La Transazione Fiscale Nella Composizione Negoziata Della Crisi Di Impresa: Come Funziona

Vuoi saperne di più sulla transazione fiscale nella composizione negoziata della Crisi D’Impresa?

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Buona lettura e per una consulenza, in fondo alla guida troverete tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato:

Transazione Fiscale Nella Composizione Negoziata Della Crisi D’impresa: Il Quadro Normativo Aggiornato

La transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi d’impresa è frutto di una evoluzione normativa significativa negli ultimi anni. Il punto di partenza è il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), emanato con D.Lgs. 14/2019, che ha introdotto un quadro organico per la gestione delle crisi aziendali. Tale Codice, entrato pienamente in vigore nel 2022, ha subito varie modifiche correttive e integrative volte a recepire direttive europee e a migliorare gli strumenti di risanamento.

D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi): Nel testo originario del Codice, la transazione fiscale era prevista come strumento all’interno di procedure concorsuali tradizionali (come il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti), sostanzialmente riprendendo l’istituto già noto dell’art. 182-ter Legge Fallimentare. Tuttavia, inizialmente non era consentito proporre una transazione fiscale nell’ambito di una composizione negoziata della crisi, procedura introdotta successivamente. La composizione negoziata è uno strumento non concorsuale creato per favorire la soluzione anticipata della crisi con l’ausilio di un esperto indipendente, introdotto per la prima volta dal D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021) e successivamente integrato nel CCII.

Integrazioni successive e direttive UE: Dopo l’entrata in vigore del Codice, sono intervenuti provvedimenti correttivi. Un primo correttivo (D.Lgs. 147/2020) e un secondo correttivo nel 2022 (D.Lgs. 83/2022) hanno adeguato la normativa italiana alla direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazioni preventive. Tali interventi hanno affinato gli istituti del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, ma la composizione negoziata e il trattamento dei debiti fiscali al suo interno sono rimasti ambiti separati: fino al 2024, un’impresa in composizione negoziata poteva certamente trattare con i creditori, ma per ottenere la falcidia (riduzione) dei tributi dovuti all’Erario doveva necessariamente ricorrere a una procedura concorsuale formale (un concordato preventivo con transazione fiscale o un accordo di ristrutturazione omologato) a valle della negoziazione.

D.Lgs. 13 ottobre 2022 n. 149 (c.d. “correttivo-bis”): Nel 2022, con il recepimento della direttiva UE, furono introdotte novità riguardanti la classificazione dei crediti tributari e contributivi e le maggioranze necessarie per l’omologazione forzata (cram down) di piani di ristrutturazione. Tuttavia, la disciplina specifica della transazione fiscale non venne ancora estesa alla composizione negoziata. Si confermò invece nell’ambito concorsuale la possibilità di trattare i debiti fiscali e previdenziali, mantenendo la necessità di un’attestazione di convenienza e l’approvazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Il “correttivo-ter” – D.Lgs. 136/2024: Una svolta decisiva è arrivata con il D.Lgs. 13 settembre 2024 n. 136, terzo decreto correttivo del CCII, in vigore dal 28 settembre 2024. Questo intervento normativo ha introdotto espressamente la possibilità di una transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata. In particolare, il decreto ha inserito il comma 2-bis all’art. 23 CCII, prevedendo che anche durante la procedura di composizione negoziata l’imprenditore possa presentare all’Erario una proposta di accordo sui debiti tributari (e contributivi) con pagamento parziale o dilazionato. Si tratta di un notevole ampliamento delle opzioni di risanamento: prima di questa modifica, durante la composizione negoziata non era possibile concludere accordi vincolanti di riduzione del debito fiscale se non affiancando alla negoziazione un formale accordo di ristrutturazione o un concordato. Dal 28 settembre 2024, invece, le imprese che avviano la composizione negoziata possono includere nel piano negoziale una proposta di transazione fiscale rivolta all’Agenzia delle Entrate, all’Agenzia delle Dogane e Monopoli e all’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Contenuto del correttivo-ter: Oltre all’estensione alla composizione negoziata (art. 23 comma 2-bis), il D.Lgs. 136/2024 ha rimodellato l’intera disciplina della transazione fiscale e contributiva nel Codice. Ha riscritto l’art. 63 CCII (riguardante le trattative fiscali negli accordi di ristrutturazione) e modificato l’art. 88 CCII (trattamento dei crediti fiscali e contributivi nel concordato preventivo). Queste modifiche armonizzano le procedure: ad esempio, viene stabilito con maggiore chiarezza chi ha competenza decisionale per l’Erario nelle varie procedure, i termini per la risposta dell’Amministrazione finanziaria e le modalità di formalizzazione dell’accordo transattivo. Inoltre, il correttivo-ter ha introdotto strumenti interni per l’Agenzia delle Entrate, come un meccanismo di doppio livello di autorizzazione (direzione regionale o struttura centrale) per le proposte che prevedono riduzioni molto accentuate del debito tributario (come vedremo in dettaglio).

Inclusione dei contributi previdenziali: Parallelamente, la disciplina coinvolge anche i crediti previdenziali (contributi INPS, premi INAIL, etc.). Già il CCII trattava unitariamente i “crediti tributari e contributivi” negli articoli dedicati alla transazione fiscale. Il D.Lgs. 136/2024 conferma che le stesse facoltà di proporre pagamento parziale o dilazionato valgono per i contributi obbligatori amministrati dagli Enti previdenziali. Pertanto, la transazione contributiva segue regole analoghe a quella fiscale, con il coinvolgimento dell’INPS e degli altri enti nelle trattative e con la necessità di ottemperare a specifiche istruzioni operative (l’INPS ha emanato proprie linee guida nel merito, come si vedrà più avanti).

Tributi locali e ultimi sviluppi (aprile 2025): Un aspetto normativo delicato è stato il trattamento dei tributi locali (es. IMU, TARI, altre imposte comunali o regionali). Allo stato attuale (aprile 2025), i tributi locali non rientrano formalmente nella transazione fiscale disciplinata dal Codice della crisi. Il comma 2-bis dell’art. 23 CCII, introdotto dal correttivo-ter, fa riferimento ai soli tributi “gestiti dalle agenzie fiscali” (Agenzia Entrate, Dogane) e ai carichi affidati all’Agente della riscossione, escludendo quindi le imposte di esclusiva competenza degli enti locali. Questa esclusione ha creato un disallineamento normativo: le imprese in crisi potevano trattare un accordo su IVA, IRES o contributi INPS, ma non, ad esempio, sull’IMU dovuta al Comune. La giurisprudenza contabile (Corte dei Conti) ha evidenziato la criticità di questa disparità, sollecitando un intervento normativo per includere anche i tributi locali nelle possibili transazioni, al fine di non ostacolare i piani di risanamento. In risposta, il Governo – in attuazione della legge delega fiscale n. 111/2023 – ha predisposto uno schema di decreto legislativo (approvato dal Consiglio dei Ministri il 9 aprile 2025) che estende l’ambito della transazione fiscale ai tributi locali e regionali. Questo provvedimento (la cui entrata in vigore è attesa a breve) permetterà ai Comuni e alle Regioni di aderire a proposte di pagamento parziale o dilazionato delle proprie entrate nell’ambito di tutte le procedure di regolazione della crisi (composizione negoziata, concordato, accordi, ecc.), prevedendo anche la possibilità di omologazione forzosa in caso di dissenso ingiustificato, analogamente a quanto già avviene per i tributi erariali. In sintesi, ad aprile 2025 la normativa positiva consente la transazione fiscale soltanto per i tributi erariali, ma è imminente un adeguamento che includerà anche i tributi locali, colmando l’ultima lacuna.

Sintesi normativa: Oggi, il quadro normativo della transazione fiscale nella crisi d’impresa è il seguente:

  • Concordato preventivo: art. 88 CCII regola il trattamento dei crediti tributari e contributivi, consentendo al debitore di proporne il pagamento parziale/dilazionato. Il voto dell’Erario in adunanza dei creditori è espresso secondo le nuove regole introdotte dal 2024 (competenza delle Direzioni regionali e, in casi particolari, della struttura centrale dell’Agenzia Entrate).
  • Accordi di ristrutturazione dei debiti: art. 63 CCII (come modificato dal D.Lgs. 136/2024) disciplina la transazione su crediti tributari e contributivi nell’ambito delle trattative precedenti la stipula dell’accordo. L’adesione dell’Erario e degli enti previdenziali avviene mediante sottoscrizione dell’accordo transattivo, da formalizzare prima di depositare l’accordo di ristrutturazione per l’omologazione.
  • Composizione negoziata: art. 23 CCII comma 2-bis (introdotto nel 2024) consente di presentare, durante la procedura negoziata, una proposta di transazione fiscale (estesa ai contributi) all’Amministrazione finanziaria. Non è prevista una vera “omologazione” da parte del tribunale in questa fase, poiché la composizione negoziata è una procedura assistita ma stragiudiziale; l’efficacia dell’accordo dipende dall’adesione delle parti (Erario compreso). In caso di successo, la transazione fiscale concordata potrà eventualmente essere recepita in un successivo accordo omologato o eseguita come accordo autonomo.
  • Liquidazione giudiziale: Anche nella liquidazione giudiziale (il “fallimento” secondo il nuovo Codice) trovano spazio istituti simili alla transazione fiscale, ad esempio nella forma di proposte concorrenti di concordato in liquidazione che includano il trattamento dei crediti fiscali. Tuttavia, questo esula dall’ambito della composizione negoziata e attiene più in generale alla possibilità di accordi transattivi durante la liquidazione.

In conclusione, l’attuale assetto normativo (aggiornato ad aprile 2025) fornisce finalmente un quadro completo: la transazione fiscale e contributiva è ora possibile in tutti gli strumenti di regolazione della crisi d’impresa, inclusa la fase di composizione negoziata, purché siano rispettate le condizioni e le procedure previste. Le novità introdotte dal correttivo-ter e quelle in via di introduzione per i tributi locali mirano a favorire soluzioni negoziali efficaci, mantenendo al contempo la tutela dell’interesse erariale attraverso criteri di convenienza economica rigorosi.

Condizioni e Limiti per la Transazione Fiscale nella Composizione Negoziata

L’accesso alla transazione fiscale in composizione negoziata è subordinato a precise condizioni di ammissibilità e limiti normativi posti a tutela dell’Erario e della correttezza della procedura. Di seguito analizziamo tali condizioni e limiti, così come disciplinati dal Codice della crisi (art. 23, comma 2-bis CCII) e dalle relative disposizioni attuative, aggiornati alle modifiche del 2024.

Ambito soggettivo: Possono proporre una transazione fiscale nell’ambito della composizione negoziata tutte le imprese ammesse a tale procedura (imprese commerciali e agricole in stato di crisi o insolvenza imminente). In seguito alle riforme, non vi sono preclusioni legate alla dimensione d’impresa: anche le imprese minori (che non superano i limiti delle procedure minori) possono avvalersi della transazione fiscale in sede negoziale. È necessario, naturalmente, che la composizione negoziata sia stata regolarmente avviata con la nomina dell’esperto indipendente presso la Camera di Commercio competente.

Ambito oggettivo – Debiti interessati: La transazione fiscale può riguardare tutti i debiti tributari dell’impresa verso l’Erario sorti fino alla data di presentazione della proposta transattiva. In particolare, il comma 2-bis dell’art. 23 CCII consente di includere i tributi amministrati dalle Agenzie fiscali (Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Dogane e Monopoli) e i relativi accessori (sanzioni e interessi), nonché i carichi affidati all’Agenzia delle Entrate-Riscossione (quindi anche ruoli esattoriali per imposte già accertate). Inoltre, per analogia con la disciplina di concordato e accordi, rientrano nell’ambito anche i contributi previdenziali e assistenziali dovuti agli enti come INPS e INAIL, con i rispettivi accessori. Un limite importante è previsto per i cosiddetti “tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea”: su questi crediti non è ammessa la falcidia. In pratica, i dazi doganali e una quota delle risorse IVA destinata all’UE vanno soddisfatti integralmente (salvo diversa disposizione UE). Va notato che, riguardo all’IVA, la prevalente interpretazione dottrinale ritiene che la parte di imposta considerabile risorsa UE sia limitata (una percentuale minima del gettito), il che di fatto consente di includere l’IVA nella transazione fiscale, falcidiandone la parte eccedente quella minima non derogabile. In ogni caso, il pagamento parziale o dilazionato può riguardare anche l’imposta (oltre che sanzioni e interessi), superando definitivamente il vecchio divieto di falcidia dell’IVA nelle procedure di risanamento (divieto ormai superato dall’evoluzione normativa e giurisprudenziale comunitaria).

Inclusività dei debiti fiscali: Nella proposta di transazione fiscale, l’imprenditore deve presentare un’offerta che copre tutti i debiti fiscali e contributivi rilevanti gestiti dagli enti suddetti. Non è generalmente ammesso “selezionare” solo alcuni tributi da trattare: la ratio è di evitare trattamenti preferenziali tra diversi crediti erariali. Ciò significa che il piano deve fornire una soluzione per l’intero monte debitorio tributario (es. indicando per ogni imposta se si propone il pagamento integrale, la riduzione percentuale, o una dilazione) in modo organico. Restano ovviamente esclusi dall’accordo solo i tributi locali (finché non interverrà la riforma sopra accennata) e gli eventuali debiti fiscali futuri non ancora sorti.

Pagamento parziale o dilazionato: La transazione fiscale può prevedere:

  • Falcidia dei tributi: una riduzione dell’ammontare dovuto (stralcio parziale del debito). Ad esempio, si può proporre di pagare il 50% dell’imposta originariamente dovuta, con rinuncia al restante 50%.
  • Stralcio di sanzioni e interessi: generalmente, nell’ambito delle transazioni si tende a azzerare o ridurre fortemente le sanzioni e gli interessi di mora, privilegiando il pagamento (anche parziale) del tributo a titolo di capitale.
  • Dilazione di pagamento: anche laddove non vi sia una riduzione dell’importo, è possibile proporre un pagamento rateale del dovuto, suddividendo il saldo in più rate nel tempo. Spesso la proposta combina riduzione e dilazione (es.: pagamento del 60% del debito fiscale, suddiviso in rate trimestrali nei prossimi 5 anni).
  • Eventuali garanzie: Non obbligatorie per legge, ma in sede negoziale l’imprenditore può offrire garanzie aggiuntive (fideiussioni, pegni, etc.) su parte del pagamento dilazionato per rendere la proposta più solida e convincente. Questo può facilitare l’adesione dell’Erario, pur non essendo un requisito normativo esplicito.

Completezza e veridicità dei dati fiscali: Condizione fondamentale è che l’impresa presenti una situazione contabile e fiscale trasparente e attendibile. A tal fine, la legge richiede espressamente che alla proposta siano allegate:

  1. Le dichiarazioni fiscali non ancora liquidate. Ovvero, tutte le dichiarazioni dei redditi, IVA, IRAP, ecc. già presentate ma il cui esito non sia stato ancora determinato dagli uffici (ad esempio le ultime dichiarazioni annuali per le quali l’Agenzia non ha ancora inviato le comunicazioni di liquidazione o avvisi di accertamento). In pratica, l’azienda deve fornire all’Erario il quadro aggiornato dei propri debiti fiscali dichiarati, incluso ciò che ha dichiarato ma non è ancora stato iscritto a ruolo.
  2. Una certificazione dei debiti per periodi non dichiarati. Se vi sono periodi d’imposta recenti per cui le dichiarazioni non sono state presentate (magari perché non ancora scaduti i termini di invio, o per omissione da parte del contribuente), occorre allegare una dichiarazione sostitutiva attestante l’ammontare dei debiti tributari stimati per tali periodi. In sostanza, il debitore deve colmare eventuali vuoti informativi assumendosi la responsabilità di rappresentare fedelmente la propria esposizione fiscale completa.
  3. Relazione dell’organo di revisione (se esistente). Nel caso in cui l’impresa sia dotata di un revisore legale o di un collegio sindacale con funzioni di controllo legale dei conti, è richiesto che tale soggetto predisponga una relazione sulla veridicità e completezza dei dati aziendali. Se l’impresa non ha un organo di controllo (ad esempio PMI non obbligate alla revisione), deve comunque incaricare un revisore legale indipendente di redigere questa relazione ad hoc. Questo documento serve a dare garanzia all’Erario che i dati di bilancio e la situazione patrimoniale e finanziaria presentati sono corretti e non nascondono passività o attivi occulti che potrebbero alterare la valutazione della proposta.
  4. Attestazione di convenienza dell’esperto indipendente. Si tratta di una relazione redatta da un professionista indipendente (ai sensi dell’art. 2, lett. o) CCII), tipicamente un attestatore esperto in crisi d’impresa, che certifichi che la proposta di transazione fiscale è conveniente per l’Erario rispetto alle alternative. In particolare, l’attestazione deve dichiarare che il trattamento offerto al Fisco è almeno pari o migliore di quello che il Fisco stesso otterrebbe in caso di liquidazione giudiziale dell’impresa. Questo documento è il fulcro della condizione di “convenienza economica” prevista dalla legge (analizzata più avanti): l’indipendente effettua una stima dell’eventuale ricavato per il fisco in uno scenario liquidatorio e lo confronta con quanto promesso dalla proposta transattiva, attestando la superiorità (o almeno l’equivalenza) di quest’ultima.

Limiti quantitativi e criteri di accettabilità: La normativa non fissa soglie rigide (ad esempio percentuali minime di pagamento) valide per tutti i casi; tuttavia, attraverso l’attestazione di cui sopra, implicita è la regola che non si può proporre al Fisco meno di quanto esso recupererebbe liquidando il patrimonio dell’impresa. Questo limite, più qualitativo che quantitativo, viene concretizzato nella perizia di convenienza. In pratica, se le stime indicano che in caso di fallimento l’Erario incasserebbe (ad esempio) il 20% dei propri crediti, una proposta che offra il pagamento del 10% sarebbe inaccettabile e difficilmente l’attestatore la certificherebbe come conveniente. Altro limite: la transazione può riguardare solo debiti già sorti; non si possono “transare” imposte future o in corso di accertamento per fatti non ancora verificati. Inoltre, l’imprenditore deve essere in regola – per quanto possibile – con gli adempimenti dichiarativi: proporre una transazione con debiti non dichiarati al Fisco potrebbe compromettere l’esito, se l’azienda non collabora nel quantificare e riconoscere i propri debiti tributari.

Divieto di peggioramento rispetto ai privilegi: Un limite legale implicito deriva anche dal rispetto delle cause di prelazione. I crediti tributari e contributivi sono in parte privilegiati per legge. In un concordato, i crediti privilegiati possono essere falcidiati solo se il valore di realizzo dei beni su cui insiste il privilegio è inferiore al loro ammontare (principio della soddisfazione almeno pari alla liquidazione di quella garanzia). Nella composizione negoziata, che è stragiudiziale, questo vincolo formale non opera direttamente, ma di fatto la stessa logica di convenienza richiede che il Fisco non sia trattato peggio di altri creditori di pari rango. Ad esempio, se vi sono beni su cui il credito erariale ha privilegio, la proposta non potrà destinare quel ricavato ad altri trascurando il Fisco. La transazione fiscale non può alterare l’ordine delle cause di prelazione se non nei limiti consentiti dal CCII (questo aspetto rileverà poi in sede di eventuale omologa di un accordo o concordato successivo).

Tempistica e procedura nella composizione negoziata: Per attivare la transazione fiscale, l’imprenditore, durante la composizione negoziata, presenta una proposta formale alle Agenzie fiscali competenti. Questa proposta va inviata agli uffici dell’Agenzia delle Entrate (e Dogane, se coinvolta) competenti in base all’ultimo domicilio fiscale dell’impresa. Tipicamente:

  • Per l’Agenzia delle Entrate: la Direzione Provinciale o la Direzione Regionale territorialmente competente (in base alla dimensione del contribuente, vedi oltre).
  • Per l’Agenzia delle Dogane: la Direzione territoriale competente.
  • All’Agenzia Entrate-Riscossione: la sede territoriale competente per le cartelle esattoriali dell’impresa. La legge prevede un termine indicativo di 30 giorni dal deposito della proposta entro cui gli uffici finanziari devono svolgere alcune attività preliminari: liquidare le dichiarazioni presentate e non ancora controllate, notificare eventuali avvisi di irregolarità o accertamento pendenti, e rilasciare al debitore una certificazione aggiornata del suo debito fiscale (inclusi gli importi accertati non definitivi e i ruoli non ancora consegnati all’Agente della riscossione). Analogamente, l’Agente della riscossione deve fornire un prospetto del debito iscritto a ruolo scaduto o sospeso. Queste attività servono a “cristallizzare” l’ammontare dei debiti fiscali su cui trattare, in modo che la successiva valutazione avvenga su basi certe.

Durata massima delle trattative fiscali: La composizione negoziata è per sua natura una procedura rapida (durata iniziale di 3 mesi, prorogabile fino a 6 mesi o oltre su autorizzazione). Entro tale lasso di tempo deve compiersi anche la trattativa con il Fisco. La normativa prevede, per coerenza con gli accordi di ristrutturazione, che entro 90 giorni dalla presentazione della proposta di transazione fiscale l’Amministrazione finanziaria comunichi la propria decisione (adesione o diniego). Questo termine di 90 giorni, mutuato dall’art. 63 CCII per gli accordi, funge da riferimento anche in sede di composizione negoziata: è un termine per l’adesione, volto a evitare che l’impresa resti in una situazione di incertezza troppo a lungo. Il termine non è perentorio in senso stretto (gli uffici possono impiegare più tempo in casi complessi), ma costituisce uno standard temporale per concludere la negoziazione fiscale in tempo utile. Un prolungato silenzio del Fisco oltre i 90 giorni, in assenza di proroghe concordate, equivale di fatto a un diniego, costringendo l’impresa a considerare altre vie.

Esclusione di atti unilaterali esecutivi: Durante la pendenza della composizione negoziata e se sono concesse le misure protettive dal tribunale (come il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive), anche l’Erario è vincolato a sospendere le azioni di recupero coattivo. Ciò significa che, una volta presentata l’istanza di misure protettive e notificata all’Agenzia Entrate-Riscossione, vengono sospesi pignoramenti, fermi amministrativi e altre azioni esecutive su iniziativa del Fisco. Questa protezione crea l’ambiente favorevole alla trattativa: il Fisco attende l’esito della negoziazione senza poter migliorare unilateralmente la propria posizione attraverso il recupero forzoso, e l’impresa dal canto suo deve attivarsi diligentemente nelle trattative, non potendo abusare della moratoria.

In sintesi, le condizioni per una transazione fiscale nella composizione negoziata sono stringenti ma finalizzate a garantire serietà e affidabilità della proposta:

  • L’impresa deve mettere tutte le carte sul tavolo (dati fiscali completi e veritieri).
  • La proposta deve essere economicamente vantaggiosa per l’Erario rispetto all’alternativa (liquidazione).
  • Devono essere rispettati ambiti e limiti normativi (niente falcidia per tributi UE, rispetto del rango dei crediti).
  • Il tutto va fatto entro tempi rapidi, con la collaborazione attiva degli uffici finanziari (che forniscono i conteggi aggiornati del debito).

Solo in presenza di queste condizioni, l’Amministrazione finanziaria potrà prendere in considerazione l’adesione all’accordo. Viceversa, proposte lacunose, non convenienti, o che non includano tutti i debiti fiscali rilevanti, saranno respinte, precludendo il successo della composizione negoziata e costringendo l’impresa a percorrere altre strade (o ad affrontare le conseguenze del dissesto).

Giurisprudenza Rilevante e Evoluzione Della Transazione Fiscale

L’istituto della transazione fiscale, dalla sua introduzione ad oggi, è stato oggetto di numerosi interventi giurisprudenziali che ne hanno delineato confini e principi applicativi. La giurisprudenza ha affrontato questioni come la natura negoziale o autoritativa del diniego dell’Erario, la ripartizione di competenze tra giudice tributario e fallimentare, l’ammissibilità della falcidia dell’IVA, nonché l’interpretazione estensiva delle norme in casi non espressamente previsti (come i tributi locali). Esaminiamo l’evoluzione giurisprudenziale saliente:

Prime applicazioni (2009-2015): La transazione fiscale, nata con il D.L. 185/2008 (conv. L. 2/2009) che introdusse l’art. 182-ter nella Legge Fallimentare, inizialmente sollevò dubbi di costituzionalità e di compatibilità con il diritto tributario. Le prime sentenze di merito e di Cassazione confermarono la legittimità dell’istituto, sottolineando che esso rappresenta un concordato tra fisco e contribuente in sede concorsuale, volto a massimizzare il soddisfacimento del credito tributario in situazioni di insolvenza. Cassazione, Sez. I, n. 22931/2011 ad esempio riconobbe che la transazione fiscale si inserisce nel contesto del concordato preventivo come un accordo speciale richiesto dalla legge per poter ridurre i crediti fiscali privilegiati. In questa fase si chiarì che il Fisco non esercita un potere autoritativo impositivo nella transazione, bensì agisce come creditore concorsuale che negozia le proprie spettanze secondo la logica del procedimento concorsuale.

Natura giuridica e giurisdizione sulle controversie: Un tema centrale emerso fu: a chi spetta giudicare sulle controversie relative al diniego della transazione fiscale? Poiché il rifiuto dell’adesione da parte dell’Erario potrebbe essere contestato dall’impresa (ad esempio ritenendolo ingiustificato), si pose il problema se tale contestazione appartenesse al giudice tributario (come se fosse un atto amministrativo fiscale) o al giudice fallimentare (nell’ambito del procedimento concorsuale). Su questo punto è intervenuta in modo risolutivo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con due pronunce nel 2021:

  • Cass. SS.UU. n. 8504/2021: ha statuito che le controversie relative al mancato assenso dell’amministrazione finanziaria alle proposte di transazione fiscale rientrano nella giurisdizione ordinaria del tribunale fallimentare (ora tribunale delle imprese per la crisi). La Corte ha enfatizzato che la transazione fiscale, pur riguardando crediti tributari, si svolge all’interno di una procedura concorsuale (concordato o accordo) e risponde a logiche concorsuali prevalenti su quelle strettamente tributarie. Il diniego di adesione non è un provvedimento autoritativo di accertamento o riscossione, ma l’espressione di volontà di un creditore nell’ambito di una procedura giudiziale. Dunque, i rimedi sono quelli propri delle procedure concorsuali (reclamo, opposizione all’omologa, etc.), e l’eventuale giudizio va incardinato davanti al giudice fallimentare, non presso le Commissioni Tributarie.
  • Cass. SS.UU. n. 35954/2021: confermando la precedente, ha aggiunto che manca nel diniego dell’Erario ogni carattere di esercizio di potestà pubblica unilaterale; si tratta invece di un comportamento negoziale (il rifiuto di un accordo) insito nella dinamica del concordato. Pertanto, ribadisce la Cassazione, tali dinieghi non possono essere impugnati con ricorso tributario, bensì valutati nell’ambito della procedura concorsuale stessa (ad esempio, il giudice dell’omologa esamina il comportamento del Fisco ai fini dell’approvazione o meno del concordato).

Questi principi delle Sezioni Unite hanno chiuso un contrasto: in passato alcune Commissioni Tributarie si erano dichiarate competenti a giudicare sul diniego (trattandolo alla stregua di un rifiuto di agevolazione fiscale), ma ora è pacifico che il forum sia quello concorsuale ordinario. Conseguenza pratica: se l’Erario nega la transazione fiscale, l’imprenditore non deve fare ricorso in Commissione Tributaria; potrà semmai sollevare la questione davanti al tribunale fallimentare (ad esempio, opponendosi al decreto che nega l’omologa del concordato per via del diniego erariale, o chiedendo al giudice di valutare l’irragionevolezza del rifiuto).

Giurisprudenza sulla falcidia dell’IVA e risorse UE: Altro filone importante riguardava la possibilità di stralciare l’IVA, data la natura di tributo armonizzato UE. Inizialmente, si dubitava che fosse lecito ridurre l’IVA in un concordato, temendo un contrasto con l’obbligo di versamento delle risorse UE. La questione arrivò anche alla Corte di Giustizia UE, che tuttavia con la famosa sentenza “Degano Trasporti” (C-546/14, 2016) chiarì che il diritto UE non osta a una normativa nazionale che consenta, in procedura concorsuale, la riduzione del credito IVA, a condizione che l’Erario riceva un trattamento non peggiore rispetto ad altri creditori di pari rango e che vi sia una comprovata situazione di insolvenza. In pratica, la Corte UE ha accettato il principio della transazione sull’IVA in quanto nel contesto di insolvenza meglio una soddisfazione parziale che il fallimento e niente IVA. La giurisprudenza italiana ha recepito questa impostazione: le pronunce successive (Cass. 9071/2017, Cass. 29105/2018) hanno confermato la possibilità di falcidiare l’IVA nel concordato con transazione fiscale, superando definitivamente il precedente divieto assoluto. Nel CCII, come visto, la limitazione è circoscritta alla parte di IVA che è formalmente “risorsa UE” (una minima quota del gettito). In sintesi, sul tema IVA la giurisprudenza ha evoluto da una fase di incertezza a una posizione di apertura nel quadro concorsuale.

Cram down fiscale (omologazione forzata nonostante il diniego): Un aspetto controverso è se sia possibile omologare un concordato o accordo anche senza l’adesione del Fisco, qualora la proposta sia conveniente e la mancata adesione paia ingiustificata. Nel regime della Legge Fallimentare, l’art. 182-ter non prevedeva un cram-down: serviva necessariamente l’assenso esplicito dell’amministrazione per attivare la falcidia dei tributi. Alcuni tribunali in passato hanno cercato soluzioni creative – ad esempio, omologando concordati con pagamento dilazionato dei tributi anche senza adesione formale, purché il piano garantisse al Fisco il soddisfacimento integrale del privilegiato (in pratica nessuna falcidia del capitale) – ma per ridurre l’imposta era richiesto il consenso. Il CCII nella versione post-2022 ha introdotto meccanismi di cram-down generali per classi dissenzienti (sulla scorta della direttiva UE). Tuttavia, specificamente per i tributi, il legislatore è rimasto cauto: si prevede la possibilità di omologa anche in caso di voto contrario del Fisco solo se ricorrono le condizioni generali di maggioranza e convenienza. In altre parole, se il Fisco rifiuta la proposta ma la maggioranza dei creditori approva il concordato, il tribunale potrebbe omologare ugualmente a condizione che al credito fiscale sia riservato almeno l’importo di realizzo in liquidazione (best interest test). Questo è un tema ancora in evoluzione. La prassi attuale vede raramente il giudice sovrapporsi al diniego erariale quando il Fisco è decisivo nella classe di voto, ma l’impianto normativo aggiornato non esclude in assoluto il cram-down: ad esempio, se l’Erario è classificato in una classe di creditori chirografari e quella classe approva a maggioranza qualificata, il voto contrario dell’Erario (pur detentore di una parte dei crediti) può essere superato dalla volontà di classe e il concordato omologato, sempre che il trattamento fiscale rispetti i parametri di legge. Non è invece possibile un cram-down nella composizione negoziata, poiché manca una votazione formale e un giudice dell’omologa: se l’Erario non firma l’accordo in sede negoziale, non vi è modo di imporgli il vincolo, se non tentando un successivo concordato in tribunale.

È opportuno citare sul tema del diniego alcune pronunce di merito recenti:

  • Tribunale di Roma, 25 ottobre 2023: nell’omologare un accordo di ristrutturazione con transazione fiscale, ha evidenziato come il parere negativo espresso inizialmente dall’Erario fosse stato rivisto dopo integrazioni alla proposta, segno che la trattativa può proseguire anche oltre i termini se c’è margine di miglioramento del piano. Il giudice ha sottolineato il ruolo attivo dell’attestatore nel fornire all’Erario rassicurazioni sulla tenuta del piano.
  • Tribunale di Biella, 4 luglio 2024: ha affrontato un caso in cui l’imprenditore aveva depositato la domanda di omologazione di un accordo prima che fossero decorsi i 90 giorni dalla proposta di transazione al Fisco. Il tribunale ha ritenuto prematuro l’approdo in giudizio senza attendere l’esito della trattativa fiscale, ribadendo che il rispetto dei termini procedurali (i 90 giorni di cui all’art. 63 CCII per l’adesione fiscale) è condizione di procedibilità dell’istanza di omologa.
  • Corte di Cassazione, Sez. I, n. 34377/2024: ha affrontato proprio il tema dei termini procedurali nella transazione fiscale collegata a un accordo di ristrutturazione. La Suprema Corte ha chiarito che il debitore deve rispettare la sequenza prevista: prima ottenere o tentare l’adesione dell’Erario alla transazione fiscale, poi depositare l’accordo per l’omologa. Se si salta questo passaggio (ad esempio depositando l’accordo senza la risposta del Fisco, o senza aver atteso i termini), il tribunale può rigettare l’istanza di omologa. Questa pronuncia conferma che l’iter della transazione fiscale è parte integrante del procedimento e non un elemento facoltativo che si possa eludere.
  • Corte d’Appello di Roma, sent. 2273 del 10/04/2025: (ipotetica pronuncia di seconda istanza, se disponibile) sembra aver ribadito che in presenza di un diniego fiscale motivato dalla non convenienza, il giudice non possa omologare l’accordo di ristrutturazione, salvo dimostrare che il diniego stesso è manifestamente pretestuoso. Ciò indica che, in concreto, i giudici di merito attualmente tendono a rispettare la volontà dell’Erario se fondata su valutazioni economiche ragionevoli, pur mantenendo il potere di sindacare eventuali abusi (ad esempio un diniego dato per errore di calcolo palese potrebbe essere superato).

Giurisprudenza contabile (Corte dei Conti) su tributi locali: Meritano menzione anche i pareri delle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, che hanno negli ultimi anni affrontato il tema della transigibilità dei tributi locali nelle crisi d’impresa. In assenza di una norma specifica, i giudici contabili per lo più hanno adottato un orientamento restrittivo: un ente locale non può rinunciare a parte del proprio credito fiscale salvo nei casi espressamente previsti (ad esempio in un concordato fallimentare dove subisce le regole concorsuali generali). Ad esempio, la Corte dei Conti, Sez. Lombardia, delibera 256/2024/PAR ha chiarito che nella composizione negoziata attuale un Comune non può aderire ad un accordo transattivo che preveda la falcidia di tributi locali, perché manca una base normativa che lo autorizzi a farlo. Questo parere ha sottolineato l’anomalia di trattamento tra tributi erariali (falcidiabili col CCII) e tributi locali (che restano esigibili per intero, pena la responsabilità erariale degli amministratori locali se rinunciassero a incassarli). Proprio tali indicazioni hanno spinto il legislatore a intervenire, come visto, con la delega fiscale del 2023 e lo schema di decreto del 2025 per includere anche i tributi locali fra quelli transigibili. Finché tale riforma non sarà operativa, resta valida l’interpretazione per cui i Comuni possono aderire solo ad accordi che prevedano il pagamento integrale dei loro crediti (eventualmente dilazionato), e non una falcidia, salvo accettare anch’essi di essere trattati di fatto come chirografari nei concordati preventivi ove il realizzo dei loro crediti privilegiati sia insufficiente (ma ciò avviene per effetto della legge e non per un loro assenso volontario).

Evoluzione riassuntiva: In oltre un decennio, la giurisprudenza ha progressivamente normalizzato la transazione fiscale, inserendola a pieno titolo negli strumenti concorsuali:

  • Ha affermato la natura concorsuale e negoziale dell’accordo fiscale (non un atto autoritativo impugnabile in via tributaria).
  • Ha delineato i confini dell’obbligo di adesione: non c’è obbligo assoluto per il Fisco di aderire, ma il suo rifiuto può essere sindacato in termini di ragionevolezza economica durante l’omologa.
  • Ha riconosciuto la possibilità di trattamento differenziato dei crediti fiscali purché giustificata dalla situazione (es. falcidia IVA ammessa se inevitabile per salvare l’impresa).
  • Ha evidenziato la necessità di base normativa esplicita per includere nuovi enti (come i locali) nell’istituto, non ritenendo possibile una assimilazione analogica senza legge (onde evitare responsabilità).
  • Infine, con l’avvento del Codice e dei correttivi, la giurisprudenza sta iniziando ad applicare le nuove regole: i primi riscontri sui correttivi 2024 mostrano un orientamento di stretta aderenza alla procedura delineata (rispetto dei termini, competenze degli organi indicati, ecc.), con i giudici che richiamano spesso la Relazione illustrativa al decreto correttivo per interpretare correttamente le innovazioni (ad esempio, l’obbligo di inviare copia della domanda di transazione anche all’Agenzia della Riscossione, pur non più menzionato testualmente, viene desunto dalla Relazione ministeriale e applicato).

In sintesi, la giurisprudenza ha accompagnato l’istituto della transazione fiscale da novità “sperimentale” a strumento giuridico maturo, risolvendo questioni di principio (competenza giurisdizionale, natura del diniego, compatibilità con norme tributarie) e adattandosi man mano alle modifiche legislative. Restano alcune sfide interpretative future – ad esempio, la concreta applicazione del cram-down fiscale nei nuovi piani di ristrutturazione e il coordinamento con i tributi locali quando la legge li includerà – ma il quadro attuale fornisce linee guida solide per operatori e giudici.

Prassi Operative Aggiornate di Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione

All’introduzione normativa della transazione fiscale in composizione negoziata hanno fatto seguito una serie di istruzioni operative e linee guida emanate dagli enti coinvolti – in primis l’Agenzia delle Entrate, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER) e l’INPS per la parte contributiva – per uniformare il comportamento degli uffici territoriali. Tali prassi chiariscono le competenze decisionali, le modalità di presentazione delle proposte e gli adempimenti interni all’amministrazione finanziaria. Di seguito, esponiamo le prassi aggiornate al 2025.

Agenzia delle Entrate – Competenze decisionali e iter interno

Strutture competenti: L’Agenzia delle Entrate ha stabilito una chiara ripartizione di competenze per valutare ed eventualmente aderire alle proposte di transazione fiscale. In base alle direttive interne (aggiornate dal Provvedimento del Direttore AE n. 21447/2024 e successivi), la competenza spetta:

  • Al Direttore della Direzione Regionale (o Direzione di Coordinamento Metropolitano) per l’area in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, nelle situazioni ordinarie. Sarà questo Direttore regionale a valutare la proposta in prima istanza.
  • In caso di contribuenti di grandi dimensioni (ad es. contribuenti gestiti dalle Direzioni Regionali Grandi Contribuenti, tipicamente con volume d’affari oltre 100 milioni di euro), la competenza primaria può essere di una Direzione Centrale dedicata.
  • Direzioni Provinciali: nella prassi, la Direzione Provinciale territorialmente competente istruisce la pratica e formula un parere tecnico, ma la decisione finale (adesione/diniego) deve ottenere il parere conforme della Direzione Regionale. In sostanza, per accettare una transazione fiscale, l’ufficio locale deve avere il via libera gerarchico dal livello regionale. Questo meccanismo garantisce uniformità e controllo sulle decisioni, trattandosi di rinunce a crediti erariali potenzialmente rilevanti.
  • Proposte con riduzioni rilevantissime: Il correttivo-ter ha previsto che, quando la proposta prevede una falcidia molto elevata del debito tributario (ovvero un taglio percentuale oltre una soglia significativa e per importi assoluti molto ingenti), la valutazione finale salga a livello centrale presso l’Agenzia delle Entrate. Un provvedimento attuativo ha fissato questa soglia: se la proposta prevede di soddisfare meno del 30% del totale del credito (quindi >70% di falcidia) e l’importo condonato supera i 30 milioni di euro, allora il parere conforme non viene dato dalla Direzione Regionale bensì da una struttura centrale appositamente designata. Dal 1° novembre 2024, per effetto del Provvedimento AE n. 375245/2024, è operativa presso la Divisione Contribuenti dell’Agenzia una nuova unità denominata “Ufficio Crisi d’impresa”, incaricata di esaminare queste proposte di particolare rilievo. Questo Ufficio centrale rilascia (o nega) il parere per le transazioni fiscali “extra-large”, sostituendo il precedente “Ufficio Tutela del credito erariale e crisi aziendali” e centralizzando il processo decisionale dei casi più complessi e onerosi per l’Erario.

Procedura di presentazione e valutazione: La prassi, confermata anche dalla Relazione Illustrativa al D.Lgs. 136/2024 e da circolari interne, prevede i seguenti passaggi operativi quando un’impresa in composizione negoziata presenta una proposta di transazione fiscale:

  1. Deposito della proposta agli uffici competenti: Come già accennato, l’impresa invia tramite PEC la proposta formale all’Agenzia delle Entrate (DP o DR competente per territorio e per tipologia di contribuente). Contestualmente, copia va all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Se coinvolte Dogane o Monopoli (per accise, dazi), la proposta va inviata anche alla Direzione territoriale delle Dogane.
  2. Istruttoria iniziale – quantificazione del debito: Entro ~30 giorni, l’ufficio locale dell’AE:
    • Procede alla liquidazione delle dichiarazioni presentate non ancora definite, emettendo se del caso avvisi di irregolarità (che quantificano eventuali imposte dovute in base al dichiarato) o avvisi di accertamento/liquidazione per situazioni pendenti.
    • Redige una certificazione del debito tributario complessivo, includendo: debiti da dichiarazioni, debiti da avvisi di accertamento notificati (anche se non definitivi) per la parte non iscritta a ruolo, e debiti già a ruolo (cartelle) eventualmente non ancora consegnate all’Agente della riscossione. L’Agente della riscossione, parallelamente, certifica l’ammontare di tutte le somme a ruolo scadute o in sospeso relative al debitore.
    • Questi documenti (avvisi e certificazioni) vengono comunicati al debitore e, se già nominato nel frattempo un commissario giudiziale (ad esempio qualora la composizione negoziata sfoci in concordato), anche a quest’ultimo.
  3. Valutazione di convenienza: L’ufficio procede poi ad analizzare la proposta nel merito. Viene esaminata la relazione dell’attestatore sulla convenienza rispetto alla liquidazione: spesso, i funzionari AE rifanno i calcoli o li verificano, magari con l’ausilio dell’Avvocatura dello Stato per gli aspetti legali. Si valutano anche le prospettive di risanamento dell’azienda (per esempio, se la prosecuzione dell’attività garantisce future entrate fiscali o se il piano appare sostenibile).
    • In questa fase, è prassi che vi sia un confronto informale con l’esperto nominato nella composizione negoziata e con l’impresa proponente. L’ufficio fiscale può richiedere chiarimenti, dati aggiuntivi o persino formulare controproposte (ad esempio chiedere una percentuale leggermente superiore, o una riduzione dei tempi di dilazione) per migliorare la convenienza. Tali interlocuzioni, sebbene non codificate, sono incoraggiate perché la negoziazione abbia successo. L’esperto indipendente facilitatore spesso svolge un ruolo chiave nel fare da tramite tra impresa e fisco su questi aggiustamenti.
  4. Decisione e sottoscrizione: Entro il termine previsto (90 giorni circa), l’iter decisionale interno deve concludersi. Se la proposta viene accolta positivamente:
    • Il Direttore regionale competente rilascia il proprio parere conforme. Successivamente, il Direttore della Direzione provinciale (o ufficio territoriale) competente procede a sottoscrivere formalmente l’atto di transazione fiscale in rappresentanza dell’Agenzia delle Entrate. La sottoscrizione avviene su un documento negoziale che contiene i termini dell’accordo (percentuale di pagamento, scadenze, eventuali garanzie, ecc.). In pratica, la firma del Direttore provinciale/regionale sull’accordo proposto dal debitore costituisce l’adesione formale dell’AE.
    • L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, dal canto suo, firma per accettazione limitatamente agli oneri di riscossione (aggi e spese di riscossione) sulle somme iscritte a ruolo oggetto di stralcio o dilazione. AER infatti è anch’essa creditore per le proprie competenze (in genere l’aggio standard, una percentuale del riscossO); il CCII prevede espressamente che l’Agente sottoscriva la transazione per questa parte.
    • Se nella transazione sono inclusi contributi INPS/INAIL, occorrerà anche la firma dei rappresentanti di questi enti (si veda oltre la prassi INPS).
    • Una volta sottoscritto da tutti, l’accordo transattivo diviene efficace e vincolante secondo i termini pattuiti.
    • L’adesione così espressa equivale, nelle procedure concorsuali, al voto favorevole dell’Erario sulla proposta del debitore (nel concordato preventivo, ciò si traduce in un voto in adunanza; nell’accordo di ristrutturazione equivale alla firma dell’accordo).
  5. Diniego o mancata adesione: Se la valutazione è negativa, l’Agenzia delle Entrate comunica formalmente il diniego della transazione. Ciò solitamente avviene con una lettera motivata indirizzata al debitore (spiegando, almeno in termini generali, le ragioni: es. “proposta non conveniente rispetto al realizzo in liquidazione” o “mancata assicurazione di integrale pagamento della quota privilegiata” etc.). In alcuni casi, l’AE potrebbe semplicemente lasciar decorrere infruttuosamente il termine, ma questa è una prassi sconsigliata: le istruzioni interne privilegiano una risposta esplicita, per correttezza nei confronti del processo negoziale. In caso di diniego, la composizione negoziata può comunque proseguire con altri creditori, ma l’assenza del Fisco pone seri ostacoli (come esporremo in seguito nelle conseguenze).
  6. Coordinamento con l’Avvocatura dello Stato: È prassi che, quando l’ufficio locale ravvisa elementi per un possibile diniego o per una difficile valutazione, coinvolga l’Avvocatura Distrettuale dello Stato, che assiste l’Agenzia nelle eventuali fasi giudiziali (ad esempio, opposizione all’omologa se l’accordo va avanti senza adesione). L’Avvocatura viene informata anche quando viene depositata dal debitore una domanda di omologa successiva: dovrà valutare se proporre opposizione qualora il tribunale intendesse omologare contro il parere fiscale.

In aggiunta, Agenzia delle Entrate e INPS hanno siglato protocolli di coordinamento per le transazioni che coinvolgono crediti di entrambi: spesso l’adesione viene esaminata in modo parallelo per fisco e contributi, con scambio di informazioni tra i due enti per presentare al debitore risposte possibilmente contestuali. L’obiettivo dichiarato nelle circolari è evitare che, ad esempio, l’AE accetti ma l’INPS rifiuti per motivi superabili, o viceversa, creando impasse. Un coordinamento inter-enti riduce questo rischio.

Agenzia delle Entrate-Riscossione – Ruolo e prassi

L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (AER), ente preposto alla riscossione coattiva dei tributi, è coinvolta nella transazione fiscale sotto due profili:

  • Fornisce la certificazione dei ruoli come visto (elenco e importi delle cartelle esattoriali scadute/sospese relative al debitore). Questa certificazione, prodotta entro 30 giorni dalla domanda, è fondamentale per avere contezza delle somme già iscritte a ruolo e quindi dovute tramite AER.
  • Partecipa come soggetto aderente limitatamente ai propri crediti da oneri di riscossione. Questi oneri (aggio, interessi di mora maturati dopo la consegna del ruolo, spese) sono giuridicamente distinti dal tributo principale: l’Erario può rinunciare al tributo in parte, ma l’aggio è un credito di AER che va considerato. Nella prassi, se il tributo è falcidiato, anche l’aggio subisce analoga proporzionale falcidia (perché calcolato sul tributo). AER normalmente aderisce automaticamente in scia all’adesione dell’AE, non avendo interesse a opporsi se l’ente titolare del tributo è d’accordo. Le istruzioni interne di AER prevedono di accodarsi alla decisione dell’ente impose, dato che la convenienza per AER è direttamente legata: se l’alternativa è il fallimento dell’azienda, anche l’aggio sarebbe perso in larga parte. Dunque, AER firma l’accordo transattivo per accettazione contestualmente all’AE.
  • AER, una volta perfezionata la transazione, sospende le attività di riscossione in corso e provvede a gestire il pagamento secondo i nuovi termini. Ad esempio, se la transazione prevede il pagamento dilazionato di alcune cartelle, AER emetterà nuovi piani di rateizzazione coerenti con l’accordo (fuori dalle normali procedure standard, trattandosi di un accordo concorsuale specifico).
  • In caso di mancata adesione dell’AE (e quindi fallimento della transazione), AER riprenderà dopo la chiusura della composizione negoziata le sue azioni di recupero, salvo che intervengano provvedimenti diversi (es. apertura di una procedura concorsuale con altre misure protettive).

Non risultano emanate circolari pubbliche specifiche da AER sulla composizione negoziata, ma c’è un raccordo normativo: l’art. 23 comma 2-bis CCII include AER come controparte legittimata dell’accordo per le sue voci di credito. Inoltre, il ruolo di AER nel concordato è definito dall’art. 88 CCII (esprime voto limitatamente agli oneri di riscossione). Nella pratica quotidiana, gli uffici AER regionali partecipano alle riunioni con l’impresa e l’esperto, per chiarire l’esatto ammontare dovuto e per coordinare la cessazione di eventuali pignoramenti in corso (ad esempio, se c’è un fermo amministrativo su un macchinario aziendale, in sede di accordo transattivo AER può concordare la rimozione del fermo in cambio del pagamento secondo i termini stabiliti).

INPS e transazione contributiva – Istruzioni operative

Per la parte dei contributi previdenziali, l’INPS ha emanato il Messaggio n. 3553 del 25.10.2024, che delinea la procedura interna conseguente al correttivo-ter. I punti chiave di tale prassi INPS (valida anche per INAIL, con opportuni adattamenti) sono:

  • L’INPS considera la transazione dei contributi analogamente a quella fiscale. L’art. 63 CCII (come modificato) disciplina unitariamente tributi e contributi negli accordi, e ciò si riflette anche nella composizione negoziata.
  • Presentazione della proposta all’INPS: La proposta di transazione contributiva deve essere depositata presso la Direzione regionale e la Direzione territoriale INPS competenti in base al domicilio fiscale dell’azienda. In genere, coincide con la stessa area della Direzione Entrate. Se l’azienda ha debiti verso più sedi INPS (es. diverse casse o filiali), la prassi prevede che la proposta sia esaminata dalla Direzione territoriale in cui si registra il credito contributivo maggiore, che funge da capofila coordinando le altre sedi coinvolte.
  • Competenza decisionale INPS: Dal 28/9/2024, l’adesione alle proposte transattive è di competenza del Direttore Regionale INPS (o metropolitano, per grandi città) analogamente all’AE. La decisione è poi attuata mediante la sottoscrizione dell’accordo da parte del Direttore della Struttura territoriale che gestisce il credito. In pratica, similmente al Fisco, la Direzione Regionale INPS autorizza e la sede INPS locale firma l’atto di transazione contributiva.
  • Se vi sono più sedi INPS coinvolte (ad esempio debiti afferenti a diverse province), la Direzione territoriale “capofila” firma in rappresentanza anche delle altre, previo mandato del Direttore regionale, in modo da avere un unico atto.
  • Termini: L’INPS adotta il termine di 90 giorni dal deposito della proposta per pronunciarsi, coerentemente col termine previsto dall’art. 63 CCII. Entro tale termine deve arrivare l’adesione (firma) oppure il diniego. Il debitore potrà poi depositare la domanda di omologa dell’accordo solo dopo aver ottenuto l’adesione sia dell’INPS che degli altri creditori (in sostanza, l’INPS pretende – a ragione – che prima di rivolgersi al giudice l’azienda concluda la fase negoziale con l’ente).
  • Coordinamento con Agenzia Entrate: L’INPS istruisce la pratica in parallelo all’AE. Il messaggio INPS indica che la struttura territoriale che riceve la PEC dal debitore deve tempestivamente trasmetterla all’unità interna competente, la quale a sua volta informerà l’Avvocatura INPS territoriale. Quest’ultima valuterà se ci sono motivi di opposizione all’eventuale omologa (ad esempio se il piano appare lesivo per l’INPS). Ciò è analogo al coordinamento AE-Avvocatura Stato.
  • Quando l’INPS aderisce e sottoscrive l’accordo, questa firma equivale all’assenso ai fini dell’accordo di ristrutturazione o del concordato. In un concordato preventivo, però, il voto INPS confluisce nella classe dei crediti privilegiati: solitamente i contributi previdenziali sono privilegiati come i tributi, dunque se falcidiati necessitano anch’essi di transazione.
  • INAIL e altri Enti: Seguono le stesse modalità, spesso INPS funge da ente coordinatore perché le somme dovute a INAIL (premi assicurativi) sono in proporzione minori e di solito vengono trattate congiuntamente.

Documenti ufficiali e circolari

Dopo il correttivo-ter, l’Agenzia delle Entrate ha preannunciato l’emissione di una Circolare esplicativa sulla nuova disciplina della transazione fiscale (includendo casi pratici e linee interpretative). Al momento (aprile 2025), una circolare unitaria non è stata ancora pubblicata, ma:

  • La Relazione Illustrativa al D.Lgs. 136/2024 svolge la funzione di indirizzo per molte questioni (gli uffici la usano come riferimento per capire la volontà del legislatore su punti dubbi).
  • Vari provvedimenti del Direttore dell’Agenzia (come quelli citati n. 21447, 375245, 456918 del 2024) hanno definito internamente procedure e soglie, e sono stati resi noti anche attraverso comunicati stampa. Ad esempio, un comunicato AE di ottobre 2024 informa che per le transazioni superiori a 30 milioni di euro con falcidia oltre il 70% la decisione sarà presa dall’Ufficio centrale crisi d’impresa.
  • L’Agenzia Entrate-Riscossione ha adeguato i propri sistemi informativi per recepire la sospensione automatica delle procedure esecutive una volta che un debitore risulta ammesso a composizione negoziata con misure protettive: un’istruzione interna del 2023 aggiornata nel 2024 prevede che gli agenti della riscossione inseriscano un “codice evento” sul profilo del contribuente che congela per la durata della procedura le azioni di recupero.
  • Unioncamere, che gestisce la piattaforma della composizione negoziata, ha pubblicato a fine 2024 delle linee guida operative sulle novità introdotte dal correttivo-ter in composizione negoziata. Tra queste linee guida (diffuse tramite il portale “Gestione crisi d’impresa”) vi sono indicazioni agli esperti negoziatori di invitare l’imprenditore a valutare una proposta di transazione fiscale quando tra i creditori vi è un significativo debito fiscale, e istruzioni su come comunicare efficacemente con gli uffici fiscali (ad esempio fornendo subito un prospetto ripartitivo del pagamento proposto per ciascun tributo e allegando i documenti richiesti). Unioncamere ha inoltre aggiornato la modulistica telematica: nell’area riservata della piattaforma ora vi è una sezione dove l’imprenditore può segnalare di aver presentato istanza di transazione fiscale, caricandone copia, così che l’esperto possa monitorarne gli esiti e includere tale elemento nelle proprie valutazioni finali.

In ambito di prassi giurisprudenziale, vale notare come i tribunali delle imprese (sezione crisi) abbiano recepito le prassi amministrative: ad esempio, alcuni giudici delegati, in caso di concordato con transazione fiscale, chiedono all’attestatore conferma che la proposta sia stata trasmessa agli uffici AE competenti come da normativa e attendono l’esito dei 90 giorni prima di fissare l’udienza di omologa, coordinando così il calendario giudiziario con la prassi amministrativa.

Sintesi operativa

Possiamo riassumere gli aspetti di prassi operativa in alcuni punti chiave:

  • Interlocutori: L’impresa in crisi interagisce principalmente con la Direzione provinciale AE di competenza e con la sede INPS regionale. Questi enti, però, decidono coinvolgendo i livelli superiori (Direzione regionale AE e Direzione generale INPS).
  • Tempi: 30 giorni per il quadro debiti, ~90 giorni per la risposta. Spesso la decisione arriva prima informalmente, specie se positiva (per accelerare i successivi passi di accordo con gli altri creditori).
  • Formalizzazione: La transazione fiscale si formalizza in un atto negoziale sottoscritto. Non esiste un modello unico nazionale obbligatorio, ma di solito è la stessa proposta del debitore controfirmata per accettazione dal funzionario competente, integrata da una breve scrittura privata che riepiloga impegni e condizioni. Talora l’Avvocatura prepara una minuta di accordo standard.
  • Esecuzione dell’accordo: Dopo la firma, l’Erario emette provvedimenti conseguenti: sgravio parziale di cartelle per la parte condonata, piani di rateazione per le somme dilazionate (che escono dal perimetro concorsuale e diventano debito corrente secondo i termini concordati). Se l’accordo è omologato dal giudice (in caso di concordato o accordo di ristrutturazione), esso acquista efficacia di titolo anche esecutivo; se invece avviene tutto stragiudizialmente nella composizione negoziata, l’accordo ha natura contrattuale ma può essere azionato come qualsiasi contratto in caso di inadempimento.
  • Monitoraggio: Le strutture dell’AE e dell’INPS monitorano il rispetto delle scadenze dell’accordo. Un inadempimento rilevante (es. mancato pagamento di rate) fa decadere i benefici e l’Erario può riprendere la riscossione sul debito originario al netto di quanto eventualmente già incassato.

In definitiva, la prassi amministrativa post-riforma appare orientata a favorire la rapida definizione delle proposte transattive, con un approccio collaborativo: le istruzioni interne insistono sulla necessità di fornire in tempi brevi i riscontri all’impresa e di motivare chiaramente eventuali dinieghi, per consentire all’esperto e al debitore di reagire di conseguenza (rimodulando l’offerta o attivando procedure alternative). La standardizzazione di competenze (tutto passa per i Direttori regionali) è volta ad assicurare uniformità nazionale: un medesimo tipo di proposta dovrebbe, nei limiti del possibile, ricevere pari trattamento a Milano come a Palermo, evitando disparità che storicamente potevano verificarsi con approcci differenti delle sedi locali.

Modulistica e Documentazione nella Transazione Fiscale

Nell’ambito della transazione fiscale in composizione negoziata, la modulistica e la documentazione rivestono un ruolo cruciale, poiché consentono di formalizzare le proposte e fornire all’amministrazione tutti gli elementi necessari per valutarle. Di seguito esaminiamo i documenti chiave, i modelli disponibili e forniamo indicazioni su come predisporli, con commenti utili per i professionisti che assistono l’impresa.

Istanza di nomina dell’esperto e attivazione della composizione negoziata

Prima ancora di arrivare alla transazione fiscale, l’impresa deve aver attivato la composizione negoziata tramite la piattaforma telematica gestita dalle Camere di Commercio. La modulistica iniziale comprende:

  • Domanda di accesso alla composizione negoziata: un modulo online dove l’imprenditore (o il suo rappresentante) fornisce i dati dell’impresa, descrive sommariamente la situazione di crisi e allega la documentazione iniziale (ultimo bilancio, elenco creditori, ecc.). Questo modulo, disponibile sul portale dedicato (suite Unioncamere), contiene anche l’eventuale richiesta di misure protettive al tribunale.
  • Check-list di autodiagnosi: un questionario guidato nella piattaforma, obbligatorio, che aiuta a valutare la perseguibilità del risanamento. Non è direttamente inerente alla transazione fiscale, ma delinea la situazione di partenza.

(Questi primi moduli servono solo ad attivare la procedura e a nominare l’esperto; li menzioniamo per completezza, pur non essendo parte della transazione fiscale in senso stretto.)

Proposta di Transazione Fiscale – Struttura e contenuti

Non esiste un modello ministeriale prestampato per la proposta di transazione fiscale in composizione negoziata; viene di fatto redatta ad hoc dall’impresa (di solito assistita da un professionista legale/tributario). Tuttavia, la proposta dovrebbe contenere alcuni elementi standard per essere completa ed efficace:

  • Intestazione e riferimenti procedurali: Indicare che si tratta di una “Proposta di Trattamento dei Crediti Tributari ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis, D.Lgs. 14/2019” nell’ambito della composizione negoziata. Specificare i dati dell’impresa (denominazione, CF/P.IVA, sede legale) e gli estremi della procedura (numero di iscrizione nel registro delle imprese dell’istanza di composizione negoziata, data nomina esperto, ecc.).
  • Destinatari: la lettera va indirizzata alle Agenzie competenti. Es.: Alla Direzione Provinciale di [X] dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio Legale/Contenzioso; Alla Direzione Regionale [Y] dell’Agenzia delle Entrate (per conoscenza, per il parere conforme); Alla Direzione Regionale [Z] INPS (se contributi inclusi); Alla Direzione Provinciale INPS di [X]; Alla Direzione territoriale Agenzia Entrate-Riscossione di [X]; Alla Direzione Interregionale delle Dogane di […] (se vi sono debiti doganali).
  • Premesse: una breve premessa in cui si ricostruisce la situazione debitoria dell’impresa verso il Fisco. Ad esempio: “La Società Alfa S.r.l. versa in stato di crisi come da istanza depositata in data…, con debiti tributari iscritti a ruolo per €…, debiti tributari non a ruolo per €…, e debiti contributivi per €… (dettaglio allegato). Si intende percorrere la via del risanamento aziendale attraverso accordi con i creditori, inclusa la definizione agevolata del debito fiscale ex art. 23 co. 2-bis CCII. Pertanto, si sottopone alla Vs. cortese attenzione la seguente proposta transattiva.”
  • Oggetto della proposta (dettaglio dei debiti): qui si può inserire una tabella riepilogativa dei debiti fiscali e contributivi oggetto di trattativa. Ad esempio:
Ente creditoreTipologia debitoAmmontare originario (€)Trattamento proposto
Agenzia Entrate – DP RomaIVA 2021 (dich. annuale)100.000 (capitale 80k, interessi+sanzioni 20k)Pagamento 50.000 in 5 anni (stralcio 50%), stralcio totale sanzioni
Agenzia Entrate – DP RomaIRES 2020 (accertamento)50.000 (capitale 30k, sanzioni 20k)Pagamento 30.000 in 3 anni (100% imposta, stralcio 100% sanzioni)
Agenzia Riscossione (per AE)Cartella IRAP 201920.000 (interessi moratori)Pagamento 10.000 entro fine 2025 (stralcio 50% interessi)
INPS – sede RomaContributi 202140.000 (di cui 5k sanzioni)Pagamento 30.000 in 4 anni (stralcio 25%, sanzioni azzerate)
Totale210.000Pagamento totale 120.000

Questa tabella (esemplificativa) aiuta gli uffici a vedere chiaramente cosa si propone per ogni posizione debitoria.

  • Modalità di pagamento: descrivere come si intende pagare l’importo offerto. Se rateizzato, specificare il numero di rate, la cadenza (mensile, trimestrale), l’eventuale interesse di dilazione (spesso 0 se concordato diversamente, oppure un tasso legale sulle rate lunghe). Ad esempio: “Il pagamento dell’importo complessivo di €120.000 avverrà in 20 rate trimestrali di €6.000 ciascuna, a partire dal …, con applicazione di interessi al tasso legale sulle rate successive alla prima. In alternativa, qualora preferiate una soluzione più breve, la Società è disponibile a modulare in 10 rate semestrali di €12.000.”
  • Garanzie (se offerte): se l’impresa offre garanzie, indicarle: “A garanzia del puntuale pagamento delle somme dilazionate, sarà rilasciata fideiussione bancaria a prima richiesta per l’importo di €… in favore dell’Erario” oppure “sarà acceso vincolo di privilegio speciale su …”. Le garanzie non sono obbligatorie per legge, ma inserirle può rendere la proposta più robusta.
  • Ragioni della convenienza per il Fisco: anche se l’attestazione è allegata, è utile che la proposta contenga in sintesi la spiegazione del perché conviene accettare. Esempio: “La presente offerta garantisce all’Erario un incasso pari al 57% del proprio credito complessivo. In caso di liquidazione giudiziale, come risulta dalla perizia dell’esperto allegata, l’Erario recupererebbe non più del 20%. Vi è dunque un significativo vantaggio economico. Inoltre, l’accoglimento della proposta consentirà la continuazione dell’attività d’impresa, con preservazione di 50 posti di lavoro e la ripresa di versamenti fiscali correnti (si stima un pagamento IVA e ritenute di circa €… annui a regime).”
  • Documentazione allegata: infine, elencare gli allegati forniti:
    • Attestazione del professionista indipendente sulla convenienza (Art. 23 co.2-bis lett. a).
    • Relazione del revisore legale sulla veridicità dei dati aziendali (Art. 23 co.2-bis lett. b).
    • Dichiarazioni fiscali [anno] presentate in data […] (non ancora liquidate).
    • Dichiarazione sostitutiva di atto notorio per debiti tributari anno [2022] (dichiarazione non ancora presentata, termine al …).
    • Situazione dettagliata dei debiti iscritti a ruolo (estratto di ruolo aggiornato) – facoltativo se già noto.
    • Piano industriale o di risanamento (in sintesi) e bilancio previsionale post-ristrutturazione – questi non sono espressamente richiesti, ma spesso allegare il piano d’impresa aiuta l’Erario a capire come l’azienda genererà le risorse per pagare le somme proposte.
    • Eventuale perizia di stima dei beni aziendali in caso di liquidazione (a supporto dei valori indicati dall’attestatore).
    • Copia della visura camerale e documenti societari (per confermare poteri di firma di chi sottoscrive la proposta per l’azienda).

La proposta deve essere sottoscritta dal legale rappresentante dell’impresa (o da un procuratore munito di apposita procura speciale). Inviare via PEC: occorre verificare gli indirizzi PEC ufficiali degli uffici (reperibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS). È consigliabile inviare con ricevuta di consegna e chiedere eventualmente conferma di ricezione.

Relazione dell’attestatore indipendente (Attestazione di convenienza)

Questa relazione è un documento tecnico essenziale. Di norma, segue gli standard delle attestazioni di piani di concordato, con focus specifico sul confronto tra scenari:

  • Analisi dello scenario di liquidazione giudiziale: l’attestatore valuta, se l’impresa fosse liquidata, quali somme andrebbero ai creditori e in particolare al Fisco. Ciò implica stimare il realizzo dei beni aziendali (inventario dei cespiti, crediti da riscuotere, ecc.), applicare i costi della procedura (spese, compensi liquidatore, ecc.), poi vedere in che misura i crediti privilegiati verrebbero pagati. Questa parte contiene spesso tabelle di riparto simulato che mostrano ad esempio: Erario privilegio €X, soddisfatto al Y%; Erario chirografo €Z, soddisfatto 0%; altri creditori ecc.
  • Analisi dello scenario in continuità con transazione: l’attestatore verifica il piano di risanamento proposto (es. nuovo finanziamento, cash flow operativo futuro) e attesta che l’impresa sarà in grado di pagare l’importo offerto al Fisco nei termini previsti. Dichiara quindi che l’esecuzione dell’accordo è fattibile e che l’Erario incasserà effettivamente €[importo] pari a [percentuale]% del suo credito.
  • Confronto numerico: l’attestazione deve contenere l’esplicita affermazione che il trattamento proposto al Fisco è almeno pari a quello che otterrebbe in liquidazione. Di solito l’attestatore scrive: “si attesta che la somma complessiva destinata al pagamento dei crediti tributari (€…) risulta superiore a quella ottenibile in caso di liquidazione (€…), soddisfacendo pertanto la condizione di convenienza ex art. 23 CCII”.
  • Allegati tecnici: se l’attestatore usa perizie di stima o valutazioni di mercato, le allega. Spesso allega anche lo stato analitico dei debiti e crediti dell’impresa per dare evidenza delle basi di calcolo.

Questo documento viene di solito redatto in formato relazione PDF con firma digitale e allegato alla PEC. L’importante per la modulistica è assicurarsi che l’attestatore possieda i requisiti di indipendenza (non deve aver lavorato per l’azienda né essere legato a creditori) e che la relazione riporti la data e la firma autografa/digitale.

Relazione del Revisore sulla veridicità dei dati

Se l’impresa aveva già un revisore legale dei conti (o collegio sindacale), quella figura è tenuta a produrre una dichiarazione in cui attesta che le scritture contabili e i bilanci presentati riflettono fedelmente la situazione dell’impresa. In mancanza di organo interno, viene nominato un revisore esterno apposta.

Questa relazione è meno complessa: normalmente consiste in un’attestazione breve, su carta intestata del revisore, con formule tipo: “In qualità di revisore legale nominato ai sensi dell’art. 23 co.2-bis, attesto che i dati aziendali posti a base della proposta di transazione fiscale e del piano di risanamento, come riepilogati nei documenti [elenco bilanci, situazione patrimoniale al …, elenco debiti e crediti], sono completi, aggiornati e veritieri. In particolare, non risultano poste attive occultate né passività non dichiarate che possano incidere sulla valutazione della proposta transattiva.” Può includere eventuali rilievi se il revisore li ha (ad esempio “si segnala che l’ultima dichiarazione IVA non comprende un debito di €…, di cui però si è tenuto conto manualmente negli allegati” – casi rari).

Il revisore firma digitalmente e allega il documento.

Schema di accordo transattivo e decreti di omologa

Nel contesto della composizione negoziata pura, una volta che Agenzia Entrate, INPS ed eventuali altri hanno aderito, si redige un accordo transattivo finale. Questo può essere di due tipi:

  • Accordo stragiudiziale privato: se tutti i creditori (fiscali e non) trovano un’intesa, si può formalizzare un unico accordo multilaterale firmato da impresa e creditori, senza necessità di omologa. In tal caso, il documento finale potrebbe essere un atto sottoscritto da tutti, comprendente anche la parte fiscale. Esso conterrà clausole sul decorso dei termini, sul fatto che in caso di mancato pagamento di due rate il beneficio decade, ecc. Non esiste un formulario pubblico, ma i professionisti tendono a redigere tali atti secondo gli schemi dei contratti di ristrutturazione del debito.
  • Accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 e ss CCII: se l’impresa sceglie comunque di far omologare l’accordo per maggiore efficacia, allora la modulistica prosegue con:
    • Ricorso per omologazione al tribunale: contenente in allegato l’accordo firmato dal Fisco (e dagli altri creditori rilevanti).
    • Verbale di adesione dell’Erario: talora l’Agenzia Entrate preferisce produrre un verbale interno che riepiloga l’adesione, da depositare in tribunale. Ma spesso basta l’accordo firmato.
    • Il tribunale, verificato il tutto, emetterà il Decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, che sancisce l’efficacia erga omnes dell’accordo e chiude la procedura. Non c’è modulistica prestabilita per il decreto, è un provvedimento giurisdizionale motivato.

Nel caso di concordato preventivo, la modulistica differisce perché l’accordo transattivo confluisce direttamente nel piano di concordato e nei documenti di voto:

  • Il piano di concordato conterrà una sezione “trattamento dei crediti tributari e contributivi ex art. 88 CCII” dove si espone la proposta transattiva (già presentata agli enti).
  • L’adesione formale del Fisco si manifesta nel voto favorevole in adunanza dei creditori (non serve che firmino un accordo separato, basta votino sì).
  • Se il concordato è approvato dalle maggioranze, il decreto di omologa conterrà menzione del fatto che l’Erario ha aderito (o eventuale cram-down, ma come detto è raro ad oggi).

Modulistica per tributi locali (in prospettiva)

Volendo essere completi, segnaliamo che con l’estensione futura ai tributi locali, i Comuni e le Regioni dovranno dotarsi di delibere consiliari o determine dirigenziali per aderire alle transazioni. Dovranno predisporre modelli interni per istruire la pratica (ad esempio, la Giunta comunale potrebbe dover autorizzare il Sindaco a firmare l’accordo transattivo sui tributi comunali). Sebbene questo aspetto sia in via di definizione, i professionisti dovranno in futuro interfacciarsi anche con modulistica degli enti locali, come richieste di parere alle Corte dei Conti per assicurarsi di non violare i vincoli di finanza pubblica.

Altri documenti utili

Infine, altri documenti che non sono obbligatori ma spesso vengono utilizzati nella prassi documentale:

  • Accordo di riservatezza e standstill: Durante la composizione negoziata, talvolta l’impresa fa sottoscrivere ai creditori (incluso il Fisco, tramite rappresentanti) accordi di riservatezza o di moratoria provvisoria. Nel caso del Fisco, la moratoria è già data dalle misure protettive legali, ma si può richiedere riservatezza su informazioni sensibili condivise (anche se per la PA c’è obbligo di segreto d’ufficio).
  • Relazione finale dell’esperto negoziatore: Non è una modulistica da compilare dall’impresa, ma è un output importante: l’esperto, conclusa la procedura, redige una relazione finale sugli esiti. Se si è raggiunta la transazione fiscale, l’esperto lo evidenzierà come elemento del successo del percorso negoziale. Questa relazione, depositata nel registro imprese, può tornare utile qualora successivamente si passi a concordato: il tribunale valuterà positivamente il fatto che c’è l’adesione fiscale.
  • Modulistica di pagamento: dopo l’accordo, l’impresa dovrà materialmente effettuare i pagamenti secondo i termini. A tal fine potrebbe ricevere dall’Agenzia Riscossione dei bollettini o avvisi di pagamento personalizzati per le rate, oppure coordinate bancarie per bonifici direttamente all’Erario. Non c’è uniformità: alcuni uffici AE forniscono un IBAN con causale specifica “Transazione fiscale XYZ”, altri delegano ad AER l’emissione di piani di rateazione ad hoc.

In conclusione, la modulistica per la transazione fiscale si sostanzia in gran parte in documenti redatti dai professionisti (proposte, relazioni) più che moduli standard precompilati. È fondamentale che ogni documento sia predisposto con accuratezza, poiché qualsiasi carenza o mancanza (ad esempio omissione di un debito nella proposta, o un’attestazione formulata in modo ambiguo) può compromettere la fiducia dell’Amministrazione e quindi l’esito dell’adesione. I professionisti (avvocati, commercialisti) dovrebbero creare dei check-list interni per assicurarsi di includere tutto: per esempio, verificare di aver allegato tutte le dichiarazioni dovute, di aver indicato chiaramente le percentuali di soddisfo, e così via. Un dossier ben organizzato facilita la controparte pubblica e aumenta le probabilità di una risposta positiva o quantomeno di un dialogo costruttivo.

Criteri di Convenienza Economica nella Valutazione della Proposta

Uno degli snodi fondamentali della transazione fiscale è la valutazione della convenienza economica della proposta per l’Amministrazione finanziaria. In altri termini, l’Agenzia delle Entrate (così come l’INPS per la sua parte) decide se aderire o meno principalmente sulla base di considerazioni economiche: quanto otterrò aderendo all’accordo rispetto a quanto otterrei non aderendo (cioè procedendo con le vie ordinarie, fino all’eventuale fallimento dell’azienda)? Qui di seguito approfondiamo i criteri che guidano tale valutazione, alla luce sia delle previsioni normative sia della prassi operativa.

Principio base – Best Interest of Creditors Test: Il Codice e la normativa collegata implicano che il primo criterio sia il rispetto del best interest test, ovvero che la proposta garantisca al Fisco almeno la somma che potrebbe ricavare nello scenario di liquidazione giudiziale. Questo criterio è codificato in modo esplicito: l’attestatore indipendente deve certificarne la sussistenza. Dunque, l’Agenzia delle Entrate verifica anzitutto che il rapporto proposta vs liquidazione sia favorevole:

  • Se la proposta offre di più della liquidazione, essa può essere accettata (restano poi altre valutazioni).
  • Se la proposta offre meno di quanto stimato in liquidazione, allora è non conveniens e in linea di massima verrà respinta, perché significherebbe chiedere al Fisco di rinunciare a parte di ciò che comunque prenderebbe in caso di fallimento. Tale scenario non avrebbe giustificazione economica (a meno di considerazioni extra-economiche come voler salvare i posti di lavoro, ma l’Erario deve attenersi a logiche patrimoniali).
  • Naturalmente, le stime di realizzo in liquidazione sono spesso suscettibili di variabilità. L’Erario tende ad essere prudente: se l’attestatore stima un recupero liquidatorio del 30%, una proposta del 35% potrebbe essere considerata appena sufficiente; se invece l’attestatore stima 10% e la proposta offre 12%, sebbene sia “più alta”, si valuta la robustezza di quelle cifre (bastasse un piccolo errore nella stima e non sarebbe più conveniente). Quindi, in pratica, margini di sicurezza: quanto maggiore è la percentuale offerta rispetto allo scenario liquidatorio, tanto più l’AE sarà propensa ad aderire.

Valutazione del tempo di incasso: La convenienza non è solo quanto, ma anche quando. Un pagamento immediato di una certa somma può essere preferibile a un pagamento dilazionato della stessa somma su molti anni, soprattutto se l’impresa è a rischio di non rispettare i termini futuri. L’Amministrazione, pur non esplicitando un calcolo finanziario di attualizzazione, ragiona in termini di certezza e tempestività:

  • Una somma certa e prontamente esigibile (es. pagamento entro pochi mesi) ha un valore maggiore per l’Erario di una somma identica spalmata in 5-6 anni con rischio di default intermedio.
  • Pertanto, a parità di percentuale offerta, l’AE favorirà piani più brevi e/o garantiti. Se l’impresa propone una dilazione lunga, il Fisco potrebbe chiedere garanzie o un leggero aumento dell’importo come “interessi impliciti”.
  • Formalmente, il CCII consente la dilazione anche oltre l’anno (cosa che, al di fuori di procedure concorsuali, l’Erario non può fare se non con rateazioni standard). Ma non pone limiti precisi: si lascia alla trattativa. In prassi, dilazioni entro 5 anni vengono spesso considerate ragionevoli se ben motivate dal piano finanziario. Oltre 5 anni, l’Erario potrebbe mostrarsi più scettico, a meno che l’attestazione non dimostri capacità finanziaria certa su quell’arco temporale (es. contratti di fornitura di lungo termine che generano flussi costanti).

Confronto con alternative di recupero ordinario: L’Agenzia delle Entrate valuta anche le possibilità di recupero fuori dalla procedura concorsuale. Ad esempio: se l’impresa ha importanti beni aggredibili, il Fisco potrebbe, in assenza di accordo, procedere con ipoteche, pignoramenti e forse incassare una buona parte del credito prima di un eventuale fallimento. Al contrario, se l’impresa è di fatto incapiente e solo il piano di risanamento la valorizza, il Fisco sa che fuori dall’accordo avrebbe risultati magri. Quindi:

  • Se l’azienda possiede asset facilmente esecutabili (immobili liberi da vincoli, liquidità su conti, etc.), l’Erario confronterà l’offerta con ciò che potrebbe riscuotere autonomamente. Ad esempio, se c’è un immobile su cui ha ipoteca per le cartelle e la proposta lo valuta molto al ribasso rispetto al valore di mercato, l’AE potrebbe rifiutare preferendo esecitare l’ipoteca.
  • Viceversa, se i beni ci sono ma sono già ipotecati da banche che assorbirebbero tutto, o se i beni sono difficili da vendere, la proposta transattiva appare più conveniente.
  • Questo criterio in realtà si riconduce sempre al confronto con lo scenario fallimentare, perché in fallimento l’Erario pure agirebbe sui beni con privilegio/ipoteca secondo ordine dei crediti. Ma la differenza è che l’AE può avere una propria stima diversa da quella dell’attestatore sul valore di certi beni. Ad esempio, può ritenere che un capannone valga più di quanto stimato, e dunque che in liquidazione recupererebbe più di quanto indicato: in tal caso, considererà non adeguata la percentuale offerta.

Prospettive di risanamento e benefici indiretti: Un criterio meno tangibile, ma presente, è la considerazione del futuro dell’impresa. L’Agenzia delle Entrate, soprattutto negli ultimi anni, ha mostrato attenzione alla continuità aziendale come fattore positivo: un’azienda salvata continuerà a pagare tasse (future), a dare lavoro, ecc. Anche se questi aspetti non compaiono formalmente nella valutazione (che deve restare legata al credito esistente), possono inclinare la bilancia psicologica verso l’accettazione se l’offerta è borderline ma l’impresa mostra prospettive solide:

  • Reputazione e compliance futura: se l’impresa in crisi ha comunque mantenuto un comportamento collaborativo (ad esempio ha già ripreso a versare il corrente fiscale dopo l’avvio della negoziazione, segno di ravvedimento) e si impegna a onorare tutti i nuovi obblighi, l’Erario è più propenso a darle fiducia.
  • Settore strategico o impatto sociale: non codificato, ma è innegabile che salvare un’azienda grande con molti dipendenti in certe aree ha un impatto positivo; l’Agenzia non può formalmente basarsi su ciò, ma i vertici (Ministero dell’Economia) promuovono la sensibilità istituzionale: dunque i funzionari sanno che aiutare un salvataggio ragionevole è preferibile al far fallire l’impresa e avere costi sociali e minori entrate future. Questo criterio soft può far pendere per l’adesione a parità di convenienza.

Percentuale di stralcio e importo assoluto: Come accennato, l’Agenzia ha introdotto una soglia del 70% di falcidia e 30 milioni di stralcio oltre la quale serve il benestare centrale. Questo riflette il criterio che:

  • Proposte con stralcio moderato (es. pagamento del 50% del dovuto) sono considerate “ordinarie” e la Direzione Regionale può decidere autonomamente.
  • Proposte con stralcio estremo (pagare solo il 20-30% del dovuto, condonando il 70-80%) sono viste come eccezionali e dunque analizzate a livello nazionale per coerenza. In tali casi limite, la convenienza deve essere evidenziata in modo lampante (ad esempio perché in liquidazione il Fisco prenderebbe zero o pochissimo). Se l’attestazione mostra scenario liquidatorio 5% e offerta 30%, pur essendo 30% un basso assoluto, è 6 volte tanto il fallimento: qui convenienza c’è, ma la decisione verrà presa attentamente perché il “sacrificio nominale” dell’Erario è ampio. Si valuta anche l’effetto di precedente che può creare un’adesione su percentuali molto basse: l’Erario teme di lanciare il messaggio che basta offrire pochissimo e si ottiene lo sconto. Ecco perché centralizza queste decisioni, per mantenere uniformità e rigore.

Analisi qualitativa della proposta: Oltre ai numeri, l’ufficio valuta la proposta nella sua interezza:

  • Completezza e trasparenza: una proposta ben documentata, con tutti i dati chiari, genera fiducia. Se invece emergono incongruenze (p.es. un debito fiscale non menzionato scoperto dal controllo automatico), la credibilità della proposta cala e l’ufficio tende a respingere, temendo sorprese.
  • Trattamento degli altri creditori: il Fisco confronta come l’impresa intende trattare altri creditori di pari grado. Ad esempio, se ai fornitori chirografari viene proposto il 40% e al Fisco (anch’esso chirografo per la parte scoperta) solo 10%, l’AE potrebbe giudicare iniqua la proposta e chiedere un allineamento. Di solito, per ragioni pratiche e politiche, l’Erario non vuole essere trattato peggio degli altri creditori non privilegiati (anzi, spesso chiede un occhio di riguardo, essendo denaro pubblico). Quindi una regola non scritta: evitare disparità marcate sfavorevoli all’Erario. Se il piano prevede sacrifici omogenei tra creditori, l’AE lo apprezzerà di più.
  • Eventuali contenziosi pendenti: se ci sono cause tributarie aperte, a volte l’Agenzia considera anche quello: aderendo alla transazione, l’ente rinuncia a eventuali esiti favorevoli dei giudizi. Se il debito oggetto di transazione non è definitivo perché in causa, può essere chiesto al debitore di rinunciare al contenzioso come parte dell’accordo (clausola di definizione delle liti). Questo è un beneficio per l’Erario (evita rischi di perdere in Cassazione ad esempio) e rientra nella convenienza complessiva. Molti accordi includono: “la società rinuncia ai ricorsi pendenti per le annualità oggetto di transazione”. Ciò rende l’adesione più probabile.
  • Garanzie offerte: come già detto, l’offerta di garanzie riduce il rischio di inadempimento futuro; quindi, economicamente, aumenta il valore atteso dell’incasso per l’Erario. Di conseguenza, se il debitore offre una garanzia reale o personale di terzi per il pagamento dilazionato, l’Erario valuta che l’EVA (valore atteso) della proposta cresce e quindi la convenienza migliora. Anche sconti minori possono essere accettati se c’è buona garanzia, mentre senza garanzie può darsi che l’ufficio chieda una percentuale maggiore come compensazione del rischio.

Esempio pratico di applicazione dei criteri: Poniamo che un’azienda debba al Fisco 1 milione di euro (tra imposte e sanzioni) ed è in grave crisi. L’attestazione indipendente stima che, vendendo tutti i beni in fallimento, il Fisco recupererebbe circa €200.000 (20%). L’azienda propone di pagare €300.000 (30%) in tre anni.

  • Il criterio di convenienza vs liquidazione è soddisfatto: 300k > 200k.
  • Dilazione tre anni: relativamente breve, abbastanza accettabile.
  • Nessuna garanzia aggiuntiva offerta: l’AE valuterà se i flussi di cassa prospettici sono solidi; se dubita, potrebbe chiedere una fideiussione su quelle rate.
  • Altri chirografari prendono il 30% uguale: parità di trattamento, bene.
  • L’attività proseguirà generando IVA futura: fattore positivo. Risultato: è probabile un’adesione, perché l’offerta è del 50% superiore allo scenario di dissesto e ragionevole nei termini.

Altro scenario: debito 1 milione, recupero in fallimento 500k (50%). Proposta di pagare 500k in 5 anni.

  • Convenienza stretta: offerta = scenario (non superiore). L’attestatore direbbe “pari al 50%, quindi non peggiore”. L’AE tende però a volere un margine >0. In tal caso, se la fiducia sull’azienda è elevata (piano solido, magari c’è un nuovo investitore), potrebbe accettare considerandolo comunque valido. Ma non sarebbe entusiasta.
  • Potrebbe contrattare un miglioramento: magari salire a 600k (60%) o ridurre i tempi a 3 anni per dire sì. Se l’impresa proprio non può, l’AE dovrà decidere se accontentarsi di 500k in 5 anni o rischiare fallimento e prendere 500k subito (in teoria, ma con incertezze di procedure). Non c’è una risposta automatica, dipende dal contesto; è qui che subentrano valutazioni discrezionali e qualitativi (reputazione, ecc.).

Ruolo dell’organo decisore e accountability: vale menzionare che per i dirigenti pubblici concedere sconti su crediti è una materia delicata, soggetta a potenziali responsabilità erariali. Le norme del CCII inquadrano la transazione fiscale come atto dovuto se sussistono i presupposti (in quanto strumento concorsuale). Le pronunce Cassazione citate evidenziano “la prevalenza dell’interesse concorsuale su quello tributario”. In altre parole, il dirigente AE che aderisce in presenza di convenienza economica adempie correttamente al suo dovere, non regala nulla. Al contrario, un diniego a fronte di chiara convenienza potrebbe essere considerato un comportamento irragionevole che danneggia l’Erario (incasserebbe meno poi in fallimento). Dunque, i direttori sono incentivati ad aderire quando i numeri dicono di aderire. Questa consapevolezza funge da criterio di indirizzo interno: rispettare il calcolo economico, senza farsi guidare da un rifiuto “ideologico” di tagliare le tasse. Ciò detto, i funzionari stileranno sempre verbali interni motivando la scelta con cifre alla mano, così da poterla difendere in caso di controlli.

Conclusione sui criteri: In sintesi, l’Agenzia delle Entrate (e analogamente gli enti previdenziali) giudicano una proposta transattiva attraverso un mix di analisi finanziaria e buon senso gestionale, riassumibile nei seguenti passi logici:

  1. La proposta garantisce almeno il valore di liquidazione? (Se no, rifiuto; se sì, passo 2…(continua dalla sezione precedente)
  2. La proposta è attuabile e credibile? (Valutazione sulla fattibilità del piano di risanamento e sulla capacità dell’impresa di generare le risorse promesse. Se i numeri del piano non tornano o l’impresa appare comunque destinata al fallimento, anche un’offerta sulla carta conveniente perde valore perché rischia di non venire eseguita).
  3. I tempi e le modalità di pagamento sono accettabili? (Rate troppo lunghe o condizioni poco chiare riducono la convenienza; garanzie aggiuntive e pagamenti più rapidi la aumentano).
  4. Il trattamento proposto rispetta le norme e l’equità? (Nessuna violazione di limiti legali come il divieto di falcidia di taluni tributi, rispetto del rango di eventuali crediti privilegiati, e un trattamento non deteriore rispetto ad altri creditori similari).
  5. Esistono benefici collaterali dal salvataggio dell’impresa? (Pur non decisivo da solo, il fatto che l’impresa possa continuare a operare – generando gettito futuro e salvaguardando l’occupazione – rappresenta un argomento a favore dell’adesione, se i punti precedenti sono soddisfatti).

Se la risposta a tutte queste domande è positiva, l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria sarà di aderire alla transazione fiscale, considerandola vantaggiosa nel complesso. Se invece una o più di queste condizioni mancano, prevale la prudenza e quindi il diniego.

Adesione o Diniego della Transazione Fiscale: Conseguenze e Rimedi

L’esito della proposta di transazione fiscale – l’adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria oppure il diniego – ha un impatto significativo sul percorso di risanamento dell’impresa e apre differenti scenari. Analizziamo separatamente le conseguenze positive in caso di adesione e le possibili contromisure o conseguenze negative in caso di diniego, nonché i rimedi giuridici esperibili.

Effetti dell’Adesione della Transazione Fiscale

Quando l’Agenzia delle Entrate (e gli altri enti coinvolti) aderisce alla proposta di transazione fiscale, si raggiunge un accordo vincolante che produce molteplici effetti benefici per il processo di risanamento:

  • Definizione agevolata del debito fiscale: L’impresa ottiene una riduzione e/o dilazione del proprio debito tributario e contributivo secondo i termini pattuiti. Questo significa, in pratica, che una parte dei debiti viene cancellata (remissione di imposta, interessi e sanzioni condonati) e la parte restante viene “cristallizzata” nell’importo concordato. L’azienda può quindi contabilizzare l’accordo: la quota stralciata diviene una sopravvenienza attiva fiscale (peraltro spesso esentasse nei concordati) e la quota da pagare residua viene iscritta come debito ristrutturato.
  • Sospensione e cessazione delle azioni esecutive: La firma dell’accordo comporta che l’Amministrazione finanziaria rinuncia definitivamente alle misure di recupero coattivo in corso sul debito oggetto di transazione. Se c’erano ipoteche, pignoramenti o fermi amministrativi avviati dall’Agente della Riscossione, questi verranno progressivamente revocati o comunque non proseguiti, in conformità all’accordo. Ad esempio, eventuali ruoli in essere verranno sospesi (se il pagamento è dilazionato) e poi sgravati mano a mano che il debitore paga secondo l’accordo.
  • Miglioramento del piano di risanamento complessivo: L’adesione del Fisco spesso sblocca anche le trattative con gli altri creditori. I principali creditori finanziari (banche) e fornitori guardano con favore al fatto che l’Erario sia a bordo dell’operazione, perché ciò riduce l’incertezza e alleggerisce il carico complessivo. Con il debito fiscale ridotto, gli indicatori di bilancio dell’azienda migliorano (patrimonio netto risanato dall’azzeramento di alcune passività) e quindi l’azienda risulta più solvibile. In molte situazioni, l’accordo con il Fisco è la tessera mancante per convincere, ad esempio, una banca a erogare nuova finanza o i soci a ricapitalizzare: sapere che l’Erario non agirà più aggressivamente e che si accontenta di una percentuale concordata dà fiducia a tutti i player coinvolti.
  • Chiusura rapida della composizione negoziata con successo: Una volta ottenute le adesioni dei creditori pubblici, l’esperto negoziatore può redigere una relazione finale positiva, attestando che è stato raggiunto un accordo che assicura la sostenibilità dell’impresa. La composizione negoziata potrà concludersi formalizzando gli accordi definitivi con tutti i creditori. In alcuni casi, se i restanti creditori sono pienamente soddisfatti o hanno accordi bilaterali, non occorre nemmeno passare dal tribunale: l’impresa esce dalla composizione negoziata e prosegue la sua attività eseguendo gli accordi (compreso quello fiscale). L’esperto chiude il suo incarico registrando il successo e la procedura viene annotata come conclusa positivamente nel registro delle imprese.
  • Omologazione (se necessaria) e blindatura dell’accordo: Qualora si opti per far omologare l’accordo (tipicamente un accordo di ristrutturazione ex art. 48 o 63 CCII), l’adesione preventiva del Fisco semplifica enormemente la fase giudiziale. Il tribunale, infatti, verificherà che vi sia la firma dell’amministrazione finanziaria sull’accordo e, con ogni probabilità, omologherà senza ostacoli sul punto fiscale, dato che è rispettata la condizione di legge (assenso espresso). L’accordo omologato acquisisce efficacia legale erga omnes e non potrà essere impugnato se non per ragioni di legittimità formale. In particolare, i creditori dissenzienti (se ve ne sono) non potranno attaccare l’accordo lamentando un trattamento di favore al Fisco, perché questo trattamento è autorizzato dalla legge ed è frutto di un accordo espresso. Allo stesso modo, l’accordo fiscale omologato preclude futuri contenziosi tributari sui periodi inclusi (essendo transazione a tutti gli effetti).
  • Esecuzione e monitoraggio post-accordo: Dopo l’adesione, l’impresa dovrà ovviamente rispettare gli impegni assunti. L’Agenzia Entrate e gli enti controllano nel tempo la regolarità dei pagamenti alle scadenze fissate. Se l’impresa paga puntualmente, dopo l’ultima rata il debito fiscale si intenderà definitivamente estinto per la quota falcidiata e verranno rimosse eventuali residue formalità (es. ipoteche, fermi). Il successo dell’operazione si sostanzia dunque nel completamento dei pagamenti concordati. Da quel momento, l’azienda sarà liberata dal peso del passato fiscale e potrà riprendere un rapporto fisiologico col Fisco (pagando solo il corrente).

Va aggiunto che l’adesione alla transazione fiscale non comporta, di per sé, l’estinzione di reati tributari eventualmente commessi (come l’omesso versamento IVA o ritenute): per quelli, servirebbe il pagamento integrale dei debiti tributari rilevanti (ex D.Lgs. 74/2000) o altre cause di non punibilità. Tuttavia, spesso la transazione fiscale copre anche quegli importi (magari pagando almeno il minimo richiesto per estinguere il reato, ad esempio versando il 100% dell’IVA dovuta se si vuole estinguere il reato di omesso versamento IVA, stralciando solo sanzioni e interessi). Quindi, un beneficio collaterale può essere la sistemazione anche della posizione penale tributaria degli amministratori, qualora prevista.

Conseguenze del Diniego da parte dell’Amministrazione Finanziaria

Se l’Agenzia delle Entrate (o altro ente competente) rifiuta di aderire alla proposta di transazione fiscale, la composizione negoziata subisce un colpo potenzialmente fatale. Le conseguenze più immediate sono:

  • Mancato accordo globale nella composizione negoziata: Senza il consenso del Fisco, rimane irrisolto un pezzo spesso significativo del debito aziendale. La composizione negoziata potrebbe comunque produrre accordi con altri creditori (banche, fornitori), ma il “buco” del debito fiscale rimasto fuori rende instabile l’intero impianto. Nella migliore delle ipotesi, l’impresa potrebbe tentare di proseguire ugualmente chiedendo ai soci di colmare quel buco (ossia reperendo risorse aggiuntive per pagare interamente il Fisco non transigibile). Ciò però a volte è impraticabile, specie se le somme sono ingenti e i soci non dispongono di capitali.
  • Fine delle trattative con il Fisco: Il diniego, se definitivo, implica che l’Erario tornerà a pretendere il pagamento integrale di quanto dovuto. Passato il periodo di protezione della composizione (se attivato), l’Agenzia Entrate-Riscossione potrà riprendere le procedure di recupero coattivo per l’intero ammontare. L’impresa può trovarsi nuovamente esposta a pignoramenti, fermi e ipoteche. La tensione finanziaria dunque si riacutizza.
  • Necessità di ricorrere a una procedura concorsuale giudiziale: In moltissimi casi, il diniego del Fisco costringe l’impresa a concludere che la composizione negoziata non può raggiungere un esito soddisfacente. L’esperto negoziatore, nella sua relazione finale, probabilmente attesterà che “non si è potuto raggiungere un accordo con tutti i creditori essenziali” e potrebbe suggerire l’accesso a una procedura concorsuale. A quel punto l’imprenditore ha principalmente due opzioni:
    1. Concordato preventivo “in extremis”: depositare un ricorso di concordato preventivo (possibilmente con riserva, cioè “concordato in bianco”, per guadagnare qualche settimana in più se serve predisporre il piano) in cui affrontare il debito fiscale diversamente. Se il Fisco ha negato la transazione, significa che non era d’accordo su falcidia/dilazione; dunque nel concordato il debitore potrebbe scegliere di non chiedere più la falcidia del tributo ma pagarlo integralmente nel piano (magari spalmato secondo le regole concorsuali). In sostanza, l’impresa potrebbe dover sacrificare altri valori per soddisfare meglio il Fisco, pur di far approvare il concordato. Se ciò non è possibile, perché ad esempio le risorse non bastano per pagare per intero il Fisco privilegiato, allora il concordato rischia di non essere ammissibile (non si può falcidiare un credito privilegiato senza consenso se la legge non lo consente).
    In alcuni casi si potrebbe tentare un concordato con classi di creditori nel quale il Fisco, se chirografario, venga messo in minoranza da altri chirografari: ma se l’Erario è grosso creditore, difficilmente sarà minoranza. Inoltre, l’orientamento prevalente è che senza adesione specifica del Fisco, il tribunale non omologherà la parte fiscale (a meno di applicare il cram-down se possibile). Dunque il concordato, se vede il Fisco opporsi, potrebbe venire bocciato in omologa.
    1. Liquidazione controllata (ex fallimento): se non esistono le condizioni per un concordato fattibile, l’alternativa è la liquidazione giudiziale (l’antico fallimento). Può essere volontariamente richiesta dall’imprenditore (meglio che un’istanza di parte terza subita) oppure provocata dai creditori. In liquidazione, come già valutato, il Fisco prenderà quel che prende secondo l’ordine dei privilegi, spesso meno di quanto aveva rifiutato nella proposta. Questa è un’eventualità che penalizza tutti: l’imprenditore perde l’azienda, i creditori prendono poco, l’Erario stesso spesso subisce un ammanco maggiore di quello che avrebbe avuto accettando.
  • Rinegoziazione della proposta (tentativo estremo): Va detto che il diniego dell’AE non sempre è la fine assoluta: se c’è tempo nell’ambito della composizione negoziata, l’imprenditore potrebbe tentare un’ultima carta rimodulando l’offerta per venire incontro alle obiezioni del Fisco. Ad esempio, se il diniego era motivato da una percentuale insufficiente, l’impresa può proporre di aumentarne il pagamento vendendo qualche asset in più; oppure se il problema era la durata, offrire un piano più breve o una garanzia. Questo tentativo di rilancio può essere negoziato informalmente con l’ufficio fiscale prima che scada il termine della composizione negoziata. Se l’Erario lascia spiragli (ad esempio: “saremmo disponibili se almeno garantite il 40% invece del 30%”), allora c’è margine per un nuovo accordo. Se però il diniego è secco e non negoziabile, l’esperto difficilmente ottiene proroghe della composizione.
  • Rapporto finale dell’esperto: In caso di mancato accordo col Fisco, l’esperto nella sua relazione conclusiva normalmente lo segnala come causa principale di insuccesso. Questo documento è pubblico (registro imprese) e può essere utilizzato successivamente per spiegare il fallimento delle trattative. Non ha di per sé un effetto giuridico immediato, ma può servire all’imprenditore per giustificare di aver tentato il possibile. In qualche misura, una relazione che evidenzia un diniego “ingiustificato” del Fisco potrebbe essere utilizzata anche strategicamente per cercare di convincere il tribunale, in sede di concordato, a non penalizzare l’imprenditore per quell’esito (ad esempio, evitando dichiarazioni di inammissibilità per mancanza di fattibilità, se l’unico buco è il Fisco e si spera in un cram-down).

Rimedi giuridici contro il diniego

Dal punto di vista strettamente giuridico, la legge non prevede un meccanismo diretto per “impugnare” il rifiuto del Fisco in sede di composizione negoziata. Tuttavia, esistono alcuni possibili rimedi o strategie legali:

  • Istanza al tribunale nella composizione negoziata? La composizione negoziata in sé non contempla l’intervento decisionale del giudice sulle questioni di merito delle trattative (il tribunale può solo concedere o revocare misure protettive, su istanza di parte). Non c’è un “giudice dell’accordo” in questa fase che possa ordinare al Fisco di accettare. Pertanto, non esiste la possibilità di far valere l’irragionevolezza del diniego davanti al giudice durante la negoziazione: semplicemente, il negoziato fallisce.
  • Procedura concorsuale con cram-down fiscale: Se si passa al concordato preventivo, l’imprenditore può provare ad ottenere l’omologa del piano nonostante il dissenso del Fisco, invocando l’applicazione del cram-down. Questo è un terreno nuovo e complesso. Come discusso, il CCII dopo le modifiche 2022-2024 consente, in linea teorica, l’omologazione forzata se tutte le classi di grado inferiore hanno detto sì e se il dissenting creditor ottiene almeno quanto gli spetterebbe in liquidazione. Quindi, se il Fisco è l’unico a dire no ma la proposta per lui era già pari al 100% del ricavato liquidatorio, il debitore potrebbe chiedere al tribunale di omologare comunque il concordato appellandosi al “prevalente interesse concorsuale” (anche citando Cass. SS.UU. 8504/2021). Finora, però, i tribunali italiani sono stati restii a forzare la mano in assenza di adesione fiscale esplicita, specie quando il Fisco è in posizione privilegiata (ricordiamo che i crediti IVA, ritenute, contributi hanno privilegio generale). Un giudice, per omologare senza assenso, dovrebbe essere convinto che il rifiuto è pretestuoso. Se l’attestazione dice che l’offerta è conveniente e il Fisco ha detto no senza valida ragione, qualche spiraglio c’è: il debitore potrebbe in sede di omologa sostenere che il diniego viola i principi di buona fede e correttezza perché l’alternativa (liquidazione) è peggiore per tutti. Non c’è però garanzia di successo di questa strategia. Si citano pochi precedenti di concordati omologati con cram-down fiscale, e sempre in condizioni particolarissime (ad esempio, dove la maggior parte del debito erariale era chirografo e comunque il Fisco avrebbe preso zero in fallimento, così il giudice ha ritenuto irrilevante il suo no).
  • Ricorso al giudice ordinario (fallimentare) per comportamento scorretto: In linea con la giurisdizione definita dalle Sezioni Unite, l’azienda potrebbe teoricamente agire con un giudizio ordinario contro il diniego considerato illegittimo. Ma qui c’è un problema: quale sarebbe la domanda in giudizio? Non si può obbligare coattivamente il Fisco a firmare un accordo (difetterebbe il requisito del consenso negoziale). L’unica ipotesi sarebbe chiedere un risarcimento danni allo Stato se si provasse che l’Erario ha rifiutato in mala fede e ciò ha causato il dissesto dell’impresa. È una via molto incerta e di difficile successo, poiché bisognerebbe dimostrare che il rifiuto non aveva alcuna base razionale (cosa complicata, visto che l’Erario può sempre addurre motivazioni finanziarie, anche prudenti, per giustificare il no). Inoltre, i tempi di un giudizio ordinario sarebbero troppo lunghi per incidere sulla crisi in atto.
  • Strumenti alternativi di definizione fiscale: Un rimedio extraconcorsuale a volte considerato è cercare di utilizzare misure di definizione agevolata (rottamazione cartelle, saldo e stralcio, ecc.) che il legislatore fiscale periodicamente mette a disposizione. Se al momento della negoziazione è attiva, ad esempio, una “rottamazione-quater” (che permette di pagare i ruoli senza sanzioni e interessi), l’impresa potrebbe aderirvi per ridurre il carico fiscale in parallelo o in alternativa alla transazione ex CCII. Tuttavia, queste misure hanno ambiti limitati e comunque non consentono di tagliare il capitale dell’imposta, quindi raramente risolvono il problema di una crisi profonda. Inoltre, aderire a una rottamazione comporta il decadimento se poi non si paga una rata, quindi in crisi di liquidità potrebbe non essere sostenibile.

In pratica, il diniego del Fisco spesso equivale alla necessità di cambiare strategia di risanamento:

  • L’imprenditore e i consulenti dovranno rivedere il piano e decidere se possono soddisfare diversamente il Fisco (es., vendere un ramo d’azienda e pagare il Fisco cash in modo da toglierlo di mezzo, per poi ristrutturare il resto dei debiti con accordi).
  • Se ciò non è fattibile, allora prepararsi a una procedura concorsuale liquidatoria, mettendo in sicurezza quel che si può (ad esempio, predisponendo una domanda di liquidazione controllata, magari con esercizio provvisorio di parti dell’azienda per salvaguardare almeno la continuità di singoli rami).
  • Sul piano dei rapporti con gli altri creditori, comunicare il fallimento delle trattative può avere effetti negativi immediati: fornitori e banche che durante la negoziazione erano in standstill potrebbero, appreso del diniego fiscale, perdere la fiducia e iniziare azioni legali o revocare fidi. È quindi importante gestire la comunicazione: a volte l’impresa, col supporto dell’esperto, può provare a convincere i creditori a prorogare la pazienza, prospettando ad esempio l’imminente deposito di un concordato preventivo che darà comunque un esito ordinato (invece di una corsa disordinata al pignoramento).

Possibili miglioramenti normativi (delega fiscale)

Va notato che uno degli scopi della delega fiscale in via di attuazione è proprio rafforzare gli strumenti in caso di diniego. Si parla, per i tributi locali, di introdurre espressamente l’omologazione forzosa secondo le regole delle transazioni erariali. Questo lascia intendere che anche per le transazioni erariali il meccanismo del cram-down verrà reso più operativo e chiaro, eliminando l’attuale zona grigia. In prospettiva, potremmo avere una norma che dica: “In caso di mancato assenso dell’ente impositore alla proposta transattiva, il tribunale può omologare il concordato/accordo se ritiene che il diniego sia irragionevole rispetto ai parametri di convenienza economica stabiliti”. Ciò sarebbe un rimedio potente contro eventuali arbitrii, ma al contempo ridurrebbe il potere negoziale del Fisco.

Ad aprile 2025, tuttavia, un diniego dell’Erario nella composizione negoziata non può essere superato: la procedura negoziale, priva di fase omologativa, lascia il debitore scoperto. L’unica azione è spostare la partita in tribunale (concordato/accordo) sperando in una diversa dinamica (magari l’Erario, messo di fronte al voto e all’eventualità di un cram-down, riconsidera e vota sì a un concordato leggermente migliorato).

In conclusione, il diniego del Fisco è certamente uno scenario da evitare se possibile, adattando la proposta in fase negoziale per ottenere il sì. Se occorre affrontarlo, l’impresa deve rapidamente mutare rotta e ricorrere ai rimedi concorsuali, consapevole che l’assenza dell’accordo fiscale rappresenta uno dei principali ostacoli al risanamento. Professionalmente, conviene spesso tentare un ultimo dialogo con i funzionari fiscali anche dopo un primo diniego, per capire se c’è margine di correzione: a volte un diniego iniziale non è granitico, e con nuove garanzie o fondi extra può trasformarsi in assenso. Quando invece il “no” resta tale, la migliore mossa è predisporre un piano B per evitare la decozione incontrollata dell’impresa.

Casi Pratici e Simulazioni

Per comprendere in concreto il funzionamento della transazione fiscale nella composizione negoziata, è utile esaminare alcuni casi pratici e simulare gli effetti delle decisioni, sia in scenario di successo che di insuccesso. Di seguito presentiamo due ipotetici casi aziendali basati su situazioni tipiche emerse nella prassi, illustrando passo passo le azioni intraprese e gli esiti ottenuti.

Caso 1: Azienda Alfa S.r.l. – Transazione Fiscale riuscita nell’ambito di un accordo di ristrutturazione

Profilo dell’azienda: Alfa S.r.l. è un’impresa manifatturiera con 80 dipendenti, attiva nel settore tessile. Negli ultimi anni ha accumulato perdite e un indebitamento elevato. Al momento dell’avvio della composizione negoziata (gennaio 2025), presenta:

  • Debiti finanziari verso banche: €5 milioni (mutui e scoperti di conto).
  • Debiti verso fornitori: €2 milioni.
  • Debiti tributari: €1,5 milioni, di cui €1,0 milioni già a ruolo (principalmente IVA non versata e ritenute) e €0,5 milioni da accertamenti recenti non ancora definitivi. Su tali debiti €1,2 milioni sono imposte e €0,3 milioni tra sanzioni e interessi.
  • Debiti contributivi verso INPS: €300.000 (contributi non versati nell’ultimo anno).
  • Attivo dell’impresa: macchinari e impianti per un valore stimato di €2 milioni, un capannone industriale ipotecato a favore delle banche (valore €3 milioni, ipoteca residua €2,5M), magazzino scorte €0,5M, crediti verso clienti €1M (ma incagliati per metà).

Situazione di crisi: Senza interventi, Alfa sarebbe insolvente; i debiti fiscali e contributivi in particolare hanno portato a iscrizioni di ipoteche da Equitalia (ora AER) e ad un pignoramento di conto. L’azienda però ha ancora mercato: c’è un investitore interessato a rilevare il 70% delle quote a condizione che il debito complessivo venga ridotto e i contenziosi azzerati.

Apertura composizione negoziata: Alfa deposita istanza a gennaio 2025 e ottiene le misure protettive (stop ai pignoramenti). Viene nominato un esperto. In parallelo, l’azienda negozia con banche e fornitori una bozza di ristrutturazione: le banche accettano di allungare i mutui e rinunciare a parte degli interessi; i fornitori si dichiarano disposti a uno stralcio del 30% (pagamento 70% del credito). Tutto però è condizionato alla riduzione del debito fiscale, giudicato troppo alto per la tenuta del piano.

Proposta di transazione fiscale: A febbraio 2025 Alfa invia la proposta ex art.23 co.2-bis CCII ad Agenzia Entrate e INPS. I punti salienti della proposta:

  • Pagamento del 40% dei debiti tributari e contributivi in 4 anni, così suddiviso:
    • IVA e ritenute: integrale pagamento della quota capitale (€800k) in 4 anni; stralcio totale di sanzioni e interessi (€200k).
    • Altre imposte (IRES, IRAP) in accertamento: pagamento del 30% del totale (€150k su €500k) in 4 anni; stralcio 70%.
    • Contributi INPS: pagamento del 50% (€150k su 300k) in 4 anni; stralcio di sanzioni (€50k) e resto contributi non versati (€100k).
  • Previsione di due rate ogni anno (scadenze semestrali).
  • Offerta di garanzia: fideiussione di un socio per €200k a copertura delle ultime rate, e mantenimento dell’ipoteca legale dell’Agente Riscossione sul capannone (già esistente per €500k) fino a pagamento della metà del piano.
  • Allegati: piano industriale che mostra come, con l’ingresso dell’investitore (pronto a iniettare €1M di equity fresco se il debito scende a livelli sostenibili), Alfa genererà flussi per €500k/anno, sufficienti a pagare rate ai creditori e rilanciare l’attività. Attestazione indipendente: in liquidazione giudiziale, il Fisco recupererebbe solo ~15% (perché il capannone verrebbe preso quasi tutto dalle banche ipotecarie e il resto attivo coprirebbe parzialmente i privilegi); con la proposta incasserebbe il 40%, nettamente meglio.

Interlocuzioni durante la negoziazione: L’esperto convoca vari incontri. L’Agenzia Entrate, valutati i documenti, chiede chiarimenti sulla stima di realizzo del magazzino in caso di fallimento (pare ottimistica nella perizia). Dopo discussione, l’attestatore fornisce dettagli più conservativi ma anche col worst-case il Fisco in fallimento starebbe al 20%. L’INPS segnala che gradirebbe un trattamento analogo all’AE (50% contributi è leggermente superiore al 40% medio del Fisco, il che va bene). Entrambi gli enti chiedono se l’investitore conferma l’impegno: viene presentata una lettera d’intenti vincolante dell’investitore che condiziona l’apporto di €1M all’omologa di un accordo con debiti totali ridotti.

Adesione del Fisco: Entro aprile 2025, la Direzione Regionale Entrate approva la transazione. Viene redatto un atto di adesione in cui l’AE accetta il pagamento di €950k su €1,5M (circa 63% del carico totale tributario), di cui €800k in quota capitale e €150k a parziale soddisfo di imposte accertate, con stralcio di €550k. INPS parimenti firma per il 50% dei contributi. AER co-firma per l’aggio (che sarà riscosso sul 40% delle imposte pagate). L’accordo prevede clausole di decadenza standard: se Alfa salta due rate, decade il beneficio e il debito originario risorge dedotto quanto pagato.

Formalizzazione accordo generale: Forte di questo risultato, Alfa e l’esperto riescono a far sottoscrivere a maggio 2025 un accordo di ristrutturazione dei debiti complessivo: banche, fornitori, Fisco, INPS, nuovo investitore, tutti firmano un unico documento integrato che recepisce:

  • La transazione fiscale (come da atto AE/INPS).
  • L’accordo con fornitori (70% in 2 anni) e con banche (moratoria 1 anno e ripiano mutui su 10 anni, convertendo interessi maturati in capitale postergato).
  • L’apporto di €1M soci/investitore destinato in parte a pagare le prime rate dei creditori. Si deposita il tutto in tribunale chiedendo l’omologazione ex art. 48 CCII (accordo di ristrutturazione).

Omologazione e uscita dalla crisi: Il tribunale verifica le soglie di legge (superato abbondantemente il 60% di adesioni in valore, tutti i principali creditori inclusi) e a giugno 2025 omologa l’accordo. Gli effetti:

  • I creditori dissenzienti (pochissimi piccoli fornitori che non avevano firmato) sono comunque vincolati dall’accordo omologato: riceveranno lo stesso trattamento dei pari grado (70% in 2 anni, che è meglio di nulla).
  • Le ipoteche giudiziali del Fisco vengono mantenute ma “congelate” in attesa del pagamento delle rate concordate; il tribunale respinge un’istanza di quei fornitori dissenzienti che lamentavano disparità perché nota che tutti sono falcidiati in misura simile.
  • L’azienda riprende ossigeno: l’investitore versa i fondi, vengono pagate subito le prime rate a tutti (inclusi €100k al Fisco e €40k a INPS al giorno zero). I dipendenti non perdono il lavoro e, anzi, l’accordo prevede anche la reintegrazione di alcuni arretrati nei loro confronti (per completezza, i crediti dei dipendenti erano stati pagati 100% a parte, essendo privilegiati di primo grado).

Simulazione del beneficio economico: Confrontiamo il risultato per il Fisco:

  • In caso di fallimento: (scenario evitato) stima recupero Erario = €300k (15%).
  • Con la transazione: incasso Erario = €950k (63%) spalmato in 4 anni (valore attuale circa €900k). Differenza = +€650k recuperati, oltre alla continuazione dei versamenti correnti (dopo l’omologa, Alfa torna a versare regolarmente IVA, contributi, ecc., generando circa €200k annui di imposte correnti).

Conclusione caso 1: La transazione fiscale è stata l’elemento cardine che ha reso possibile l’intera operazione di salvataggio. Senza il taglio di circa €550k, l’azienda non sarebbe risultata appetibile per l’investitore né solvibile nel medio termine. L’Erario ha accettato un sacrificio, ma in cambio ha ottenuto di incassare la maggior parte del dovuto con buone prospettive (anche morali, in termini di gettito futuro e mantenimento di 80 contribuenti occupati). Questo caso evidenzia la win-win situation ideale:

  • l’impresa è risanata,
  • i creditori soddisfatti in misura maggiore del fallimento,
  • e il sistema economico preserva un’attività produttiva.

Caso 2: Ditta Beta S.p.A. – Diniego del Fisco e soluzione tramite concordato preventivo

Profilo dell’azienda: Beta S.p.A. è un’azienda edile di medie dimensioni, con forte indebitamento e diverse commesse bloccate. Dati salienti a inizio crisi:

  • Debiti verso banche: €10 milioni (di cui €6M garantiti da ipoteche su terreni edificabili di proprietà).
  • Debiti commerciali: €4 milioni.
  • Debiti fiscali: €2 milioni, principalmente IVA non versata degli ultimi 2 anni (€1,2M di IVA e €0,8M tra interessi e sanzioni). Di questi, €1M è a ruolo, €1M in accertamento.
  • Debiti verso l’erario locale: €0,5M di IMU arretrata su terreni (verso 3 Comuni differenti).
  • Debiti contributivi: €0,4M verso Cassa Edile e INPS.
  • Attivo: diversi terreni e immobili (valore di mercato stimato €8M, ma liquidabile con lentezza), crediti verso clienti €1M (incasso incerto), attrezzature €0,5M.

Composizione negoziata: Beta avvia la procedura con l’intenzione di trovare un compratore per alcuni terreni e soddisfare i debiti. Purtroppo, il mercato immobiliare è fermo e le offerte ricevute per i terreni sono molto basse. L’esperto aiuta a stilare un piano in cui:

  • Si venderebbe il “Terreno A” per €3M (ricavato atteso, con cui pagare la banca ipotecaria €2M – saldo mutuo – e liberare €1M per creditori).
  • I restanti terreni verrebbero ceduti ad una newco partecipata dai creditori (idea di datio pro solvendo).
  • I debiti verso fornitori sarebbero falcidiati all’80% (pagato 20%).
  • Il nodo è il debito IVA: Beta non ha liquidità per pagare tutta l’IVA e vorrebbe stralciarne una parte.

Proposta di transazione fiscale: Beta propone all’AE: pagamento del 30% del debito tributario complessivo (€600k su €2M) da ottenersi in gran parte dalla vendita del Terreno A. Essenzialmente: “vi daremo €600k entro 12 mesi, appena venduto il terreno; il resto delle imposte non possiamo pagarlo e chiediamo sia condonato”. Anche i contributi INPS sarebbero trattati analogamente (30%). Nessuna garanzia ulteriore viene offerta, confidando nella garanzia implicita del valore del terreno in vendita.

Valutazione e diniego: L’Agenzia delle Entrate, dopo verifica, rileva criticità:

  • Il Terreno A potrebbe valere meno: da perizia d’ufficio risulta forse vendibile a €2,5M, non €3M, riducendo la quota per creditori chirografari (tra cui il Fisco).
  • Il 30% offerto corrisponde proprio al ricavato atteso in liquidazione secondo l’attestazione, ma non lo supera chiaramente. Inoltre, se la vendita non avviene o ricava meno, il recupero effettivo per l’Erario scenderebbe.
  • Ci sono tributi locali (IMU €0,5M) che Beta non ha incluso in alcun modo nell’accordo perché formalmente non transigibili: i Comuni hanno già minacciato di opporsi se il piano prevede di non pagarli integralmente. Questo crea un problema: anche se AE volesse aderire, resta un contenzioso aperto con i Comuni (che in eventuale concordato pretenderebbero trattamento integrale su IMU, assorbendo ulteriori risorse e rendendo insostenibile il piano attuale).
  • Inoltre, Beta ha omesso di presentare le dichiarazioni IVA per l’ultimo anno (gravissima omissione scoperta dall’ufficio): ciò mina la fiducia.

Alla luce di ciò, l’Agenzia delle Entrate nega l’adesione (marzo 2025), ritenendo la proposta non sufficientemente conveniente né affidabile. Anche l’INPS, in assenza di AE, non procede (coordinamento: se il “grosso” Fisco dice no, anche l’ente previdenziale di solito si allinea negativamente).

Tentativi successivi: L’esperto prova a mediare: suggerisce a Beta di rilanciare al 40% e di impegnarsi a vendere anche un secondo terreno per aumentare l’attivo destinato ai creditori, includendo magari una parte per i Comuni (che altrimenti faranno saltare tutto). Beta però non ha molto margine: il mercato è quello che è, e vendere un secondo terreno nel breve tempo rimasto è incerto. Inoltre, la banca con ipoteca sul Terreno A deve ancora approvare formalmente la riduzione del suo credito (cederlo per 2M a fronte di 3,5M di esposizione totale con Beta, cosa che stava valutando). Questa incertezza fa scadere i termini della negoziazione senza un accordo concreto.

Chiusura della composizione negoziata: Ad aprile 2025 l’esperto conclude negativamente: “Non si è raggiunto alcun accordo globale, stante il mancato assenso dell’Erario e la mancanza di liquidità sufficiente”. Beta decide allora di presentare un ricorso per concordato preventivo in continuità indiretta: prevede di liquidare i terreni, cessare l’attività ed eventualmente creare una newco per i lavori futuri, ma formalmente chiede un concordato per evitare l’istanza di fallimento minacciata dai Comuni.

Concordato preventivo e trattamento del Fisco: Nel piano di concordato depositato a giugno 2025, Beta cambia approccio:

  • Propone di pagare integralmente IVA e ritenute come crediti privilegiati (con i proventi delle vendite, destinandone priorità al Fisco), mentre chirografariamente offre il 5% ai creditori comuni.
  • Le banche ipotecarie prendono i terreni in soddisfazione e rinunciano ad ipoteca residua (effetto datio).
  • I Comuni vengono pagati 100% sull’IMU (perché crediti privilegiati sui beni, quindi con ricavato vendita dedicato). Il piano è durissimo per chirografari (5%) ma non c’era alternativa; il Fisco privilegiato verrebbe soddisfatto al 100% sul capitale IVA e contributi privilegiati (gli interessi/sanzioni invece andranno falcidiati in quanto chirografari, ma su questi il Fisco vota come chirografo e presumibilmente voterà no, però conta poco perché i chirografi comunque non raggiungono maggioranza contraria se banche e altri maggiori accettano).

Esito del concordato: In adunanza dei creditori, le banche (ipotecarie) votano sì, i fornitori (rassegnati al 5% o zero in fallimento) anche, i Comuni sì (prendono tutto), l’INPS si astiene (prende i contributi in privilegio ma perde sanzioni). L’Agenzia delle Entrate vota no perché, pur incassando l’IVA intera, vede che su altri tributi chirografari non riceverà nulla (nel concordato Beta ha scelto di non dare nulla ai chirografi Erario perché doveva privilegiare i Comuni per evitare opposizioni). Malgrado il “no” dell’Erario, il concordato ottiene le maggioranze (classi privilegiate favorevoli, chirografi 60% grazie a fornitori e residui), e il tribunale omologa il concordato a novembre 2025. L’omologa è stata combattuta: l’AE ha fatto opposizione lamentando disparità (il fatto di non ricevere nulla sui tributi chirografari quando magari ai fornitori si dà 5%). Il tribunale però respinge l’opposizione notando che:

  • I crediti erariali chirografari erano in gran parte sanzioni, la cui falcidia è fisiologica.
  • Comunque il test di migliore soddisfacimento è rispettato: in fallimento il Fisco sui chirografi avrebbe preso zero comunque (vista la massa debitoria).
  • Tutti i privilegiati di grado pari hanno avuto trattamento integrale, quindi non c’è lesione di parità.

Risultato per il Fisco nel caso 2: L’Agenzia delle Entrate, col suo diniego iniziale, ha forzato Beta a un concordato di liquidazione in cui ha ottenuto:

  • 100% dell’IVA (€1,2M) ma dilazionato in base al realizzo delle vendite (ci vorranno 2 anni per vendere e pagare tutto).
  • Zero su altri €0,3M di imposte chirografarie (perse).
  • I Comuni e altri enti locali, non avendo potuto fare transazione legale, hanno comunque recuperato più o meno il loro (IMU 100%).
  • I fornitori hanno avuto poco (5%), ma per loro era poco anche in scenario fallimentare.

In fin dei conti, dal punto di vista quantitativo:

  • Proposta transazione (rifiutata): Fisco avrebbe preso 30% = €600k in un anno.
  • Concordato omologato: Fisco prende ~€1,2M (il doppio) ma in più tempo e comunque perde €300k di sanzioni. L’Erario ha privilegiato l’incasso integrale dell’IVA per motivi di principio (anche legati al penale tributario: pagando l’IVA, gli amministratori Beta evitano il reato di omesso versamento). Tuttavia, l’impresa Beta di fatto non è stata salvata: ha dovuto liquidare gran parte dei beni e cessare l’attività originaria, i dipendenti in gran parte licenziati (qualcuno riassunto dall’impresa che ha rilevato un ramo), e la presenza dei Comuni come creditori non transigibili ha irrigidito molto la procedura.

Conclusione caso 2: Questo scenario mostra i limiti e le difficoltà quando il Fisco non aderisce:

  • L’operazione diventa più gravosa e si trasforma in un quasi-fallimento.
  • Si salvano giusto alcuni asset, ma l’azienda come entità economica scompare.
  • Il Fisco, pur ottenendo la soddisfazione legale del suo privilegio, ha perso la chance di mantenere l’azienda come fonte futura di gettito. Inoltre, ha recuperato di più sul breve termine, ma ha dovuto affrontare un contenzioso in sede di omologa.
  • I creditori pubblici locali, non potendo per legge transigere, sono stati pagati integralmente ma al prezzo di prosciugare le risorse che avrebbero potuto andare ad altri (o al rilancio dell’impresa).

In prospettiva, con la riforma che includerà i tributi locali nella transazione fiscale, situazioni come quella di Beta potrebbero essere gestite meglio: se i Comuni avessero potuto partecipare ad un accordo, forse tutti (Erario, Comuni, INPS) avrebbero accettato uno stralcio moderato e Beta avrebbe potuto evitare la liquidazione totale.

Simulazione di calcolo di convenienza: I due casi evidenziano anche come viene svolto il calcolo di convenienza:

  • Caso Alfa: Liquidazione dava 15%, accordo dato 63% -> convenienza evidente (+48 punti percentuali).
  • Caso Beta: Liquidazione stimata 30%, accordo proposto 30% -> convenienza nulla, e infatti il Fisco ha rifiutato perché non vi era guadagno. Beta ha dovuto poi portare a 100% sui privilegiati per far approvare il concordato, confermando che 30% era insufficiente per creditori pubblici privilegiati.

Lezioni apprese dai casi:

  • È fondamentale proporre al Fisco una soluzione che superi, anche con un certo margine, l’alternativa fallimentare, altrimenti la trattativa nasce in salita.
  • La presenza di creditori pubblici diversi con regole diverse (Stato vs enti locali) complica il puzzle: l’armonizzazione normativa aiuterà.
  • Un’approfondita simulazione iniziale avrebbe potuto far capire a Beta che la sua offerta del 30% era troppo bassa e che forse avrebbe dovuto coinvolgere diversamente i Comuni sin dall’inizio (magari pagando qualcosa anche a loro e chiedendo allo Stato di accontentarsi di un 50% anziché 100% IVA – cosa allora non permessa legalmente per IMU).
  • Il ruolo dell’esperto è stato decisivo in Alfa nel trovare punti di equilibrio; in Beta, purtroppo, nemmeno l’esperto poteva superare la mancanza di liquidità e i vincoli normativi.
  • Infine, i casi mostrano che la transazione fiscale può salvare un’impresa (caso Alfa) oppure, se non percorribile, la si può comunque gestire via concordato (caso Beta), ma con esiti meno soddisfacenti.

In conclusione

La transazione fiscale nella composizione negoziata della crisi d’impresa si configura, alla luce della normativa vigente aggiornata ad aprile 2025, come uno strumento di fondamentale importanza nel panorama degli istituti di regolazione della crisi. Essa consente di coinvolgere il Fisco (e gli enti previdenziali, e presto anche gli enti locali) in modo attivo nei processi di risanamento, attraverso un negoziato che deve contemperare l’interesse pubblico alla riscossione dei tributi con l’interesse generale alla continuazione dell’attività d’impresa e alla migliore soddisfazione di tutti i creditori.

Abbiamo visto che per utilizzare con successo tale strumento occorre:

  • Conoscere a fondo il quadro normativo in evoluzione (dal CCII e sue modifiche fino alla delega fiscale per i tributi locali).
  • Rispettare rigorosamente le condizioni e gli adempimenti (completezza dei dati, attestazioni, perimetro dei debiti inclusi).
  • Interfacciarsi con la PA secondo le prassi aggiornate, avendo chiari i ruoli decisionali (Direzioni regionali, Uffici centrali per grandi casi, Messaggi INPS) e fornendo agli uffici tutto il necessario per decidere con cognizione.
  • Saper valutare la convenienza economica attraverso simulazioni e analisi approfondite, calibrando la proposta in modo realistico ma appetibile per il Fisco.
  • Preparare la documentazione in modo preciso e professionale, così da instaurare un clima di fiducia e collaborazione con gli interlocutori pubblici.
  • Essere pronti a soluzioni alternative (concordato, ecc.) nel caso in cui la via negoziale pura non abbia esito, proteggendo comunque l’impresa e il suo patrimonio in sede giudiziale nella miglior misura possibile.

Per i professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti della crisi) questa guida intende offrire un vademecum tecnico e operativo. La transazione fiscale, un tempo vista come un’eccezione difficile, sta divenendo prassi corrente nei piani di risanamento. Con l’attuazione delle riforme in corso, si prevede un ulteriore incremento del suo utilizzo e una sempre maggiore integrazione fra negoziazione stragiudiziale e strumenti giudiziali. Saperla padroneggiare significa poter offrire alle imprese in difficoltà un percorso di soluzione più completo: dove tutte le categorie di creditori – pubblici e privati – contribuiscono secondo le proprie possibilità alla definizione di un accordo sostenibile.

In definitiva, la transazione fiscale nella composizione negoziata si rivela un potente strumento di composizione degli interessi: da un lato, l’Erario massimizza il recupero evitando di veder morire l’azienda (e il gettito futuro), dall’altro l’impresa ottiene respiro finanziario liberandosi di una zavorra altrimenti insostenibile. L’esperienza applicativa, corroborata dalla giurisprudenza e affinata dalla prassi, mostra che quando vi è trasparenza, correttezza e convenienza comprovata, anche il Fisco è disposto a “sedersi al tavolo” e fare la sua parte nel risanamento aziendale. Con queste conoscenze e strumenti, gli operatori potranno affrontare con maggiore sicurezza le negoziazioni fiscali nelle crisi d’impresa, contribuendo a esiti positivi sia per i contribuenti in difficoltà sia per l’interesse pubblico.

Transazione Fiscale nella Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa: Perché affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo per trattare con il Fisco durante la crisi

Quando un’impresa è in difficoltà, uno degli ostacoli principali è quasi sempre il debito verso l’Agenzia delle Entrate e l’INPS.
La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, introdotta dal nuovo Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), consente oggi di negoziare direttamente con il Fisco, chiedendo sconti, dilazioni o trattamenti più favorevoli, senza dover fallire.
Ma per riuscirci, serve un professionista preparato, con esperienza e abilitazione specifica.
L’Avvocato Giuseppe Monardo è la guida ideale per affrontare la transazione fiscale in modo strategico, legale e vantaggioso.

Cosa può fare per te l’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo si occupa da anni di crisi d’impresa e sovraindebitamento.
Nel caso di transazione fiscale, può:

  • analizzare l’esposizione fiscale e previdenziale della tua impresa
  • valutare se ci sono i presupposti per la transazione
  • elaborare un piano di risanamento sostenibile e dettagliato
  • presentare formalmente la proposta in ambito di Composizione Negoziata
  • gestire i rapporti con Agenzia delle Entrate, INPS e altri enti pubblici
  • coordinare l’intera procedura negoziale fino alla firma dell’accordo

Il tutto con un approccio multidisciplinare, supportato da commercialisti, consulenti del lavoro e revisori legali specializzati.

Le qualifiche dell’Avvocato Monardo

L’Avvocato Giuseppe Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
  • Coordinatore di una rete nazionale di professionisti in diritto bancario, tributario ed esecutivo

Con queste qualifiche, può gestire direttamente ogni fase della transazione fiscale, con competenza, autorizzazione formale e un’attenzione costante alla salvaguardia dell’impresa e del patrimonio.

Perché agire subito

Il Codice della Crisi impone oggi all’imprenditore di intervenire tempestivamente, appena emergono segnali di squilibrio economico, patrimoniale o finanziario.
La transazione fiscale non è più solo una possibilità teorica: è una leva concreta per evitare il peggio, a condizione che venga attivata nei tempi e nei modi giusti.

Con l’assistenza dell’Avvocato Monardo, è possibile negoziare in modo efficace anche con l’Agenzia delle Entrate, prima che intervengano misure più drastiche come il pignoramento o la liquidazione.

In conclusione

Affrontare i debiti con il Fisco non è più un’impresa impossibile.
Grazie alla transazione fiscale nella Composizione Negoziata, puoi costruire un accordo legale, sostenibile e approvato anche dagli enti pubblici.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al fianco un esperto abilitato, autorevole e operativo, che ti segue dall’inizio alla fine con un unico obiettivo: salvare la tua impresa e ridarti equilibrio economico.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in crisi d’impresa:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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