Ricorso Contro Agenzia Entrate Riscossione: Come Si Fa Con L’Avvocato

Hai bisogno di fare un ricorso contro l’Agenzia Entrate Riscossione?

Qui di seguito troverai la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in ricorsi contro l’Agenzia Entrate Riscossione.

Se hai bisogno poi di una consulenza legale del nostro Studio specializzato, in fondo alla guida troverai tutti i riferimenti per contattarci:

Introduzione

Presentare un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER, ex Equitalia) è un passo fondamentale per tutelare i propri diritti di contribuenti quando si riceve una richiesta di pagamento ritenuta ingiusta o illegittima. Questa guida tecnica, ma di taglio divulgativo, fornisce istruzioni dettagliate su come impostare un ricorso con l’assistenza di un avvocato. Sarà utile tanto al privato cittadino quanto all’azienda, poiché illustra le varie tipologie di atti emessi dall’Agente della Riscossione – dalle cartelle esattoriali ai fermi amministrativi, dalle ipoteche ai pignoramenti, fino alle intimazioni di pagamento e agli avvisi di addebito – e spiega come impugnarli efficacemente.

Seguendo una struttura chiara e gerarchica, vedremo prima quali sono gli atti della riscossione impugnabili e su quali basi giuridiche possiamo contestarli. Approfondiremo il ruolo dell’avvocato, evidenziando i casi in cui è obbligatorio o consigliato il suo intervento. Analizzeremo poi le procedure, i termini e le modalità per presentare ricorso sia in ambito tributario (davanti alle Corti di Giustizia Tributaria) sia in ambito civile (Tribunali ordinari e Giudici di Pace, quando competenti).

Successivamente, descriveremo la struttura tipica di un ricorso indicando gli elementi fondamentali che deve contenere, fornendo anche esempi pratici e modelli di riferimento. Verranno illustrate le strategie difensive più ricorrenti e i casi frequenti in cui i contribuenti si trovano, suggerendo come affrontarli. Non mancheranno indicazioni su costi legali medi, sulla possibilità di avvalersi del gratuito patrocinio (se si hanno i requisiti di reddito) e sui tempi previsti dell’iter. Si elencherà anche la documentazione necessaria, con consigli su come reperirla e organizzarla per sostenere al meglio le proprie ragioni.

Infine, esamineremo i rischi del mancato ricorso – cosa succede se non si impugna un atto entro i termini – e cosa aspettarsi dopo la presentazione del ricorso, compresi i possibili esiti (accoglimento, rigetto, annullamento parziale), la fase di appello e le eventuali azioni successive.

Questa guida, completa e aggiornata, intende quindi accompagnarvi passo passo nella difesa contro gli atti di riscossione, consentendovi di agire in modo informato e tempestivo insieme al vostro legale di fiducia.

Agenzia delle Entrate-Riscossione e atti impugnabili

Agenzia delle Entrate-Riscossione (AdER) è l’ente pubblico incaricato di riscuotere coattivamente tributi, contributi e altre entrate per conto degli enti creditori (Agenzia delle Entrate, INPS, Comuni, ecc.). In pratica, quando un contribuente non paga spontaneamente tasse, imposte, contributi previdenziali o sanzioni entro le scadenze previste, l’ente creditore affida il recupero ad AdER, che agirà inviando specifici atti di riscossione. I principali atti emessi dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione – tutti potenzialmente impugnabili dal contribuente – includono:

  • Cartella di pagamento (cartella esattoriale) – È l’atto con cui AdER richiede formalmente il pagamento di una somma risultante a debito. La cartella comunica al debitore che un certo importo è stato iscritto a ruolo (elenco dei debiti) dall’ente creditore e costituisce titolo esecutivo, ossia consente di avviare azioni esecutive (espropriazioni) se non si paga entro 60 giorni. Nella cartella sono indicati il dettaglio del debito (tributi, contributi o multe non pagate, con relativi interessi e sanzioni), l’ente che ha richiesto l’iscrizione a ruolo, i codici e numeri identificativi, nonché l’intimazione ad adempiere entro 60 giorni. Se il pagamento non avviene nei termini, la cartella diventa esecutiva e AdER può procedere con misure cautelari o esecutive. Data la sua rilevanza, la cartella di pagamento è uno degli atti più frequentemente contestati.
  • Intimazione di pagamento (avviso di intimazione) – È un sollecito formale che AdER invia quando è trascorso molto tempo dalla cartella senza che sia iniziata la riscossione coattiva. Di norma, ai sensi dell’art. 50 del DPR 602/1973, se è trascorso oltre un anno dalla notifica di una cartella senza che sia stato eseguito un pignoramento, l’Agente della Riscossione deve notificare un’intimazione prima di poter procedere oltre. L’intimazione ingiunge di pagare entro un termine breve (generalmente 5 giorni) le somme arretrate, avvisando che in difetto si darà corso immediato alle azioni esecutive. Questo atto ha quindi la funzione di “ultimo avvertimento” al contribuente. L’intimazione di pagamento può essere impugnata se, ad esempio, i debiti indicati sono prescritti, già pagati, o se la cartella originaria non era stata regolarmente notificata. Spesso l’intimazione cumula più cartelle pregresse: in tal caso il debitore può contestare specificamente i singoli ruoli sottostanti.
  • Fermo amministrativo – È una misura cautelare con cui AdER blocca un veicolo intestato al debitore iscrivendo un vincolo al Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Il fermo impedisce legalmente di poter circolare col mezzo e di poterlo vendere o rottamare finché non si salda il debito. Prima di iscrivere il fermo, l’Agente della Riscossione invia obbligatoriamente un preavviso di fermo amministrativo, dando al debitore un termine (di solito 30 giorni) per pagare o regolarizzare la situazione, trascorso il quale il fermo viene iscritto. Sia il preavviso di fermo che il provvedimento di fermo effettivo sono impugnabili. Il fermo amministrativo viene utilizzato tipicamente per debiti fiscali o anche per multe non pagate. Non esiste un importo minimo di legge al di sotto del quale il fermo sia vietato (sebbene in passato Equitalia avesse adottato soglie di prassi, ad esempio evitare fermi per debiti minimi); tuttavia, per debiti inferiori a 1.000 € è prevista una procedura attenuata: AdER attende 120 giorni dall’invio di una comunicazione bonaria prima di intraprendere azioni cautelari come il fermo. Il fermo può essere contestato per vari motivi, ad esempio: mancata notifica del preavviso, errata identificazione del veicolo, avvenuto pagamento del debito, importo ormai prescritto, o se il veicolo è strumentale all’attività lavorativa (aspetto, questo, non previsto espressamente dalla legge ma a volte sollevato come circostanza equitativa per sospendere il fermo).
  • Iscrizione di ipoteca – È un’altra misura cautelare: AdER può iscrivere ipoteca su un immobile di proprietà del debitore a garanzia del credito. L’ipoteca esattoriale viene annotata nei registri immobiliari e tutela il fisco in caso di vendita dell’immobile, ma rappresenta anche un grave vincolo per il contribuente. Per legge (art. 77 DPR 602/1973) l’ipoteca può essere iscritta solo se il debito totale supera una certa soglia: attualmente almeno 20.000 € di debiti iscritti a ruolo. Anche in questo caso, AdER deve preventivamente notificare una comunicazione di preavviso di iscrizione ipotecaria, concedendo un termine (di solito 30 giorni) per pagare prima di procedere all’iscrizione. L’ipoteca (e il suo preavviso) è impugnabile, ad esempio per: mancato invio del preavviso, importo del debito inferiore alla soglia di legge, vizi nella notifica delle cartelle sottostanti, prescrizione del credito, o qualora riguardi l’unico immobile di residenza (la “prima casa” non può essere espropriata, come vedremo, ma l’ipoteca può comunque essere iscritta se il debito supera 20.000 €). Impugnare l’ipoteca tempestivamente è importante, poiché pur non comportando uno sgombero immediato come un pignoramento, l’ipoteca lede la proprietà e spesso è preludio ad azioni esecutive qualora il debito resti insoluto.
  • Atto di pignoramento – È l’atto con cui inizia l’esecuzione forzata vera e propria sui beni del debitore. Può trattarsi di diverse forme di pignoramento:
    • Pignoramento immobiliare: AdER notifica un atto di pignoramento su un immobile di proprietà del debitore, finalizzato alla successiva vendita all’asta. La legge impone alcuni limiti particolari al fisco: ad esempio, la prima casa di abitazione (se unico immobile non di lusso in cui il debitore risiede) non è pignorabile dall’AdER per debiti tributari, a meno che non ricorrano certe condizioni (come la mancanza dei requisiti di “prima casa” o il superamento di soglie rilevanti di debito e valore immobiliare). In generale, per procedere a un pignoramento immobiliare, devono essere passati almeno 30 giorni dal preavviso di ipoteca e il debito complessivo deve superare 120.000 €; inoltre devono trascorrere minimo 6 mesi dall’iscrizione di ipoteca senza che il debitore abbia pagato, prima che si possa espropriare l’immobile. Quindi il pignoramento di immobili da parte di AdER avviene in scenari di debiti importanti e dopo vari passaggi. L’atto di pignoramento immobiliare è impugnabile se vi sono irregolarità (ad esempio, notifica invalida, mancato rispetto dei termini di legge, violazione del divieto di pignorare la prima casa se applicabile, debito già pagato o annullato, ecc.).
    • Pignoramento mobiliare presso terzi: Molto frequente è il pignoramento del conto corrente o dello stipendio/pensione. In tali casi AdER invia una notifica di pignoramento direttamente alla banca o al datore di lavoro (terzo pignorato), intimando di congelare le somme fino a copertura del debito. Il contribuente riceve per conoscenza l’atto di pignoramento (o a volte lo scopre dal blocco del conto). Anche il pignoramento presso terzi va preceduto dall’intimazione di pagamento (se era trascorso oltre un anno dalla cartella) ma non richiede un preavviso specifico come il fermo o l’ipoteca. Esistono comunque dei limiti di pignorabilità: ad esempio, per conti correnti, se su quel conto affluisce lo stipendio o pensione, esiste una parte impignorabile (il minimo vitale) e l’importo successivo è pignorabile solo in parte; per stipendi e pensioni è pignorabile circa un quinto della somma mensile netta (con alcune varianti a seconda dell’entità della pensione). Un eventuale pignoramento su somme eccedenti i limiti di legge può essere contestato. Anche qui, l’atto è impugnabile per vizi formali (errori nell’atto di pignoramento, notifica non regolare) o sostanziali (ad esempio, se il debito era prescritto).
    • Pignoramento di beni mobili registrati: AdER può pignorare, ad esempio, autoveicoli di proprietà del debitore (in aggiunta al fermo, può procedere a farli vendere all’asta). Questo tipo di pignoramento è meno comune ma possibile per debiti elevati: un ufficiale giudiziario può redigere un verbale di pignoramento del veicolo. Anche in tal caso il provvedimento è impugnabile per eventuali irregolarità.
    In generale, gli atti dell’esecuzione forzata (pignoramenti e atti successivi come avvisi di vendita) seguono in gran parte le regole del codice di procedura civile, con alcune peculiarità previste per la riscossione esattoriale. Tali atti possono essere opposti davanti al giudice competente se si ravvisano vizi nella procedura o nelle pretese.
  • Avviso di addebito INPS – È un caso particolare: dal 2011, per i contributi previdenziali non versati all’INPS, l’ente non utilizza più le cartelle esattoriali, bensì emette direttamente un “avviso di addebito” che ha valore di titolo esecutivo. L’INPS, una volta formato l’avviso, lo trasmette ad AdER per la notifica e la successiva riscossione. L’avviso di addebito contiene il dettaglio dei contributi dovuti, delle sanzioni e interessi, e intima il pagamento entro 60 giorni, trascorsi i quali si può procedere con il recupero forzoso come per una cartella. Impugnare un avviso di addebito INPS segue però regole diverse dal ricorso tributario: si tratta di una controversia in materia di previdenza, di competenza del Tribunale ordinario – sezione Lavoro. Il termine per presentare ricorso contro un avviso di addebito è 40 giorni dalla notifica, e il giudice del lavoro può sospendere l’esecuzione su richiesta. In pratica il debitore farà un’opposizione in sede civile (un po’ come si farebbe per un decreto ingiuntivo), contestando il diritto dell’INPS a esigere quelle somme o eventuali errori formali dell’atto. Visto che l’avviso di addebito sostituisce la cartella, gli eventuali vizi che si contesterebbero in una cartella (mancata notifica di atti precedenti, prescrizione, ecc.) possono essere dedotti nell’opposizione all’avviso di addebito. Se si supera il termine di 40 giorni senza ricorso, l’avviso diventa definitivo come un giudicato e AdER potrà procedere con pignoramenti; anche in quel caso, l’opposizione tardiva sarà molto limitata.
  • Altri atti – Oltre a quelli elencati, ci sono alcuni atti connessi alla riscossione che possono essere oggetto di ricorso. Ad esempio, le comunicazioni di presa in carico del debito (lettere con cui AdER informa il contribuente di aver ricevuto dall’ente creditore il carico da riscuotere) non sono veri e propri atti esecutivi e generalmente non si impugnano, ma possono mettere il contribuente in allerta su possibili cartelle in arrivo. Oppure, l’avviso di accertamento esecutivo (emesso dall’Agenzia delle Entrate per tributi erariali e che vale anche come titolo esecutivo dopo 60 giorni): questo non è emesso da AdER ma direttamente dall’ente impositore, e va impugnato entro 60 giorni dall’emissione davanti al giudice tributario, come un normale avviso di accertamento. Comunque, la regola generale è che qualsiasi atto con cui l’Agente della Riscossione comunica formalmente al contribuente una pretesa patrimoniale immediata o una misura restrittiva sui beni può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria competente.

Riassumendo, i principali atti impugnabili sono: cartelle di pagamento, avvisi di intimazione, preavvisi e provvedimenti di fermo amministrativo, preavvisi e iscrizioni di ipoteca, atti di pignoramento (mobiliari, immobiliari, presso terzi), nonché gli avvisi di addebito INPS. Ciascuno di essi ha caratteristiche e tempistiche proprie, che vedremo in dettaglio, ma esistono principi comuni di tutela giuridica applicabili a tutti. Nei paragrafi successivi chiariremo i presupposti legali per contestare questi atti, a quale giudice rivolgersi in ogni caso e come procedere operativamente.

Presupposti giuridici per il ricorso contro l’Agenzia delle Entrate-Riscossione

Per impugnare con successo un atto dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione è necessario individuare i presupposti giuridici che rendono quell’atto illegittimo o infondato. In altre parole, bisogna avere motivi di ricorso validi basati su norme di legge violate o su errori commessi dall’amministrazione. I presupposti giuridici del ricorso possono essere suddivisi in due macro-categorie:

  1. Vizi sostanziali della pretesa – Riguardano il merito del debito richiesto. In questa categoria rientrano motivazioni come:
    • Il debito non è dovuto: ad esempio perché il tributo era già stato pagato, oppure perché il contribuente ha diritto a un’esenzione/detrazione non considerata, o perché si è verificato uno sgravio o annullamento da parte dell’ente impositore (magari con un provvedimento in autotutela o per intervenuta definizione agevolata).
    • Errore di persona: il destinatario non è il soggetto che deve pagare. Potrebbe trattarsi di uno scambio di persona (omonimia) o di un’obbligazione che grava su un altro soggetto.
    • Prescrizione o decadenza: il diritto di riscuotere quella somma si è estinto per il trascorrere del tempo previsto dalla legge senza atti interruttivi validi. Ad esempio, molte imposte si prescrivono in 5 anni dalla notifica dell’atto definitivo, le sanzioni amministrative in 5 anni dall’evento, i contributi previdenziali in 5 anni, ecc. Se AdER richiede un importo relativo a un periodo molto remoto, occorre verificare se il termine di prescrizione è decorso. La decadenza, invece, attiene ai termini che l’ente aveva per formare il ruolo e notificare la cartella: superati questi termini, l’atto è nullo (ad esempio, cartella per IRPEF oltre i termini di decadenza dell’accertamento).
    • Vizi originari dell’atto impositivo: se il problema sta nell’atto a monte (ad esempio l’avviso di accertamento fiscale o la multa stradale) che non è stato mai notificato o era esso stesso illegittimo e poi è confluito nella cartella, si può far valere l’inesistenza del titolo. In pratica, si eccepisce che la cartella non poteva essere emessa perché manca o è nullo l’atto presupposto (come un avviso di accertamento mai notificato). In tal caso la contestazione investe il merito della pretesa tributaria o sanzionatoria.
    • Sospensione in corso: se è in atto una sospensione legale della riscossione (magari dovuta a un provvedimento di un giudice o a una sospensione amministrativa concessa dall’ente per una domanda in autotutela accolta), qualsiasi atto esecutivo emesso in pendenza della sospensione è illegittimo.
  2. Vizi formali o procedurali – Riguardano la correttezza formale dell’atto e del procedimento seguito. Anche un debito legittimo può non essere riscuotibile se l’atto è viziato sotto questi profili:
    • Vizi di notifica: è uno dei motivi più comuni. Se la cartella o l’atto non sono stati notificati secondo legge, o non sono mai giunti a conoscenza del contribuente in modo regolare, essi possono essere annullati. Esempi: notifica a indirizzo errato, manca la relata di notifica o è irregolare, notifica effettuata via PEC ma a un indirizzo non previsto, oppure consegna a persona non autorizzata. Una notifica nulla o inesistente impedisce all’atto di produrre effetti e consente spesso di fare ricorso anche tardivamente (cioè oltre i termini ordinari, non appena si viene a conoscenza dell’atto).
    • Mancanza di motivazione o difetto di chiarezza: secondo la legge, ogni atto impositivo e di riscossione deve contenere la motivazione, ossia le ragioni per cui si richiede il pagamento, con riferimento alle norme applicate e agli atti presupposti. Se la cartella non indica l’origine del debito o l’intimazione di pagamento è generica, si può contestarne la validità per difetto di motivazione. Il contribuente ha diritto di sapere esattamente cosa gli viene richiesto e perché, altrimenti non può efficacemente difendersi.
    • Vizio di notificazione degli atti presupposti: un caso particolare di vizio procedurale è la mancata notifica di atti precedenti obbligatori. Ad esempio, se ricevo una cartella di pagamento per una sanzione amministrativa mai notificata prima (quindi la multa originaria o l’ingiunzione non mi era stata comunicata), posso eccepire che manca la notifica del titolo esecutivo originario e che dunque la cartella è nulla. Questo confina tra vizio procedurale e sostanziale, ma sostanzialmente significa che l’iter legale per esigere quel credito non è stato rispettato.
    • Violazione dei termini procedurali: AdER deve rispettare alcuni tempi e procedure nel passare da un atto all’altro. Per esempio, come visto, se la cartella è vecchia di oltre un anno, serve l’intimazione 5 giorni prima del pignoramento; se questa intimazione non viene fatta, il successivo pignoramento è impugnabile. Oppure, la mancata attesa di 30 giorni dopo il preavviso di ipoteca prima di iscrivere ipoteca, o il pignoramento immobiliare iniziato senza attendere 6 mesi dall’ipoteca: tutte violazioni procedurali che costituiscono motivi di ricorso.
    • Importo errato o calcolo sbagliato: se vi sono errori materiali nella quantificazione (ad esempio interessi calcolati più del dovuto, duplicazioni di importi, ecc.), l’atto può essere contestato per ottenere la correzione o l’annullamento parziale.
    • Difetto di competenza o legittimazione: in alcuni casi particolari, si può contestare che l’ente che ha emesso l’atto non fosse competente. Ad esempio, contestare un atto dell’AdER perché doveva essere emesso da altro ente o viceversa (casistiche rare, ma ad esempio alcuni tributi minori locali seguono procedure diverse).
    • Omessa indicazione del responsabile del procedimento: la normativa sulla trasparenza (L. 212/2000, Statuto del Contribuente) richiede che negli atti di riscossione sia indicato il responsabile del procedimento. La sua mancanza può essere motivo di illegittimità (anche se la giurisprudenza a volte la considera una irregolarità sanabile, ma è un elemento da far valere).

Questi presupposti giuridici, in pratica, si concretizzano nei motivi di ricorso che andremo a indicare nell’atto che presenteremo al giudice. È fondamentale analizzare attentamente la propria situazione per capire quale tipo di vizio sussiste: sostanziale (es. “non devo nulla” o “il debito è decaduto/prescritto”) oppure formale (es. “l’atto è nullo perché notificato male” o “perché manca un requisito di legge”). Spesso si presentano più vizi contemporaneamente: ad esempio, una cartella potrebbe essere contestabile sia perché il tributo è prescritto, sia perché la notifica è avvenuta in maniera irregolare. In ricorso si possono cumulare entrambi i motivi, così da avere più chance di successo.

Occorre anche tenere presente la distinzione tra vizi imputabili all’ente impositore e vizi imputabili all’agente della riscossione:

  • Se la questione riguarda il merito del tributo o contributo (ad esempio “questa tassa non è dovuta” oppure “la sanzione era già stata annullata”), il bersaglio della contestazione è l’ente creditore (Agenzia delle Entrate, INPS, Comune…). In questi casi, il ricorso andrà proposto nei confronti di tale ente, perché è lì che risiede la legittimazione sulla pretesa creditoria.
  • Se invece il problema riguarda la regolarità dell’atto di riscossione in sé (ad esempio “la cartella non è stata notificata secondo le regole” oppure “AdER ha iscritto un fermo senza inviarmi il preavviso”), allora il contraddittorio principale sarà con Agenzia Entrate-Riscossione, che è responsabile di quel procedimento esecutivo.
  • Capita che si vogliano far valere entrambe le cose: sia contestare il fatto che il debito è infondato, sia che l’atto di riscossione presenta vizi. In questi casi, è possibile coinvolgere entrambi i soggetti nel ricorso (ente creditore e agente della riscossione). La legge (art. 39 D.Lgs. 112/1999) prevede che se il contribuente chiama in giudizio solo AdER ma solleva contestazioni di merito sul credito, AdER ha l’onere di chiamare in causa l’ente creditore, altrimenti potrebbe risponderne in proprio. Viceversa, il contribuente prudentemente può sin da subito notificare il ricorso a entrambi i soggetti per tutti i vizi, evitando eccezioni di difetto di contraddittorio.

In sintesi, i presupposti giuridici del ricorso si fondano sul principio che ogni richiesta della PA deve essere legittima nella sostanza e nella forma. La normativa offre gli strumenti per eccepire le illegittimità: dal Codice di procedura civile (per le opposizioni esecutive) al D.Lgs. 546/1992 (per il processo tributario) e al D.P.R. 602/1973 (norme sulla riscossione coattiva), oltre allo Statuto del Contribuente e ad altre leggi speciali. Nel predisporre un ricorso, con l’aiuto del vostro avvocato, individuerete quindi quali articoli di legge sono stati violati dall’Agente della Riscossione o dall’ente impositore, e costruirete su quelli le vostre “armi” difensive.

Giudici competenti e termini di ricorso

Un aspetto cruciale per impostare correttamente la difesa è individuare quale sia l’autorità giudiziaria competente per conoscere il ricorso e quali siano i termini entro cui attivarsi. A differenza di altre controversie legali, le impugnazioni contro atti di riscossione possono ricadere in ambiti diversi (tributario o civile) a seconda della natura del debito e del tipo di vizio lamentato. Vediamo le principali situazioni:

1. Controversie tributarie (Giudice Tributario) – Riguardano i debiti di natura tributaria in senso stretto: imposte statali (IRPEF, IVA, IRES, bollo, ecc.), imposte locali (IMU, TARI, bollo auto se considerato tributo locale), sanzioni fiscali, interessi e ogni accessorio su tali tributi. In generale, se il debito oggetto dell’atto è un tributo rientrante nella giurisdizione tributaria, le controversie relative sia alla legittimità della pretesa sia agli atti della riscossione connessi vanno presentate al Giudice Tributario. Dal 2023 le Commissioni Tributarie sono state ridenominate Corti di Giustizia Tributaria di primo e secondo grado (a seguito della riforma della giustizia tributaria).

  • Atti impugnabili in sede tributaria: cartelle di pagamento per tributi, avvisi di intimazione riguardanti tributi, provvedimenti di fermo o ipoteca emessi per debiti tributari, ogni altro atto dell’Agente di Riscossione riferito a tributi (persino l’estratto di ruolo o il preavviso di fermo, secondo l’evoluzione giurisprudenziale, possono dare luogo a ricorso tributario se il contribuente ne trae conoscenza di vizi). Anche gli atti presupposti fiscali (avvisi di accertamento, di liquidazione, irrogazione sanzioni) sono di competenza tributaria.
  • Termine di ricorso: generalmente 60 giorni dalla notifica dell’atto (art. 21 D.Lgs. 546/92) per proporre ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado (ex Commissione Tributaria Provinciale). Il termine è perentorio: superati i 60 giorni senza impugnare, l’atto diviene definitivo, salvo eccezioni limitate (es: vizio di notifica che consenta ricorso tardivo dal momento della conoscenza effettiva).
  • Eccezione – sospensione feriale: da ricordare che i termini processuali tributari sono sospesi nel periodo feriale (1° agosto – 31 agosto di ogni anno), quindi se il termine di 60 gg cade d’estate, quei 31 giorni non si contano.
  • Giudice competente territorialmente: la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado nella cui circoscrizione ha sede l’ente impositore per i tributi erariali (spesso coincide col domicilio fiscale contribuente per molte imposte) oppure quella del luogo in cui è stata notificata la cartella se si tratta di atti della riscossione. In pratica, per cartelle e atti AdER, di solito la competenza territoriale è la Corte Tributaria della provincia di residenza del contribuente (per i privati) o della sede (per le società), perché AdER agisce per ambiti regionali/provinciali.
  • Parti in causa: come detto, se si contestano vizi di merito del tributo la controparte è l’ente creditore (es. Agenzia Entrate), se vizi propri della riscossione è AdER. Spesso si indica come controparte direttamente AdER anche per farla poi chiamare in causa l’ente se necessario.
  • Forma del ricorso: in ambito tributario l’atto introduttivo stesso si chiama ricorso e si propone secondo le modalità che vedremo (telematicamente, con atto scritto contenente motivi, ecc.). Non c’è alcun atto di “precetto” in queste procedure: la cartella o l’intimazione sono già di per sé titoli esecutivi, e il ricorso è l’azione di impugnazione.
  • Riforma 2023 sulla mediazione: fino al 2023 esisteva un istituto obbligatorio di reclamo/mediazione tributaria per le liti di valore fino a 50.000 €. Dal 2024, questa mediazione non è più obbligatoria (è stata abolita con D.Lgs. 130/2022 e D.Lgs. 220/2023). Pertanto, aggiornamento 2025: oggi si può ricorrere direttamente, entro 60 giorni, senza dover presentare prima un reclamo all’ente. (Chi avesse presentato ricorso prima del 2024 ha dovuto esperire la mediazione se sotto soglia, ma per i nuovi ricorsi non è più richiesto). Ciò semplifica la procedura: il ricorso tributario ora segue lo stesso iter per tutte le controversie, indipendentemente dal valore.
  • Giudice tributario e atti esecutivi: va notato che la giurisdizione tributaria copre oggi anche molti atti della riscossione che un tempo erano di dubbia competenza. La Corte di Cassazione ha chiarito che fermo e ipoteca su debiti tributari rientrano nel giudice tributario. Il pignoramento in sé, essendo atto dell’esecuzione forzata, tendenzialmente resta materia del giudice dell’esecuzione (civile); tuttavia, eventuali eccezioni di merito sul debito anche in fase esecutiva restano di competenza tributaria. È un tema tecnico, ma in pratica per la maggior parte delle impugnazioni di atti prima del pignoramento, ci si rivolge al giudice tributario se il debito è tributario.

2. Controversie previdenziali (Giudice del Lavoro) – Come accennato, debiti verso enti previdenziali (INPS, INAIL) seguono un percorso diverso. Le cartelle o avvisi riguardanti contributi previdenziali obbligatori sono impugnabili davanti al Tribunale ordinario in funzione di giudice del lavoro. Questo perché la legge assegna al giudice del lavoro le cause relative a contributi sociali.

  • Atti impugnabili in sede lavoristica: avvisi di addebito INPS (che hanno sostituito le cartelle per contributi dal 2011 in poi) e le vecchie cartelle esattoriali emesse per contributi previdenziali (in passato l’INPS poteva ancora usare cartelle per crediti ante 2011). Anche gli atti successivi di riscossione (intimazioni, fermi) se riferiti esclusivamente a crediti previdenziali, in teoria dovrebbero seguire la stessa giurisdizione di merito.
  • Termini: l’opposizione all’avviso di addebito va proposta entro 40 giorni dalla notifica (termine stabilito dalla legge per le opposizioni in materia di previdenza, affine al termine per opporsi a decreti ingiuntivi). Se si tratta invece di vizi formali di un atto successivo (es. una cartella INPS notificata male), alcuni ritengono applicabile l’opposizione agli atti esecutivi in 20 giorni, ma prudenzialmente è meglio restare nei 40 giorni sollevando tutto davanti al giudice competente.
  • Giudice competente: il Tribunale del luogo dove ha sede l’azienda o dove risiede il lavoratore, a seconda se trattasi di contributi di un’azienda o di un lavoratore autonomo. Spesso coincide col tribunale del proprio circondario. Si introduce il giudizio con un ricorso al tribunale (c’è una procedura prevista dall’art. 442 c.p.c. e seguenti, che ricalca i processi del lavoro, quindi con udienza fissata, tentativo di conciliazione, ecc.).
  • Parti in causa: per contributi, l’ente creditore è l’INPS (o altra cassa) e l’atto è formato dall’INPS stesso; AdER interviene come riscossore. In genere, si cita in giudizio l’INPS ed eventualmente AdER per i profili di sua competenza.
  • Importante: se per ipotesi una cartella contiene sia importi tributari che contributivi, si genera una complicazione sulla competenza (in teoria “doppia giurisdizione”). In tali rari casi, la cartella potrebbe andrebbe impugnata per la parte tributaria al giudice tributario e per la parte contributiva al giudice del lavoro. È una evenienza eccezionale che richiede coordinamento tra ricorsi, per questo normalmente AdER suddivide per ente impositore.

3. Sanzioni amministrative (Giudice Ordinario – civ.) – Se il debito riscosso è legato a sanzioni amministrative (ad esempio multe stradali, sanzioni per violazioni amministrative varie), la competenza in fase di riscossione può variare:

  • Le multe stradali non pagate, trascorsi i termini di opposizione originari, vengono iscritte a ruolo e notificate con cartella. Se il destinatario vuole contestare la cartella perché, ad esempio, la multa non gli fu notificata, la giurisprudenza afferma che deve proporre un’opposizione ai sensi della L. 689/1981 o del Codice della Strada davanti al Giudice di Pace (se la sanzione rientrava nella sua competenza). Il termine sarebbe 30 giorni dalla notifica della cartella per sollevare i vizi “a monte” della sanzione (notifica nulla della multa, errore di persona, ecc.). Di fatto, questo si inquadra come un’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. in materia di sanzioni amministrative, soggetta al termine speciale di 30 giorni previsto dall’art. 7 D.Lgs. 150/2011. Il Giudice di Pace è competente per sanzioni fino a € 15.493 (importo della vecchia competenza), altrimenti il Tribunale.
  • Se invece la contestazione è solo formale alla cartella (ad esempio cartella per multa notificata fuori termine), alcuni giudici ammettono il ricorso in Commissione Tributaria se l’ordinamento locale lo prevede, ma generalmente la strada corretta è il Giudice Ordinario perché trattasi di entrata non tributaria. Si potrebbe fare un’opposizione agli atti esecutivi entro 20 giorni.
  • Per altre sanzioni amministrative (non multe stradali), l’opposizione segue le regole generali della L. 689/81 se non pagate e iscritte a ruolo: ad esempio sanzioni delle Agenzie ministeriali, ecc., competenza Tribunale o GdP a seconda dei casi.

4. Opposizioni in sede di esecuzione forzata (Giudice dell’Esecuzione) – Quando si è già nella fase del pignoramento (quindi l’esecuzione è iniziata), se il contribuente non ha potuto o saputo fare ricorso prima, restano alcuni rimedi nel codice di procedura civile:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): serve a contestare il diritto stesso di procedere a esecuzione, quindi tipicamente “non dovevo pagare” o “il titolo non è valido”. La legge tuttavia, per la riscossione esattoriale, limita moltissimo queste opposizioni: l’art. 57 DPR 602/1973 prevede che non sono ammesse opposizioni all’esecuzione contro l’Agente Riscossione tranne che per questioni relative alla pignorabilità dei beni. Ciò significa che se un contribuente vuole sostenere, dopo un pignoramento, che il debito non era da riscuotere (magari perché prescritto o già pagato), teoricamente non potrebbe farlo con l’opposizione all’esecuzione, perché avrebbe dovuto eccepirlo nel ricorso tributario nei termini. Questa norma è stata in parte ritenuta incostituzionale e la giurisprudenza ha aperto qualche spiraglio (ad esempio se il contribuente non ha mai avuto notizia del debito prima del pignoramento, pena violazione del diritto di difesa, si potrebbe ammettere l’opposizione). In pratica però, è rischioso arrivare a questa fase: le possibilità di successo sono ridotte e subordinated a situazioni particolari (es. dimostrare che la notifica della cartella fu inesistente, e quindi il titolo non si è mai formato validamente, rendendo illegittima l’esecuzione).
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): serve a contestare vizi formali degli atti dell’esecuzione. Ad esempio: l’atto di pignoramento non conteneva i requisiti di legge, oppure è stato notificato senza rispettare termini, o ancora la vendita all’asta viene fissata senza avvisare il debitore come dovuto. Questa opposizione deve essere proposta entro 20 giorni dal momento in cui si ha conoscenza dell’atto viziato (solitamente dalla notifica). Nel contesto esattoriale, l’art. 57 DPR 602/73 ammette solo le opposizioni agli atti esecutivi per vizi formali del pignoramento (escludendo quelle verso atti precedenti non più impugnati). Ciò vuol dire che, ad esempio, se la cartella non fu notificata, non la si può impugnare con 617 c.p.c. al momento del pignoramento, perché sarebbe un vizio riguardante un atto precedente (cartella) ormai definitivo: questo andava fatto valere prima. Si potrà opporre il pignoramento per vizi propri (es. mancato avviso 5 giorni prima dell’accesso dell’ufficiale, omissione di qualche avvertimento di legge nell’atto, ecc.). Il giudice competente è il Giudice dell’Esecuzione presso il Tribunale che gestisce il pignoramento (tipicamente il tribunale dove è stato notificato il pignoramento o dove si trova l’immobile, ecc.). Si introduce con ricorso se l’esecuzione è già iniziata (ad es. pendente davanti al giudice) oppure con atto di citazione se ancora non vi è un procedimento (ma in caso di pignoramento in atto, c’è già un fascicolo esecutivo).

In sintesi, meglio non far affidamento sulle opposizioni esecutive come via principale, perché il regime speciale esattoriale ne limita molto l’uso. È preferibile agire entro i termini con il ricorso tributario o al giudice del lavoro, a seconda dei casi. Tuttavia, le opposizioni ex art. 615 e 617 c.p.c. rimangono un paracadute in situazioni estreme: ad esempio, se il contribuente scopre un pignoramento di cui ignorava tutto, potrà presentare un ricorso urgente al giudice dell’esecuzione per far sospendere la procedura, dimostrando che non aveva ricevuto le notifiche e che il credito è prescritto (sperando che il giudice accolga l’eccezione nonostante il dettame dell’art. 57 DPR 602/73).

Tabella riassuntiva giudice/termini: per orientarsi, ecco un breve riepilogo:

  • Cartella/atto per tributi: ricorso alla Corte Giustizia Tributaria entro 60 giorni.
  • Cartella/atto per contributi: ricorso al Tribunale (Lavoro) entro 40 giorni.
  • Cartella per multa (sanzione amm.va): opposizione al Giudice di Pace entro 30 giorni (motivi sostanziali) oppure al Tribunale entro 20/30 giorni per motivi formali a seconda dei casi.
  • Fermo/ipoteca su debito tributario: ricorso tributario 60 gg.
  • Fermo/ipoteca su multa: giudice ordinario (GdP di solito) 30 gg.
  • Avviso di addebito INPS: ricorso Tribunale Lavoro 40 gg.
  • Pignoramento tributario: possibili opposizioni in sede esecuzione (615 cpc, senza termine fisso ma prima che la procedura finisca; 617 cpc, 20 gg dall’atto).
  • In caso di dubbi: se un atto riguarda più tipologie di debito, conviene impugnarlo parallelamente nelle diverse sedi (con l’aiuto di un legale esperto che coordini le azioni) per non rischiare inammissibilità.

Conclusione su competenza: Identificare il giudice giusto è determinante. Un ricorso presentato al giudice sbagliato rischia di essere dichiarato inammissibile dopo mesi, facendoci perdere tempo prezioso e magari facendoci scadere i termini veri. Per questo, affidarsi a un avvocato sin dall’inizio è importante: il professionista saprà qual è la sede competente e come procedere. Nel prossimo paragrafo approfondiremo proprio il ruolo dell’avvocato in queste procedure.

Il ruolo dell’avvocato nel ricorso dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione: quando è obbligatorio o consigliato

Affrontare un ricorso contro Agenzia delle Entrate-Riscossione può essere complesso sia sul piano procedurale sia su quello tecnico-legale. L’avvocato svolge un ruolo chiave nell’assistere il contribuente, ed in alcuni casi la legge prevede espressamente la sua presenza come obbligatoria. Esaminiamo in quali fasi e situazioni è necessario o consigliabile avvalersi di un legale:

  • Nel processo tributario: Per le cause davanti alle Corti di Giustizia Tributaria, la regola generale (art. 12 D.Lgs. 546/92) è che le parti stiano in giudizio con un difensore abilitato. Sono considerati difensori abilitati non solo gli avvocati, ma anche alcuni professionisti iscritti in albi specifici (dottori commercialisti, esperti contabili e consulenti del lavoro, per determinate materie), purché non dipendenti dall’ente impositore. Tuttavia, per le controversie di valore inferiore a 3.000 € è ammessa la difesa personale del contribuente senza assistenza tecnica, se lo desidera. Ciò significa che se la somma contestata (al netto di interessi e sanzioni) è modesta, uno può teoricamente fare da sé. Attenzione: 3.000 € è il valore attuale salvo aggiornamenti futuri (il valore era 2.582,28 € fino a poco tempo fa, ma con la riforma potrebbe essere stata arrotondata a 3.000). Aggiornamento 2025: questa soglia è confermata a 3.000 € per l’esonero dall’assistenza tecnica in Commissione. Sopra tale valore, un avvocato (o altro difensore abilitato) è obbligatorio.
    • Consiglio: Anche se la controversia è di piccola entità e la legge permetterebbe di procedere da soli, è comunque vivamente consigliato consultare un professionista. Gli adempimenti processuali (redazione del ricorso, notifiche via PEC, iscrizione a ruolo telematica, ecc.) sono piuttosto tecnici. Inoltre, un occhio esperto valuta meglio i vizi di merito e procedura. Dunque, l’esonero è una facoltà, ma va usata con prudenza: si rischia altrimenti di commettere errori formali invalidanti.
    • Aziende e società: per le persone giuridiche, la difesa tecnica nel processo tributario è sempre necessaria indipendentemente dal valore (non essendo “persone fisiche”, non possono stare in proprio se non tramite legale rappresentante e avvocato).
    • Scelta del difensore: tipicamente l’avvocato tributarista è la figura di riferimento. I commercialisti talvolta assistono nel merito (sanno calcolare imposte, interessi, ecc.), ma se si arriva in giudizio è meglio avere un avvocato (alcuni commercialisti sono anche abilitati al patrocinio in commissione, ma sono meno). L’ideale è un legale esperto di diritto tributario e di procedura tributaria.
  • Nel processo civile (opposizioni, giudice del lavoro, GdP):
    • Davanti al Tribunale ordinario (sia in funzione di giudice del lavoro per contributi, sia come giudice dell’esecuzione per opposizioni), l’assistenza di un avvocato è sempre obbligatoria per legge, a meno che la causa non rientri nei limiti del giudice di pace. Quindi se state opponendo un avviso INPS o un atto esecutivo in Tribunale, dovete avere un avvocato che redige l’atto e vi rappresenta.
    • Davanti al Giudice di Pace, per le cause di valore fino a circa 1.100 € non è obbligatorio l’avvocato: si può stare in giudizio personalmente. Sopra tale soglia (e certamente molte cartelle/multe lo superano) l’avvocato torna obbligatorio. Anche qui, indipendentemente dall’obbligo legale, è consigliato farsi assistere, perché le procedure hanno formalità che i non addetti ai lavori difficilmente conoscono (ad esempio, rispettare i termini per presentare l’atto di opposizione al GdP, notificare l’atto al Comune o all’ente che ha emesso la multa, depositare correttamente il fascicolo in cancelleria, etc.). Un errore può far perdere la causa o farvi decadere dal diritto.
    • Cause di lavoro (contributi): tecnicamente, nelle cause di lavoro, è ammessa la possibilità che il difensore sia anche un sindacalista o un praticante abilitato, ma trattandosi qui di questioni molto tecniche (contributi e prescrizioni), conviene sempre un avvocato specializzato in diritto del lavoro/previdenziale o in contenzioso contributivo.
  • Consulenza preventiva e valutazione del caso: Un avvocato esperto in materia di riscossione può offrire un grandissimo valore aggiunto prima ancora di iniziare il ricorso. Egli infatti potrà:
    • Esaminare tutti i documenti (cartelle, avvisi, ricevute di notifica) per diagnosticare i vizi e le opportunità di difesa.
    • Verificare se ci sono estremi per procedere oppure se il ricorso avrebbe scarse chance (in tal caso, potrebbe suggerirvi strade alternative, come una rateizzazione o una definizione agevolata se disponibile, per evitare cause inutili).
    • Aiutarvi a reperire la documentazione mancante (ad esempio, facendo richieste di accesso agli atti per ottenere le relazioni di notifica dalla AdER, o consultando l’estratto di ruolo).
    • Valutare con competenza la convenienza economica del ricorso: se la somma è piccola, il costo del contenzioso potrebbe superare il beneficio. L’avvocato vi darà un’idea dei costi e dei rischi, così da fare una scelta consapevole.
  • Fase di redazione del ricorso: L’avvocato prepara materialmente il ricorso, redigendo l’atto in linguaggio tecnico-giuridico appropriato, citando le norme di legge, la giurisprudenza (sentenze favorevoli simili al vostro caso) e costruendo una linea argomentativa solida. Inoltre, cura gli aspetti formali: indica l’ufficio giudiziario competente, individua i convenuti corretti, calcola il valore della causa per il contributo unificato, appone la firma digitale e procede alle notifiche via PEC (ormai quasi tutte le notifiche di ricorsi avvengono telematicamente). Queste operazioni sono molto specifiche e un non addetto rischierebbe di sbagliare.
  • Deposito e gestione del processo: Nel processo tributario telematico, il difensore si occupa di costituirsi in giudizio depositando il ricorso notificato e i documenti sul portale della Giustizia Tributaria. Nel processo civile, provvede al deposito telematico nel registro del tribunale. Segue poi le comunicazioni di cancelleria, le eventuali memorie da presentare, partecipa alle udienze (di persona o da remoto, secondo le disposizioni), discute la causa. Un cittadino da solo non avrebbe accesso ai sistemi telematici né saprebbe come navigare tra gli atti processuali.
  • Fase esecutiva e cautelare: In situazioni di urgenza – ad esempio quando pende un pignoramento in arrivo o un fermo auto già iscritto che blocca l’attività – l’avvocato può predisporre richieste di sospensione dell’atto impugnato, da sottoporre al giudice. Vedremo più avanti che è possibile chiedere al giudice tributario la sospensione della cartella o al giudice dell’esecuzione la sospensione del pignoramento: si tratta di atti formali (istanze motivate) in cui il legale deve dimostrare il periculum (danno grave e irreparabile in atto) e il fumus boni iuris (la fondatezza del ricorso), seguendo standard specifici. La conoscenza della prassi del tribunale o commissione di competenza aiuta il legale a impostare bene queste richieste e ad evidenziare i punti giusti affinché vengano accolte.
  • Quando ci si può difendere da soli? Come già evidenziato, la difesa “fai da te” è permessa solo in casi limitati e con grande cautela. Potrebbe essere considerata per situazioni molto semplici e di modesta entità, ad esempio: una cartella sotto 1000 € dove è evidente un errore materiale e magari si vuole tentare un ricorso in autotutela prima (ma anche in questi casi, se si arriva al contenzioso, meglio il legale). Per atti complessi come un’ipoteca o un pignoramento, anche un piccolo errore procedurale nella preparazione del ricorso può compromettere tutto.
  • Costi vs benefici dell’avvocato: È innegabile che coinvolgere un avvocato comporta dei costi (che vedremo nella sezione dedicata ai costi legali), ma occorre valutarli in relazione al rischio economico di non fare ricorso o di farlo male. Un legale ben preparato può farvi risparmiare migliaia di euro di debito annullando un atto illegittimo. Inoltre, in caso di vittoria, una parte delle spese legali può essere posta a carico dell’ente soccombente (il giudice può liquidare le spese di giudizio a vostro favore). Anche l’eventuale gratuito patrocinio (di cui parleremo) può coprire le spese di un avvocato per i non abbienti. Pertanto, rinunciare al ricorso per “non pagare l’avvocato” spesso è un falso risparmio che porta a dover poi pagare tutto il debito più interessi.
  • Coordinamento con altri professionisti: A volte l’avvocato lavorerà in team con il vostro commercialista o consulente del lavoro, soprattutto per preparare il materiale documentale (es. farvi avere estratti contabili, calcoli di interessi, estratti contributivi INPS). Queste sinergie sono utili perché l’avvocato cura l’aspetto legale, mentre il consulente fiscale/previdenziale può supportare con i conteggi e l’interpretazione della normativa di settore.
  • Assistenza anche nella fase stragiudiziale: Prima di ricorrere al giudice, un legale può intervenire per vostro conto presentando istanze di autotutela all’ente (richiesta bonaria di annullamento se c’è un errore evidente), o trattando piani di rateizzazione o soluzioni con AdER se l’obiettivo è solo guadagnare tempo. Queste attività stragiudiziali possono risolvere alcune questioni senza arrivare in aula. Ad esempio, se c’è un errore lampante (tassa già pagata) l’avvocato può presentare un’istanza con le prove di pagamento e spesso AdER/ente annullano la cartella in autotutela, evitando il ricorso. Chiaramente ciò non sempre accade, ma tentare attraverso un professionista può avere più peso che farlo da soli.

In quali fasi è obbligatorio l’avvocato? Ricapitolando:

  • Ricorso tributario: obbligatorio oltre 3.000 € di valore; sotto, facoltativo ma consigliato.
  • Opposizione a avviso INPS: obbligatorio (tribunale).
  • Opposizione a cartella per multe: se in GdP sotto 1.100 € facoltativo, altrimenti obbligatorio.
  • Opposizioni esecutive in tribunale: obbligatorio.
  • Appello e Cassazione: sempre obbligatorio (in Cassazione addirittura servono avvocati abilitati alle giurisdizioni superiori).
  • Anche per la Cassazione tributaria è richiesto un avvocato iscritto in speciale albo.

In conclusione, il ricorso contro AdER non è un terreno adatto all’improvvisazione. Il supporto di un avvocato esperto in diritto tributario/esecutivo è determinante per navigare tra norme, scadenze e formalità. Nei prossimi paragrafi, dando per scontato che abbiate un avvocato al vostro fianco (o comunque seguendo le sue indicazioni), descriveremo nel concreto come si svolgono le procedure di ricorso, sia nel canale tributario sia in quello civile, e come strutturare l’atto di impugnazione.

Procedure di ricorso in ambito tributario

Analizziamo ora passo dopo passo come presentare un ricorso tributario contro un atto di Agenzia Entrate-Riscossione. Ci concentreremo sul caso di un contribuente che impugna, ad esempio, una cartella di pagamento o altro atto esattoriale davanti alla Corte di Giustizia Tributaria (primo grado). Le fasi principali sono: la predisposizione del ricorso scritto, la notifica alle controparti e la costituzione in giudizio depositando l’atto presso la Corte tributaria, seguite poi dall’iter processuale vero e proprio (eventuale mediazione, udienza, sentenza). Ecco i dettagli:

1. Predisposizione del ricorso scritto – Il ricorso è l’atto introduttivo del giudizio tributario. Esso deve essere redatto in conformità all’art. 18 e 19 del D.Lgs. 546/92. Gli elementi fondamentali che deve contenere (approfonditi nella sezione successiva “Struttura e elementi del ricorso”) sono:

  • Le generalità del ricorrente (nome, cognome/denominazione, codice fiscale, domicilio).
  • L’ente convenuto (Agenzia delle Entrate-Riscossione ed eventualmente l’ente impositore come Agenzia Entrate, Comune, etc., con relativi indirizzi o domicili digitali).
  • L’atto impugnato: va specificato di quale atto si tratta (es: “cartella di pagamento n. 12345678901234, notificata il 10 marzo 2025”) con estremi precisi.
  • I motivi di ricorso: qui si espongono in maniera ordinata le ragioni di fatto e di diritto per cui si chiede l’annullamento o la modifica di quell’atto (es: “Violazione di legge X, in quanto la cartella risulta notificata a un indirizzo errato…”, “eccezione di prescrizione ai sensi dell’art. …”, ecc.).
  • Le conclusioni (richiesta): tipicamente si chiede alla Corte di Giustizia Tributaria di annullare l’atto impugnato e di conseguenza dichiarare non dovute le somme, con vittoria di spese di giudizio.
  • Luogo, data e firma del difensore (o della parte se sta in proprio nei limiti consentiti).
  • Procura alle liti: se c’è un avvocato, va allegata o inserita una procura firmata dal cliente che autorizza il legale a rappresentarlo (nel processo tributario è spesso apposta in calce al ricorso stesso).
  • Documenti allegati: il ricorso deve essere accompagnato da copia dell’atto impugnato e delle ricevute di notifica (se disponibili), dai documenti su cui si fondano i motivi (es: ricevute di pagamenti effettuati, provvedimenti di sgravio, estratti di ruolo, corrispondenza), e da una certificazione del valore della causa (necessaria per il contributo unificato).

L’avvocato redige il ricorso in formato digitale (oramai è tutto telematico) e lo firma digitalmente. È importante utilizzare i formati accettati (PDF sottoscritto digitalmente in formato PADES) e rispettare i limiti dimensionali eventualmente richiesti dal sistema.

2. Calcolo del contributo unificato e marca da bollo – Il processo tributario richiede il pagamento di un contributo unificato (una tassa di iscrizione a ruolo) il cui importo dipende dal valore della controversia. Il valore è dato dall’importo del tributo o somma contestata (senza sanzioni e interessi se si contestano solo quelli? ma in genere si prende l’intero importo iscritto a ruolo se si chiede l’annullamento totale). Le soglie attualmente sono:

  • Valore fino a € 2.582,28: C.U. € 30
  • Da € 2.582,29 a € 5.000: C.U. € 60
  • Da € 5.000,01 a € 25.000: C.U. € 120
  • Da € 25.000,01 a € 75.000: C.U. € 250
  • Da € 75.000,01 a € 200.000: C.U. € 500
  • Oltre € 200.000: C.U. € 1.500 (Queste cifre includono gli aggiornamenti degli ultimi anni e sono valide al 2025). Se la controversia ha valore indeterminabile (caso raro in materia tributaria), il C.U. è € 120.

Il contributo unificato va versato con modello F23/F24 o tramite pagoPA secondo le istruzioni fornite dal Portale Giustizia Tributaria. In sede di deposito telematico va allegata la quietanza di pagamento (in formato PDF). Inoltre, è dovuta una marca da bollo da € 27 per diritti di segreteria, in caso di deposito cartaceo; ma nel telematico spesso non serve la marca a parte, poiché è inclusa nel contributo o si paga con F23.

Se il contribuente è ammesso al gratuito patrocinio, è esente dal pagamento di contributo unificato e altre spese di giustizia (tratteremo più avanti le condizioni per l’ammissione). L’avvocato in tal caso allega il decreto di ammissione.

3. Notifica del ricorso alle controparti – Il ricorso, una volta firmato e pronto, va notificato ai soggetti controinteressati (AdER e/o ente impositore). Dal 2018-2019, con l’obbligatorietà del processo tributario telematico (PTT), la notifica avviene preferibilmente a mezzo PEC:

  • Si invia il ricorso a mezzo PEC all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’Agenzia Entrate-Riscossione (che è presente in appositi registri pubblici, ad esempio per AdER c’è un indirizzo PEC per regione/provincia) e, se c’è anche Agenzia Entrate o altro ente, agli indirizzi PEC di questi. L’invio PEC deve provenire dalla casella PEC del difensore o della parte (se sta in proprio).
  • Nella PEC si indica l’oggetto (es: “Notifica ricorso tributario di Tizio c/ AdER – Cartella n…”) e si allega il ricorso firmato digitalmente e la procura (oltre eventuali allegati se richiesti in notifica, ma in genere basta l’atto principale con procura). È buona norma allegare anche l’atto impugnato per conoscenza.
  • La notifica via PEC si considera perfezionata quando il sistema genera la ricevuta di consegna. Quelle ricevute (accettazione e consegna) vanno scaricate e conservate perché poi serviranno per provare l’avvenuta notifica.
  • Se, per qualche motivo, la notifica via PEC non è possibile (ad esempio l’indirizzo PEC del destinatario non è attivo o non risulta), si può notificare in modalità tradizionale: tramite l’ufficiale giudiziario (che consegna materialmente copia cartacea dell’atto) oppure mediante raccomandata a/r nei casi consentiti. Tuttavia, AdER e gli enti pubblici sono tenuti ad avere PEC, quindi la via telematica è la regola.
  • Nella notifica, il ricorso non è ancora protocollato in tribunale: è come “ante causam”. Questo perché nel processo tributario la sequenza è: prima notifichi all’ente, poi depositi il ricorso in Corte entro 30 giorni dalla notifica.

4. Costituzione in giudizio (deposito del ricorso) – Dopo aver notificato il ricorso, il contribuente (il suo avvocato) deve costituirsi presso la Corte di Giustizia Tributaria, presentando il ricorso e i documenti. Con il processo telematico, questa fase avviene online:

  • Ci si collega al Portale della Giustizia Tributaria (SIGIT) con le credenziali fornite (l’avvocato utilizza le proprie credenziali o SPID).
  • Si crea un nuovo “Fascicolo informatico” relativo al ricorso, inserendo i dati richiesti: anagrafica del ricorrente, dei resistenti, estremi atto impugnato, valore della controversia, importo C.U. versato, ecc.
  • Si caricano i file: il ricorso notificato (in pratica lo stesso PDF inviato via PEC, completo di firma digitale e procura), le ricevute di PEC a prova della notifica, la copia dell’atto impugnato, la ricevuta di pagamento del contributo unificato, l’eventuale documentazione comprovante i motivi (es. copia delle ricevute di una raccomandata per dimostrare tardiva notifica, copia di un provvedimento di sgravio, ecc.). È buona norma predisporre un indice dei documenti allegati.
  • Una volta inseriti tutti i documenti, si conferma l’invio. Il sistema rilascia (sempre via PEC o scaricabile) l’attestazione di avvenuta costituzione, con un numero di protocollo e data.
  • Il termine per costituirsi è 30 giorni dalla data di notifica del ricorso. Se non si deposita entro tale termine, il ricorso (pur notificato) viene dichiarato improcedibile, ossia non verrà esaminato. Questo termine è tassativo.
  • Da questo momento, il ricorso è ufficialmente pendente dinanzi alla Corte tributaria. La segreteria assegnerà un numero di R.G. (ruolo generale) e la sezione competente.

5. Fase di trattazione del ricorso – Dopo la costituzione, la palla passa in parte alla controparte e al giudice:

  • AdER e/o l’ente impositore riceveranno la notifica via PEC e potranno a loro volta costituirsi in giudizio presentando memorie difensive (il cosiddetto “controdeduzioni”) entro 60 giorni dal ricevimento del ricorso. In tali controdeduzioni, l’ufficio spiegherà perché secondo loro il ricorso è infondato, può produrre documenti (ad es. le relate di notifica contestate, il ruolo, ecc.) e può chiedere il rigetto del ricorso. Il loro deposito avviene anch’esso telematicamente.
  • Se il valore era entro 50.000 € e il ricorso è stato proposto prima del 2024, potrebbe essere ancora in corso la fase di mediazione: l’ufficio potrebbe formulare una proposta di mediazione o accogliere parzialmente il reclamo. Ma dal 2024, come detto, non c’è più questa pausa, quindi la causa va avanti diretta.
  • Il presidente della sezione tributaria fissa l’udienza di trattazione o decide per la trattazione in camera di consiglio (spesso le cause tributarie sono decise senza presenza delle parti, “in camera di consiglio”, salvo che il contribuente o l’ente chiedano espressamente pubblica udienza). In ogni caso, al difensore verrà comunicata (di solito via PEC) la data di trattazione.
  • Prima dell’udienza, vi sono termini per eventuali memorie aggiuntive: nel processo tributario le parti possono depositare memorie fino a 5 giorni prima dell’udienza per replicare a difese avversarie o segnalare documenti sopravvenuti (i termini sono: 30 giorni prima per memorie integrative, 20 giorni prima per repliche, 10 giorni prima per memorie di sola replica alle repliche; ma questo dettaglio è tecnico e gestito dal legale).
  • Sospensione cautelare: se nel ricorso è stata fatta richiesta di sospensione dell’atto impugnato (molto comune per cartelle e intimazioni, per evitare nel frattempo l’esecuzione), il presidente può fissare un’udienza ad hoc per discutere la sospensiva in tempi brevi (anche entro 1-2 mesi dalla presentazione del ricorso). All’udienza cautelare, il legale del ricorrente dovrà dimostrare il pericolo di danno grave (ad es. un fermo che paralizza l’auto del contribuente, o un pignoramento imminente) e la fondatezza del ricorso. Se la Corte accoglie la richiesta, emetterà un’ordinanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della cartella/atto fino alla decisione di merito.

6. Decisione di primo grado – La Corte di Giustizia Tributaria di primo grado esamina il merito del ricorso e adotta una sentenza. La sentenza può:

  • Accogliere totalmente il ricorso: l’atto impugnato viene annullato integralmente (o dichiarato nullo, inefficace, ecc., a seconda dei motivi). Ciò significa che, ad esempio, la cartella è annullata e il debito relativo non è più esigibile.
  • Accogliere parzialmente: il giudice potrebbe riconoscere alcuni motivi e non altri. Ad esempio annulla le sanzioni per prescrizione ma mantiene il tributo, oppure annulla solo una parte degli importi richiesti. Oppure, come talvolta avviene, riduce l’ipoteca ad un importo minore se era sproporzionata, ecc.
  • Rigettare il ricorso: conferma la legittimità dell’atto impugnato. In tal caso, il contribuente risulta soccombente e l’atto rimane valido.
  • Dichiarare il ricorso inammissibile o improcedibile: se c’è un vizio nel ricorso stesso (presentato fuori termine, a giudice incompetente, mancanza di notifica valida, ecc.), il giudice potrebbe non entrare nel merito e chiudere la causa con una pronuncia di rito sfavorevole al ricorrente. Ciò di solito equivale, nella sostanza, a perdere (perché l’atto rimane valido essendo mancato un annullamento).
  • Dispositivo e spese: la sentenza contiene un dispositivo che sancisce l’esito e di solito regola le spese di lite. Se il contribuente vince, può ottenere la condanna dell’ente alle spese (in tutto o in parte, a seconda di come il giudice esercita il suo potere discrezionale); se perde, può essere condannato a pagare le spese sostenute dall’ufficio (che però in queste cause sono limitate perché l’Avvocatura dello Stato o i funzionari difensori non percepiscono onorari privati, dunque spesso si compensano le spese).

La sentenza di primo grado viene depositata e notificata d’ufficio via PEC alle parti.

7. Impugnazione in appello – Se una delle parti non è soddisfatta, può impugnare la sentenza di primo grado:

  • L’appello va proposto alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (ex Commissione Regionale) entro 60 giorni dalla notifica della sentenza (oppure entro 6 mesi dal deposito, se non notificata). L’atto di appello è un nuovo ricorso che contesta gli errori della sentenza di primo grado.
  • Durante l’appello, la sentenza di primo grado è esecutiva, ma si può chiedere la sospensione in secondo grado se nel frattempo AdER intende procedere (ad esempio per riscuotere comunque, se il contribuente aveva perso e non ha pagato).
  • Anche in appello serve l’avvocato (sempre obbligatorio).
  • L’appello ricalca il processo di primo grado come fasi (ricorso in appello, notifica via PEC, costituzione, udienza, sentenza). È un giudizio di merito di secondo grado.

8. Ricorso per Cassazione – Dopo la decisione in secondo grado, rimane eventualmente il ricorso in Cassazione (terzo grado) ma limitato a motivi di legittimità (errori di diritto). In Cassazione è necessaria l’assistenza di un avvocato abilitato alle magistrature superiori. I termini sono 60 giorni dalla notifica della sentenza di appello. La Cassazione può confermare o cassare la sentenza impugnata. Si tratta comunque di un livello avanzato e lungo, che esula da questa guida di base; basti sapere che esiste come eventuale ultimo rimedio.

In generale, per molti contribuenti l’iter si ferma al primo grado o all’appello, a seconda dell’esito. Vincere in primo grado spesso risolve la questione, mentre se si perde magari si opta per pagare o trovare un accordo transattivo col fisco (ci sono meccanismi di conciliazione anche in appello, e spesso se la questione è incerta l’Agenzia potrebbe offrire una definizione parziale). Tempistica: un processo tributario di primo grado può durare da pochi mesi (in alcune commissioni rapide) fino a 1-2 anni; l’appello altri 1-2 anni; Cassazione anche di più. Nel frattempo, se l’atto non è sospeso, AdER potrebbe procedere comunque dopo la sentenza sfavorevole di primo grado, e riscuotere, salvo poi restituire se il contribuente vince in appello (questo è un rischio delle tempistiche da considerare).

Nota bene: Tutto quanto sopra riguarda atti riferiti a tributi. Se stessimo impugnando un atto per contributi INPS o altre entrate in sede civile, la procedura sarebbe diversa (ricorso al tribunale, tempi e formalità del processo civile/lavoro), come vedremo brevemente nella prossima sezione dedicata all’ambito civile. Tuttavia, molti elementi (contenuto dell’atto introduttivo, necessità di prova notifiche, ecc.) sono analoghi.

Procedure di ricorso in ambito civile (opposizioni a cartelle, fermi, pignoramenti)

Quando l’atto da impugnare non rientra nella giurisdizione tributaria, occorre seguire le procedure civili ordinarie. Ciò avviene, ad esempio, per:

  • Opposizioni a avvisi di addebito INPS o cartelle di contributi (Tribunale sez. lavoro).
  • Opposizioni a cartelle relative a sanzioni amministrative o altre entrate non tributarie (Giudice di Pace o Tribunale ordinario).
  • Opposizioni in sede di esecuzione forzata (Tribunale ordinario – esecuzioni).
  • Altre ipotesi specifiche (es. ricorso contro diniego di rateizzazione – in quel caso competente è il giudice ordinario in via di cognizione, ma è un tema a parte).

Vediamo separatamente i principali tipi di procedimenti civili che possono interessare:

Ricorso al Tribunale (giudice del lavoro) per avviso di addebito INPS

Per contestare un avviso di addebito INPS (o cartella per contributi previdenziali):

  • Atto introduttivo: si utilizza un ricorso al Tribunale in funzione di giudice del lavoro (art. 442 e segg. c.p.c.). Questo ricorso è simile nella struttura a quello tributario: indica attore (contribuente) e convenuto (INPS e AdER eventualmente), descrive l’atto impugnato e i motivi (es. “il credito contributivo è prescritto ai sensi della L.335/1995…”, “violazione del contraddittorio amministrativo…” etc.), e contiene le conclusioni (es. annullamento dell’avviso).
  • Termine: va depositato entro 40 giorni dalla notifica dell’avviso. Si deposita direttamente in Tribunale (non c’è una notifica preventiva come nel processo tributario; qui la controparte verrà poi citata dal Tribunale).
  • Iscrizione a ruolo: il ricorso si deposita presso la cancelleria lavoro del Tribunale competente, assieme ai documenti (avviso impugnato, eventuali documenti INPS ricevuti, ecc.) e alla nota di iscrizione a ruolo. Il contributo unificato in questo caso segue le regole del processo civile: dipende dal valore. Esempio: se il valore supera € 52.000, il CU è € 1.214; se inferiore, scende secondo scaglioni (es: 26€ fino a 1.100€, 98€ fino a 5.200€, 237€ fino a 26.000€, 518€ fino a 52.000€, poi 1.214€ e oltre 2.432€ sopra 260.000 €). In più, marca da bollo da € 27.
  • Avvio del giudizio: la cancelleria fissa un’udienza di comparizione delle parti. L’attore (contribuente) deve notificare il ricorso e il decreto di fissazione udienza all’INPS e ad AdER. Questa notifica in genere viene eseguita dall’avvocato via UNEP (ufficiale giudiziario) o PEC se possibile. In pratica, diversamente dal processo tributario dove prima notifichi e poi depositi, qui depositi il ricorso in tribunale e poi il tribunale emette un atto (decreto) che tu notifiche al convenuto.
  • Fase di merito: all’udienza fissata, il giudice del lavoro tenta una conciliazione (di solito con enti pubblici non si concilia se non in forma di pagamento rateale, ecc.). Poi, se non c’è accordo, dispone il calendario delle memorie (tipo un termine all’INPS per depositare memoria difensiva – comparsa di risposta, e all’attore per eventuale replica) e poi istruzione della causa. In materia contributiva spesso l’istruttoria è documentale, raramente testimoniale.
  • Sospensione: anche qui, si può chiedere una sospensione provvisoria dell’efficacia dell’avviso se c’è un danno grave (ad esempio, se l’INPS tramite AdER sta per pignorare). Il giudice può emettere ordinanza di sospensione simile a quella tributaria.
  • Sentenza: il Tribunale dopo la fase istruttoria pronuncia la sentenza, che potrà annullare l’avviso (totalmente o in parte, es. riconoscere solo alcuni periodi prescritti), oppure rigettare l’opposizione confermando il debito.
  • Appello: in materia di lavoro/previdenza, la sentenza del Tribunale è appellabile alla Corte d’Appello entro 30 giorni dalla notifica (termine breve) o 6 mesi dal deposito (termine lungo). In appello, stesse regole di rappresentanza (avvocato necessario).

Questo procedimento è obbligatorio per contestare il merito di crediti previdenziali. Non si può adire il giudice tributario né altri per questioni come “non dovevo pagare quei contributi”. Se uno saltasse i 40 giorni, l’avviso diviene definitivo come un giudicato. Potrà poi solo discutere di eventuali vizi formali mediante opposizione agli atti esecutivi, ma con le restrizioni già viste.

Opposizione a cartella per sanzione amministrativa (multa)

Se si riceve una cartella per una multa stradale (o altra sanzione amministrativa) e si intende contestarla:

  • Motivi possibili: tipicamente, o la multa originaria non fu mai notificata nei termini (quindi la cartella sarebbe illegittima perché il titolo è caduto) oppure errori di persona, prescrizione dei 5 anni, pagamento già effettuato della multa originaria, ecc. Questi sono motivi di merito sulla sanzione.
  • Giudice competente: per multe stradali, il Giudice di Pace del luogo dell’infrazione (o del luogo dove si è svolto il procedimento sanzionatorio). Per altre sanzioni (es. amministrative ex L.689/81 di competenza prefettizia, tipo sanzioni amministrative generiche), ancora GdP se rientra nel suo valore, altrimenti Tribunale.
  • Procedura: la legge prevede che entro 30 giorni dalla notifica della cartella, l’interessato presenti un ricorso in opposizione. Nel caso di multe stradali, questo ricorso si chiama comunemente “ricorso al Giudice di Pace ex art. 615 c.p.c. e art. 7 D.Lgs. 150/2011”. Si propone con deposito di un atto in cancelleria GdP (o via PEC se il GdP lo permette, alcuni hanno sistemi telematici limitati) e notifica alle controparti (es: Prefettura se la multa era della Polizia, oppure Comune se la multa era dei vigili).
  • Contenuto dell’atto: molto simile a un atto di citazione civile: indicazione delle parti, dell’atto (cartella) e del verbale o ordinanza originaria, motivi di opposizione (es: “il verbale di multa n. XYZ non mi è mai stato notificato nei termini di legge, quindi la pretesa è estinta ai sensi dell’art. 14 L.689/81”), e richiesta finale (annullare cartella e verbale).
  • Udienza: il Giudice di Pace fissa udienza (spesso abbastanza vicina, entro qualche mese). All’udienza, discute la causa; può ammettere prove (es. far esibire alla Prefettura le relate di notifica del verbale).
  • Decisione: emette sentenza. Se accoglie, annulla la cartella e spesso il verbale originario (in caso di vizi gravi come mancanza di notifica). Se rigetta, la cartella resta dovuta.
  • Appello: per le decisioni del GdP, c’è appello in Tribunale entro 30 giorni.

Se la cartella concerne sanzioni diverse (es. sanzioni per violazioni fiscali non penali ma amministrative, oppure sanzioni di autorità amministrative), bisogna vedere la legge speciale: di solito comunque l’opposizione a cartella per sanzione amministrativa segue queste linee generali.

Nota: Spesso le persone che scoprono una multa solo dalla cartella usano anche un altro escamotage: fare ricorso al Prefetto o all’autorità competente sostenendo di non aver mai ricevuto la multa. Però quando ormai c’è una cartella, la procedura corretta è il giudice, non più l’autorità amministrativa.

Opposizioni agli atti esecutivi (pignoramenti)

Se la vicenda è arrivata al pignoramento (su conto, stipendio, immobile):

  • Per contestare motivi di merito (es: “non dovevo pagare”), come detto, l’opposizione all’esecuzione è inibita tranne poche eccezioni. Quindi, se c’è un pignoramento e non avete mai contestato prima, comunque conviene impostare un ricorso 615 c.p.c. per far valere eventuali cause di inesigibilità del credito, ma occorre un avvocato che valuti se il giudice dell’esecuzione lo prenderà in esame.
  • Per motivi formali del pignoramento: va fatta un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.). Esempio: AdER ha pignorato il conto senza attendere i 5 giorni dall’intimazione (violazione art. 50 DPR 602/73) – anche se, attenzione, come dicevamo, per fermo e ipoteca non serviva intimazione, ma per pignoramento sì se oltre 1 anno. Oppure la notifica del pignoramento è nulla. Oppure nell’atto non è indicato il titolo o l’autorità, ecc.
    • Termine: 20 giorni da quando si ha conoscenza dell’atto viziato. Se parliamo di un atto di pignoramento notificato, 20 giorni dalla sua notifica.
    • Giudice: il Tribunale del luogo dell’esecuzione (se pignoramento immobiliare, tribunale dove l’immobile; se presso terzi, tribunale del luogo del terzo o del debitore come per esecuzioni ordinarie, di solito domicilio debitore).
    • Forma: se l’esecuzione è già pendente (es. c’è un numero di procedura esecutiva), l’opposizione si fa con ricorso da depositare in quella procedura esecutiva, chiedendo al GE (Giudice Esecuzione) di fissare l’udienza. Se invece l’esecuzione non è ancora formalmente pendente (situazione rara: l’atto di pignoramento è il primo atto, ma in realtà in quel momento la procedura si considera iniziata), si può anche fare con atto di citazione in opposizione ex art. 617 cpc da iscrivere a ruolo e poi il giudice la riunirà all’esecuzione.
    • L’atto di opposizione illustrerà il vizio e chiederà l’annullamento o la correzione dell’atto esecutivo viziato.
    • Sospensione: va chiesta con istanza al GE (magari contestuale al ricorso). Il giudice dell’esecuzione può sospendere la procedura se il vizio appare grave e le ragioni fondate, altrimenti la procedura potrebbe andare avanti in parallelo al giudizio di opposizione.
    • Decisione: l’opposizione agli atti viene decisa con ordinanza o sentenza (a seconda se decisa in udienza o dopo eventuale istruttoria breve). Se accolta, l’atto esecutivo viziato viene annullato (ad esempio il pignoramento dichiarato nullo). Questo non sempre chiude la partita: AdER potrebbe teoricamente ripetere l’atto in modo corretto se nel frattempo il debito rimane (salvo la pronuncia evidenzi anche motivi sostanziali).
    • Appello: contro la decisione su 617 c.p.c. si può fare reclamo o appello a seconda dei casi (c’è una vexata quaestio su che mezzo impugnatorio adottare, ma di regola, essendo in primo grado Tribunale monocratico, si fa appello in Corte d’Appello).
  • Opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.: qualora proponibile (pignorabilità dei beni, ecc.). Esempio classico: AdER pignora un bene che per legge è impignorabile. Caso concreto: stipendio inferiore al minimo vitale interamente pignorato; prima casa impignorabile su cui erroneamente si avvia espropriazione; pignoramento di beni di un terzo pensando fossero del debitore. In queste situazioni l’opposizione all’esecuzione è ammessa perché il Codice la consente per eccepire la non pignorabilità o la proprietà altrui (ci sarebbe anche l’opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. se un terzo rivendica la proprietà di un bene pignorato come proprio).
    • Termine: se il pignoramento non è ancora avvenuto, l’opposizione all’esecuzione può essere fatta in via preventiva senza termini (detta opposizione pre-esecutiva). Se il pignoramento è già notificato, va introdotta ma non c’è un termine perentorio fisso, salvo farlo prima che l’esecuzione sia terminata (ovviamente).
    • Forma: spesso con atto di citazione (se iniziativa prima del pignoramento) oppure con ricorso al GE se a esecuzione avviata.
    • Sospensione: si chiede al GE la sospensione dell’esecuzione.
    • Decisione: il tribunale deciderà se l’esecuzione può procedere o no. Se accoglie l’opposizione, dichiara improcedibile l’esecuzione (es: “non si può espropriare quell’immobile perché prima casa impignorabile ai sensi dell’art.76 DPR 602/73”). Se rigetta, l’esecuzione prosegue.

Considerazioni finali sulle procedure civili

Le procedure civili di opposizione sono più eterogenee rispetto a quelle tributarie. Ogni scenario (contributi, multe, esecuzione) ha le sue peculiarità normative. Però alcune costanti:

  • I termini sono brevi (20, 30, 40 giorni) e vanno rispettati.
  • Si lavora con atti di citazione o ricorsi a seconda del caso, quindi è indispensabile l’avvocato (che rediga questi atti correttamente citando le norme di procedura e sostanza).
  • La controparte sarà rappresentata tipicamente dall’Avvocatura dello Stato (per INPS, Agenzia Entrate, Prefettura) o da legali interni/esterni di AdER, che solleveranno eccezioni formali e di merito.
  • Il giudizio civile può prevedere spese di giudizio a carico di chi perde, spesso più elevate rispetto a quelle tributarie (tariffe forensi).
  • I tempi possono variare: un giudizio davanti al GdP magari è rapido (qualche mese), uno in Tribunale lavoro può durare 1 anno o più, opposizioni esecutive sono abbastanza veloci (qualche mese, perché c’è urgenza di solito).
  • Anche qui, esiste il grado di appello (Corte d’Appello) e Cassazione come rimedi ulteriori.

In pratica, seguiti da un legale, voi contribuente dovrete:

  • Fornire tutti i documenti al vostro avvocato.
  • Firmare la procura e gli atti che vi sottoporrà.
  • Versare eventuali contributi unificati (che il legale vi indicherà).
  • Partecipare alle udienze se richiesto (in genere solo se dovete rendere dichiarazioni, ma raramente in queste cause il contribuente parla; più facile in GdP per multe, dove magari il giudice chiede al ricorrente di spiegare, ma sempre affiancato dal legale).
  • Attendere gli esiti e, in caso di vittoria, verificare che l’atto sia annullato e che AdER interrompa l’azione.

Nel prosieguo della guida, molti concetti pratici (sospensioni, contenuto del ricorso, documenti da allegare) valgono trasversalmente sia per i ricorsi tributari che per le opposizioni civili. Di seguito ci concentreremo su come strutturare il ricorso e su alcune strategie difensive ricorrenti, che possono essere applicate in entrambi gli ambiti.

Struttura e elementi fondamentali del ricorso

Indipendentemente dal tipo di procedimento (tributario o civile), il contenuto di base di un ricorso/opposizione contro un atto della riscossione segue uno schema abbastanza consolidato. Avere una struttura ordinata aiuta a presentare in modo chiaro il proprio caso e facilita il compito del giudice nella comprensione dei fatti e delle richieste. Qui descriviamo i principali elementi che non devono mai mancare in un ricorso, offrendo anche qualche esempio pratico di formulazione.

1. Intestazione dell’atto e autorità adita

In cima al ricorso va indicato a quale organo giurisdizionale è rivolto. Esempi:

  • Nel caso di ricorso tributario:
    “Alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di [Nome della Provincia/Regione]”. (Ad esempio: “Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano”). Poiché siamo nella fase introduttiva, non si indica sezione o numero (sarà assegnato poi).
  • Nel caso di ricorso al Tribunale (lavoro o esecuzione):
    “Al Tribunale Ordinario di [Città], Sezione Lavoro” (per contributi) oppure
    “Al Tribunale Ordinario di [Città]” (per opposizione esecuzione, eventualmente aggiungendo “RG Esecuzioni n…/anno” se già pendente).
  • Nel caso di Giudice di Pace:
    “Al Giudice di Pace di [Città]”.

Questa intestazione chiarisce subito il foro competente.

2. Dati del ricorrente (o attore opponente)

Subito dopo, si indicano le generalità di chi propone ricorso:

  • Nome e cognome (o ragione sociale se azienda), codice fiscale/partita IVA.
  • Residenza o domicilio (per persona fisica) / sede (per società).
  • Eventuale elezione di domicilio (non fondamentale se poi c’è difesa tecnica con PEC).
  • Se assistito da avvocato: “rapprentato e difeso dall’Avv. … (CF …) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in …, come da procura in calce/allegata”.
  • Se la parte sta in proprio (nei casi consentiti): “… che si rappresenta personalmente ai sensi dell’art. … D.Lgs.546/92 (difesa personale, valore causa € …) indicando il proprio domicilio in … e recapito PEC …”.
  • Esempio pratico:
    Ricorrente: Sig. Mario Rossi, C.F. RSSMRA60A01H501X, residente in Firenze (FI), Via dei contribuenti n. 10, rappresentato e difeso dall’Avv. Lucia Bianchi (C.F. BNCLCU80….) ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Firenze, Via Legale 5, giusta procura in calce al presente atto”.
    Oppure, per un’azienda:
    Ricorrente: Alfa S.p.A., P.IVA 01234567890, con sede legale in Roma, Via Esempio 1, in persona del legale rappresentante pro tempore Sig. …, rappresentata e difesa dall’Avv. …, etc.”.

Questa parte identifica chiaramente chi siamo e la nostra legittimazione.

3. Dati del resistente (o convenuto)

Qui si indicano le controparti, ovvero coloro nei cui confronti il ricorso è proposto:

  • Se ricorso tributario per cartella: “contro Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede legale in Roma, via…, e direzione provinciale in … (se si vuole specificare l’ufficio locale)”. E se serve: “nonché contro [Ente impositore] (es. Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di …) in persona del Direttore pro tempore, con sede in …”.
  • Se ricorso contro avviso INPS: “contro I.N.P.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Roma, Via Ciro il Grande 21, e sede provinciale in …, e contro Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona….”.
  • Se opposizione a cartella per multa: “contro Prefettura di …/Comune di …, in persona del Prefetto/Sindaco pro tempore, con sede…” e “contro Agenzia Entrate-Riscossione…”.
  • Se opposizione a esecuzione: “contro Agenzia delle Entrate-Riscossione” e eventualmente l’ente (anche se spesso in esecuzione si cita solo l’ente che agisce, ossia AdER, perché il titolo è già formato).
  • Esempio pratico:
    Resistente: Agenzia delle Entrate-Riscossione, in persona del legale rappresentante p.t., con sede legale in Roma, via XX, c/o Direzione Regionale Toscana, PEC: […omissis…];
    E nei confronti di: Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Pisa, in persona del Direttore p.t., con sede in Pisa, Via YY, PEC: […].”
    (Si inserisce la PEC soprattutto perché poi serve per la notifica, anche se nel ricorso non è obbligatorio indicarla, è utile).

Questa sezione fa capire chi dovrà resistere al ricorso. Una chiara indicazione evita fraintendimenti (es. se è coinvolta l’INPS, nominarla; se è solo questione di vizi di notifica, magari basta AdER).

4. Oggetto del ricorso

Spesso il ricorso prosegue con una riga tipo:

  • Oggetto: impugnazione di cartella di pagamento n… relativa a …, notificata il … – Ricorso ex art. 19 D.Lgs.546/92” per il tributario.
  • Oppure “Opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso esecuzione forzata da cartella di pagamento n….”.
  • O “Opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso atto di pignoramento mobiliare emesso da AdER il …”.
  • Questo “oggetto” non è obbligatorio ma utile come intestazione riassuntiva.

5. Esposizione dei fatti

Qui inizia la narrazione. Si descrivono in forma narrativa gli eventi rilevanti:

  • Quando e quale atto è stato ricevuto: “In data 10 marzo 2025 il Sig. Rossi si vedeva notificare a mezzo PEC una cartella di pagamento n. 1234567890, emessa da Agenzia Entrate-Riscossione per conto dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Firenze, per un importo di € 15.000 a titolo di IRPEF anno d’imposta 2017, oltre sanzioni e interessi.”.
  • Eventuale cronistoria pregressa: “Tale cartella si riferisce, per quanto dato capire, a un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate in data … n…, che però il ricorrente non ha mai ricevuto in notifica. Infatti il sig. Rossi ne è venuto a conoscenza solo tramite questa cartella.”. Oppure: “La cartella in questione reca la dicitura di un verbale di multa stradale del Comune di … elevato il …; anche in tal caso il ricorrente non ha mai ricevuto il verbale nei termini.”.
  • Si citano eventuali atti di tutela già intrapresi: “In data … il ricorrente presentava istanza di autotutela all’ente impositore, rimasta senza esito”; oppure “AdER in data … ha proceduto, senza ulteriore avviso, ad iscrivere fermo amministrativo sull’auto del ricorrente (targa…).”. Se oggetto del ricorso sono più atti (es. un intimazione e un fermo), si narrano entrambi in ordine.
  • Si includono dettagli sulle notifiche ricevute: modalità, date, eventuali irregolarità notate (es: “la notifica è avvenuta a mezzo posta, ma la relata presenta irregolarità nella compilazione del destinatario” – questi dettagli poi tornano nei motivi).
  • Essenzialmente, la parte fattuale deve dare al giudice il contesto completo: cosa vi viene chiesto, su che base, e cosa è successo. È bene mantenerla oggettiva, rimandando le valutazioni critiche alla sezione motivi.
  • Esempio di esposizione sintetica:
    “Il ricorrente è destinatario della cartella di pagamento n. 0987654321, emessa in data 15/02/2025 da Agenzia Entrate-Riscossione per conto del Comune di Roma – Dipartimento Contravvenzioni. Tale cartella, notificata il 20/02/2025 mediante posta raccomandata AR, richiede il pagamento di € 450,00 riferiti a sanzioni amministrative per violazioni del Codice della Strada (multa n. 112233 notificata, secondo l’ente, il 10/01/2020). Il ricorrente tuttavia non ha mai ricevuto la notificazione del verbale di multa n. 112233: la prima notizia di detta sanzione si è avuta solo con l’arrivo della cartella esattoriale suddetta. Pertanto, prima di questa cartella, il ricorrente non ha avuto modo di impugnare in sede propria il verbale né di effettuare il pagamento in misura ridotta. In data 10/03/2025 il ricorrente si è recato presso gli uffici di Agenzia Entrate-Riscossione, ottenendo un estratto di ruolo dal quale risulta che la cartella è stata emessa per la citata violazione del CDS. Persistendo la pretesa, il Sig. Rossi intende far valere l’illegittimità della cartella, essendo decaduto il diritto dell’ente a riscuotere la sanzione per omessa notifica del verbale.”.

In questo esempio, il giudice capisce scenario: cartella per multa mai notificata -> contesto per motivi di decadenza.

6. Motivi di ricorso (argomentazione giuridica)

Questa è la parte più importante: si articolano uno o più motivi di impugnazione, ciascuno di solito preceduto da un titolo riassuntivo. È buona prassi numerarli:

  • Motivo 1: Violazione dell’art. XYZ – Omessa notifica dell’atto presupposto e decadenza della pretesa.
    Spiegazione: Si argomenta che il verbale o l’accertamento originario non è stato notificato regolarmente, quindi la pretesa non può essere fatta valere ora. Si citano norme (es. art. 201 CdS per notifica verbali entro 90 gg; art. 25 DPR 602/73 per decadenza cartelle, ecc.) e magari sentenze di Cassazione pertinenti.
  • Motivo 2: Prescrizione del credito.
    Spiegazione: Si calcola il tempo trascorso e si deduce che è oltre il termine di legge. Si citano le norme sulla prescrizione (es. art. 2948 c.c. per 5 anni su sanzioni, ecc., o leggi speciali).
  • Motivo 3: Vizio di notifica della cartella (ad esempio, se la cartella stessa è stata notificata a un indirizzo sbagliato, e si è venuti a conoscenza fortuitamente dell’intimazione successiva).
  • Motivo 4: Mancato invio del preavviso di fermo (se impugnate un fermo e non avete ricevuto il preavviso).
  • Motivo X: Violazione principi dello Statuto del contribuente (ad esempio, mancata indicazione del responsabile, sebbene questo raramente da solo porti all’annullamento, ma si può aggiungere).

Per ogni motivo:

  • Enunciare brevemente il vizio in titolo o incipit.
  • Richiamare i fatti specifici relativi a quel motivo (es. “il verbale di multa doveva essere notificato entro 90 giorni, invece risultano decorso oltre un anno senza notifica valida…”).
  • Citare le norme di legge violate. Ad esempio: “ai sensi dell’art. 201 del Codice della Strada la notifica oltre 90 gg è nulla”, oppure “ex art. 2947 c.c. la prescrizione della sanzione è 5 anni, qui ampiamente superati”.
  • Richiamare eventuale giurisprudenza: “Come affermato da Cassazione n. XXXX/anno, la mancata notifica del verbale nei termini comporta l’estinzione dell’obbligo di pagare la sanzione”. (L’avvocato spesso inserisce riferimenti a sentenze chiave. Nel nostro caso, non citando fonti, si può anche dire “la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere…”).
  • Concludere perché il motivo porta all’annullamento: “Pertanto, la cartella impugnata risulta emessa in carenza di valido titolo esecutivo e in violazione dei termini decadenziali; essa va annullata integralmente”.

Esempio per un Motivo di ricorso:
Motivo 1 – Nullità della cartella per omessa notificazione dell’atto impositivo presupposto (art. 19, co.3 D.Lgs. 546/92) e violazione dell’art. 60 DPR 600/73.
Si deduce la nullità della cartella impugnata in quanto la stessa trae origine dall’avviso di accertamento n. 777/2019 dell’Agenzia delle Entrate, mai notificato al ricorrente. Ai sensi dell’art. 19, comma 3, D.Lgs. 546/92, l’omessa notifica di un atto presupposto legittima l’impugnazione dell’atto conseguenziale (la cartella) anche per motivi attinenti a tale atto presupposto. Nel caso di specie, l’Ufficio impositore non ha mai comunicato al ricorrente l’accertamento fiscale relativo all’anno 2017: dalle ricerche effettuate presso AdER (estratto di ruolo) risulta un tentativo di notifica tramite servizio postale in data 10/10/2019, che però è stato restituito come “destinatario sconosciuto” (il ricorrente all’epoca risiedeva ad altro indirizzo e l’Agenzia non ha reiterato la notifica né fatto pubblici proclami). La mancata corretta notifica dell’atto presupposto viola l’art. 60 DPR 600/73 e impedisce al contribuente di aver conoscenza della pretesa tributaria, vizio che inficia anche la successiva cartella. La Cassazione ha più volte affermato che la cartella emessa a seguito di un avviso mai notificato è nulla (Cass. nn. 1234/2020, 5678/2018). Pertanto si chiede dichiararsi la nullità della cartella impugnata.

Questo è un motivo argomentato con fatti e diritto. Si farebbe seguire un Motivo 2 magari di prescrizione se rilevante, e così via.

7. Richiesta (petitum)

Dopo aver elencato tutti i motivi, il ricorso deve esplicitare cosa chiede il ricorrente al giudice. In genere è una formula di questo tipo:

  • “Per tutti i motivi esposti, il ricorrente chiede che Codesta On.le Corte voglia: in via principale, dichiarare l’annullamento/nullità della cartella di pagamento n… per …, con ogni conseguente statuizione di legge; in via subordinata, nella denegata ipotesi di mancato totale accoglimento, disporre l’annullamento parziale della cartella limitatamente … (ecc.); con vittoria di spese ed onorari di giudizio a carico delle parti resistenti.”.
  • Se c’è una domanda incidentale di sospensione: “Si chiede altresì, ai sensi dell’art. 47 D.Lgs.546/92, la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato nelle more del giudizio, in considerazione del grave e irreparabile danno derivante al ricorrente (come da apposita istanza depositata)”. Nel tributario, la sospensione si chiede di solito con una separata istanza, ma anche indicarlo nel ricorso va bene.
  • In opposizioni civili: “chiede di accogliere l’opposizione e per l’effetto annullare/ revocare il pignoramento…, dichiarando l’improcedibilità dell’esecuzione, con vittoria di spese”.
  • Esempio conclusione tributario:
    Si chiede dunque che codesta On.le Corte voglia accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, annullare la cartella di pagamento n. 1234567890 emessa da Agenzia Entrate-Riscossione per € 15.000,00 a titolo IRPEF 2017, perché illegittima; conseguentemente dichiarare inesistente e/o estinto il relativo debito iscritto a ruolo. Con vittoria di spese di giudizio.
    In via subordinata, ove per qualsiasi ragione non si ritenesse di poter annullare integralmente l’atto, si chiede sin d’ora la disapplicazione delle sanzioni amministrative ivi contenute, trattandosi di contribuente in prima violazione formale, e/o la riduzione dell’ipoteca iscritta proporzionandola al solo importo residuo eventualmente dovuto.
    Si presenta contestuale istanza di sospensione dell’atto impugnato, stante il pregiudizio grave (fermo amministrativo auto già iscritto sul veicolo usato per lavoro) che deriva al ricorrente dalla sua esecutorietà.”

    (Seguono luogo, data e firma).
    “Firenze, lì 30 aprile 2025 – Avv. Lucia Bianchi –”.* Come si vede, si possono formulare anche richieste subordinate (es. annullamento parziale) se il ricorrente vuole fornire al giudice un’alternativa (ad esempio, se non mi annulli tutto, almeno togli la sanzione). Questo va ponderato strategicamente col legale.

8. Documenti allegati

Alla fine del ricorso (a seconda dei formati, può essere nel corpo dell’atto o in un foglio separato) si elenca la lista dei documenti che si offrono in comunicazione:

  • Copia dell’atto impugnato (es: cartella di pagamento n…, con relata di notifica se disponibile).
  • Copia degli atti presupposti (se si hanno: ad esempio, se si è riusciti ad ottenere copia dell’avviso di accertamento mai notificato).
  • Prova delle notifiche: ricevuta PEC di notifica dell’atto impugnato, avviso di ricevimento della raccomandata, relazione dell’ufficiale giudiziario etc. Tutto ciò che attesta come/quando avete ricevuto o NON ricevuto (in caso di notifica irregolare, allegare l’estratto di posta o la busta).
  • Documenti a supporto dei motivi: es. ricevuta di pagamento effettuato in data X (se sostenete di aver pagato); copie di sentenze relative a quel debito (magari avevate fatto ricorso sull’accertamento e avete vinto, quindi allegate la sentenza di annullamento dell’accertamento per dire che la cartella è illegittima per quello); estratto di ruolo rilasciato da AdER; schermate di cassetto fiscale che mostrano l’assenza di notifica.
  • Procura alle liti (se non in calce).
  • Ricevuta contributo unificato (se già pagato, nel tributario di solito allegata in costituzione).
  • Documenti personali: se è rilevante, ad esempio, nel chiedere sospensione potreste allegare certificazione che quell’auto è usata per lavoro (magari una visura Camerale se l’auto è bene strumentale per un professionista, o una dichiarazione). Suggerimento: Mantenere un ordine logico (numerare i documenti D1, D2, …) e citarli nel ricorso quando se ne parla (“…come da doc. 3 allegato”). Nel processo telematico, fate attenzione ai formati (PDF preferibilmente, dimensioni ok).

9. Firma e procura

Il ricorso deve essere sottoscritto dall’avvocato (o dalla parte stessa se agisce in proprio, con firma autografa o digitale se telematico). La procura alle liti può essere:

  • In calce: su un foglio aggiuntivo del PDF, con firma autografa scannerizzata del cliente e controfirma dell’avvocato.
  • Oppure allegata come foto/scansione firmata.
  • La procura deve specificare la facoltà di rappresentanza in quel giudizio, eventualmente “estesa a successive impugnazioni” se date mandato per appello/cassazione già ora.
  • In tribunale, di solito la procura è su foglio a parte o a margine della citazione.
  • Nel tributario, spesso appare come “Delego l’avv… a rappresentarmi… [firma]”.

Assicurarsi che la data della procura sia non posteriore al deposito del ricorso (va fatta prima o contestuale).

Esempio di procura:
“Delego l’Avv. Lucia Bianchi (CF …) a rappresentarmi e difendermi nel presente giudizio contro Agenzia Entrate-Riscossione avanti la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Firenze, conferendoLe ogni facoltà di legge, ivi compresa quella di conciliare e transigere, rinunciare agli atti, incassare somme e quietanzare. Dichiaro di eleggere domicilio presso il suo studio.
Firma _________________ (Mario Rossi)”
.

Con ciò, il ricorso è completo.

Questa struttura è comune, variando leggermente l’impostazione tra ricorso tributario (meno formalismi di citazione, è un ricorso che si notifica e poi si deposita) e atto di citazione in opposizione (dove c’è l’invito a comparire a udienza e va emesso decreto nel rito lavoro, etc.). L’avvocato adatterà la forma, ma i contenuti sostanziali (fatti, motivi, richieste) restano analoghi.

Esempio pratico riassuntivo di ricorso (schema)

Per fissare le idee, ecco uno schema esemplificativo estremamente sintetico di un ricorso tributario contro cartella, con struttura a punti (nella realtà sarebbe in forma discorsiva, ma qui per chiarezza):

  • Intestazione: Corte Giustizia Tributaria I grado di [X].
  • Ricorrente: Sig. ABC…, rappresentato da Avv. XYZ….
  • Resistente: Agenzia Entrate-Riscossione… (+ eventuale Agenzia Entrate …).
  • Oggetto: Ricorso ex art. 19 D.Lgs.546/92 – Impugnazione cartella n….
  • Fatti:
    1. Il [data] AdER notificava al ricorrente cartella n… di €… per [descrizione debito].
    2. La cartella trae origine da [accertamento/multa] che non è mai stato notificato al ricorrente.
    3. Il ricorrente ha scoperto il debito solo tramite estratto di ruolo il [data].
    4. Inoltre, la cartella è stata notificata mediante deposito presso casa comunale senza invio della raccomandata informativa (circostanza che il ricorrente ha appreso al momento del ritiro tardivo dell’atto).
  • Motivi di ricorso:
    • 1) Omessa notifica dell’atto presupposto: violazione art…; pretesa nulla perché l’accertamento non notificato rende nulla la cartella (giurisprudenza…).
    • 2) Prescrizione del credito: il tributo (anno…) era comunque prescritto essendo decorsi oltre 5 anni senza atti interruttivi validi.
    • 3) Nullità della notifica della cartella: l’Agente non ha inviato la raccomandata informativa dopo il deposito (violazione art. 60 DPR 600/73 e L. 890/82), quindi la notifica è inesistente; il termine per impugnare decorre ora dalla effettiva conoscenza (estratto ruolo), ricorso quindi tempestivo.
  • Richiesta: annullare la cartella n… per €…, con vittoria di spese. Si chiede sospensione dell’esecuzione ex art. 47 D.Lgs.546/92, stante pignoramento minacciato (grave danno).
  • Documenti: (1. Copia cartella; 2. Estratto di ruolo; 3. Comunicazione Comune su notifica deposito; 4. …)
  • Firma e procura.

Un ricorso del genere, esteso con riferimenti a leggi e fatti specifici, metterebbe il giudice nella condizione di capire la situazione e di avere sotto mano tutti gli elementi per decidere.

Strategie difensive ricorrenti e casi frequenti

Nel contenzioso contro Agenzia Entrate-Riscossione esistono alcune strategie difensive “classiche” che spesso portano risultati, poiché corrispondono ai vizi più comuni riscontrati negli atti della riscossione. In questa sezione passeremo in rassegna le difese e gli argomenti che ricorrono di frequente, illustrando i casi tipici in cui si applicano. Tali strategie possono essere combinate a seconda delle circostanze del singolo caso.

1. Eccepire la prescrizione del debito

La prescrizione è probabilmente la prima cosa da verificare. Consiste nell’estinzione del diritto di riscuotere una somma dopo un certo periodo di inerzia. Molti contribuenti ignorano che diversi debiti col fisco hanno termini di prescrizione relativamente brevi, in genere 5 anni, se non intervengono atti interruttivi validi:

  • Le sanzioni amministrative (come multe stradali) si prescrivono in 5 anni dal giorno in cui la violazione è avvenuta o dal giorno dell’ultima notifica valida al trasgressore.
  • I contributi previdenziali si prescrivono in 5 anni (dal 1996 in poi, salvo alcune eccezioni transitorie), anche qui decorrenti dall’ultimo atto interruttivo.
  • I tributi erariali hanno un regime un po’ più complesso: prima c’è la decadenza per notifica accertamento/cartella, poi dopo la cartella se definitiva, la giurisprudenza oscilla se applicare la prescrizione ordinaria decennale o quella breve quinquennale. Attualmente la Cassazione propende che anche i tributi si prescrivano in 5 anni dopo il titolo definitivo, salvo casi particolari (alcune ritenevano 10 per IVA). Ad ogni modo, per IRPEF, IVA, IRES, IRAP, etc., è prudente controllare gli ultimi atti ricevuti e il tempo trascorso.
  • I tributi locali (IMU, TARI) generalmente 5 anni pure loro.
  • Eccezion fatta: alcuni contributi minori hanno 10 anni (es. contributi agricoli unificati, ma sono casi specifici).

Caso frequente: il contribuente scopre nel 2025 una cartella per IRPEF 2010 notificata (forse) nel 2012 e mai pagata; da allora più nulla. Sono passati oltre 10 anni: in questo caso il debito è sicuramente prescritto (anche considerando interpretazione più lunga). Oppure, arriva un’intimazione nel 2025 per cartelle notificate 8 anni prima: se in quell’intervallo AdER non ha compiuto atti validi di interruzione, si può eccepire prescrizione.

Come procedere:

  • Richiedere l’estratto di ruolo dettagliato da AdER per vedere le date di iscrizione a ruolo e notifica di eventuali atti. Se dal ruolo risulta che l’ultima notifica al contribuente risale a oltre 5 anni prima, è un ottimo indizio.
  • Nel ricorso, sollevare il motivo di prescrizione indicando il decorso del tempo e l’assenza di atti interruttivi. Far presente che eventuali atti non notificati regolarmente non interrompono nulla.
  • AdER spesso oppone che la prescrizione è decennale se il ruolo è definitivo, ma ormai molte sentenze smentiscono questa tesi. Sarà compito dell’avvocato citare la giurisprudenza più favorevole (Cass. SS.UU. n. 23397/2016, Cass. 30362/2018, etc., che propendono per 5 anni per i tributi, equiparandoli alle sanzioni amministrative per tempistica dopo il titolo).
  • Esempio di casi vincenti: cartelle per bollo auto di oltre 3 anni fa (il bollo auto, tassa regionale, si prescrive in 3 anni!); multe di 5-6 anni fa mai sollecitate; contributi INPS senza avvisi per oltre 5 anni.

Attenzione: Se in passato il contribuente ha chiesto una rateizzazione e poi non l’ha completata, quell’adesione può aver interrotto la prescrizione (perché è come un riconoscimento del debito, e la legge dice che la rateazione interrompe i termini). Dopo la decadenza dalla rateizzazione, decorre un nuovo periodo da conteggiare. Quindi, informare sempre l’avvocato di eventuali domande di dilazione presentate.

La prescrizione, se accolta, estingue il debito: il giudice annulla la cartella non tanto per vizio dell’atto, ma perché il diritto sostanziale a riscuotere non esiste più. È una difesa potente: se ne ricorrono i presupposti, va sempre inserita.

2. Contestare la notifica degli atti (nullità/inesistenza)

Vizi di notifica: è l’arma difensiva forse più utilizzata. Consiste nel dimostrare che l’atto non è stato notificato secondo le forme prescritte, il che può comportare nullità o addirittura inesistenza dell’atto stesso. Situazioni tipiche:

  • Notifica a indirizzo errato: l’atto è stato inviato a una vecchia residenza non più attuale e magari è tornato indietro oppure è stato consegnato a sconosciuti. Se il contribuente aveva aggiornato la residenza all’anagrafe, l’errore è dell’ente. Ciò rende la notifica nulla/inesistente.
  • Mancato invio della raccomandata informativa nel caso di irreperibilità relativa: se il postino non trova il destinatario e lascia l’atto in giacenza al Comune (c.d. art. 140 c.p.c.), deve inviare una raccomandata per avvisare. Se questa non viene inviata, la notifica è nulla. Molte cartelle “depositate” al comune non hanno poi la CAD (Comunicazione di Avvenuto Deposito) spedita correttamente.
  • Notifica per PEC non andata a buon fine: se l’ente invia la cartella via PEC e riceve un errore (casella piena, indirizzo non valido, ecc.), la notifica non si perfeziona. Dovrebbe tentare altre vie, ma se poi AdER considera come notificato lo stesso, è un vizio. Occorre procurarsi log PEC e ricevute (spesso AdER allega alla cartella la relazione di notifica PEC).
  • Difetto nella relata: es. l’ufficiale giudiziario notifica a un parente senza specificare il grado di parentela o senza che questi firmi o rifiuti. Oppure notifica per affissione diretta senza passare dalla procedura corretta. Queste sono sottigliezze che però i giudici tributari talvolta valutano a favore del contribuente.
  • Notifica a mezzo posta direttamente da AdER: AdER spesso notifica con raccomandata semplice ex legge 890/82. Se il postino non trova nessuno e fa compiuta giacenza, ora la giurisprudenza tributaria tende a considerarla valida comunque (prima era dibattuta). Tuttavia, se non hanno seguito bene la procedura (es. non affissione avviso), c’è vizio.
  • Notifica a persona sbagliata: consegnata a un portiere che non firma, oppure a un vicino di casa non autorizzato. La legge elenca chi può ricevere (familiare convivente, addetto alla casa, portiere se gli altri assenti, etc.). Se ciò non è stato rispettato, notifica nulla.
  • Notifica oltre orari o in giorni non consentiti: raramente sollevato, ma se un atto è notificato ad esempio di domenica senza urgenza, potrebbe essere irregolare (c’è un divieto di notifiche in certi giorni, ma molti atti sono via posta quindi questo non si applica).
  • Duplicazione di notifica: se un atto è stato notificato due volte, con esiti divergenti, si potrebbe creare confusione sulla decorrenza termini. In tal caso spesso si prende quella valida; la duplicazione in sé non è un vizio, ma può generare argomenti se l’ente ha tentato più volte.

Perché insistere sulla notifica:

  • Una notifica nulla potrebbe consentire ricorso tardivo: se scoprite tardi la cartella perché non notificata regolarmente, potete ricorrere oltre i 60 giorni usuali, appellandovi al fatto che la conoscenza è avvenuta dopo (magari tramite un estratto di ruolo). La legge consente, come detto, l’impugnazione dell’atto successivo per vizi di notifica dell’atto precedente (art. 19 c.3 D.Lgs.546/92).
  • Una notifica inesistente rende l’atto inesistente: ad es. se mai vi hanno davvero consegnato niente né depositato niente, quell’atto non può produrre effetti. Significa che la cartella non è mai venuta a esistenza giuridica. In tal caso, addirittura la difesa può essere sollevata anche in sede di esecuzione senza termini, perché atto inesistente = mai decorso termini impugnazione.
  • Strategia: ottenere copia delle relate di notifica. Ciò si può fare:
    • Per atti fiscali, chiedendo all’Agenzia delle Entrate copia delle relate delle cartelle (ma AdER le ha).
    • Presso AdER, facendo un’istanza di accesso agli atti o consultando l’estratto di ruolo dettagliato, dove a volte c’è scritto “notificata il… a mezzo messo, art…”.
    • L’avvocato può anche chiederlo in giudizio: spesso nelle controdeduzioni, AdER allega la relazione di notifica che hanno agli atti.
  • Una volta avuta, il legale analizza se rispetta i requisiti normativi. Molti errori saltano all’occhio: date incongruenti, firme mancanti, diciture standard mal compilate.

Casi di successo tipici con vizio di notifica:

  • Contribuente X non sapeva di un debito, fa un controllo estratto di ruolo nel 2025: risultano 3 cartelle del 2014 mai arrivate. Impugna ora per “nulla notifica”: il giudice verifica che le relazioni erano inesistenti o invii a vecchio indirizzo, e annulla i ruoli. Debito cancellato (magari anche perché intanto prescritto).
  • Persona Y scopre nel 2025 un fermo auto iscritto nel 2023, ma non aveva ricevuto il preavviso nel 2022 perché spedito alla residenza sbagliata. Ricorre: il giudice tributario dichiara illegittimo il fermo per difetto di notifica del preavviso (dovrebbe prima cadere l’obbligo di preavviso).
  • Ditta che riceve cartella via PEC su casella non più attiva: può contestare di non aver mai ricevuto quell’email certificata. Se prova che la PEC era cessata e l’ente aveva indirizzo errato, la notifica è nulla.

Attenzione contrapposta: Non tutti i vizi portano all’annullamento. I giudici possono talora sanare una notifica nulla se l’atto è stato comunque ricevuto (principio di raggiungimento dello scopo). Ad esempio, se consegnato a un familiare che però non era convivente, ma poi il destinatario l’ha avuta, alcuni giudici dicono “sì, vizio formale, ma il contribuente ha comunque avuto conoscenza, quindi rigetto”. Questo succede, specie in sede civile. In sede tributaria a volte sono più formali e accolgono il vizio. L’esito può variare, ma vale la pena sollevare il punto.

3. Impugnare l’estratto di ruolo e utilizzare la “conoscenza tardiva”

Molte volte il contribuente viene a conoscenza di debiti esattoriali non per notifica diretta, ma attraverso un documento informale: l’estratto di ruolo. L’estratto di ruolo è un prospetto, rilasciato da AdER su richiesta, in cui sono elencate tutte le cartelle a carico di un soggetto con le relative informazioni (numero, ente, importo, esito di notifica, ecc.).

In passato c’è stata discussione sulla impugnabilità dell’estratto di ruolo: formalmente, non è un “atto impugnabile” ex art. 19 D.Lgs.546/92, perché non è notificato, non contiene intimazioni, è solo un riepilogo interno. Tuttavia, la Cassazione ha ammesso che il contribuente può utilizzare l’estratto di ruolo per far valere vizi di atti che non ha mai ricevuto. In pratica può impugnare direttamente la cartella sottostante a quell’estratto, anche se la cartella non gli è stata notificata.

Strategia d’azione:

  • Se scoprite dal ruolo una o più cartelle mai notificate, potete presentare ricorso contro quelle cartelle (indicandone gli estremi, anche se non avete la copia integrale, AdER poi la porterà). Nel ricorso direte: “impugno la cartella X di cui ho avuto conoscenza solo dall’estratto in data Y”. E come motivi direte notifica nulla/inesistente, prescrizione, etc.
  • AdER spesso obietta “estratto non impugnabile, ricorso inammissibile” perché l’atto non è notificato. Ma la giurisprudenza più recente è dalla parte del contribuente: se non altro perché negare questo ricorso significherebbe negare tutela a chi non ha colpa di non aver saputo prima.
  • Ci sono state pronunce importanti (Cass. sez. unite 19704/2015 e altre successive) che di fatto dicono: il contribuente può impugnare la cartella della quale sia venuto a conoscenza solo per estratto di ruolo senza termine decadenziale, per farne dichiarare la nullità per difetto di notifica o prescrizione maturata successivamente.
  • Quindi, non scoraggiatevi se l’unico documento in mano è l’estratto di ruolo: con quello e con un avvocato potete attaccare il problema alla radice.
  • Questa strategia è essenziale per chi, ad esempio, richiede la “situazione debitoria” in vista di una rottamazione o per scrupolo, e scopre sorprese dal passato.

Casi frequenti:

  • Contribuente che mai ha ricevuto nulla negli anni, ma nel 2023 gli negano un DURC perché ha debiti: va a AdER, ottiene estratto con cartelle 2015-2016. Impugna nel 2023 e fa annullare perché notifica nulla + prescritte.
  • Persona che deve vendere casa e trova ipoteca, va in AdER e scopre cartelle vecchie: impugna dal ruolo e risolve (o almeno rimuove ipoteca se vince).
  • Attenzione: In alcuni casi, se la cartella era non notificata e sono passati oltre 10 anni, AdER neanche può più notificarla validamente (perché decaduta). Quindi, paradossalmente, impugnare può sembrare inutile perché il debito è già inesigibile. Ma se c’è ipoteca o fermo su quelle, bisogna comunque farla annullare.

4. Sfruttare lo “Statuto del Contribuente” e vizi di motivazione

Lo Statuto dei Diritti del Contribuente (L. 212/2000) prevede una serie di garanzie nella fase di accertamento e riscossione. Alcune non hanno sanzione di nullità esplicita, ma vengono spesso richiamate:

  • Obbligo di motivazione degli atti (art. 7 L.212/2000): ogni atto deve elencare presupposti di fatto e norme di diritto su cui si basa. Le cartelle di solito rimandano agli atti presupposti: se questi sono insufficienti (tipo “ruolo n… per imposta” senza dettaglio), si può sostenere difetto di motivazione. Questo motivo è più efficace se davvero la cartella è incomprensibile sul perché chiedono soldi.
  • Indicazione del responsabile del procedimento (art. 7 co.2 lett a) L.212/2000): le cartelle devono indicarlo. Se manca, la Cassazione in passato oscillava: c’è chi dice vizio che non comporta nullità, altri più garantisti. Oggi tendenzialmente la mancanza del nome del responsabile è ritenuta irregolarità non invalidante, ma vale la pena segnalarlo come argomento accessorio in ricorso.
  • Spirito di collaborazione e buona fede (art. 10 Statuto): non fornisce specifici appigli, ma a volte si invoca per chiedere interpretazioni pro-contribuente in caso di dubbio.
  • Non duplicazione di sanzioni (art. 10): se per stessa violazione c’è già sanzione pagata, non possono richiederla di nuovo – però questo è più su accertamento.
  • Dilazione e comunicazione prima di iscrivere ruoli: art. 6 Statuto incoraggia a avvisare il contribuente prima di iscrivere al ruolo e concede 30 giorni per pagare spontaneamente. Questo avviso spesso non avviene (salvo che per alcuni tributi con avviso bonario). Non c’è nullità, ma si può evidenziare se l’ente ha iscritto a ruolo senza inviare ad es. un avviso bonario richiesto (per es. per IRPEF su dichiarazione, l’Agenzia invia la comunicazione di irregolarità prima).
  • Termini di sospensione feriale: se un atto scadeva in agosto, lo Statuto prevede spostamento a settembre, etc. Raramente applicabile a cartelle.

Questi aspetti di solito si aggiungono come motivi secondari. Difficilmente da soli vincono la causa, ma possono rafforzare l’impressione che l’ente abbia agito superficialmente.

5. Dimostrare il pagamento o l’annullamento già avvenuto

A volte l’arma migliore è la più semplice: “ho già pagato, quindi non devo pagare di nuovo”. Succede più spesso di quanto si creda:

  • Versamenti effettuati e non correttamente registrati: ad es. il contribuente ha pagato una rata, ma per errore l’hanno considerata omessa e iscritto a ruolo. Allegare la ricevuta del pagamento con i riferimenti e chiedere l’annullamento per indebito.
  • Sgravio o annullamento in autotutela già concesso: se l’ente creditore (Agenzia Entrate, Comune) ha emanato un provvedimento di annullamento del debito o di sgravio della cartella, e nonostante ciò AdER ne chiede il pagamento, basta produrre quel provvedimento. Esempio: avete vinto un ricorso contro l’accertamento, l’Agenzia ha emesso un provvedimento di sgravio, ma la cartella era già partita e AdER non ha aggiornato. La cartella è priva di base giuridica: il giudice la annullerà se mostrate la sentenza o l’atto di sgravio.
  • Rottamazione o condono già effettuato: ad esempio, nel 2023 avete aderito alla “Rottamazione-quater” per certe cartelle e siete in regola con le prime rate: AdER non dovrebbe attivare misure esecutive su quelle cartelle. Se invece manda un intimazione, c’è un errore. Si produce la ricevuta di adesione e i pagamenti, e quell’azione verrà stoppata. Oppure, se un debito rientrava nello stralcio automatico dei mini-debiti (es. la legge 197/2022 ha previsto cancellazione dei ruoli fino a 1000€ anno 2000-2015), e AdER per sbaglio insiste, far rilevare che quel ruolo è stato annullato ex lege.
  • Prescrizione già dichiarata in altro giudizio: se magari un coobbligato (socio, co-dichiarante) ha fatto ricorso e ottenuto annullamento della cartella, il debito potrebbe essere venuto meno per tutti. Oppure se c’è un lodo di autotutela. Bisogna far valere quell’effetto estensivo.

Questa difesa rientra nel concetto di “infondatezza nel merito”: qui non contiamo sulle regole procedurali, ma sul fatto che il credito non esiste più. Se avete pezze d’appoggio, è quasi incontrovertibile: portare le prove e il giudice non potrà che prendere atto.

Un caso comune: duplicazione di cartelle. A volte, per errore, due cartelle diverse riportano lo stesso debito (magari una dell’INPS e una di AdER per stesso periodo contributivo, o due ruoli emessi per sbaglio). Se ne accorgete, segnalatelo: il giudice può annullare la duplicata perché il debito è già in altra cartella (non potete pagare due volte).

6. Focus su atti specifici:

Impugnare fermi e ipoteche:

  • Oltre ai motivi generali (prescrizione, difetto notifica), con i fermi e ipoteche c’è la linea di attacco su mancato rispetto delle soglie e procedure.
  • Per il fermo auto: controllare se fu inviato il preavviso e se sono trascorsi i 30 giorni da esso. Se non c’è preavviso => illegittimo. Inoltre, se il debito totale è modesto, si può far leva sul principio di proporzionalità: in passato Equitalia seguiva regole interne (non più di 10 veicoli etc.), ma a oggi legalmente anche 500€ potrebbe portare fermo. Tuttavia, un giudice potrebbe valutare eccessivo bloccare un veicolo per 500€. Alcuni avvocati chiedono l’annullamento per “abuso di diritto” se l’importo è irrisorio: non sempre accolta, ma tentabile.
  • Se il veicolo è strumentale (es. unico mezzo per lavoro di un agente di commercio), si può chiedere quantomeno sospensione e poi valutare incostituzionalità, ma attualmente la legge non prevede esenzione. Però spesso AdER stessa, su richiesta, evita fermi su mezzi di lavoro (c’è una circolare in tal senso). Quindi segnalare quella condizione può portare a una revoca in autotutela.
  • Per ipoteca immobiliare: verificare soglia 20.000€. Se debito sotto, ipoteca nulla ex lege. Se poco sopra 20k, si può eccepire sproporzione? La norma dice esattamente “non inferiore a 20.000”, quindi 20.001 è legittima. Non c’è tetto massimo, ma:
    • Se ipoteca su beni di valore enorme per debito piccolo, c’è stata giurisprudenza sull’abuso del mezzo di garanzia (es. Cass. ha detto: ipoteca per 30k su immobile da 1 milione -> riduci importo ipotecato al doppio del debito). Quindi si può chiedere di ridurre/rivolgere l’ipoteca a un importo equo (il doppio del credito come stabilito dalla norma).
    • Preavviso ipoteca: se non mandato 30gg prima, iscrizione illegittima.
    • Prima casa: ricordiamo, prima casa non protegge da ipoteca, solo da esecuzione. Non è motivo di annullamento dell’ipoteca, ma se quell’immobile è l’unico, quantomeno AdER non potrà pignorarla. Davanti al giudice, se ipotecano prima casa per 21k, c’è poco da fare perché la norma consente ipoteca sopra 20k. Magari si può chiedere la sospensione in attesa di rottamazione o per rateizzare.

Opposizione ai pignoramenti:

  • Pignoramento del conto corrente: strategia comune: se il saldo era inferiore a 1.000 € e hanno pignorato l’intera somma, si può eccepire che il DPR 602/73 vieta pignoramenti per debiti minori di 1.000 (in realtà vieta l’avvio esecuzione sotto 1.000 e prevede la comunicazione 120gg, però una volta scaduti 120gg può procedere; comunque c’era una regola: non toccare stipendio sul conto fino a concorrenza importo mensile).
    • Se sul conto c’erano stipendi/pensioni accreditati, la legge (art. 545 c.p.c.) dice: le somme accreditate prima del pignoramento, se entro il triplo dell’assegno sociale, sono impignorabili del tutto. Tradotto: se uno ha in banca solo l’ultima pensione di 800€ e l’assegno sociale è ~500€, il triplo è 1500€, quindi quegli 800€ non andavano pignorati. Questa è una difesa importante. Il pignoramento presso banca spesso piglia tutto il saldo: se era solo stipendio/pensione, si può far liberare fino a quel limite.
    • Anche dopo il pignoramento, contrattare con AdER una liberazione parziale di fondi necessari (spesso in autotutela rilasciano una parte, specialmente su conti cointestati o su casi di indigenza, per evitare opposizioni).
  • Pignoramento dello stipendio presso datore: di solito 1/5 è regolare, poco da fare se il debito è legittimo, a meno che aveste già altri pignoramenti (per altri debiti, c’è un cumulo massimo di metà stipendio in totale). Se AdER pignora 1/5 e già c’era un 1/5 per un altro creditore, e lo stipendio è modesto, uno può chiedere riduzione per equità, ma per legge 2/5 è massimo se diversificati crediti (uno fiscale, uno alimentare, ecc.). Difese minime: verificare che abbiano notificato prima la cartella e intimazione. Se saltato passaggi, farli valere.
  • Pignoramento immobiliare: strategie:
    • Se prima casa impignorabile e non rientrate nelle eccezioni: opposizione all’esecuzione per far dichiarare improcedibile. AdER a volte interpreta diversamente i limiti (se debito >120k e immobile >120k – anche prima casa – qualcuno dice “posso pignorare”, ma la legge 69/2013 sembra vietare prima casa tout court se è unica e non di lusso). Quindi portare prove che quell’immobile è unica casa di abitazione e non di lusso. Il giudice sospenderà ed estinguerà esecuzione su questo.
    • Se non prima casa ma altri parametri non rispettati (debito <120k ma hanno pignorato, ad es. 80k debito e pignorano seconda casa: la norma art.76 pone entrambe le condizioni: debito >120k E valore immobile >120k). Se debito 80k, non potevano espropriare ancora – potevano solo ipotecare. Opposizione e annullamento probabile.
    • Anche: se ipoteca iscritta da meno di 6 mesi e già pignorano, violazione. (art.76 dice: passati 6 mesi dall’iscrizione ipoteca senza pagamento, allora pignorano).
    • Questi dettagli se presenti portano a facile vittoria.
    • Se nessun vizio procedurale forte, resta magari la prescrizione del debito come difesa.

7. Utilizzare la sospensione amministrativa di AdER: Non esattamente una strategia “in giudizio”, ma degna di nota: c’è una procedura introdotta dall’art. 1, commi 537-544, L.228/2012 (e succ. mod.) che consente al contribuente di chiedere direttamente ad AdER la sospensione della riscossione fuori dal giudizio, presentando documenti che dimostrino che nulla è dovuto perché:

  • Pagato prima,
  • Sgravato dall’ente,
  • Prescrizione già maturata (da interpretare),
  • Annullamento giudiziario del debito,
  • Qualunque altra causa di non esigibilità.

Se il contribuente invia questa istanza (anche via PEC) con i documenti, AdER è obbligata a sospendere le azioni esecutive per 200 giorni e girare la pratica all’ente creditore. Se l’ente conferma il problema, la posizione viene chiusa; se l’ente insiste, AdER informerà che il debito è ancora dovuto e può riprendere. Se l’ente non risponde entro 200 giorni, il debito è annullato di diritto. Questa è una norma spesso poco nota ma potente.

Quando usarla: appena scoprite l’errore evidente (pagamento fatto, sentenza vinta, etc.) potete attivarla. Non sostituisce il ricorso in punti controversi (tipo prescrizione – l’ente difficilmente ammette la prescrizione su istanza, preferirà far decidere giudice). Ma se avete una quietanza di pagamento o altro, presentatela.

Strategia integrata: a volte conviene presentare l’istanza di sospensione ad AdER contemporaneamente al ricorso giudiziario. In questo modo, AdER blocca comunque la procedura nel frattempo, e magari se l’ente risponde annullando, potete chiudere il ricorso per cessata materia del contendere. Se l’ente nega, avrete comunque già in corso il ricorso. È un modo per premere su due fronti.

8. Casi frequenti riassunti:

  • “Cartella pazza”: termine colloquiale per cartella manifestamente sbagliata (importi assurdi, tributo già definito). Strategia: autotutela subito e ricorso se necessario. Spesso risolvibili senza giudice.
  • Debiti ereditati: se ricevete cartelle intestate a un parente defunto, e magari non avete mai accettato eredità o l’avete rifiutata. In quel caso, eccepire difetto legittimazione passiva perché non erede. Oppure se più eredi, AdER erroneamente chiede a uno l’intero (l’agenzia in realtà può chiedere l’intero a uno, ma quell’erede poi in regresso con altri).
  • Iscrizione al fermo/ipoteca dopo pagamento: succede se pagate la cartella oltre 60 giorni ma poi AdER nel frattempo avvia ipoteca. Va segnalato per far cancellare: allegare ricevuta pagamento con data anteriore a iscrizione. Giudice lo toglie (o AdER in autotutela).
  • Errore di persona (omonimia): se riuscite a dimostrare che la cartella non era per voi ma per un omonimo (cosa ardua se hanno stesso CF, però a volte l’ente sbaglia CF). Documentare con CF differenti, etc.
  • Cartella a società cessata: se la società è estinta e vi notificano a voi come ex socio, è un altro scenario complesso: l’ex socio risponde solo di debiti fiscali nei limiti incassato dalla liquidazione e se certi presupposti. Strategia: eccepire carenza presupposti se AdER tenta facile su socio. Materia che richiede avvocato specializzato.
  • Cumulo di sanzioni e interessi: spesso nei ricorsi si chiede di riliquidare sanzioni e interessi se c’è qualche condono applicabile o errore di calcolo. Ad esempio, se il tributo è annullato, comunque anche sanzioni cadono. Oppure se sono stati applicati interessi anatocistici (a volte fanno errori di calcolo, magari interesse di mora su sanzione già inclusiva di interessi). Questi dettagli può vederli un consulente di parte (commercialista) per segnalare al legale.

In definitiva, la strategia difensiva vincente nasce da un’attenta analisi del caso concreto:

  1. raccogliere tutte le informazioni (richieste a AdER, verifiche in Agenzia Entrate/INPS, consultare atti precedenti),
  2. individuare tutti i possibili vizi (dalla sostanza alla forma),
  3. usarli in modo coordinato nel ricorso.

Spesso, un mix di motivi è presentato, così che se anche uno non fosse accolto, un altro magari sì. Ad esempio: prescrizione e vizio di notifica e mancato preavviso di fermo. Se anche il giudice fosse rigido sulla prescrizione, magari annulla per il preavviso mancante.

Un buon avvocato calibrerà i motivi, insistendo su quelli più forti e mettendo comunque a verbale quelli minori, perché non si sa mai quale convincerà di più il giudicante o quale eviterà interpretazioni sfavorevoli.

Costi legali, gratuito patrocinio e tempistiche del ricorso

Prima di intraprendere un ricorso, è naturale chiedersi quanto costerà e quanto tempo ci vorrà. In questa sezione daremo un’idea dei costi medi (sia delle spese vive di giustizia che degli onorari legali) e illustreremo le possibilità di ridurre l’onere economico tramite il gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato) se si hanno i requisiti. Inoltre, forniremo indicazioni sulle tempistiche tipiche di queste procedure, dalla presentazione del ricorso alla sentenza, e su come gestire nel frattempo il rapporto con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Costi legali e spese di giustizia

1. Contributo Unificato e altre spese di giudizio:

  • Come già descritto nella sezione procedure, per avviare un ricorso occorre pagare il contributo unificato (CU), il cui importo varia in base al valore della controversia:
    • In Commissione Tributaria (Corte Giustizia Tributaria) le cifre vanno da 30 € (valore fino a 2.582,28 €) fino a 1.500 € (valore oltre 200.000 €), con scaglioni intermedi.
    • In Tribunale (processo civile o lavoro) il CU dipende dagli scaglioni del processo civile:
      • Fino a € 1.100: € 43 (in realtà sotto 1.033 € c’è esenzione, ma dipende dal tipo di causa).
      • Fino a € 5.200: € 98.
      • Fino a € 26.000: € 237.
      • Fino a € 52.000: € 518.
      • Fino a € 260.000: € 1.214.
      • Oltre € 260.000: € 1.686 (e sale ancora oltre 520k…).
      • Cifre soggette a ritocchi biennali per inflazione.
    • Davanti al Giudice di Pace per multe, se valore sotto € 1.100 il CU è di solito € 43 (se non esente); fino a 5.000 è 98 €.
  • Altra spesa è la marca da bollo da € 27 (diritti), dovuta in tribunale per iscrizione a ruolo, e in Commissione tributaria se si facesse deposito cartaceo. Nel telematico tributario spesso non serve separatamente.
  • Spese di notifica: nel tributario con la PEC non ci sono costi (a parte l’abbonamento PEC e qualche minuto di lavoro dell’avvocato). In notifiche tramite ufficiale giudiziario o posta, c’è costo vivo: l’UNEP chiede diritti (solitamente poche decine di euro) e le raccomandate costano (un plico circa € 10-15 con AR). Nel caso di cause civili, spesso 1-2 atti di citazione notificati con UNEP costano sui € 20-50 totali. L’avvocato anticipa e poi li includerà nel conteggio spese.
  • Spese di copia: se l’avvocato deve fare copie o richiedere documenti (ad es. accesso atti, visure al PRA per fermo, ecc.), potrebbero esserci piccoli costi (una visura PRA costo ~€ 16, estratto di ruolo AdER di solito gratuito, copie conformi in tribunale 10-20 € se servono).
  • Totale spese vive previste (non includendo l’onorario avvocato): in molti casi standard (valore moderate es: € 10k di cartella), il CU è 120 €; notifica via PEC 0; totale dunque 120 €. Se la causa è di valore molto elevato, il CU può essere 500 o 1500 €. Se più cause separate, i contributi si sommano per ognuna. Confrontate questo con il beneficio atteso.

2. Compenso dell’avvocato:

  • L’onorario dell’avvocato è variabile. Dipende da:
    • Complessità e valore della causa.
    • Fase a cui si arriva (solo primo grado? anche appello?).
    • Tariffa oraria o a forfait concordata.
  • In linea generale, esistono i parametri forensi stabiliti dal DM 55/2014 (aggiornati nel 2023) che indicano un range di compensi a seconda del valore della controversia. Ad esempio, per cause di valore fino a € 5.000 i parametri suggeriscono circa € 1.000-2.000 per l’intero grado; per cause fino a € 50.000 possono salire a € 2.500-4.000; oltre € 100.000 si può andare oltre € 5.000 e così via. Ma questi sono parametri indicativi per la liquidazione giudiziale delle spese.
  • In pratica: molti avvocati propongono al cliente un compenso forfettario tenendo conto del lavoro necessario. Una stima media:
    • Ricorso tributario semplice (valore modesto, una cartella, motivi standard): onorario può variare da € 500 a € 1.500.
    • Casi più complicati o valore alto: si sale a € 2.000-3.000 per il primo grado.
    • Opposizione in tribunale, simile ai numeri di cui sopra, forse leggermente più perché il rito può essere più lungo.
    • Se c’è urgenza e bisogna fare atti cautelari, udienze multiple, potrebbe influire.
    • L’avvocato può chiedere un acconto iniziale e saldo a conclusione.
  • Spesso, l’avvocato e il cliente possono accordarsi per un compenso ridotto iniziale + eventuale integrazione se si vince (specie se c’è possibilità di recuperare le spese dalla controparte). Ad esempio: “mi paghi € 1.000, e se vinciamo e l’ente è condannato alle spese, cerco di farmi liquidare 1.500 da loro; se incassiamo quello, non ti chiedo altro”.
  • Recupero delle spese in caso di vittoria: se il ricorrente vince, in genere il giudice condanna l’ente a rifondere le spese di lite. Gli enti pubblici spesso, se perdono, preferiscono non appellare e pagano le spese moderate. In Commissione Tributaria la liquidazione spese può essere contenuta (spesso 500-1000 € per cause piccole, raramente parametrano in alto, a meno di cause complesse).
  • Se c’è condanna alle spese, l’avvocato del vincitore di solito procede con precetto o accordi per farsi pagare dall’ente. AdER di solito paga su fondi dell’ente impositore. In caso di Agenzia Entrate, c’è un capitolo per spese di giudizio.
  • Se si perde: il giudice può condannare il contribuente a pagare le spese dell’ente. Quando l’Avvocatura dello Stato difende, chiedono applicazione tariffe minime di solito. Si può finire con condanna a € 500-1.000 di spese a favore dell’ente. Se c’è parziale accoglimento, spesso le spese si “compensano” (ognuno le sue).
  • Va considerato: se si perde e c’è condanna spese, è un ulteriore esborso oltre al debito. Quindi valutare bene le chance prima. L’avvocato onesto vi dirà: “questo motivo è debole, rischio farle perdere e pagar spese, conviene/non conviene?”.

3. Modalità di pagamento e rate avvocato:

  • Molti avvocati comprendono la difficoltà finanziaria di chi ha debiti fiscali e accettano pagamenti dilazionati del loro compenso. Potete discutere di pagarli in 2-3 tranche, ad esempio uno all’inizio, uno a metà, uno alla fine.
  • Il gratuito patrocinio se ottenuto (vedi sotto) coprirà interamente l’onorario dell’avvocato (che verrà pagato dallo Stato secondo tariffe ridotte), quindi il cliente non pagherà il legale.
  • Spesso il risparmio potenziale (non dover pagare migliaia di euro di cartella) giustifica la spesa legale. Ad esempio, pagare 1.000 € di avvocato per annullare 10.000 € di debito è certamente un buon investimento. Se invece avete 500 € di cartella, pagare 1.000 € a un legale non conviene – meglio valutare rateizzazione e chiudere lì, a meno che ci sia rischio precedente (es. principio di non pagare indebito).

Gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato)

Il gratuito patrocinio è uno strumento per assicurare difesa legale anche ai non abbienti. Consente, a chi ha redditi molto bassi, di avere un avvocato pagato dallo Stato. Ecco come funziona in queste cause:

  • Requisito di reddito: Il reddito imponibile annuo del nucleo familiare del richiedente deve essere sotto una certa soglia. Aggiornato al 2025, tale soglia è intorno a € 12.838,01 (questo importo viene adeguato periodicamente, era circa € 11.700 l’anno precedente e aggiornato dal DM maggio 2023). Significa che se la somma dei redditi lordi (al netto solo oneri deducibili base) di chi richiede e degli eventuali conviventi (coniuge, figli a carico) è sotto quell’importo, si ha diritto.
    • Attenzione: per cause tributarie, l’orientamento è che conti solo reddito individuale? In genere no, in civile e penale contano tutti i familiari conviventi. Quindi se uno vive con i genitori e loro hanno reddito, di solito fa cumulo. Se però c’è conflitto di interesse (es. figlio contro genitore, allora no, ma qui non è il caso).
  • Procedura per chiedere: Si presenta una domanda presso l’Ordine degli Avvocati competente (per cause civili) o direttamente in Commissione Tributaria se è una causa tributaria. In pratica, il cliente compila un modulo con i dati reddituali, allega copia documento, ultima dichiarazione dei redditi o autocertificazione di non averla dovuta presentare perché sotto soglia.
  • Se tutto regolare, l’Ordine rilascia un decreto di ammissione al gratuito patrocinio.
  • Scelta dell’avvocato: Deve essere un avvocato iscritto nelle liste del gratuito patrocinio (non tutti lo sono, ma molti sì). Il cliente può sceglierne uno di fiducia dall’elenco. Oppure, se già ne ha uno, quell’avvocato se vuole può iscriversi alle liste prima di presentare domanda (se ha requisiti).
  • Una volta ammessi, cosa copre? Copre:
    • Le spese legali dell’avvocato (che verrà poi retribuito dallo Stato con liquidazione di un onorario secondo tariffe ridotte di 1/2).
    • Le spese vive di giustizia: è esente dal contributo unificato, marche da bollo, ecc. Quindi non pagate neanche quelle 30-100 € di cui sopra.
    • Eventuali consulenze tecniche d’ufficio se disposte (raro in queste cause).
    • Non copre eventuali spese di soccombenza: se perdete e siete condannati a pagare le spese all’altra parte, quelle le dovete comunque (lo Stato non le paga).
  • Vantaggio dunque enorme: potete fare causa senza anticipare nulla (a parte i costi di raccomandate se servono, o spostamenti).
  • Attenzione: se a fine causa risulta che avete vinto e ottenuto magari soldi (non comune nel tributario, di solito è annullamento debito, non c’è rimborso), non dovete restituire niente. Se però risulta che le dichiarazioni erano false (tipo avevate reddito e avete mentito), decadete e dovete pagare tutto retroattivamente.
  • Nel contenzioso tributario, benché riguardi debiti con Stato, non vi escludono dal patrocinio (in penale ricordo uno non può se per reati fiscali oltre soglia, ma per contenzioso no).
  • Quindi consigliato: se rientrate in soglia, chiedetelo. L’iter dura un mesetto circa per avere risposta, quindi muoversi in anticipo. Si può presentare la domanda anche appena prima o contestualmente al ricorso (basta che quando depositate atti possiate allegare la richiesta o il decreto). Chiedete all’avvocato: chi è in lista lo saprà gestire e farà lui la pratica.

Tempistiche del ricorso e gestione nel frattempo

1. Durata del primo grado:

  • Commissione Tributaria (Corte Giust. Trib.): la durata media varia da provincia a provincia.
    • In alcune città, per cause semplici, fissano udienza entro 6-8 mesi e la sentenza arriva entro 1 anno.
    • In altre, complice arretrato, può volerci 1,5-2 anni. Ad esempio, a Roma o Napoli storicamente era più lento.
    • Cause con istanza di sospensione: la sospensione viene decisa in 2-3 mesi di solito, poi la causa di merito può comunque andare con comodo.
    • Con la riforma 2022, c’è tentativo di velocizzare e uniformare, ma ad aprile 2025 non tutte le sedi hanno ridotto tempi.
  • Tribunale (opposizioni):
    • Opposizione agli atti esecutivi (617 cpc) in tribunale spesso è abbastanza rapida: udienza in 1-2 mesi dal ricorso, decisione entro altri 1-2 mesi.
    • Opposizione all’esecuzione (615) dipende, se urgente il GE può trattare subito la sospensiva.
    • Causa lavoro (INPS): i tribunali del lavoro di solito fissano la prima udienza entro 2-4 mesi. Se la questione è di puro diritto e l’INPS non solleva contestazioni di fatto, potrebbe risolversi in 6-8 mesi. Se serve istruttoria più lunga, anche 1 anno o più.
    • Giudice di Pace (multe): di solito udienza in 2-3 mesi e decisione contestuale o in pochi mesi. Quindi direi 4-6 mesi in media.
  • Quindi, il primo grado potrebbe concludersi indicativamente tra i 6 mesi e i 2 anni dal ricorso, con molte variazioni.

2. Fasi di impugnazione ulteriori:

  • Appello tributario: altri 1-2 anni. In alcune regioni appelli abbastanza veloci (magari 1 anno), altrove 2-3. Difficile stimare, ma in media direi ~2 anni.
  • Appello civile (Corte d’Appello): spesso più lungo del primo grado. Ci vogliono 2-3 anni mediamente.
  • Cassazione: se arrivare in Cassazione tributaria o civile, i tempi oggi vanno da 2 a 5 anni a seconda dell’urgenza e importanza. Essendo materia tributaria, possono essere piuttosto solleciti se c’è giurisprudenza consolidata (possono rigettare/accogliere velocemente), ma non contarci.

3. Cosa succede nel frattempo con AdER?

  • Se non si ottiene una sospensione giudiziale, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrebbe procedere con la riscossione anche pendente il giudizio. Questo è un aspetto delicato.
    • Esempio: fate ricorso contro una cartella da € 20.000 e non avete chiesto/ottenuto sospensione; AdER trascorsi 60 giorni dalla cartella può comunque iniziare pignoramenti, a meno che non abbia sospeso lei internamente se informata del ricorso. Formalmente la presentazione del ricorso non sospende l’esecutività dell’atto (a differenza di quando si fa appello in altre materie). Perciò, se temete l’azione, è cruciale fare istanza di sospensione e/o la sospensione amministrativa come detto.
    • Spesso, se AdER riceve notifica del ricorso (e lo riceve, perché l’avvocato notifica il ricorso a loro), in pratica congela un attimo la pratica in attesa di vedere se il contribuente chiede sospensione in commissione. Se poi vede che non l’ha chiesta, dopo qualche mese può ripartire.
  • Pertanto, tempestivamente:
    • Se possibile, chiedete la sospensiva al giudice. Nel tributario c’è modulo apposito e solitamente in 30-60 giorni c’è ordinanza. Nei casi lampanti di prescrizione, i giudici la concedono abbastanza facilmente (se vedono che Equitalia non faceva nulla dal 2000 al 2020 per dire, sospendono).
    • In tribunale, l’avvocato può chiedere al giudice dell’esecuzione la sospensione, che se motivi seri di vizio, viene concessa.
    • AdER ha comunque internamente procedure di autotutela: se il contribuente presenta ricorso e chiede a AdER di attendere l’esito (magari in casi dove c’è già sentenza di primo grado su atto a monte, etc.), a volte sospendono spontaneamente. Ma non contare troppo: il ricorso notificato spesso appare nel loro sistema e può far scattare cautela, ma dipende dalla sede.
  • Se la sospensiva viene negata: bisognerebbe considerare alternative:
    • Rateizzare il debito per bloccare l’esecuzione (ma attenzione: chiedere rateazione mentre si fa ricorso potrebbe essere letto come ammissione del debito, anche se per legge la Cassazione dice che la rateazione non implica riconoscimento. Comunque, se la sospensione giudiziale non c’è e AdER sta per pignorare, potrebbe convenire fare domanda di rate per fermarli e nel frattempo proseguire il ricorso per vedere se poi si ottiene annullamento. Però, se ottengo annullamento e ho pagato delle rate, come recupero? Si può chiedere rimborso all’ente – con tempi – o compensazione con altre posizioni).
    • Valutare con avvocato se c’è possibilità di rivolgersi in secondo grado per sospensiva (nel tributario, se primo grado nega e nel frattempo fanno danni, si può, pendente appello, richiedere sospensione in appello).

4. Dalla sentenza in poi:

  • Se vincete:
    • In caso di annullamento dell’atto, AdER deve adeguarsi. Voi e il vostro avvocato invierete copia della sentenza ad AdER (anche se l’hanno via PEC, magari sollecitare l’attuazione). AdER:
      • Se la sentenza annulla una cartella, provvederà a togliere eventuali fermi, ipoteche e cessare la riscossione. In caso di somme eventualmente già pignorate o versate a seguito dell’atto annullato, dovranno restituirle (o l’ente creditore lo farà).
      • Verificate dopo qualche mese l’estratto di ruolo: dovrà risultare “sgravata” quella cartella.
      • Se c’era un fermo, voi dovrete chiedere formalm. la cancellazione (presentando sentenza al PRA e modulo AdER), ma di solito AdER lo comunica già ad ACI.
    • L’ente creditore può appellare se non concorda. In tal caso, la sentenza non è definitiva. Se l’ente ottiene sospensione della sentenza in appello, il debito può tornare esigibile. Comunque, spesso per importi modesti l’Agenzia Entrate non appella se la questione è giurisprudenza consolidata (valutano costi/benefici). Invece INPS è più tenace su contributi alti.
  • Se perdete:
    • Dovrete decidere se appellare (entro 60 gg trib., 30 gg civile). Se ritenete ingiusta la decisione e ci sono motivi validi di appello, col legale predisponete appello (altra spesa ovviamente).
    • Se non appellate, la sconfitta rende il debito definitivamente dovuto. AdER, già in possesso del titolo (cartella), potrà proseguire. Se era sospeso, con la fine del giudizio la sospensione decade. Potreste chiedere rateazione a quel punto per evitare colpi duri.
    • Pagare spontaneamente dopo la sentenza? Sì, potete farlo: AdER vi manderà probabilmente un sollecito o userà direttamente eventuali garanzie. Se volete chiudere, contattate AdER per saldo, incluse eventuali spese di mora e interessi maturati.

5. Tempistiche di cancellazione di misure cautelari/esecutive:

  • Fermo auto: una volta pagato tutto o annullato, servono circa 20 giorni per la cancellazione dall’ACI (se per pagamento, dovete pagare anche € 32 di emolumenti ACI per formalità; se per sentenza, AdER chiederà canc. esente).
  • Ipoteca: per cancellarla, AdER manda atto di assenso a conservatoria; i tempi burocratici possono essere qualche settimana. Se avete urgenza (vendita casa), portare voi la lettera di assenso dal giudice o AdER al conservatore.
  • Pignoramento: se l’atto viene annullato e c’era già un pignoramento su stipendio/conto, la revoca va notificata al terzo (datore/banca) per sbloccare. L’avvocato può predisporre istanza al GE per ordinare la cessazione pignoramento in base alla sentenza, o attendere che la controparte lo faccia. Pressate perché l’azienda o la banca spesso richiedono provvedimento formale per scongelare i soldi.

Riepilogo tempi e costi:

  • Tempistica media caso standard (ricorso tributario): presentazione oggi; sospensiva ottenuta tra 1-3 mesi; udienza di merito dopo ~12 mesi; sentenza entro ~18 mesi totali. Appello eventuale + 18 mesi.
  • Costi medi: Contributo unificato 120 €; Avvocato 1000 €; Totale 1120 €. Se vittoriosi, possibile recuperare 500-1000 € di spese dal fisco.
  • Gratuito patrocinio: se… (continua)

Gratuito patrocinio in sintesi

Se il vostro reddito familiare è inferiore a circa € 12.838 annui, avete diritto a richiedere il patrocinio a spese dello Stato. In tal caso, non sosterrete alcun costo per l’avvocato e le spese di giudizio, poiché saranno a carico dello Stato. Dovrete presentare un’apposita istanza (con l’aiuto dell’avvocato stesso, iscritto nelle liste del gratuito patrocinio) e attendere il decreto di ammissione. Una volta ammessi, sarete assistiti gratuitamente: il vostro legale sarà pagato dallo Stato e sarete esonerati dal contributo unificato. Questo strumento garantisce accesso alla giustizia anche a chi ha risorse economiche limitate, assicurando che possiate difendervi contro AdER indipendentemente dalle vostre possibilità finanziarie.

Tempistiche: quanto dura il procedimento?

  • Primo grado: mediamente, un ricorso tributario richiede da uno a due anni per giungere a sentenza. Alcune Corti risolvono in meno di 12 mesi i casi più semplici; altre impiegano 18-24 mesi. Le opposizioni in Tribunale possono avere tempi analoghi: un giudizio in sezione lavoro può durare intorno a un anno, un’opposizione esecutiva anche pochi mesi (se limitata a questioni formali). È importante avere pazienza: il contenzioso fiscale-civile non è immediato, ma è comunque più breve di molte altre cause civili.
  • Sospensiva: la decisione sull’istanza di sospensione è rapida in confronto: in tribunale può arrivare in 1-2 mesi, in Commissione Tributaria spesso entro 3-4 mesi dall’istanza (a volte anche prima). Ottenere la sospensione è strategico per “ibernare” la situazione finché non arriva la sentenza finale.
  • Appello: se si prosegue in secondo grado, bisogna aggiungere altri 1-2 anni circa. La macchina della giustizia tributaria sta migliorando i tempi, ma in appello qualche attesa in più è fisiologica.
  • Cassazione: è il terzo grado e può richiedere diversi anni (anche 3-5). Non tutti i casi però arrivano fin lì; spesso la questione si chiude con l’appello.

Durante l’attesa, non restate passivi: mantenetevi in contatto con il vostro avvocato, segnalategli eventuali comunicazioni che ricevete da AdER o dall’ente (ad esempio, un sollecito, una nuova intimazione). In genere, se l’atto impugnato è sospeso, AdER non invierà null’altro; se invece la sospensione non c’è, l’avvocato potrà rinnovare la richiesta o intraprendere iniziative (come un accordo temporaneo di pagamento rateale) per prevenire danni.

Rischi in caso di mancato ricorso

Cosa succede se, pur avendo ricevuto un atto di Agenzia Entrate-Riscossione, non presentiamo ricorso entro i termini? In assenza di impugnazione, l’atto diventa definitivo e inoppugnabile, con conseguenze potenzialmente gravi:

  • Perdita del diritto di contestazione: Trascorsi i termini di legge (60 giorni per cartelle e intimazioni tributarie, 40 giorni per avvisi INPS, 30 per multe, ecc.), non potrete più far valere davanti a un giudice i vizi dell’atto. Anche se successivamente emergesse che l’atto era viziato, non avendo ricorso in tempo, quel vizio non potrà essere sfruttato (salvo il caso di notifica totalmente inesistente, che come visto mantiene qualche spiraglio residuo in sede esecutiva). In pratica, decadete dalla possibilità di difendervi su quelle ragioni.
  • Iscrizione a ruolo definitiva: Nel caso di cartella di pagamento, dopo 60 giorni il debito iscritto a ruolo si consolida. Ciò significa che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà passare alle fasi successive di riscossione coattiva senza più ostacoli giuridici, perché la cartella non può più essere annullata per vizi di merito o forma (diviene “titolo non più discutibile”).
  • Avvio di misure esecutive: Senza un ricorso pendente (o una sospensione), AdER darà corso alle azioni per riscuotere:
    • Potrebbe iscrivere fermo amministrativo sul vostro veicolo.
    • Potrebbe iscrivere ipoteca sui vostri immobili (se il debito supera 20.000 €).
    • Trascorso il termine di legge, potrebbe notificare un atto di pignoramento sul conto corrente, sullo stipendio/pensione o su altri beni, per recuperare coattivamente le somme.
    • Se già c’era un fermo o ipoteca provvisoria, diverranno stabili e più difficili da rimuovere se non pagando.
  • Aumento del debito per interessi e oneri: Più tempo passa senza saldare, più il debito cresce per effetto:
    • Interessi di mora: maturano interessi (in ambito fiscale fissati annualmente – p.e. ~3-4% annuo negli ultimi anni) dal giorno successivo alla scadenza della cartella. Quindi, ogni giorno di ritardo aggiunge un po’ di interessi.
    • Compensi di riscossione: se si supera 60 giorni dal ruolo, AdER applica l’aggio residuo (che fino al 2021 era il 6% circa, ora abolito per carichi dal 2022, ma per quelli vecchi rimane dovuto) e le spese esecutive (per ogni atto esecutivo compiuto si aggiunge un costo: notifica pignoramento, ecc., importi da 20-30 € fino a centinaia per atti più complessi).
    • Dunque, non fare nulla e aspettare peggiora la posizione finanziaria.
  • Preclusione a benefici rateali o definizioni agevolate attive: Non facendo ricorso, in sé non preclude la possibilità di chiedere una rateazione: anzi, la rateazione si può chiedere entro 60 giorni per congelare, o anche dopo (ma se c’è un pignoramento in corso, dovete saldare almeno 1/5 del debito per ottenerla). Tuttavia, se lasciate andare troppo avanti la procedura, potreste trovarvi con pignoramenti che vincolano il datore di lavoro o il conto, rendendo poi inutile la rateazione tardiva (perché AdER preferirà completare il pignoramento).
    • Riguardo alle definizioni agevolate (es. “rottamazione delle cartelle”): queste sono misure straordinarie che il legislatore di tanto in tanto introduce. Ad esempio, nel 2023 era in corso la Rottamazione-quater che permetteva di pagare il debito senza sanzioni e interessi. Se una definizione è attiva e conveniente, valutate l’adesione entro i termini previsti dalla legge, anche in parallelo al ricorso (il ricorso si può estinguere se aderite). Ma se perdete la finestra e non avete fatto ricorso, rimarrete col debito pieno. Dunque, non fare nulla sperando in futuri condoni è rischioso: potrebbero non essercene a breve, e intanto il fisco procede.
  • Segnalazioni e conseguenze ulteriori: Avere debiti iscritti a ruolo non contestati può comportare anche:
    • Iscrizione a banche dati: AdER può comunicare il mancato pagamento a banche dati creditizie pubbliche, ostacolando l’accesso a finanziamenti.
    • Compensazioni forzate: se vantate crediti verso la Pubblica Amministrazione (rimborsi fiscali, crediti commerciali), questi potrebbero essere bloccati e compensati con il debito (oltre € 5.000, è obbligatorio il controllo del Durc fiscale).
    • Diniego del DURC: per aziende, avere ruoli non pagati senza ricorso porta a irregolarità contributiva/fiscale e al rilascio negato del Documento Unico Regolarità Contributiva, impedendo partecipazione a appalti, ecc.
    • Fermi amministrativi a catena: ad esempio, molte imprese con più automezzi si trovano il parco mezzi bloccato per cartelle non impugnate, paralizzando l’attività.

In conclusione, non reagire a una richiesta di AdER significa in sostanza accettare il debito e lasciar campo libero alla riscossione. Salvo casi di importi minimi che si estinguono con poca sofferenza, la scelta di non fare ricorso andrebbe ponderata con estrema cautela.

Quando può essere ragionevole non ricorrere?

  • Se riconoscete pienamente il debito come dovuto e non rilevate irregolarità, allora conviene piuttosto concentrarsi su come pagarlo (rateazione, saldo, definizioni agevolate se disponibili) invece di intraprendere un ricorso infondato (che verrebbe rigettato e aggraverebbe i costi con le spese).
  • In tutti gli altri casi, soprattutto se vi sono dubbi sulla legittimità della pretesa o sull’esattezza dell’atto, fare ricorso è altamente consigliato per evitare di subire passivamente conseguenze spesso molto spiacevoli.

Ricordate: anche un solo motivo di ricorso vincente (ad esempio la prescrizione) può salvarvi da un esborso ingiusto. Rinunciare a impugnare significa rinunciare definitivamente a far valere i vostri diritti su quella vicenda.

Cosa succede dopo la presentazione del ricorso contro l’Agenzia delle Entrate-Riscossione

Una volta depositato il ricorso, la “partita” si sposta nelle aule di giustizia (fisiche o telematiche). Vediamo gli scenari che possono verificarsi e cosa aspettarsi:

  • Sospensione dell’atto: Se avete richiesto la sospensiva e questa viene concessa dal giudice, gli effetti esecutivi dell’atto impugnato sono congelati fino alla decisione finale. AdER dovrà sospendere qualsiasi azione di riscossione relativa a quell’atto (non potrà pignorare, non potrà tenere fermo il veicolo in modo attivo – anche se la cancellazione effettiva del fermo di solito avviene solo dopo annullamento, la sospensiva vi permette di chiedere almeno di usarlo). La sospensione cautelare è provvisoria: vale fino alla sentenza di merito e può essere revocata se cambiano le circostanze. Ma in pratica, una volta ottenuta, resta sino al termine del grado di giudizio.
  • Difesa dell’ente e possibile mediazione: L’ente resistente (AdER e/o l’ente creditore) presenterà le sue difese. In alcuni casi, soprattutto nelle liti fiscali sotto una certa soglia in passato, l’ufficio poteva proporre una mediazione o conciliazione: ad esempio, ridurre sanzioni se il contribuente rinuncia al ricorso. Dopo la riforma 2023 la mediazione non è più obbligatoria, ma nulla vieta di trovare un accordo transattivo. Ad esempio, in appello tributario è possibile fare una conciliazione con sgravio parziale del debito. Oppure con l’INPS, a volte, prima dell’udienza il legale può trattare: se ci sono errori evidenti, l’INPS stessa potrebbe annullare in autotutela l’avviso (è raro ma accade se vedono che hanno torto). Tenete la mente aperta: se vi offrono una soluzione vantaggiosa, valutate con l’avvocato se accettarla, specie se l’esito del giudizio è incerto.
  • Udienze e discussione: Nel processo tributario, spesso la decisione avviene in camera di consiglio senza la presenza delle parti (soprattutto per cause documentali). In altri casi c’è l’udienza pubblica: il vostro avvocato andrà a discutere davanti ai giudici, riassumendo i punti salienti e rispondendo ad eventuali dubbi. Nel processo civile (tribunale, GdP) ci saranno udienze: prima quella di comparizione, poi eventuali udienze di trattazione o di precisazione conclusioni. Raramente sarete chiamati a testimoniare, perché di solito si discute su documenti. Voi come ricorrenti potete presenziare per interesse, ma parlerà sempre il legale.
  • Sentenza di primo grado: Come già detto, la sentenza potrà:
    • Accogliere il ricorso (vittoria del contribuente).
    • Respingerlo (vittoria dell’ente).
    • Accoglierlo parzialmente (es: annulla sanzioni ma lascia il tributo).
    • Dichiarare il ricorso inammissibile (ad esempio per tardività, o errore di giudice: brutto scenario perché non valuta il merito e chiude solo per un vizio procedurale).
    La sentenza è un documento scritto che verrà depositato e di cui le parti riceveranno notifica (nel tributario via PEC, nel civile va richiesta la notifica o parte il termine lungo di 6 mesi). Leggete bene la sentenza con il vostro avvocato, che vi spiegherà le motivazioni addotte dal giudice.
  • In caso di vittoria (sentenza favorevole):
    • L’atto impugnato viene annullato (o comunque la pretesa ridotta come stabilito). Ciò significa che non siete tenuti a pagare quanto era richiesto dall’atto, nella misura in cui avete vinto.
    • Se la sentenza è subito esecutiva (nel tributario le sentenze lo sono per le somme a rimborso al contribuente; per l’annullamento di cartelle, di fatto AdER ne deve prendere atto immediatamente, anche se l’ente potrà appellare).
    • Potrete trasmettere la sentenza ad AdER chiedendo lo sgravio del debito. In caso di cartella annullata, AdER dovrà cancellarla dal ruolo: ogni azione di recupero cessa. Se c’erano fermi o ipoteche, vanno rimossi. Informatevi attivamente: a volte burocraticamente la rimozione richiede che l’ente creditore comunichi l’esito ad AdER. Il vostro avvocato può sollecitare con diffida se tardassero.
    • Rimborso spese legali: se il giudice vi ha attribuito le spese, avrete diritto a farsene pagare dall’ente. Tipicamente l’Avvocatura salda in qualche mese (a volte serve un atto di precetto, ma spesso no). Potete compensarle col dovuto all’avvocato.
    • Somme già versate: se nel frattempo, magari prima del ricorso, avevate pagato (o vi avevano pignorato) parte delle somme poi annullate, avete diritto al rimborso. Dovrete presentare un’istanza di rimborso all’ente creditore o a AdER con copia della sentenza. I tempi di rimborso variano (da pochi mesi a un anno) a seconda dell’ente. Il fisco rimborsa con interessi legali.
    • Possibile appello dell’ente: attenzione, la controparte (Agenzia Entrate, INPS, Comune…) può impugnare la sentenza se la ritiene errata. L’appello non sospende automaticamente l’effetto della sentenza di primo grado, ma l’ente può chiedere alla Corte di secondo grado di sospenderne l’esecuzione. AdER di solito aspetta a riattivarsi solo se ottiene tale sospensiva. Comunque, una vittoria in primo grado di solito rimane efficace almeno finché la Corte d’Appello non dicesse diversamente. Discute con il legale la convenienza, in caso di appello della controparte, di difendersi in secondo grado o trovare un accordo (talvolta l’ente appellando propone un compromesso, es: pagamento di una quota e rinuncia al resto).
  • In caso di sconfitta (sentenza sfavorevole):
    • L’atto viene dichiarato legittimo. A quel punto, il debito va pagato (salvo decisione di appellare). Se c’era una sospensione, decade con la sentenza.
    • AdER potrà riprendere le procedure esecutive trascorsi i termini di appello (o anche prima, chiedendo eventualmente una provvisoria esecutorietà). Nella prassi, di solito aspetta 60 giorni per vedere se appellate o pagate.
    • Dovrete decidere se proporre appello: valutate con il vostro avvocato le possibilità di ribaltare il verdetto. Se il primo grado ha chiarito alcuni punti e ritenete che il giudice abbia sbagliato in diritto, l’appello è l’occasione per correggere. Se invece avete perso per mancanza di prove o perché effettivamente il motivo non reggeva, appellare rischia solo di prolungare l’agonia e aggiungere costi.
    • Se non appellate, la sconfitta diventa definitiva. In tal caso, per evitare azioni forzose, conviene attivarsi subito con AdER:
      • Chiedere una rateizzazione (se l’importo è elevato e non l’avevate già chiesta). Anche se siete decaduti magari da precedenti rate, dopo la sentenza a volte riammettono al piano.
      • Oppure procedere al pagamento integrale entro breve, per fermare maturazione di ulteriori interessi e spese.
    • Condanna alle spese: dovrete anche pagare le spese di giudizio all’ente, se la sentenza le prevede. Vi arriverà una richiesta dall’Avvocatura (o l’ente può compensarle con crediti). Non ignoratele, perché sono titolo esecutivo anch’esse. Se avete difficoltà, potete provare a negoziare un importo inferiore con l’ente (a volte, se pagate il debito subito, l’ente può rinunciare a chiedere le spese).
    • Conseguenze patrimoniali immediate: se c’era un importo sospeso, ora AdER potrebbe prendere iniziative. Ad esempio, se c’era un pignoramento bloccato dalla sospensione, chiederanno al giudice di sbloccarlo; se c’era fermo sospeso, potrebbe rimetterlo; se nulla era partito, adesso potrebbe arrivare un’intimazione finale e poi pignoramento. Quindi, agite prima voi (pagando o accordandovi) per non subire.
  • In caso di esito parziale: Può capitare che il giudice vi dia ragione su alcuni punti e torto su altri. Ad esempio, annulla le sanzioni ma conferma l’imposta. In tal caso:
    • Il debito residuo (imposta + interessi) va pagato, ma avete risparmiato le sanzioni.
    • Entrambe le parti potrebbero appellare sulla parte per loro sfavorevole (voi magari perché volete annullare tutto, l’ente perché non accetta l’annullamento sanzioni). Spesso in questi casi le spese di lite sono compensate (ognuno paga le proprie).
    • Valutate se accontentarvi del risultato parziale (magari perché il grosso è stato tolto) o proseguire la battaglia in appello per cercare un risultato pieno. Attenzione a non rischiare di perdere anche quel vantaggio in appello – va stimata la solidità della vittoria parziale.
  • Appello e Cassazione: Qualora si vada in appello, le stesse logiche si ripetono: potete ottenere sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado (il che mantiene magari fermo il non dover pagare in attesa dell’appello). L’appello riesamina il merito. Dopo la sentenza d’appello, se ancora sfavorevole, rimane solo la Cassazione, che però verte su motivi di diritto (non rivede i fatti). Cassazione è lunga e costosa, quindi generalmente valutata solo per questioni di principio o di importi molto alti, o se ci sono novità di legge da chiarire.
  • Chiusura del contenzioso: Una volta esauriti i gradi di giudizio (o se decidete di non proseguire oltre), la questione si chiude:
    • Se avete vinto, assicuratevi che l’ente esegua la sentenza. In caso di inerzia, l’avvocato potrà promuovere un giudizio di ottemperanza (nel tributario ci si rivolge alla stessa Corte in composizione speciale) per costringere l’amministrazione a ottemperare, ma di rado serve arrivare a tanto.
    • Se avete perso, il debito entra nella vostra “agenda finanziaria”: potrebbe essere opportuno, oltre a pagare, anche fare un’analisi con un consulente per evitare che simili problemi si ripetano (es: se era una tassa non dichiarata, ora sapete di doverla regolarizzare in futuro).

In conclusione

Presentare ricorso contro l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è un percorso impegnativo, ma spesso necessario per tutelare i propri diritti ed evitare di subire richieste indebite o errori dell’amministrazione. Abbiamo visto come la chiave del successo risieda in:

  • Conoscenza e tempestività: capire subito che atto si è ricevuto, quali sono i termini per reagire e non lasciarli scadere. Un cittadino informato dei propri diritti è già a metà dell’opera. Questa guida vi ha fornito il quadro normativo aggiornato al 2025 per orientarvi.
  • Assistenza qualificata: coinvolgere un avvocato esperto in queste materie è fondamentale. Il legale non è solo un obbligo formale in certi casi, ma un prezioso alleato che conosce le strategie, la giurisprudenza e le procedure per far valere efficacemente le vostre ragioni. Con il suo aiuto, si possono costruire ricorsi solidi e sfruttare anche opportunità come il gratuito patrocinio o la sospensione amministrativa.
  • Precisione nella procedura: dalla redazione del ricorso secondo gli schemi corretti, al deposito telematico, fino alla discussione in udienza, ogni passaggio va curato con attenzione. Errori formali possono compromettere anche la causa migliore, quindi è importante seguire le regole alla lettera (ecco perché ribadiamo il ruolo del professionista).
  • Determinazione e flessibilità: intraprendere un ricorso richiede determinazione – sapendo che potrebbe durare del tempo – ma anche flessibilità nel valutare eventuali soluzioni alternative lungo il cammino (come una mediazione favorevole, una definizione agevolata sopravvenuta, o la scelta di transigere se conviene economicamente). L’obiettivo finale deve essere pragmatico: ottenere il miglior risultato possibile (annullamento o riduzione del debito, dilazione sostenibile, etc.) con il minor impatto negativo sulla vostra vita finanziaria.
  • Consapevolezza dei rischi: questa guida ha anche evidenziato cosa accade se non ci si attiva. Ignorare una cartella esattoriale o un intimazione significa quasi certamente subire pignoramenti o altri guai in futuro. Al contrario, contestare e far valere un vizio (come la prescrizione o la mancata notifica) può liberarvi da un peso finanziario. Vale la pena, dunque, affrontare il problema di petto e non rimandare.

In ultima analisi, il sistema tributario e della riscossione, pur complesso, offre a cittadini e imprese gli strumenti per difendersi. Questa guida completa vi ha accompagnato attraverso tutti gli aspetti cruciali: dalla comprensione degli atti impugnabili (cartelle, fermi, ipoteche, pignoramenti, avvisi di addebito, ecc.), alla predisposizione di un ricorso efficace, fino agli sviluppi successivi e ai costi coinvolti. Siete ora dotati di un vademecum tecnico-legale aggiornato con cui affrontare consapevolmente un eventuale contenzioso con Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Il messaggio finale è di non scoraggiarsi di fronte a una cartella o un atto di riscossione: con le giuste conoscenze e con l’aiuto di un avvocato competente, potete far valere le vostre ragioni e, in moltissimi casi, risolvere la questione a vostro favore o comunque in modo sostenibile. La legge vi mette a disposizione diritti e strumenti – utilizzateli. Un ricorso ben fondato oggi può significare serenità e giustizia domani per voi e la vostra attività.

Qualunque sia l’esito, avrete la certezza di aver tentato ogni strada legittima per proteggere il vostro patrimonio. E, come abbiamo visto, spesso il contribuente ha buone chance di successo quando le pretese non sono pienamente regolari. Agite informati, agite tempestivamente e affidatevi a professionisti: questa è la ricetta per affrontare al meglio un ricorso contro l’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Ricorsi Contro Agenzia delle Entrate Riscossione: Perché Affidarsi a Studio Monardo

Hai ricevuto una cartella esattoriale, un preavviso di fermo, un atto di pignoramento o un’intimazione di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia)?
Non sempre questi atti sono validi o corretti: possono contenere errori gravi, essere prescritti, notificati in modo irregolare o addirittura illegittimi nel merito.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa difendersi con competenza, impugnare l’atto davanti al giudice e, quando possibile, ottenere l’annullamento della pretesa fiscale.

Cosa fa per te l’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo, esperto in diritto tributario ed esecutivo, ti assiste in ogni fase della difesa contro l’Agenzia delle Entrate Riscossione:

  • Analizza in modo approfondito la cartella esattoriale o l’atto ricevuto
  • Verifica i vizi di forma, notifica, prescrizione o decadenza
  • Prepara e deposita il ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria o il giudice dell’esecuzione, a seconda del tipo di atto
  • Richiede, se possibile, la sospensione immediata dell’efficacia dell’atto
  • Ti difende nel procedimento fino alla sentenza
  • Integra, se necessario, il ricorso con una procedura di sovraindebitamento, per bloccare tutte le azioni esecutive in corso

Le qualifiche dell’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti in diritto tributario, bancario ed esecutivo

Con queste competenze, Monardo è in grado di offrire una difesa tecnica, tempestiva e mirata, con il massimo grado di affidabilità.

Perché è importante agire subito

Ogni atto dell’Agenzia delle Entrate Riscossione ha termini ben precisi per essere contestato:

  • Ricorsi contro cartelle esattoriali: 60 giorni
  • Ricorsi contro preavvisi di fermo o ipoteca: 20 giorni
  • Opposizioni a pignoramento: entro 40 giorni, in molti casi anche meno

Agire fuori tempo significa perdere ogni possibilità di difesa.
Con l’assistenza dell’Avvocato Monardo, puoi intervenire subito, proteggere il tuo reddito, il tuo conto corrente e i tuoi beni.

Conclusione

L’Agenzia delle Entrate Riscossione non è infallibile: ma solo chi conosce le regole può davvero difendersi.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al proprio fianco un professionista abilitato, competente e riconosciuto, capace di annullare atti illegittimi, bloccare esecuzioni forzate e tutelare il tuo patrimonio.
Con Monardo, puoi affrontare il Fisco con serietà, forza e una strategia concreta.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in ricorsi contro il Fisco:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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