione migliore (per loro e per il debitore). Il ruolo dell’OCC/gestore è cruciale nel mediare e spiegare ai creditori che la proposta è seria e il debitore offre il massimo possibile – magari facendo presente che alternative (come escussione individuale o insolvibilità totale) sarebbero peggiori per tutti.

Esempio pratico di Concordato Minore: Luigi è un artigiano edile che ha cessato l’attività 6 mesi fa perché sommerso dai debiti. Ha un capannone e alcuni attrezzi, oltre a debiti totali per €150.000 (fornitori €50k, banca €30k residuo mutuo per capannone con ipoteca, Equitalia €70k di cui €20k IVA, resto contributi e tasse). Luigi non è consumatore (debiti d’impresa attuali), dunque presenta un concordato minore liquidatorio: propone di vendere il capannone (valore stimato €60k) e alcuni macchinari (€10k) tramite un liquidatore nominato dal tribunale, e inoltre di far intervenire un parente che offre €10k in contanti. Totale risorse offerte €80k. Con queste, Luigi propone di pagare integralmente la banca ipotecaria (prendendo €30k dal ricavato del capannone, liberandolo da ipoteca), e il restante €50k distribuirlo a Equitalia (per IVA e imposte) e ai fornitori, in percentuale. In particolare propone di soddisfare l’IVA e contributi al 100% (circa €25k) e distribuire i restanti €25k ai fornitori (che prenderebbero il 50% dei loro crediti). L’OCC stima che in una liquidazione forzata il capannone potrebbe andare all’asta per soli €40k netti e i macchinari rendere €5k, quindi i creditori avrebbero meno. Equitalia si dice disponibile perché l’IVA è pagata integralmente e comunque incassa una buona parte del resto; i fornitori, vedendo che prenderebbero 50% invece di forse 10-20% in caso di asta, votano a favore (magari uno era scettico ma l’OCC ha fatto un’opera di convincimento illustrando i dati). Si raggiunge il 60% di voti a favore (ben oltre il 50% richiesto), il tribunale omologa. Vengono venduti i beni secondo il piano, i creditori incassano quanto previsto. Luigi ottiene l’esdebitazione per i residui: i fornitori che avevano 50% scoperto non possono più pretendere nulla di più, lo stesso per eventuali tributi rimasti scoperti (salvo quelli non esdebitabili se ce ne sono). Luigi, pur avendo liquidato i suoi beni, ha evitato una procedura esecutiva disordinata e soprattutto ha ridotto sensibilmente il debito (pagandone circa la metà) con accordo dei creditori, evitando di rimanere indebitato a vita.

4.3 La Liquidazione Controllata del sovraindebitato

La Liquidazione Controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale di tipo liquidativo riservata ai debitori non fallibili. È l’equivalente, per i piccoli debitori, della liquidazione giudiziale (ex fallimento) prevista per le imprese maggiori. In pratica, se il debitore sovraindebitato non è in grado di proporre o sostenere un piano/concordato (o se questi falliscono), può (o deve) ricorrere alla liquidazione controllata: viene nominato un liquidatore che raccoglie e vende tutti i beni del debitore e ripartisce il ricavato tra i creditori secondo le cause di prelazione. Al termine della liquidazione, il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti rimasti).

Si tratta quindi di una procedura concorsuale a carattere dispensativo (cioè mira a liberare il debitore dai debiti) ma con natura liquidatoria: diversamente dalle precedenti, qui non c’è un piano di rientro negoziato, c’è la resa dei beni. È spesso l’ultima ratio, ma a volte è la via obbligata o la più sensata, specie se il debitore non ha entrate sufficienti per un piano o i creditori non collaborano.

Requisiti e avvio:

  • Può accedere alla liquidazione controllata qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o non consumatore). È la procedura “universale” di chi è escluso o non riesce ad usare le altre. Anche l’ex imprenditore cessato da oltre un anno vi può accedere senza problemi. Anzi, come visto, se hai cessato l’attività da troppo tempo l’unica opzione è proprio questa, come sottolineato dalla Cassazione.
  • Non è richiesta la meritevolezza in senso stretto per accedere: anche un debitore che ha avuto comportamenti poco diligenti o colposi può comunque chiedere la liquidazione (non c’è un filtro “morale” all’ingresso). Tuttavia, comportamenti fraudolenti gravi possono portare poi a negare l’esdebitazione a fine procedura. Quindi diciamo che chiunque può avviare la liquidazione, anche se ha colpe nel proprio dissesto, ma la “pulizia” finale del debito potrebbe essergli negata se indegno.
  • Iniziativa: la liquidazione controllata può essere richiesta dallo stesso debitore (ipotesi più frequente) oppure dai creditori o dal PM nei confronti del debitore non fallibile (similmente a come i creditori possono chiedere il fallimento di un’impresa). Quindi attenzione: se sei un ex imprenditore non fallibile ma con grossi debiti e i creditori si spazientiscono, potrebbero domandare al tribunale di aprire la tua liquidazione controllata forzatamente. In tal caso tu subiresti la procedura senza averla scelta. Conviene spesso anticipare i tempi e attivarsi volontariamente, perché se lo fai tu hai più controllo e possibilità di concordare alcune cose (ad esempio scegliere l’OCC/lLiquidatore).

Effetti dell’apertura:
Quando il tribunale dispone l’apertura della liquidazione controllata:

  • Nomina un Giudice Delegato e un Liquidatore (che spesso è la stessa figura dell’OCC che ha seguito l’istruttoria). Il debitore viene spossessato dei suoi beni (che passano sotto controllo del liquidatore) ma non completamente come nel fallimento: il debitore può continuare a gestire l’ordinario, ma di fatto i beni rilevanti per i creditori sono in capo al liquidatore.
  • Tutti i beni del debitore diventano parte della massa attiva da liquidare, eccetto quelli impignorabili per legge (es. beni di stretta necessità, stipendio in parte, etc. rimangono al debitore). Se il debitore è una famiglia, sarà cura del liquidatore lasciare le somme necessarie per il sostentamento mensile (c’è un minimo vitale non toccabile).
  • Si sospendono tutte le azioni esecutive individuali: i pignoramenti in corso vengono bloccati e convogliati nella liquidazione. I creditori devono presentare le loro domande di ammissione al passivo al liquidatore. In sostanza, la liquidazione controllata accentra tutte le pretese creditorie.
  • Il debitore ha l’obbligo di collaborare e fornire tutte le informazioni e documenti, pena sanzioni. Deve inoltre consegnare i beni, le scritture contabili (se era imprenditore) e facilitare il compito del liquidatore.

Svolgimento:
Il liquidatore redige un inventario dei beni e uno stato passivo dei debiti, da far approvare (ci sarà un esame delle domande dei creditori, eventuali contestazioni, ecc., molto simile al passivo fallimentare). Dopodiché procede alla vendita dei beni: può vendere immobili tramite procedure competitive (anche avvalendosi degli strumenti delle aste giudiziarie), liquidare mobili registrati, crediti, ecc. Il tutto sotto la supervisione del Giudice Delegato. Nel frattempo, se il debitore ha un reddito (stipendio, pensione), la parte eccedente il necessario per il mantenimento viene accantonata dal liquidatore per i creditori: ad esempio, se al debitore servono €1.000/mese e ne guadagna 1.500, i €500 eccedenti per quei 3-4 anni saranno prelevati per la massa. Anche eventuali sopravvenienze attive durante la procedura (eredità ricevute, vincite) entrano nell’attivo da distribuire.

Una volta liquidato il possibile, il liquidatore ripartisce il ricavato tra i creditori secondo l’ordine delle preferenze (prima i crediti con privilegio/ipoteca, poi se avanza qualcosa i chirografari, in proporzione). La procedura può durare qualche anno, a seconda della complessità della liquidazione (un immobile può richiedere tempo per essere venduto). Importante: non è necessario attendere la chiusura definitiva della liquidazione per chiedere l’esdebitazione. Il nuovo Codice prevede espressamente che dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione controllata, il debitore persona fisica può già ottenere la cancellazione dei debiti residui, anche se la liquidazione non è terminata. Questa è una differenza importante rispetto al passato (quando bisognava chiudere la liquidazione prima di esdebitare). Ora dopo 3 anni – purché il debitore abbia cooperato lealmente – l’esdebitazione diventa un diritto (art. 282 CCII). Quindi, se la liquidazione va per le lunghe oltre 3 anni, il debitore onesto non deve aspettare oltre per ripartire.

Cosa resta al debitore e cosa no: il debitore può tenere i beni dichiarati impignorabili (per legge, ad esempio: necessari al sostentamento, stipendi minimi, pensioni minime, ricordi di famiglia, etc.). Inoltre, spesso la prima casa se gravata da mutuo e poco capiente viene lasciata al debitore se vendendola non ci sarebbe beneficio per i creditori (ma dipende dalle circostanze; di norma il liquidatore deve liquidare tutto il liquidabile). Può anche accadere che un accordo con i creditori durante la liquidazione “sospenda” la vendita di un bene: ad esempio, se i creditori chirografari prendono zero comunque e solo la banca ipotecaria è interessata all’immobile, il debitore e la banca potrebbero accordarsi per continuare il mutuo e chiudere la liquidazione senza vendere (situazioni speciali, ma possibili con l’assenso dei creditori coinvolti).

Esdebitazione a fine procedura: completato (anche anticipatamente dopo 3 anni) il lavoro, il debitore persona fisica può chiedere di essere esdebitato, cioè liberato dai debiti rimasti insoddisfatti. Il tribunale glielo concederà se ha collaborato e non ci sono ragioni ostative (ad esempio frodi scoperte, atti dolosi, etc.). L’esdebitazione non copre comunque i debiti esclusi di cui al §3.2 (alimentari, risarcimenti dolo, etc. – quelli resteranno dovuti). Per il resto, il debitore viene “pulito”. Se invece emergesse che ha tenuto comportamenti scorretti (es. ha nascosto un bene), il giudice potrebbe negare l’esdebitazione, lasciandolo con i debiti non pagati. Ma queste sono eccezioni legate a colpe gravi.

Vantaggi della liquidazione controllata:

  • È spesso l’unica strada se non si riesce a sostenere un piano di rientro. Chi non ha abbastanza reddito per fare una proposta decente ai creditori può comunque liberarsi dei debiti mettendo a disposizione quel poco che ha (anche solo i suoi beni) e poi ottenere la cancellazione dei residui.
  • Chiarezza e fine definitiva: con la liquidazione si fa “tabula rasa”: il debitore consegna tutto il patrimonio aggredibile ed esce definitivamente dalla spirale debitoria in pochi anni. Dopo, potrà ricominciare senza debiti (il nostro ordinamento vuole evitare il c.d. “ergastolo dei debiti”).
  • La procedura è gestita da un professionista (liquidatore) e dal tribunale, quindi i creditori hanno la garanzia che tutto il possibile è stato fatto per soddisfarli. Ciò rende più agevole ottenere poi l’esdebitazione, perché i creditori non possono lamentare favoritismi: è tutto pubblico e controllato.
  • Costo a carico dell’attivo: diversamente dalle procedure di piano/concordato dove l’OCC va pagato dal debitore, qui il compenso del liquidatore e le spese di procedura sono prelevate dall’attivo prima di pagare i creditori. Dunque il debitore che consegna i beni non deve anticipare soldi (a meno di piccoli contributi iniziali per spese di bollo, ma parliamo di cifre minime). Questo è importante per chi è già al verde.
  • Accesso semplificato: il tribunale di solito apre la liquidazione se c’è insolvenza e i documenti sono presentati. Non c’è da convincere nessuno (creditori non votano), è sufficiente soddisfare i requisiti formali. Quindi c’è maggiore certezza di risultato: sai che otterrai l’esdebitazione (sempre salvo frodi) con tempi relativamente certi (max 3 anni per l’attesa esdebitazione ex lege + eventuale completamento vendite).

Svantaggi della liquidazione controllata:

  • Il debitore perde il controllo sui suoi beni. Di fatto subisce un “mini-fallimento”: non può liberamente disporre del proprio patrimonio, viene nominato un liquidatore che venderà i suoi beni all’asta o tramite procedure competitive. Questo può essere psicologicamente ed economicamente duro (si può perdere la casa, l’auto, etc., se hanno un minimo di valore per i creditori).
  • Durante la procedura il debitore vive con il minimo necessario: il liquidatore può prelevare l’eccedenza di reddito, quindi bisogna adattarsi a uno stile di vita modesto per qualche anno (il che però spesso era già il caso per chi aveva pignoramenti in corso).
  • Se emergono comportamenti scorretti, l’esdebitazione può essere rifiutata. Ad esempio, se si scopre che prima di avviare la procedura il debitore ha distratto attivi o ha falsificato documenti, il giudice potrebbe punirlo negando il beneficio (art. 280 CCII prevede alcuni casi di esclusione dall’esdebitazione). Dunque la “liberazione” non è automatica in ogni caso: va meritata con una condotta trasparente.
  • Per i creditori, la liquidazione è spesso la peggiore opzione (prendono poco). Ma per il debitore può essere l’unica: è dunque un rimedio estremo ma necessario.

Esempio pratico di Liquidazione Controllata (ex imprenditore cessato): Carla gestiva un piccolo ristorante, che ha chiuso due anni fa per la pandemia. Ha debiti per €100.000 (fornitori, banca per un prestito, debiti fiscali) e praticamente nessun reddito (attualmente disoccupata). Non è consumatore (i debiti originano dall’impresa) ma essendo passati più di 12 mesi dalla chiusura, non può fare concordato minore secondo la legge. E comunque non ha entrate per offrire un piano. Carla possiede solo un’auto usata e attrezzature dismesse del ristorante per un valore totale di forse €5.000. Di fronte alle richieste dei creditori (alcuni l’hanno citata in tribunale), Carla, assistita da un OCC, presenta domanda di liquidazione controllata. Il tribunale la ammette, nomina l’OCC stesso come liquidatore. Vengono inventariati i pochi beni: l’auto viene venduta per €3.000, le attrezzature per €2.000. Si raccolgono €5.000, che vengono spesi in parte per coprire le spese procedurali e il compenso minimo del liquidatore, e il residuo è distribuito ai creditori in percentuale simbolica. Dopo 3 anni dall’apertura, Carla chiede l’esdebitazione ex art. 282 CCII: il tribunale verifica che Carla ha collaborato (ha consegnato tutto, non aveva nascosto niente) e dichiara inesigibili tutti i suoi debiti residui. Carla così, pur non avendo pagato praticamente nulla ai creditori (colpa della sfortunata vicenda, non sua malizia), viene liberata dall’incubo debitorio: potrà ricominciare cercando un nuovo lavoro senza zavorre finanziarie. I creditori purtroppo hanno incassato quasi zero, ma questo avrebbero ottenuto comunque vista la sua situazione. La legge ha però garantito a Carla di non restare indebitata a vita, sancendo il principio che “il fallimento economico non è una condanna perpetua”.

4.4 L’Esdebitazione del debitore incapiente (“esdebitazione a zero”)

L’Esdebitazione del debitore incapiente è una delle novità più significative introdotte prima con il DL 137/2020 (Decreto Ristori) e poi formalizzata nell’art. 283 CCII. Si tratta di una procedura che consente al debitore persona fisica, onesto ma totalmente privo di patrimonio o reddito (il cosiddetto “nullatenente”) di ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione di tutti i suoi debiti, senza dover offrire alcuna utilità ai creditori. Per questo è detta anche “esdebitazione a costo zero” o “senza utilità”. È una sorta di procedura di sovraindebitamento semplificata in cui non c’è né piano di pagamento né liquidazione di beni, perché il debitore non ha niente da dare. In cambio, la legge pone requisiti stringenti di meritevolezza e prevede alcune condizioni (ad esempio l’obbligo di dichiarare eventuali acquisizioni di patrimonio nei 4 anni successivi, come già menzionato).

Requisiti principali:

  • Il debitore deve essere persona fisica (la norma è pensata per individui, non per società ovviamente, e in pratica per ex imprenditori individuali o consumatori).
  • Deve trovarsi in stato di sovraindebitamento e allo stesso tempo non essere in grado di offrire ai creditori alcuna utilità nemmeno in futuro. Ciò significa: niente beni liquidabili e nessuna capacità di pagamento, nemmeno parziale. In pratica zero patrimonio e reddito appena sufficiente (o insufficiente) per la sopravvivenza. Se anche possiede un solo bene di valore apprezzabile o un margine di reddito attaccabile, allora non è un incapiente secondo la legge e dovrà prima passare per la liquidazione controllata. Ad esempio: se una persona ha una piccola casa di proprietà, anche se unico bene, vale comunque qualcosa – dovrà fare la liquidazione, vendere la casa e poi chiedere esdebitazione; non può usare la scorciatoia incapiente perché un’attività liquidatoria c’è. Invece chi davvero non ha nulla di nulla, né beni né redditi pignorabili, rientra nella categoria.
  • Deve essere meritevole: la legge richiede che il debitore non abbia colpe gravi o atteggiamenti fraudolenti. In particolare, non deve aver beneficiato già due volte in passato di esdebitazione (limite massimo due volte nella vita) e non deve averne avuta una nei 5 anni precedenti. Inoltre, l’incapienza non deve essere frutto di sua malafede nel senso di aver dilapidato i propri beni per fuggire ai creditori. L’OCC valuterà attentamente la storia debitoria: se risulta che il debitore ha volontariamente sperperato patrimoni o ha nascosto soldi per poi dichiararsi nullatenente, non verrà considerato meritevole. Viceversa, se l’incapienza deriva da eventi sfortunati (es. malattia, perdita lavoro, attività fallita) e lui ha comunque tenuto un comportamento onesto, allora potrà accedere.

In sintesi, questa procedura è l’ultima spiaggia per chi è povero in canna ma con tanti debiti: pensiamo a chi ha perso tutto e gli rimangono solo i debiti, senza alcun mezzo per pagare nemmeno parzialmente.

Funzionamento:
Il debitore si rivolge a un OCC o direttamente al tribunale dimostrando la propria situazione di totale incapienza e chiedendo l’esdebitazione ai sensi dell’art. 283 CCII. Serve comunque la documentazione di base (elenco debiti, elenco beni – anche se vuoto, dichiarazioni redditi – spesso zero, ecc.) e una relazione OCC che attesti lo stato di nullatenenza e la meritevolezza. Non c’è un piano, perché non c’è nulla da proporre, né una liquidazione da aprire (non avrebbe oggetto). Il giudice valuta e, se tutto è regolare, accede alla richiesta emettendo un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti del soggetto (tranne quelli esclusi ex lege come alimenti, danni dolosi, etc., che comunque restano). In altre parole, concede l’esdebitazione immediata.

Obblighi post-esdebitazione: per evitare abusi, la legge impone che per i successivi 4 anni dall’esdebitazione il debitore incapiente abbia il dovere di comunicare tempestivamente al tribunale (o al liquidatore, se c’era) qualsiasi sopravvenienza di rilievo: ad esempio, se riceve un’eredità, vince alla lotteria, trova un lavoro ad alto reddito, ecc. In caso di sopravvenienze, potrà essere tenuto a versare ai vecchi creditori fino al 10% di quanto ricevuto. Quindi non è che se vinci 100.000 € due anni dopo te li tieni tutti: dovrai dare fino a 10.000 € da dividere ai creditori, come “ristoro” parziale. Se invece nei 4 anni non succede nulla di rilevante (come spesso accade, purtroppo), bene così: il debitore resta libero dai debiti definitivamente. Se il debitore non adempie a quest’obbligo di informare sulle sopravvenienze (cioè nasconde una vincita o simili), la sanzione è severa: revoca dell’esdebitazione, con reviviscenza dei debiti. Quindi c’è un forte deterrente a comportarsi scorrettamente dopo aver ottenuto il beneficio.

Effetti e considerazioni:

  • Per il debitore, questa procedura è una sorta di “grazia” totale: viene perdonato il debito senza dare nulla in cambio, riconoscendo che tanto non potrebbe mai pagare e che tenerlo indebitato a vita sarebbe solo crudele e inutile. È un istituto di clemenza sociale, se vogliamo, che esiste in vari ordinamenti (ad es. in alcuni paesi si chiama “fresh start” per poor debtors).
  • Per i creditori è ovviamente la situazione peggiore: non ricevono nulla (a parte quel potenziale 10% futuro e solo se il debitore avrà fortuna). Proprio per questo l’accesso è ristretto ai casi disperati. Statisticamente, i creditori in questi casi non avrebbero comunque ricavato nulla dall’insolvente (perché se avesse avuto qualcosa sarebbe andato in liquidazione). Quindi è più una presa d’atto dello stato di fatto.
  • L’OCC/gestore in queste procedure viene pagato tramite il Fondo per l’esdebitazione degli incapienti istituito presso il Ministero della Giustizia. Infatti, il debitore incapiente non può nemmeno permettersi di pagare l’organismo o il professionista che lo assiste; per evitare che resti senza aiuto, la legge ha previsto la creazione di un fondo pubblico (dotato di 500.000 € per il 2025 come start-up che copre le spese procedurali, i compensi OCC e legali in questi casi. Ciò rimuove l’ostacolo economico all’accesso: anche il povero assoluto può permettersi di presentare l’istanza, perché il suo OCC verrà pagato dal fondo, non da lui. Questo è molto importante: diversamente, chi non ha nulla non potrebbe neanche pagare un avvocato o OCC e resterebbe escluso; il legislatore ha voluto evitare questo paradosso.

Vantaggi:

  • Liberazione immediata dai debiti per chi è davvero senza speranza di pagamento. In poche settimane si può chiudere la questione e dare un nuovo inizio al debitore.
  • Costi coperti dallo Stato: come detto, non bisogna anticipare compensi (se si rientra nei parametri di incapienza riconosciuti).
  • Dignità e reinclusione: anche chi è povero ha diritto a non essere perseguitato a vita dai creditori. L’ordinamento riconosce che c’è un limite oltre il quale è socialmente più utile azzerare i debiti e permettere a una persona di ricostruirsi (magari trovando un lavoro senza paura che gli portino via tutto appena guadagna).

Svantaggi/limiti:

  • Accesso ultra-selettivo: basta un piccolo bene o una potenzialità di reddito perché il debitore non sia considerato “incapiente” e quindi debba invece fare la liquidazione controllata. La legge vuole evitare finti nullatenenti furbi.
  • Una tantum (quasi): non si può ottenere questo beneficio a ripetizione. Massimo due volte nella vita e comunque non ravvicinate. Quindi non è che uno può fare il furbo di indebitarsi, farsi incapiente, esdebitarsi, e poi di nuovo. La seconda volta già sarebbe guardato con sospetto; la terza è esclusa. Insomma, è una carta che si può giocare una volta o due in situazioni estreme.
  • Obbligo di “riportare” eventuali colpi di fortuna nei 4 anni seguenti: se all’improvviso si diventa benestanti (caso raro ma non impossibile: es. si vince alla lotteria), non si può far finta di nulla. È giusto così, eticamente.

Esempio pratico di esdebitazione incapiente: Paolo, ex artigiano, ha chiuso l’attività anni fa ed è disoccupato cronico. Vive in affitto, mantenuto un po’ dalla famiglia, senza beni intestati e senza reddito stabile. Ha però sul groppone €40.000 di debiti tra vecchi fornitori, carte di credito, affitti non pagati. Non potrebbe fare un piano (niente entrate), né una liquidazione (non ha nulla da liquidare). Grazie alla nuova normativa, Paolo si rivolge a un OCC (istituito presso la Camera di Commercio, ad esempio) spiegando la situazione. L’OCC verifica che davvero Paolo non possiede nulla (fa controlli al Catasto, PRA, conti correnti – risultano zero) e che i debiti sono reali. Vede anche che Paolo in passato ha sempre pagato finché ha potuto e che non ha condotte fraudolente (i debiti derivano dal fallimento della sua attività e dall’aver cercato di sopravvivere). L’OCC redige una relazione attestando l’incapienza totale e la buona fede di Paolo, e deposita istanza in tribunale per esdebitazione incapiente. Il tribunale accoglie: emette decreto di esdebitazione ex art. 283 CCII, con cui dichiara che tutti i debiti di Paolo elencati sono cancellati e non più esigibili. I creditori non possono far altro che prenderne atto (tanto da Paolo non avrebbero comunque ottenuto nulla). Paolo viene informato che per i prossimi 4 anni dovrà comunicare se, ad esempio, trova un lavoro ben retribuito o eredita qualcosa. Paolo riesce a trovare solo lavori saltuari sottopagati, quindi nei 4 anni non versa nulla (non avendo mai entrate straordinarie). Trascorso quel periodo, anche l’obbligo cessa. Paolo è definitivamente libero dai suoi debiti passati e può guardare avanti: se un domani troverà un buon lavoro, potrà godere dei frutti senza temere pignoramenti per vecchie storie.

Tabella comparativa delle procedure: per ricapitolare, presentiamo una tabella schematica con le caratteristiche salienti di ciascuna procedura di sovraindebitamento:

ProceduraDestinatari principaliAccordo creditoriDurata tipica pagamentiEsdebitazione finale
Piano del Consumatore (art. 67 CCII)Consumatori (anche ex imprenditori con debiti personali prevalenti).No voto (omologa del giudice)3-5 anni circa di pagamenti rateali (flessibile).Sì, al termine dell’esecuzione del piano omologato, per i debiti non pagati.
Concordato Minore (art. 74 CCII)Debitori non consumatori non fallibili (imprenditori minori, professionisti, imprend. agricoli, ex imprenditori <1 anno)., con voto ≥50% crediti Variabile: può essere immediato (vendita beni) o su più anni (contribuzione redditi).Sì, dopo adempimento del concordato omologato (residui non più esigibili).
Liquidazione Controllata (artt. 268-277 CCII)Qualsiasi debitore sovraindebitato (incl. ex imprenditori >1 anno, incapienti con beni minimi).No voto (procedura giudiziale).Durata procedura di liquidazione dei beni (di solito 2-4 anni, dipende da beni).Sì, diritto all’esdebitazione dopo 3 anni dall’apertura (se debitore onesto) comunque al termine della procedura.
Esdebitazione incapiente (art. 283 CCII)Persona fisica nullatenente e senza reddito, meritevole (max 2 volte vita).No, non c’è pagamento.Nessun pagamento (beneficio immediato).Sì, immediata al decreto, con condizione di possibile revoca se sopravvenienze (4 anni).

(Legenda: ✅ = richiesto; ❌ = non richiesto.)

5. Requisiti, documenti, costi e tempi delle procedure

Dopo aver descritto singolarmente le procedure, riassumiamo in modo sistematico i requisiti principali, i documenti richiesti, nonché i costi e i tempi indicativi delle varie soluzioni di sovraindebitamento. Queste informazioni pratiche aiutano il debitore a capire cosa serve per partire e cosa aspettarsi.

5.1 Requisiti in sintesi

Per comodità, riprendiamo i requisiti chiave di accesso per ogni procedura in forma sintetica:

  • Piano del consumatore: riservato al consumatore persona fisica (debiti di natura personale, non riferiti ad attività d’impresa in corso). Il debitore deve trovarsi in stato di sovraindebitamento e deve essere in regola con gli obblighi documentali. Si richiede la meritevolezza, cioè che l’indebitamento non sia causato da frodi o colpa grave. Non deve aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. È necessario disporre di un reddito disponibile (stipendio, pensione) o di altre risorse (aiuti familiari, liquidazione di qualche bene) per poter formulare un piano di pagamenti credibile. Nozione di consumatore ampliata: anche ex imprenditori con debiti misti possono accedervi per la parte personale, ma c’è interpretazione restrittiva della Cassazione che esclude chiunque abbia anche debiti d’impresa attivi. In pratica: ottimale per chi ha solo debiti personali; se ci sono debiti promiscui, dipende dalla prevalenza e dal tribunale (vedi §4.1).
  • Concordato minore: destinato ai debitori non consumatori (imprenditori sotto soglia, professionisti, imprenditori agricoli, ecc.) che non possono essere dichiarati falliti. Richiede lo stato di sovraindebitamento e il fatto di essere soggetto “non fallibile” (per dimensioni o categoria). Attenzione all’attività cessata: se l’imprenditore è cessato e cancellato, secondo l’interpretazione attuale dell’art. 33 CCII deve essere trascorso meno di un anno dalla cessazione per poter proporre concordato. (altrimenti domanda inammissibile). Anche qui è richiesta onestà e correttezza (assenza di frodi). Va presentata una proposta che offra ai creditori un soddisfacimento migliore di quello ottenibile liquidando i beni. È previsto il voto dei creditori: almeno il 50% dei crediti deve approvare perché il concordato sia omologabile. Quindi il requisito “politico” è avere un consenso sufficiente dei creditori, altrimenti conviene pensare direttamente alla liquidazione.
  • Liquidazione controllata: accessibile a qualsiasi debitore sovraindebitato (sia consumatore sia imprenditore minore). Spesso è la via obbligata se le altre procedure falliscono o non sono praticabili. I requisiti sono principalmente oggettivi: lo stato di insolvenza conclamata e l’impossibilità di soddisfare regolarmente i creditori. Non è strettamente richiesta la “meritevolezza” in ingresso – anche un debitore poco diligente può comunque accedervi, salvo poi valutare la condotta per l’esdebitazione finale. Può accedervi anche l’ex imprenditore cessato da oltre un anno (che magari non può fare il concordato). In sostanza occorre dimostrare di non poter far altro che consegnare tutto il proprio patrimonio alla procedura. Importante: il debitore deve fornire l’elenco completo dei creditori e dei beni; la mancanza di documenti senza giustificazione può portare all’inammissibilità (art. 268 co.2 CCII). Quindi serve comunque collaborazione e trasparenza.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: riservata al debitore persona fisica nullatenente e privo di capacità di pagamento, che sia meritevole e cooperativo. Il requisito chiave è l’assenza assoluta di patrimonio liquidabile o reddito aggredibile: se il debitore possiede anche un solo bene di valore apprezzabile o un margine di reddito, non verrà ammesso, dovendo piuttosto attivare prima la liquidazione controllata. Occorre inoltre non aver già beneficiato di più di due esdebitazioni in passato, né di una esdebitazione nei 5 anni precedenti. In pratica è destinato a chi non ha nulla da offrire ai creditori ed è la sua ultima spiaggia. L’OCC e il giudice esamineranno con estrema attenzione che l’incapienza non sia auto-indotta in malafede.

Ricapitolando in breve: Piano consumatore per chi può pagare qualcosa ed è persona fisica non imprenditore (in attività); Concordato minore per chi ha un’attività o l’ha appena cessata ed ha bisogno del voto creditori; Liquidazione per tutti, specie se non si hanno margini di accordo o reddito per piani; Esdebitazione incapiente per chi non ha nulla.

5.2 Documenti necessari

Le procedure di sovraindebitamento richiedono un importante corredo di documenti, in gran parte comuni a tutte le forme (piano, concordato o liquidazione). Una corretta e completa documentazione è fondamentale: la legge prevede espressamente che la domanda venga dichiarata inammissibile se mancano i documenti richiesti senza valida giustificazione. Dunque è cruciale preparare con cura tutti i dati, tipicamente con l’aiuto dell’OCC. Vediamo l’elenco dei documenti solitamente richiesti:

  • Elenco completo dei creditori: con indicazione per ciascuno dell’importo dovuto, causale del debito (origine, ad esempio “prestito personale del 2018”, “fornitura non pagata”, “cartella Equitalia per IRPEF 2016” etc.) e eventuali garanzie o privilegi di cui il credito è fornito (es: “Banca X – €50.000 residuo mutuo – garantito da ipoteca su immobile Y”). Questo serve a mappare tutto l’indebitamento e a capire quali crediti sono privilegiati o chirografari.
  • Elenco dei beni di proprietà: il debitore deve fornire l’inventario del proprio patrimonio: immobili (- Elenco dei beni di proprietà: immobili, veicoli, conti correnti, partecipazioni societarie, beni mobili di valore, ecc. con relativa descrizione e indicazione dei valori stimati. Questo serve a fotografare il patrimonio del debitore. Nel piano del consumatore e nel concordato minore, il piano stesso indicherà quali beni eventualmente sono destinati alla liquidazione per pagare i creditori e quali invece il debitore intende conservare; nella liquidazione controllata, invece, tutti i beni (eccetto quelli legalmente impignorabili, come ad esempio vestiti, beni di stretta necessità, una parte di stipendio minimo vitale, ecc.) confluiranno nella procedura per essere venduti.
  • Atti di straordinaria amministrazione degli ultimi 5 anni: il debitore deve elencare eventuali atti rilevanti compiuti nel quinquennio precedente, come vendite o donazioni di immobili, costituzione di garanzie (ipoteche, pegni) a favore di terzi, pagamenti preferenziali a qualche creditore a discapito di altri, movimenti anomali di denaro, ecc.. Questo per permettere all’OCC e al giudice di valutare se il debitore ha compiuto atti in frode ai creditori. Ad esempio, se emergesse che due anni prima il debitore ha regalato un immobile al figlio per sottrarlo ai creditori, ciò sarà considerato atto in frode. Tali atti possono causare problemi seri: il giudice potrebbe dichiarare la domanda inammissibile se l’atto in frode è grave e recente, oppure l’atto potrà essere revocato (ossia reso inefficace) nell’ambito della procedura, recuperando il bene o il valore trasferito illecitamente. In pratica, questo elenco serve per fare trasparenza su eventuali “uscite” di patrimonio poco prima della procedura, e permettere di rimediare.
  • Dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni e documentazione delle entrate correnti: vanno allegate le ultime tre dichiarazioni fiscali (UNICO/730) o certificazioni uniche se dipendente/pensionato, nonché le ultime buste paga o cedolini della pensione, oppure documenti che attestino altre fonti di reddito (canoni di locazione percepiti, assegni di mantenimento ricevuti, ecc.). Se il debitore negli ultimi anni non ha presentato dichiarazione dei redditi (ad esempio perché disoccupato o incapiente), dovrà rilasciare un’autocertificazione dell’assenza di redditi e possibilmente allegare estratti conto bancari per mostrare che non ci sono entrate nascoste. Lo scopo è certificare la situazione economica attuale e pregressa del debitore, e la sua capacità contributiva (quanto può effettivamente pagare).
  • Situazione familiare: conviene allegare lo stato di famiglia e indicare se il debitore ha persone a carico (coniugi, figli, parenti conviventi), nonché le eventuali spese vive per il loro mantenimento (es. affitto di casa, spese mediche, scolastiche, etc.). Questo perché il Codice richiede di specificare “quanto occorre al sostentamento del debitore e della famiglia” durante la procedura. In altre parole, si deve calcolare qual è la quota di reddito che il debitore deve trattenere per vivere dignitosamente e far fronte ai bisogni essenziali suoi e dei familiari, e quale parte invece può destinare ai creditori. Ad esempio, se un debitore percepisce €1.500 al mese e occorrono €1.200 per mantenere sé e i figli, solo €300 al mese saranno disponibili per il piano di pagamento. Questa informazione è fondamentale per stabilire il contenuto del piano o l’assetto della liquidazione.
  • Relazione particolareggiata dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi): è uno dei documenti più importanti. L’OCC – che è il professionista o organismo incaricato di assistere il debitore – deve redigere una relazione dettagliata che attesti:
    • la completezza e veridicità dei dati e documenti forniti dal debitore (es.: conferma che l’elenco dei debiti è completo, che non risultano altri creditori nascosti, che i beni dichiarati corrispondono a quelli risultanti da visure, ecc.);
    • le cause dell’indebitamento e il giudizio sulla condotta del debitore (se ci sono stati eventi particolari: perdita del lavoro, calo del fatturato, malattia, e se il debitore ha agito in buona fede o ha compiuto atti in frode);
    • un giudizio sulla fattibilità del piano o della proposta e sull’adeguatezza dell’offerta ai creditori rispetto alle alternative (es.: l’OCC dirà se, a suo parere, il piano del consumatore sta in piedi e dà ai creditori più di quanto avrebbero in caso di liquidazione).
    Il ruolo della relazione dell’OCC varia leggermente a seconda della procedura: nel piano del consumatore è cruciale per valutare la meritevolezza del debitore (il giudice spesso si basa sul racconto dell’OCC per capire se il debitore ha colpe gravi o meno); nel concordato minore serve soprattutto a rassicurare i creditori sulla bontà della proposta e a dare un parere di fattibilità per il giudice; nella liquidazione controllata, l’OCC di solito diventa anche liquidatore, quindi la relazione è più che altro una verifica iniziale che il debitore non abbia nascosto nulla, predisponendo già l’inventario dei beni. Insomma, la relazione OCC è un documento di certificazione e trasparenza, una sorta di “due diligence” imparziale sulla situazione del debitore, che dà credibilità alla procedura.
  • Ulteriori documenti specifici (a seconda dei casi):
    • Se il debitore era un imprenditore, vanno forniti i bilanci o rendiconti degli ultimi esercizi (per capire l’andamento dell’impresa fino alla cessazione).
    • Visure catastali e PRA: estratti aggiornati dei registri immobiliari e del Pubblico Registro Automobilistico per provare la proprietà dei beni dichiarati (ad esempio, visura catastale per l’immobile di proprietà, visura PRA per autoveicoli, motoveicoli). In alcune procedure si allega anche una relazione notarile sui beni immobili, per attestare formalmente la proprietà, l’assenza di gravami occulti ecc.
    • Perizie di stima: se ci sono beni immobili di valore rilevante, spesso è utile allegare una perizia giurata sul loro valore di mercato (può redigerla l’OCC stesso se ha competenze estimative, oppure un perito terzo incaricato). Questo perché, per valutare la convenienza di un piano o di un concordato, serve sapere quanto varrebbero i beni in caso di liquidazione. Ad esempio, se il debitore propone di tenere la casa, deve dimostrare che il suo valore è magari basso o che i creditori ipotecari verrebbero comunque soddisfatti. Una stima indipendente aiuta.
    • Certificato dei carichi pendenti fiscali: si tratta di un documento rilasciato dall’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione, ex Equitalia) che elenca tutte le cartelle esattoriali a carico del debitore e il loro importo aggiornato. È molto importante perché spesso le persone non hanno chiara l’entità esatta dei debiti fiscali: con questo certificato si cristallizza l’elenco ufficiale dei debiti tributari e verso INPS, comuni, etc.
    • Autocertificazioni richieste dalla legge: in particolare, il debitore di solito deve autocertificare di non aver fatto altre procedure di sovraindebitamento né di aver ottenuto esdebitazioni negli ultimi 5 anni, come richiesto per legge (requisito temporale). Inoltre, può essere richiesta una dichiarazione sull’assenza di precedenti condanne per reati che impedirebbero la procedura (es. bancarotta fraudolenta, se applicabile, anche se per i non fallibili questo problema tipicamente non sorge).

Come si vede, la documentazione è corposa. La completezza documentale è essenziale: l’assenza ingiustificata di uno dei documenti richiesti può portare all’irricevibilità o inammissibilità della domanda. Pertanto, prima di depositare il ricorso, il debitore e l’OCC lavorano fianco a fianco per raccogliere tutto. Questa fase preparatoria può richiedere diverse settimane, specie per ottenere certificati da vari enti (Agenzia Entrate, estratti di ruolo, visure catastali, conteggi da banche, ecc.). È un lavoro minuzioso ma necessario: un dossier ben preparato aumenta le chance di successo, dà fiducia al giudice e sventa possibili contestazioni dei creditori.

Prassi degli OCC: generalmente l’Organismo di Composizione della Crisi fornisce al debitore una sorta di lista di controllo o modulistica da compilare per raccogliere queste informazioni (ad esempio, un modulo per l’elenco dei debiti, uno per i dati familiari, ecc.). Inoltre, l’OCC può aiutare a richiedere i certificati (molti OCC, essendo enti accreditati, hanno accesso diretto a banche dati come Catasto, Camera di Commercio, etc., o sanno come muoversi velocemente). In alcuni casi è prevista dall’OCC nazionale una modulistica standard, proprio per uniformare la raccolta documenti.

5.3 Costi delle procedure

Un aspetto pratico che preoccupa molti debitori è: quanto costa accedere a queste procedure? È comprensibile temere che, già essendo in difficoltà economica, ci si trovi di fronte a spese insostenibili. In realtà le procedure di sovraindebitamento sono disegnate per essere accessibili e hanno costi molto contenuti rispetto, ad esempio, a un fallimento o a un concordato preventivo ordinario. Possiamo suddividere i costi in varie voci:

  • Spese di giustizia: al momento del deposito del ricorso in tribunale, occorre pagare un contributo unificato. Fortunatamente, per le procedure concorsuali “minori” questo contributo è basso: tipicamente intorno a €98 (come per i procedimenti camerali, anche se l’importo esatto può variare leggermente). Inoltre vanno apposte alcune marche da bollo per diritti forfettari di cancelleria (di solito poche decine di euro in totale). Nel corso della procedura potrebbero esserci altre piccole spese vive: ad esempio, costi di notifica ai creditori (se il tribunale non provvede d’ufficio, si devono spedire le comunicazioni via PEC o raccomandata), eventuali spese di pubblicazione della procedura nel Registro delle Imprese (obbligatoria per legge per dare pubblicità, anche per i debitori non imprenditori, dal 2021; comunque si tratta di pochi euro), o copie conformi di atti. In generale queste spese di giustizia sono modeste (nell’ordine di qualche decina o centinaio di euro al massimo).
  • Compenso dell’OCC / Gestore / Liquidatore: questa è la voce principale di costo. L’Organismo di Composizione della Crisi o il gestore nominato ha diritto per legge a un compenso per l’opera prestata, che viene di norma stabilito dal giudice al termine della procedura, sulla base di parametri ministeriali. Nel piano del consumatore e nel concordato minore, il compenso dell’OCC (o dell’eventuale Commissario nominato) è a carico del debitore e viene di solito pagato nell’ambito del piano stesso. In pratica, quando si costruisce il piano, si prevede anche il pagamento delle spese della procedura: ad esempio, il piano potrebbe dire “Il debitore verserà €3.000 all’OCC per competenze, da pagarsi in rate trimestrali nel corso del piano” oppure “il primo anno di pagamenti è dedicato a saldare le spese e poi si pagano i creditori”. I creditori in genere acconsentono a questa destinazione prioritaria, perché capiscono che senza il lavoro dell’OCC la procedura nemmeno sarebbe possibile; la legge, del resto, qualifica questi compensi come prededucibili, cioè vengono prima dei crediti normali. Nella liquidazione controllata, il compenso del liquidatore è pagato attingendo alla massa attiva prima di soddisfare i creditori (anche qui è prededucibile). Quindi, se nella liquidazione vengono ricavati €10.000 dalla vendita di beni, prima si pagherà il liquidatore magari €2.000 e poi il resto andrà ai creditori secondo i gradi. I parametri di legge modulano il compenso in base all’attivo realizzato e al passivo: per patrimoni piccoli, i compensi sono relativamente contenuti (possono essere poche migliaia di euro; aumentano per masse maggiori, ma in proporzione). Da notare che nella procedura di esdebitazione dell’incapiente, la legge prevede espressamente che il compenso dell’OCC sia a carico di un Fondo pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia. Questo Fondo per l’esdebitazione degli incapienti (dotato di 500.000 euro iniziali per il 2025) coprirà le spese procedurali e i compensi dell’OCC nei casi di nullatenenti, proprio perché il debitore incapiente non può permetterselo. Ciò rimuove un grosso ostacolo: in passato molti poverissimi non accedevano alla procedura perché non potevano anticipare alcun costo; ora, con il Fondo, l’OCC viene comunque remunerato (dallo Stato) e il debitore può liberarsi dai debiti a costo zero. Anticipo dei costi OCC: spesso gli OCC, nel momento in cui accettano l’incarico, chiedono al debitore un fondo spese o un acconto. Ciò avviene specialmente per il piano del consumatore e il concordato, dove l’OCC deve svolgere un lavoro intenso prima ancora che il piano sia omologato. Ad esempio, potrebbe chiedere qualche centinaio di euro o una piccola percentuale del proprio compenso stimato, per coprire le prime attività (spese di accesso a banche dati, cancelleria, e per avere garanzia di un minimo compenso se poi la procedura non va a buon fine). Tuttavia, molti OCC legati a enti pubblici (come le Camere di Commercio) applicano tariffe calmierate o rateizzano tali anticipi; in certi casi, soprattutto se il debitore è in estrema difficoltà, alcuni OCC rinunciano all’anticipo e si fanno pagare a risultato, confidando di essere soddisfatti a procedura conclusa. È sempre bene discutere apertamente questo aspetto con l’OCC nella fase iniziale.
  • Compenso dell’avvocato (eventuale): la legge non impone al debitore di farsi assistere da un avvocato nel presentare la domanda (non è tecnicamente obbligatoria l’assistenza legale in queste procedure, trattandosi di procedure camerali). In pratica però, specialmente se ci sono opposizioni o questioni giuridiche complesse, avere un avvocato esperto al fianco è altamente consigliabile. Molti OCC collaborano con avvocati, offrendo un servizio integrato (l’OCC cura la parte finanziaria e di attestazione, l’avvocato redige gli atti legali e rappresenta il debitore in udienza). Il costo dell’avvocato va considerato: spesso viene anch’esso inserito nel piano come spesa prededucibile. Oppure, se il debitore ha i requisiti (reddito basso), può chiedere il patrocinio a spese dello Stato, cosicché l’avvocato venga pagato dall’erario e non dal cliente. Questa è una soluzione frequente per chi ha redditi sotto la soglia di legge: lo Stato copre le spese legali di difesa. Insomma, anche sul fronte legale ci sono accorgimenti per non gravare troppo sul debitore.
  • Altre spese eventuali: ad esempio, se il piano prevede la vendita di un immobile, potrà esserci il costo dell’eventuale perizia di stima o di un delegato alla vendita (ma di solito basta l’OCC come perito). Se il giudice ritiene opportuno nominare un CTU (consulente tecnico) esterno per valutare un bene o la fattibilità del piano (caso raro), il costo di tale perito andrà coperto. Tuttavia, nella gran parte dei casi non si nominano periti esterni, si fa affidamento sul lavoro dell’OCC stesso. Nella liquidazione controllata, tutte le spese di procedura (ad esempio i costi delle aste, le imposte di registro sulle vendite immobiliari, eventuali bolli) vengono prelevate dall’attivo, quindi anche qui il debitore di tasca propria non sborsa nulla.

In generale, i costi vivi di queste procedure sono modesti rispetto ai benefici ottenibili. L’onere principale è remunerare il lavoro di OCC/gestore, ma come detto, spesso quell’importo viene “finanziato” nel piano stesso. Esempio: si prevede che la prima parte dei pagamenti vadano a coprire il compenso OCC e le spese, e solo successivamente inizino le distribuzioni ai creditori. I creditori solitamente accettano questo perché sanno che, senza il lavoro dell’OCC e la procedura, non avrebbero nulla. Nella liquidazione, il debitore non deve anticipare niente: si pagherà tutto con la vendita dei beni. Un debitore davvero privo di liquidità iniziale non deve scoraggiarsi: molti professionisti sono disposti a essere pagati a risultato, e ora c’è anche un meccanismo di fondo pubblico che aiuta nei casi di nullatenenti.

Per dare un’idea concreta, in casi semplici il costo complessivo (tra spese vive e compensi dell’OCC) può aggirarsi su qualche migliaio di euro. Sembrano tanti, ma sono una cifra ben investita se si considera che grazie a essa si possono cancellare anche decine o centinaia di migliaia di euro di debiti. Ad esempio, spendere 3-4 mila euro di spese procedurali per annullare 100 mila euro di debiti è un affare dal punto di vista del debitore. Inoltre, quei 3-4 mila spesso non escono neppure tutti dalle sue tasche ma vengono appunto ricavati all’interno della procedura. In ultimo, ricordiamo il patrocinio gratuito per chi è sotto una certa soglia di reddito: questo può coprire integralmente i costi legali (avvocato) e in alcuni tribunali anche le spese OCC possono essere anticipate dallo Stato quando il debitore è in povertà (salvo recuperarle dal fondo ministeriale).

5.4 Tempi delle procedure

Un altro aspetto chiave è capire quanto tempo ci vuole per ottenere risultati, e qual è la durata dell’intero processo di risanamento. I tempi variano a seconda della procedura scelta e della complessità del caso, ma possiamo dare alcune indicazioni generali:

  • Piano del consumatore (ristrutturazione del consumatore): i tempi per arrivare all’omologazione sono relativamente brevi: da poche settimane a qualche mese. Molto dipende dal carico di lavoro del tribunale competente e dall’eventuale necessità di approfondimenti (ad esempio, se un creditore si oppone e solleva eccezioni, si potrebbe richiedere più di un’udienza). In situazioni semplici, con documentazione completa e nessuna opposizione, alcuni tribunali hanno omologato piani in 2-3 mesi dal deposito. Dopo l’omologa, il piano entra nella fase di esecuzione: il debitore deve attuare quanto promesso. Spesso i piani prevedono un orizzonte di circa 4 anni di pagamenti rateali (48 mesi è una durata molto comune, coerente anche con normative europee che incoraggiano soluzioni entro 3-5 anni). Nulla vieta piani più brevi o più lunghi, purché ragionevoli: se il debitore ha un reddito ridotto ma stabile, si potrebbero fare anche 5 o 6 anni; se ha la possibilità di un prestito per chiudere prima, il piano può durare anche 1 anno solo. Diciamo che dal ricorso iniziale alla completa esdebitazione (fine dei pagamenti) possono volerci in media 4-5 anni, dei quali però la gran parte serve al debitore per adempiere il piano, mentre la fase giudiziale è breve. Un vantaggio cruciale: già prima dell’omologa si possono ottenere misure protettive. Spesso, nel decreto con cui fissa l’udienza, il giudice sospende i pignoramenti in corso e vieta nuove azioni esecutive. Quindi, ad esempio, se avevi lo stipendio pignorato, quel pignoramento viene congelato in attesa della decisione sul piano. Ciò significa che il beneficio in termini di respiro finanziario è immediato, non serve aspettare anni. In sintesi: con il piano del consumatore, in pochi mesi ottieni un decreto che blocca i creditori e omologa la soluzione; poi magari paghi per 4 anni, ma sei protetto e sai che alla fine i debiti residui saranno cancellati.
  • Concordato minore: i tempi per l’omologa qui includono la fase di raccolta del voto dei creditori. Di solito il tribunale, ricevuto il ricorso, nomina un Commissario giudiziale (spesso coincide con l’OCC) e convoca i creditori per votare sulla proposta (oppure stabilisce una procedura di voto scritto/telematico). Dal deposito all’udienza di omologa, mediamente passano 2-4 mesi, simile al piano, se non ci sono intoppi. Certo, se i creditori chiedono rinvii o il giudice richiede modifiche al piano, il tutto può allungarsi. Una volta omologato, la durata del concordato dipende dal tipo di proposta:
    • Se è un concordato liquidatorio (prevede vendita di beni), allora la durata coincide con il tempo di vendere tali beni e distribuire le somme. Potrebbe essere relativamente breve se ci sono già acquirenti o liquidità disponibile (qualche mese), oppure più lunga se bisogna mettere all’asta un immobile (alcuni mesi o un anno).
    • Se è un concordato in continuità minore (raro nei sovraindebitamenti, ma possibile per imprenditori che continuano l’attività), allora avrà una durata pluriennale in cui il debitore svolge l’attività e paga i creditori secondo i piani di fatturato.
    • Molti concordati minori di ex imprenditori sono di fatto liquidatori ma con un quid in più (es.: vendita dei beni + contributi futuri di reddito). In tal caso, la procedura si chiude quando tutte le obbligazioni verso i creditori sono eseguite secondo l’omologa.
      In termini pratici, dalla presentazione alla fine di un concordato minore si può andare da 6 mesi (per un concordato che liquida tutto subito) a 3-4 anni (per concordati dilazionati in parte). Anche qui vale la regola che, se il debitore adempie regolarmente, può chiedere l’esdebitazione residua subito dopo l’esecuzione del piano concordatario. Se per ipotesi qualcosa va storto e il concordato non si adempie, i creditori potrebbero chiedere la risoluzione e si passerebbe a liquidazione (ma speriamo di no!).
      Durante il concordato, come per il piano, i creditori sono bloccati nelle azioni individuali fin dalla domanda (misure protettive analoghe si applicano su richiesta). Quindi, mentre si aspetta il voto e l’omologa, il debitore è protetto.
  • Liquidazione controllata: i tempi qui possono essere più lunghi, trattandosi di una sorta di “mini-fallimento”. Però la novità fondamentale è che il debitore persona fisica dopo 3 anni dall’apertura può comunque ottenere l’esdebitazione, anche se la liquidazione non è terminata. Dunque, in un certo senso, per il debitore la parte “penosa” ha un limite temporale definito: 36 mesi. Vediamo le fasi: dal deposito dell’istanza di liquidazione all’apertura formale da parte del tribunale normalmente passa poco tempo (qualche settimana, giusto il tempo di nominare il liquidatore/Gestore e verificare la documentazione). Una volta aperta, il liquidatore convoca i creditori per l’esame dello stato passivo (entro, diciamo, 90 giorni), cioè verifica tutte le domande di credito, e il giudice delegato emette il decreto che stabilisce quali crediti sono ammessi e con quali privilegi. Poi si procede alla realizzazione dell’attivo: vendita dei beni all’asta o tramite trattativa (può durare diversi mesi, a seconda del numero di beni e della facilità di vendita). Se il debitore ha un immobile difficile da vendere, la liquidazione può rimanere aperta anche per 2-3 anni o più finché non si riesce a venderlo. Tuttavia, il debitore non deve più preoccuparsi: trascorsi 3 anni dall’inizio, può già presentare istanza di esdebitazione e il tribunale gliela concederà (se ha cooperato). Non occorre cioè attendere la chiusura formale della procedura. Questo significa che se anche dopo 3 anni l’immobile non è ancora venduto o la liquidazione è tecnicamente pendente, il debitore può comunque essere liberato dai debiti personali; la liquidazione proseguirà magari per far fruttare quell’immobile e pagare i creditori in ritardo, ma l’ex debitore sarà ormai “pulito” e potrà guardare avanti. In pratica, la durata massima dell’“incubo” per il debitore persona fisica in liquidazione è tre anni (salvo comportamenti scorretti). Spesso la liquidazione effettiva dei beni si completa anche prima, ma dipende dai beni. Ci sono casi di liquidazione molto rapide: se uno non ha immobili e pochi beni mobili, in 6-12 mesi il liquidatore chiude tutto. Altri casi con immobili problematici hanno richiesto più di 3 anni, ma come detto ciò non blocca la liberazione del debitore oltre quel termine. Durante la liquidazione, il debitore è comunque protetto dalle azioni esecutive individuali: i creditori possono solo partecipare al concorso, non agire al di fuori. Dunque cessa la “pressione” dei singoli (niente più telefonate di recupero crediti, pignoramenti, atti di precetto – è tutto accorpato nella procedura).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: questa è la più rapida di tutte, perché non prevede né omologa di un piano né vendita di beni. Si tratta in buona sostanza di un procedimento camerale dove il giudice, letta l’istanza e la relazione OCC, può decidere anche nel giro di un’udienza o con decreto fuori udienza. I tempi possono essere di poche settimane o pochi mesi. Ad esempio, in alcuni tribunali sono stati concessi provvedimenti di esdebitazione “a zero” in 2 mesi dal deposito della domanda (specie se la documentazione era chiara e nessun creditore si è opposto). Dal momento in cui il giudice emette il decreto di esdebitazione, gli effetti sono immediati: i debiti sono cancellati. Non c’è un “dopo” procedurale, salvo l’obbligo per il debitore di notificare eventuali acquisizioni patrimoniali per 4 anni. Trascorsi i 4 anni senza novità, il procedimento si considera chiuso definitivamente. Quindi, per un debitore incapiente, la via d’uscita dai debiti può arrivare in pochi mesi dall’attivazione.

Riassumendo i tempi indicativi:

  • Piano consumatore: 2-4 mesi per l’omologa; 3-5 anni per completare i pagamenti e ottenere l’esdebitazione definitiva. Protezione dai creditori quasi subito (appena depositata la domanda e ottenuto il provvedimento di sospensione).
  • Concordato minore: 3-6 mesi per l’omologa (in media); esecuzione variabile (può essere immediata se liquidazione di beni, o dilazionata se prevede pagamenti futuri). Anche qui, protezione dai creditori durante la procedura.
  • Liquidazione controllata: immediata apertura (qualche settimana); 1-3 anni per la realizzazione dell’attivo; diritto all’esdebitazione dopo 3 anni dall’apertura. Se i beni si liquidano prima, la procedura può chiudersi prima; se durano di più, il debitore comunque esce dopo 3 anni e la liquidazione prosegue tecnicamente.
  • Esdebitazione incapiente: 1-3 mesi per ottenere il decreto di esdebitazione; monitoraggio di 4 anni per sopravvenienze, ma di fatto il debitore è libero dai debiti immediatamente.

Per il debitore, sapere che c’è un orizzonte temporale certo aiuta molto psicologicamente: non è più un limbo infinito di debiti senza via d’uscita, ma un percorso con un termine preciso (sia esso il completamento di un piano o la scadenza di termini di legge). Inoltre, durante il percorso, il debitore torna a respirare perché cessano pignoramenti e assilli: questo consente anche di concentrarsi sul recupero della propria vita economica (cercare lavoro, produrre reddito, senza che tutto venga aggredito dai creditori). Non a caso, la finalità ultima di queste norme è la “seconda opportunità”: in un tempo ragionevole, il debitore sfortunato ma onesto può tornare ad essere un cittadino economicamente attivo e non emarginato dai debiti.

6. Orientamenti giurisprudenziali favorevoli agli ex imprenditori cessati

La materia del sovraindebitamento è relativamente giovane (la legge 3/2012 ha poco più di dieci anni, il CCII è del 2019 ma effettivamente operativo dal 2022) e in continua evoluzione. La giurisprudenza – soprattutto di merito, ma anche di legittimità – ha avuto un ruolo decisivo nel chiarire alcuni punti controversi, spesso in senso favorevole ai debitori ex imprenditori che hanno cessato l’attività. In questa sezione esaminiamo alcune pronunce chiave e orientamenti interpretativi, perché aiutano a capire come vengono applicate concretamente le norme nei tribunali.

  • Accesso dell’ex imprenditore alle procedure di sovraindebitamento (debiti “promiscui”): Un tema dibattuto per anni è stato se un ex imprenditore con debiti misti (in parte personali, in parte derivanti dalla vecchia attività) potesse essere considerato consumatore e quindi accedere al piano del consumatore. Sotto la vigenza della legge 3/2012, prevaleva un orientamento restrittivo: la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1869/2016, affermò che un soggetto i cui debiti originano anche parzialmente da un’attività d’impresa non può qualificarsi consumatore, nemmeno se l’attività è cessata. In pratica, questa sentenza precluse a molti ex imprenditori la strada del piano del consumatore, costringendoli a usare l’accordo di ristrutturazione (oggi concordato minore) o la liquidazione. Il nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019) ha però modificato leggermente la definizione di “consumatore”, eliminando la parola “esclusivamente” dagli scopi estranei all’attività imprenditoriale. Ciò ha aperto la porta a un’interpretazione più ampia e flessibile. Oggi si tende a guardare allo scopo concreto dei singoli debiti: se un ex imprenditore ha dieci debiti, di cui otto da vicende personali e due da attività d’impresa cessata, potrebbe essere considerato consumatore per gli otto debiti personali. In altre parole, la qualifica di consumatore viene valutata “di volta in volta dallo scopo del debito contratto”. Questo approccio sostanziale ha portato alcuni tribunali ad ammettere al piano del consumatore debitori che in passato erano imprenditori, purché: (a) i debiti d’impresa non fossero predominanti in valore, e/o (b) la crisi finanziaria attuale fosse riconducibile principalmente alla sfera personale e familiare. – Caso emblematico: Tribunale di Napoli Nord, sentenza 12/11/2022 – ha fatto scuola affermando che un imprenditore cessato può essere trattato come consumatore se: (a) tutti i suoi debiti residui sono di natura personale, oppure (b) ha debiti misti ma le difficoltà finanziarie derivano principalmente da obbligazioni personali/familiari, oppure (c) l’attività è cessata e i debiti residui, ancorché originati dall’impresa, non sono più connessi a un’attività in corso (quindi l’impresa non esiste più e quei debiti sono rimasti come debiti “civili”). In quel caso concreto, il giudice campano omologò un piano del consumatore per un soggetto che aveva anche debiti IVA e tributari d’impresa, ritenendo che la finalità di quegli indebitamenti fosse comunque collegata al sostentamento familiare (ad esempio, il debitore aveva scelto di non versare alcune imposte pur di pagare spese familiari). Questa pronuncia è stata accolta con favore perché evita l’automatismo di escludere dal piano del consumatore chiunque abbia anche solo un euro di debito d’impresa, guardando invece alla sostanza: se la persona, pur avendo fatto l’imprenditore, oggi è in tutto e per tutto assimilabile a un comune consumatore sovraindebitato, allora merita la procedura più tutelante (il piano). Diversi altri tribunali hanno seguito questo filone. Ad esempio, il Tribunale di Pordenone, decreto 11/1/2021, in una fase di transizione normativa, ammise un ex imprenditore al piano del consumatore motivando che la finalità dei suoi debiti (anche se in parte fiscali legati all’impresa) era di natura personale, e che la ratio della norma sul sovraindebitamento è di aiutare chiunque non possa fallire, evitando formalismi eccessivi. Queste decisioni adottano una nozione sostanziale di consumatore e privilegiano l’accesso alla procedura più favorevole (il piano) quando non vi sia un concreto pregiudizio per i creditori. Di contro, la Cassazione si è mostrata più rigida sul punto: di recente, con un’ordinanza del 23 luglio 2023 (ricorso ex art. 363-bis c.p.c., probabilmente la n. 22699/2023), la Suprema Corte ha ribadito che la definizione di consumatore nel CCII, pur modificata, è “minimamente cambiata” rispetto a quella della legge 3/2012, e dunque rimane valida la sua precedente interpretazione. In sostanza, ha confermato il principio che un imprenditore o professionista può essere consumatore solo se i debiti oggetto del piano sono estranei a obbligazioni dell’attività. Tradotto: se anche un solo debito deriva dalla tua attività imprenditoriale/professionale, non puoi usare il piano del consumatore per quello. Si deve verificare la natura delle obbligazioni al momento in cui furono assunte: se agivi da imprenditore, quel debito non può finire in un “piano consumatore”. Questa posizione è stringente e va in direzione opposta alle decisioni innovative di merito citate; tuttavia, i giudici di merito sembrano aver trovato margini interpretativi per mitigare la rigidità, come visto. Insomma, c’è un contrasto tra l’indirizzo “permissivo” di alcuni tribunali (Napoli Nord, Pordenone, Vicenza, Ancona, Modena – vedi oltre) e quello “restrittivo” della Cassazione. Chi presenta un piano da ex imprenditore con debiti misti deve esserne consapevole: potrebbe incappare in un giudice di merito favorevole e farcela, oppure in uno che segue pedissequamente la Cassazione e dichiarare inammissibile il piano qualificandolo impropriamente.
  • Preclusione del concordato minore dopo la cessazione dell’impresa: Abbiamo già accennato alla norma dell’art. 33, comma 4 CCII, che prevede l’inammissibilità delle domande di concordato minore (nonché concordato preventivo o accordi di ristrutturazione) presentate dall’imprenditore cancellato dal registro delle imprese. Questa disposizione, di fatto, esclude l’ex imprenditore cessato dall’accesso al concordato minore. La ratio, come spiegato anche in pronunce giurisprudenziali, è che l’istituto del concordato mira a risanare un’attività imprenditoriale in continuità, ma se l’attività è cessata il “bene” impresa non c’è più da salvare. La giurisprudenza ha generalmente confermato questa preclusione. Ad esempio, la Cassazione (Prima Pres.) 2023, n. 22699 ha dichiarato inammissibile un rinvio pregiudiziale sulla questione proprio richiamandosi all’assenza di novità normative: la Corte aveva già affrontato il tema con la sentenza n. 4329/2020 (in ambito fallimentare) e ritiene che il CCII non abbia innovato, per cui vale la regola: l’imprenditore individuale cessato e cancellato non può accedere al concordato minore. Lo stesso vale per concordato preventivo e accordi ex art. 57 CCII (riservati alle imprese “maggiori”). In pratica, se hai chiuso la partita IVA, niente piani di concordato. Alcuni tribunali di merito, tuttavia, hanno interpretato in modo più elastico la situazione, soprattutto prima che la Cassazione intervenisse o in parallelo. Nel 2025, hanno fatto notizia tre pronunce coordinate: Tribunale di Vicenza (13 marzo 2025), Tribunale di Ancona (3 aprile 2025) e Tribunale di Modena (7 aprile 2025), che hanno ammesso l’accesso al concordato minore da parte di imprenditori individuali cancellati. Secondo il Sole 24 Ore, queste decisioni di merito in realtà non contraddicono frontalmente la Cassazione, ma sottolineano che la finalità del concordato minore può essere anche liquidatoria (cioè un modo ordinato di liquidare i beni dell’ex imprenditore in alternativa alla liquidazione controllata) e che se ciò avviene entro l’anno dalla cessazione o anche oltre, l’importante è non ledere i creditori. È un approccio pragmatico: anche se l’impresa è cessata, si potrebbe usare il concordato minore in chiave liquidativa per “avvolgere” in un accordo con i creditori la liquidazione del patrimonio. Tuttavia, va detto che questo rimane un orientamento minoritario e rischioso: la lettera della legge è chiara e la Cassazione la prende alla lettera. Dunque, nella prassi attuale, un ex imprenditore cessato da oltre 12 mesi quasi sicuramente dovrà rinunciare al concordato minore e puntare alla liquidazione controllata. Se è cessato da meno di 12 mesi, può tentare il concordato minore, ma deve fare in fretta (la domanda va presentata entro l’anno dalla cessazione, per stare tranquilli). Un dettaglio: l’art. 33, co. 1 CCII dice che la liquidazione giudiziale (fallimento) può essere aperta entro un anno dalla cessazione se l’insolvenza si è manifestata prima o entro l’anno; ciò ha portato qualcuno a sostenere che anche per la non fallibilità c’è quel limite. Ma in realtà l’art. 33, co.4 taglia corto e dice no concordato dopo la cancellazione, senza se e senza ma, per l’imprenditore individuale. Come compensazione, la Cassazione stessa ha evidenziato: l’impossibilità di ricorrere al concordato non preclude affatto l’esdebitazione, anzi con il nuovo Codice diviene un vero diritto con il decorso di un triennio dalla liquidazione controllata. In altre parole, la Suprema Corte ha detto: “Se hai chiuso l’impresa da troppo tempo, niente concordato. Però puoi sempre liquidare e poi ripulirti dei debiti dopo”. Questo orientamento è rigoroso (nega la flessibilità del concordato) ma al contempo assicura comunque una soluzione al debitore via liquidazione. Dunque, dal punto di vista pratico: ex imprenditore cancellato da più di un anno? Non perdere tempo a tentare concordati improbabili, punta deciso alla liquidazione controllata, sapendo che in 3 anni torni libero. Invece, ex imprenditore cancellato da poco, con magari beni da offrire in un accordo? Puoi provare un concordato minore lampo, ma sappi che c’è un dibattito in corso e potresti trovarti in Cassazione se qualche creditore farà opposizione.
  • Orientamento “pro-debitore” dei tribunali di merito recenti: Abbiamo visto alcuni esempi di tribunali “creativi” (Napoli Nord, Pordenone, Vicenza, ecc.) che cercano soluzioni pro-debitore. Questo filone estensivo considera la finalità sociale della norma sul sovraindebitamento: aiutare chi non ha accesso alle procedure maggiori e dargli una via d’uscita, anche a costo di forzare un po’ il tenore letterale di qualche disposizione. Si potrebbe riassumere così: “dove la legge non lo vieta espressamente, interpretare in senso favorevole al debitore meritevole”. Oltre ai casi già detti, segnaliamo che alcuni tribunali hanno anche affrontato il tema della procedura familiare (introdotta dal CCII: art. 66 consente ai membri della stessa famiglia sovraindebitati di presentare un’unica procedura di composizione). Questo può coinvolgere ex imprenditori e coniugi, ad esempio. La giurisprudenza ha iniziato a applicare tali norme coordinando i piani familiari e considerando il nucleo nel suo insieme. Non entriamo nel dettaglio perché esula un po’ dallo scopo principale qui, ma è bene sapere che esiste la possibilità di un piano familiare congiunto se, ad esempio, marito e moglie sono entrambi indebitati (magari lui ex imprenditore e lei garante).
  • Merito creditizio dei finanziatori – tutela del debitore “sovraindebitato da credito facile”: Un altro aspetto dove la giurisprudenza recente si mostra sensibile verso i debitori è la valutazione della condotta delle banche e finanziarie nell’aver concesso prestiti. Spesso infatti il sovraindebitamento delle famiglie è aggravato da offerte di credito troppo generose da parte degli intermediari (pensiamo a chi si vede rifilare credito su credito senza reali garanzie). La Cassazione, ordinanza n. 28225/2022, ha affermato che nel valutare la meritevolezza del consumatore il giudice deve considerare se la banca ha violato il dovere di valutazione del merito creditizio ex art. 124-bis Testo Unico Bancario, concedendo prestiti in modo imprudente. In tal caso, il debitore non va penalizzato per aver ottenuto quei prestiti, poiché l’ente erogatore sapeva (o doveva sapere) che erano insostenibili. Questo orientamento, ora recepito in parte anche dall’art. 69 CCII, è decisamente pro-debitore: spinge i giudici ad omologare comunque i piani del consumatore anche se il debitore ha accumulato molti debiti, purché emerga che c’è stata una corresponsabilità delle finanziarie nel creargli quella spirale di credito facile. Ad esempio, se Tizio ha 10 prestiti con 10 finanziarie diverse, tutte fatte a breve distanza, e risulta che le finanziarie non hanno fatto controlli seri sul suo indebitamento pregresso, il giudice potrebbe dire: “Tizio è sovraindebitato, ma le finanziarie hanno colpa, quindi Tizio è comunque meritevole di esdebitazione, mentre semmai si bacchettano le banche per la loro condotta”. Questa prospettiva di “responsabilità del creditore” è importante, perché smorza l’argomento che alcuni creditori usavano per opporsi: “Il debitore ha fatto troppi debiti, è colpa sua, non è meritevole!”. La risposta giurisprudenziale è: “Vediamo però chi glieli ha dati questi debiti: se tu banca hai chiuso un occhio, non puoi poi lamentarti”. In sintesi, il focus sulla concessione negligente del credito è diventato un punto a favore dei debitori nelle omologhe. Emblematica anche Cass. n. 6869/2025 (Sez. I, 14 marzo 2025) in cui la Cassazione ha rigettato il ricorso di un debitore che voleva far omologare il proprio piano, ma solo perché in quel caso specifico è emerso che il debitore aveva fornito informazioni decettive alla banca (non aveva dichiarato altri debiti nel questionario) e la banca non poteva saperlo: dunque lì il debitore ha perso, ma implicitamente la Corte ha detto che se invece la banca avesse semplicemente omesso controlli, sarebbe stato diverso. Insomma, quando il debitore non mente e il finanziatore non verifica, la bilancia pende verso il debitore meritevole. Questo principio vale soprattutto nei piani del consumatore, ma può avere riflessi anche nel concordato minore (ad esempio nel giudizio di convenienza o di omologazione in caso di opposizioni).
  • Salvataggio della prima casa: molto sentito nei tribunali è il tema di consentire ai debitori di conservare l’abitazione principale quando possibile. Non c’è (nel diritto italiano) una norma che la renda impignorabile in queste procedure (a differenza di altri ordinamenti, es. la Francia prevede che nella liquidazione dell’incapiente la prima casa non venga toccata). Tuttavia, molti giudici cercano di favorire soluzioni che evitino la perdita della casa di abitazione, specie se su di essa grava un mutuo. Ad esempio, se un debitore ha una casa su cui c’è un’ipoteca della banca e magari un valore di mercato inferiore al debito residuo, mettere la casa all’asta significherebbe far perdere il bene al debitore e far ricavare poco ai creditori. Allora meglio cercare di includere nel piano un accordo con la banca per pagare, sia pure dilazionato o parziale, il mutuo e non vendere l’immobile. – Esempio in giurisprudenza: Tribunale di La Spezia, 2021, ha omologato un piano del consumatore in cui il debitore manteneva la casa e la banca ipotecaria accettava un rimborso dilazionato (e in parte ridotto) anziché procedere con l’esecuzione. Il tribunale ritenne ciò vantaggioso per tutti: il debitore non perde la casa; la banca probabilmente recupera di più con il piano (o non meno) rispetto a un pignoramento che avrebbe decurtato il valore con le spese e i ribassi d’asta. In altre pronunce si legge che l’espropriazione immobiliare è considerata l’extrema ratio, e che se il debitore presenta un piano che offre alla banca ipotecaria un pagamento adeguato, quel piano è preferibile al fallimento o alla liquidazione. Anche nei concordati minori, se c’è la possibilità di evitare la vendita forzata dell’immobile, i giudici spesso la percorrono (compatibilmente col rispetto delle cause di prelazione). Naturalmente, se la casa è di valore e libera da mutui, il debitore non può pretender di tenerla senza soddisfare i chirografari; ma se c’è un mutuo o se è l’unico tetto, si cerca di valutare soluzioni umane. C’è da dire che la pressione sociale perché si tuteli la prima casa è forte: la legge non l’ha fatta inviolabile forse per non penalizzare troppo i creditori garantiti, ma con creatività (tipo prevedere che il debitore continui a pagare il mutuo regolarmente e offrire qualcos’altro ai chirografari) spesso la casa si salva. Un consiglio che deriva dalla prassi: se tenete alla casa, ditelo chiaramente all’OCC e al giudice, spiegando magari che la perdita dell’immobile sarebbe drammatica per la famiglia, e articolando il piano in modo che i creditori siano trattati bene anche senza venderla. Se il piano regge, è probabile che vi verrà dato modo di conservarla.
  • Lo “stigma” del sovraindebitamento e la riabilitazione: Più che un orientamento giurisprudenziale, è una nota di principio. Con le nuove norme, il legislatore ha voluto sancire che il fallimento economico non è una colpa morale. L’esdebitazione comporta la riabilitazione piena del debitore: ad esempio, oggi è vietato per un datore di lavoro discriminare un candidato sapendo che ha fatto una procedura di sovraindebitamento; le centrali rischi (CRIF, Centrale Rischi Bankitalia) devono aggiornare lo status dei debiti come “annullati per esdebitazione” e ciò migliora il rating finanziario del soggetto. In generale, dopo l’esdebitazione, il soggetto non deve più essere considerato un “cattivo pagatore”: la legge attuale cerca di rimuovere lo stigma e permettere un vero fresh start. Questo è allineato ai principi della Direttiva UE 2019/1023. La giurisprudenza applica ciò liberamente: ad esempio, tribunali hanno ordinato la cancellazione di protesti e segnalazioni, Cassazione penale ha considerato non punibile chi omette di pagare dopo l’esdebitazione, ecc. Sono dettagli tecnici, ma in sostanza: chi esce dal sovraindebitamento con esdebitazione è come un “riabilitato” anche agli occhi della legge civile.

In conclusione, gli orientamenti giurisprudenziali recenti in tema di sovraindebitamento degli ex imprenditori delineano un quadro in cui: da un lato c’è una linea dura (Cassazione) che traccia confini netti su chi è consumatore e sui limiti temporali per il concordato; dall’altro c’è una linea “morbida” (molti Tribunali) che prova a ritagliare soluzioni pratiche pro-debitore dentro quei confini, quando possibile. In ogni caso, l’esdebitazione emerge come punto fermo: magari ti negheranno il piano del consumatore o il concordato minore in nome della legge, ma nessuno ti negherà la liquidazione e poi l’esdebitazione, perché ormai è riconosciuta come un diritto del debitore sovraindebitato onesto.

7. Esempi pratici e consigli finali

Per concludere la guida, proponiamo alcuni scenari esemplificativi che riassumono quanto detto e aiutano a capire quale procedura può fare al caso tuo, ex titolare di ditta individuale cessata, e come procedere operativamente.

Caso 1: Ex artigiano con debiti in gran parte personali, attività cessata da 2 anni

  • Profilo: Mario, ex idraulico con ditta individuale, ha chiuso l’attività 24 mesi fa. Ha debiti totali per €80.000, di cui: €15.000 di fornitori (ditta), €5.000 di IVA non versata, €10.000 di INPS artigiani, €50.000 tra mutuo residuo casa e prestiti personali. Ora lavora come operaio dipendente (€1.300/mese) e possiede solo la casa (su cui grava il mutuo ipotecario).
  • Problema: Mario è tormentato da cartelle per quei €15k di contributi/IVA, la banca del mutuo minaccia azioni perché è indietro di alcune rate, i fornitori gli hanno notificato decreti ingiuntivi.
  • Soluzione: Dato che l’attività è cessata da oltre 1 anno, Mario non può fare concordato minore. Valutiamo il Piano del consumatore: Mario potrebbe qualificarsi consumatore? I suoi debiti sono “promiscui”: circa €25k d’impresa (fornitori+IVA+INPS) e €55k personali. La maggioranza è personale e la crisi è dovuta anche a spese familiari (ha 2 figli a carico). C’è ottima chance che un tribunale segua l’orientamento sostanziale e lo ammetta come consumatore per quei debiti. L’OCC potrebbe proporre di pagare, nei 4 anni di piano, tutte le rate mutuo correnti + un piccolo arretrato per sanare la morosità (così salva la casa) e offrire ai creditori chirografari (fornitori, Equitalia su parte senza privilegio) una percentuale. Ad esempio, con €300 al mese di risparmio su stipendio e un aiuto di €5.000 dai genitori, Mario mette insieme circa €20.000 da destinare ai creditori chirografari, pagando invece integralmente le quote di mutuo e magari garantendo IVA/INPS in percentuale maggiore (per rispettare i privilegi). Il piano dura 4 anni, Mario mantiene la casa pagando regolarmente il mutuo, e ottiene l’esdebitazione sul resto (ad esempio i fornitori potranno incassare solo il 40% e il saldo sparirà). I creditori non possono opporsi più di tanto se il piano è equo (e la banca del mutuo è soddisfatta perché continua a incassare). Esito: Mario blocca ogni pignoramento, sistema le pendenze e si tiene la casa. In 4 anni sarà a posto.
  • Nota: Se per ipotesi il tribunale competente fosse rigidissimo e negasse il piano qualificandolo non da consumatore, Mario ripiegherebbe sulla liquidazione controllata: metterebbe la casa nella liquidazione (sapendo che la banca ha ipoteca e la prenderebbe comunque), e dopo 3 anni sarebbe esdebitato. In quel caso però perderebbe la casa (verrebbe venduta dal liquidatore, la banca soddisfatta e l’eventuale eccedenza – se c’è – va agli altri). È il piano B meno desiderabile. Vista la posta in gioco (la casa), Mario con il suo avvocato sceglie un tribunale che sappiamo avere precedenti favorevoli (ad es., Napoli Nord se fosse competente, oppure altri notoriamente più flessibili) e tenta convintamente il piano consumatore.

Caso 2: Ex commerciante con debiti d’impresa elevati, attività cessata da 6 mesi

  • Profilo: Lucia era titolare di un negozio di abbigliamento, ha chiuso 6 mesi fa travolta dai debiti. Ha €200.000 di debiti: €50k fornitori, €30k affitti arretrati del negozio, €20k dipendente ex (TFR e stipendi non pagati, con privilegio), €40k banca (fido e prestito), €60k tra IVA e tasse varie. Non ha immobili; possiede solo un’automobile. È disoccupata per ora.
  • Problema: I crediti sono in gran parte commerciali e fiscali, quindi Lucia non è consumatore. Però l’attività è cessata di recente, sotto 1 anno. Forse potrebbe fare un concordato minore.
  • Soluzione: Concordato minore liquidatorio: Lucia può proporre ai creditori di liquidare tutto quel poco che ha – l’auto (vale €5k) e magari qualche arredo o attrezzatura rimasta (€5k) – più un eventuale contributo di un parente. Suo fratello infatti è disposto a darle €20.000 pur di aiutarla a chiudere la questione. Totale risorse proponibili: circa €30.000. Con questi, Lucia potrebbe offrire: pagamento 100% dei dipendenti (€20k, obbligatorio soddisfarli integralmente perché privilegiati di alto rango), pagamento di una parte dell’IVA/tasse (diciamo €5k su €60k, con transazione da definire, ma come liquidazione i chirografari fiscali prenderebbero quasi zero quindi i 5k possono bastare come migliorativo), e il rimanente €5k ai fornitori/banca (che sono €80k in chirografo, quindi prenderebbero poco più del 6%). Non è granché, ma bisogna considerare: se Lucia fallisse (liquidazione), i creditori prenderebbero praticamente zero (perché l’attivo è 10k dell’auto e arredi, nemmeno coprirebbe i privilegi dei dipendenti e procedurali). Invece con il contributo del fratello, c’è almeno soddisfazione piena dei lavoratori e qualcosina per gli altri. I creditori avrebbero convenienza ad accettare perché è meglio di niente e si chiude subito. Si avvia dunque un concordato minore: i creditori vengono chiamati a votare. La banca e i fornitori, pur prendendo il 6%, realizzano che alternativa non c’è e votano sì (o almeno non si oppongono in massa). L’Erario magari formalmente vota no perché non piglia quasi nulla, ma col 60% di altri favorevoli il concordato passa lo stesso (basta il 50%). Il giudice omologa. Lucia cede i €30k (auto venduta + soldi fratello) al commissario, che paga immediatamente i dipendenti e poi pro quota gli altri. Fine: Lucia esdebitata dal resto. Durata totale: 6-8 mesi.
  • Alternativa: Lucia avrebbe potuto anche chiedere subito la liquidazione controllata, vista la mancanza di beni. Però in liquidazione, i €20k offerti dal fratello forse non sarebbero arrivati (perché un parente è più invogliato ad aiutare se vede che con quei soldi la sorella chiude i debiti, mentre se li mette in liquidazione vanno comunque quasi tutti al liquidatore e ai privilegiati). Inoltre il concordato le ha consentito di evitare i 3 anni di attesa, risolvendo tutto in meno di uno. Dato che era nei 12 mesi, ha fatto bene a giocare la carta concordato. Se fosse stata oltre 12 mesi, non avrebbe potuto farlo e avrebbe attivato la liquidazione con l’idea dell’esdebitazione a fine triennio (il fratello magari a quel punto avrebbe potuto acquistare l’auto in liquidazione per darle valore, o intervenire in altro modo).

Caso 3: Ex imprenditore edile con molti debiti e un immobile, attività cessata da oltre un anno

  • Profilo: Giovanni, ex titolare di impresa edile individuale, cessata da 2 anni. Debiti: €300.000 (mutuo ipotecario su capannone €150k residuo; €50k fornitori; €100k tra Equitalia e banche vari). Ha un capannone del valore stimato €180k (su cui c’è ipoteca per mutuo), e una casa di proprietà cointestata con la moglie (prima casa, su cui c’è ipoteca della banca stessa del mutuo come ulteriore garanzia). Il capannone è sfitto e non ci sono prospettive immediate di vendita privata. Giovanni ora fa il muratore alle dipendenze altrui (€1.200/mese).
  • Problema: Non può fare piano del consumatore (debiti d’impresa prevalenti); non può fare concordato minore (cancellato da 2 anni, oltre il limite e in ogni caso i creditori non collaborerebbero volentieri data la situazione). Resta la liquidazione controllata come via obbligata.
  • Soluzione: Giovanni presenta istanza di liquidazione. Il tribunale la apre e nomina un liquidatore. Nel frattempo Giovanni e la moglie trovano un accordo con la banca mutuataria: siccome la casa è cointestata e serve alla famiglia, propongono alla banca di scindere le posizioni: la banca escuterà il capannone ipotecato nella procedura, mentre sulla casa (che era a garanzia aggiuntiva) consente a Giovanni di proseguire il pagamento del mutuo regolarmente intestato alla moglie, liberandola dalle altre obbligazioni. In pratica, la casa viene “salvata” extra procedura col consenso della banca, che sa di avere il capannone comunque. Il liquidatore vende il capannone all’asta: ricava €150k che vanno interamente alla banca ipotecaria (che comunque non soddisfa tutto il mutuo, ma preferisce incassare 150 e lasciare stare la casa piuttosto che forzare la vendita di quest’ultima che vale poco ed è difficile). I €150k non coprono interamente il debito ipotecario, ma la banca per la parte residua non ha più garanzie (avendo liberato la casa in cambio della trattativa) e quindi rimarrà chirografaria per il resto. Dopo aver venduto l’immobile, in liquidazione non c’è molto altro: qualche attrezzatura venduta per €5k, e i ratei di stipendio di Giovanni per 2 anni (dà €200 al mese, per un totale di altri €4.800). Il liquidatore ripartisce questi spiccioli tra Equitalia, fornitori e la banca per la parte residua mutuo: percentuali bassissime, pochi punti percentuali ciascuno. Trascorsi 3 anni, Giovanni chiede l’esdebitazione ex art. 282 CCII. Il giudice la concede perché Giovanni ha collaborato e non ha nascosto nulla (anzi, ha agevolato la vendita occupandosi di rimuovere i macchinari dal capannone, ecc.). Risultato: Giovanni e la moglie hanno perso il capannone (che comunque non usavano), ma hanno tenuto la casa e Giovanni è libero dai debiti residui. La banca ipotecaria ha incassato il grosso grazie all’ipoteca; gli altri creditori purtroppo poco o nulla, ma era inevitabile. Giovanni in 3 anni esce dall’incubo e continua la sua vita lavorativa, potendo anche pensare un domani di fare altro (ora che non ha più segnalazioni negative).
  • Commento: Questo scenario mostra come in liquidazione a volte si possano trovare soluzioni miste (qui una transazione con la banca per tenere la casa). La presenza della moglie cointestataria ha aiutato: lei tecnicamente non era debitrice in procedura e la banca non voleva colpire un terzo estraneo. Ogni caso è a sé, ma un liquidatore bravo può farsi promotore di tali accordi: in fondo anche la banca preferisce non finire in un’esecuzione forzata sulla casa se il capannone basta quasi.

Caso 4: Persona nullatenente con soli debiti personali ma di origine da attività

  • Profilo: Karim, ex tassista con licenza individuale, ha dovuto chiudere per malattia e ha venduto la licenza per curarsi. Purtroppo il ricavato è stato speso in spese mediche e ora si trova senza nulla. Ha però ancora debiti per €70.000 (tra finanziamenti per l’auto, debiti fiscali sulla ex attività e qualche prestito da conoscenti). Attualmente è disoccupato, senza beni intestati, vive ospite da un parente.
  • Problema: Debitore totalmente incapiente, senza patrimonio né reddito. Non può offrire nulla ai creditori.
  • Soluzione: Procedura di esdebitazione del debitore incapiente. Un OCC verifica la situazione di assoluta nullatenenza di Karim (nessun conto corrente attivo, nessuna proprietà, ISEE zero) e la sua meritevolezza: dai documenti medici risulta che la sua crisi è dovuta a una grave malattia che l’ha costretto a vendere tutto e indebitarsi per sopravvivere, quindi nessuna frode. Prepara la relazione e deposita istanza in tribunale per l’esdebitazione ex art. 283 CCII. Il tribunale, sentito eventualmente qualcuno dei creditori (che però raramente si costituiscono, perché sanno di non poter ottenere niente comunque), accoglie la domanda. Karim ottiene la cancellazione di tutti i suoi debiti nel giro di pochi mesi. Dopo due anni, la sua salute migliora e riesce a trovare un lavoro: diligentemente comunica al tribunale (tramite l’OCC) che ora guadagna e che in quell’anno ha accantonato €5.000. In base alle regole, versa il 10% di quanto guadagnato oltre il necessario (stabilito magari in €20.000 annui come minimo vitale) ai vecchi creditori, ripartendolo pro-quota. Fa questo per i 4 anni successivi, in cui la sua situazione rimane modesta ma non di miseria. Avendo rispettato l’obbligo, mantiene l’esdebitazione e dopo il quarto anno può tenersi integralmente i suoi guadagni futuri. I creditori hanno ricevuto una piccola sorpresa (meglio di niente) e Karim ha potuto ricominciare una vita senza il fardello dei debiti pregressi.
  • Commento: Questo caso evidenzia come la legge cerchi di bilanciare la cancellazione totale dei debiti con un minimo principio di solidarietà condizionata: se entro 4 anni ti capita una fortuna o comunque risali la china, dai qualcosina (10%) ai vecchi creditori. Non è molto, ma è un gesto equo. La procedura incapienti è davvero provvidenziale per chi, altrimenti, non avrebbe neanche potuto pagare un OCC o un avvocato: infatti, in questo caso l’OCC che ha assistito Karim ha ricevuto il compenso dal Fondo ministeriale e Karim non ha sborsato un euro, né avrebbe potuto.

Consigli finali per gli ex imprenditori sovraindebitati:

  1. Non aspettare troppo: se hai cessato l’attività e i debiti ti schiacciano, attivati il prima possibile. Più passa il tempo, meno opzioni hai (es. scadono i termini per concordato minore) e i creditori potrebbero tra l’altro avviare procedure aggressive. Meglio muoversi quando la situazione è ancora gestibile, ad esempio prima che ti pignorino la casa o lo stipendio. Appena presenti la domanda di sovraindebitamento, quei pignoramenti potranno essere sospesi.
  2. Raccogli i documenti e fai il punto: preparati una lista di tutti i tuoi debiti, contatta magari Equitalia per avere la situazione aggiornata, recupera i contratti di finanziamento, fai visure catastali per vedere cosa risulta ancora a tuo nome. Insomma, fai ordine. Questo ti sarà utilissimo quando andrai da un professionista o OCC: più dati precisi porti, più velocemente si costruirà la pratica.
  3. Scegli la procedura giusta con un esperto: rivolgiti a un Organismo di Composizione della Crisi o a un avvocato specializzato in sovraindebitamento. Esponi la tua situazione e ascolta i consigli: se ti dicono che l’unica è liquidare, non spaventarti, significa che poi avrai l’esdebitazione; se invece hai chance di un piano, valuta la fattibilità di pagare le rate. Ogni caso è unico, come abbiamo visto con gli esempi. La presenza di eventuali beni, di redditi, di garanti, di familiari coinvolti, ecc., può orientare verso l’una o l’altra soluzione.
  4. Ruolo dell’OCC: il rapporto con l’OCC è fondamentale. Sii completamente onesto e trasparente con lui/lei. Racconta anche le cose imbarazzanti (se hai fatto qualche atto discutibile, meglio metterlo sul tavolo subito, spesso c’è rimedio). L’OCC non è lì per giudicarti ma per aiutarti; però se scopre cose nascoste all’ultimo momento, perde fiducia e può mollarvi o scrivere male in relazione. Quindi cooperazione totale. In più, cerca di seguire le istruzioni che ti dà (ad esempio: “vai all’Agenzia delle Entrate a prendere questo estratto, procurami questi conti…”). È nel tuo interesse essere diligente in questa fase.
  5. Presentazione della domanda – aspetti pratici: la domanda di sovraindebitamento (piano, concordato o liquidazione) si presenta al Tribunale del luogo di residenza del debitore (per le persone fisiche) o sede dell’impresa (se ancora operativa). Molti tribunali ormai hanno sezioni specializzate o giudici delegati per queste procedure, spesso nell’ambito della volontaria giurisdizione o delle esecuzioni. Verifica sul sito del tuo tribunale le modalità: ad esempio, il Tribunale di Firenze ha pubblicato linee guida in cui spiega che prima si nomina l’OCC, poi si deposita il piano. In genere, se ti sei già rivolto a un OCC accreditato, sarà quell’organismo a depositare per tuo conto il ricorso completo di tutto. Se invece non sai a chi rivolgerti, puoi anche depositare un’istanza preliminare in tribunale chiedendo la nomina di un OCC, e il giudice te ne assegnerà uno dall’elenco ufficiale; poi lavorerai con lui per predisporre il piano da omologare. È preferibile la prima strada (scegliere tu un OCC di fiducia, magari consigliato dall’avvocato), in modo da instaurare da subito un buon rapporto e arrivare in tribunale con il lavoro fatto.
  6. Durante la procedura – comportamento: una volta avviata la procedura, rispetta gli impegni. Se è un piano, paga puntualmente le rate stabilite e non fare altre debiti ulteriori (sarebbe un controsenso e potrebbe portare alla revoca del piano). Se è una liquidazione, informa subito il liquidatore di qualsiasi evento (es. se ti arriva una raccomandata di un creditore, se trovi un nuovo lavoretto, etc.). Mantieni aperto il dialogo con OCC/commissario. Ricorda che da quando presenti la domanda, certi atti come pagare di nascosto un creditore o aggravare il passivo con spese inutili possono costituire atti in frode o comunque inadempimenti.
  7. Dopo la procedura – ripartenza: se arrivi all’esdebitazione, complimenti: hai usato lo strumento in modo efficace. Adesso inizia la rinascita. Cura gli adempimenti post-procedura: ad esempio, assicurati che i tuoi dati siano aggiornati nelle centrali rischi (chiedi la cancellazione di eventuali segnalazioni negative citando il decreto di esdebitazione). Se hai l’obbligo di comunicare sopravvenienze (caso incapienti), tieni nota di qualsiasi introito straordinario per quei 4 anni. Dopodiché, goditi la nuova libertà finanziaria ma cerca di non ricadere negli errori: fai tesoro dell’esperienza, gestisci il bilancio con prudenza, e se devi prendere credito di nuovo (ad esempio per ricomprare una casa o avviare una nuova attività), calcola bene la sostenibilità. La legge ti dà due possibilità di esdebitazione nella vita: hai usato la prima? Speriamo non serva mai la seconda, ma in caso, sappi che c’è un limite.
  8. OCC e costi – ulteriore nota: se la tua situazione economica è davvero disastrata e non hai soldi nemmeno per pagare le piccole spese iniziali, informa subito l’OCC. Potresti aver diritto al patrocinio gratuito (se il tuo reddito familiare è sotto circa €11.700 annui, aggiornato periodicamente) che coprirà l’avvocato. Per l’OCC, se sei nullatenente si potrà attingere al Fondo OCC nazionale. Insomma, non rinunciare ad avviare la procedura per paura dei costi: parlane, molte volte si trovano soluzioni. È nell’interesse di tutti (anche dello Stato) che tu entri nella procedura e non rimanga a vita nel sommerso dei debiti.

Con questi esempi e consigli, speriamo di averti dato una panoramica completa di come funziona il sovraindebitamento per una ditta individuale cessata. Si tratta di strumenti potenti, che richiedono però serietà, trasparenza e impegno da parte del debitore. Il sistema offre una chance, ma va colta con responsabilità.

Ricorda: la crisi economica può capitare a chiunque – imprenditori piccoli travolti dal mercato, professionisti che si ammalano, consumatori che perdono il lavoro – ma grazie a queste procedure non è più una “condanna a vita”. Informarsi è il primo passo: ora conosci le vie d’uscita possibili, il secondo passo (se sei in difficoltà) è agire, rivolgendoti ai soggetti competenti (OCC/avvocati) e avviando il tuo percorso personalizzato verso la liberazione dai debiti.

Sovraindebitamento Ditta Individuale Cessata: Perché Affidarsi A Studio Monardo Per Liberarsi Dai Debiti Anche Dopo La Chiusura Dell’Attività

Hai chiuso la tua ditta individuale, ma i debiti con banche, fornitori o Agenzia delle Entrate continuano a perseguitarti? Ti trovi in una situazione in cui l’attività non esiste più, ma i creditori bussano ancora alla porta con cartelle esattoriali, pignoramenti o solleciti?

La buona notizia è che la legge ti permette di cancellare i debiti anche se sei un ex imprenditore.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere una guida esperta per accedere alle procedure di sovraindebitamento previste dalla Legge 3/2012 (oggi integrate nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza), bloccare le azioni esecutive e ricominciare senza più debiti sulle spalle.

La ditta è cessata… ma i debiti restano

Molti ex imprenditori pensano che, con la cessazione della partita IVA e la cancellazione dal Registro Imprese, i debiti si annullino automaticamente.
Purtroppo non è così: la ditta individuale non ha personalità giuridica autonoma, quindi tutti i debiti dell’attività restano a carico personale dell’ex titolare anche dopo la chiusura.

Se non intervieni, potresti subire:

  • Pignoramento del conto personale
  • Blocco dello stipendio o della pensione
  • Iscrizioni di ipoteche su immobili
  • Fermo amministrativo dell’auto
  • Difficoltà ad accedere al credito o ad aprire una nuova attività

Come funziona il sovraindebitamento per ex imprenditori

Grazie alla legge sul sovraindebitamento, puoi:

  • Bloccare i creditori e le azioni in corso
  • Proporre un piano di rientro sostenibile, in base alle tue attuali possibilità economiche
  • Liquidare i tuoi beni in modo controllato, tutelando la prima casa quando possibile
  • Chiedere l’esdebitazione, cioè la cancellazione definitiva dei debiti residui
  • Ottenere l’esdebitazione anche senza beni (cosiddetta esdebitazione dell’incapiente) se sei in totale difficoltà economica

È una procedura giudiziale, sicura e protetta, che ti consente di chiudere per sempre con i debiti dell’impresa cessata.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo ti segue in ogni fase, dalla prima analisi alla chiusura della procedura:

  • Verifica la tua situazione debitoria e patrimoniale
  • Ti consiglia la strada più adatta: piano, liquidazione o esdebitazione diretta
  • Predispone tutta la documentazione necessaria
  • Presenta la domanda al Tribunale tramite l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Ti rappresenta in ogni fase fino alla chiusura della procedura e alla cancellazione dei debiti

Le qualifiche dell’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di professionisti in diritto bancario, tributario ed esecutivo

Queste qualifiche gli permettono di seguire personalmente e direttamente ogni aspetto della tua pratica, senza intermediari, garantendo precisione, tempestività e risultati concreti.

Perché agire subito

Ogni giorno in più equivale a:

  • Maggiori interessi e sanzioni
  • Maggiore esposizione a pignoramenti e danni patrimoniali
  • Maggiore stress personale e familiare

Con il supporto dell’Avvocato Monardo, puoi mettere fine alla pressione dei creditori, ottenere un provvedimento del Tribunale che blocca ogni esecuzione e iniziare davvero una nuova fase della tua vita, libera da ogni peso passato.

In conclusione

Anche se la ditta è chiusa, i debiti si possono cancellare. Ma serve competenza, metodo e un professionista che conosca davvero la legge.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere una guida autorevole, abilitata e concreta, capace di portarti dall’incubo del sovraindebitamento alla cancellazione definitiva dei debiti.
Con Monardo, la chiusura dell’impresa non è la fine: è l’inizio della tua rinascita finanziaria.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in procedure di sovraindebitamento:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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