È possibile uscire dai debiti senza pagare?
In questa guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti, troverai tutte le soluzioni per liberarti dai debiti legalmente cercando di ridurre il più possibile quello che devi ai creditori.
Leggila con cura e per richiedere una consulenza dedicata, in fondo troverai tutti i riferimenti del nostro Studio Legale specializzato in procedure di sovraindebitamento.
Buona lettura.
Introduzione
Affrontare una situazione di debiti fuori controllo può sembrare impossibile, ma il ordinamento italiano offre strumenti legali per uscirne in modo definitivo e lecito. Questa guida aggiornata fornisce una panoramica completa su come liberarsi dai debiti legalmente tramite le procedure previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e successive modifiche. Queste procedure – eredi della cosiddetta “legge salva-suicidi” del 2012 – permettono a consumatori e piccoli imprenditori sovraindebitati di ridurre o cancellare i propri debiti sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, ottenendo alla fine l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui.
Nel corso degli anni la normativa è stata rafforzata e semplificata. In particolare, dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi, che ha sostituito integralmente la Legge n.3/2012, introducendo procedure più efficaci e rapide. Ulteriori modifiche, come il “Decreto Correttivo-ter” (D.Lgs. 136/2024), hanno ampliato le tutele per i debitori, rendendo l’accesso alle soluzioni di sovraindebitamento più inclusivo e flessibile. Ad esempio, oggi è possibile includere tutti i tipi di debito – dai crediti bancari a quelli fiscali e contributivi – in un piano di ristrutturazione, prevedendo anche la cancellazione parziale di imposte come IVA o IRPEF se la situazione economica del debitore lo giustifica. L’obiettivo del legislatore è chiaro: offrire una “seconda chance” a chi si trova oppresso dai debiti, evitando che resti per sempre ostaggio di situazioni finanziarie insostenibili.
Questa guida è rivolta sia ai privati cittadini (consumatori), come famiglie o lavoratori che hanno accumulato debiti personali, sia ai piccoli imprenditori o professionisti le cui attività sono sovraindebitate. Verranno spiegati in dettaglio gli strumenti legali disponibili – piano del consumatore, accordo di composizione della crisi (concordato minore), liquidazione controllata e esdebitazione – con esempi pratici e modelli semplificati di documenti. Inoltre, saranno citate le norme aggiornate fino al 2025 che disciplinano queste procedure, con un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. Procediamo quindi a capire chi può accedere a queste soluzioni e in cosa consistono esattamente.
Cos’è il sovraindebitamento e chi può accedere alle procedure per uscire dai debiti
Per prima cosa, è importante definire cosa si intende per “sovraindebitamento”. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza qualifica il sovraindebitamento come “lo stato di crisi o di insolvenza del debitore che non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”. In altre parole, si ha sovraindebitamento quando una persona (fisica o piccola impresa) non riesce più a pagare puntualmente i propri debiti, accumulando ritardi, insoluti o arretrati tali che il patrimonio e il reddito disponibili non bastano a farvi fronte. È una condizione di squilibrio finanziario grave, dove le uscite dovute superano di gran lunga le entrate e le risorse del debitore.
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono destinate ai debitori “non fallibili”, cioè a quei soggetti che non possono accedere alle normali procedure concorsuali riservate alle imprese più grandi (come il fallimento o il concordato preventivo). Rientrano in questa categoria le seguenti figure:
- Consumatori: persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale. Tipicamente famiglie, lavoratori dipendenti, pensionati con debiti da credito al consumo, mutui, bollette, ecc.
- Piccoli imprenditori “minori”: imprenditori commerciali (anche società) di dimensioni ridotte, che non superano determinate soglie. La legge fissa tre criteri finanziari (art. 2, comma 1, lett. d del D.Lgs 14/2019): nei tre esercizi antecedenti la domanda, l’impresa deve aver avuto attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000, ricavi annui ≤ €200.000 e debiti ≤ €500.000. Chi rientra contemporaneamente in questi limiti è definito “imprenditore minore”. In pratica sono le imprese così piccole da essere escluse dal fallimento.
- Imprenditori agricoli: gli imprenditori del settore agricolo per legge non falliscono, ma possono accedere alle procedure di sovraindebitamento.
- Professionisti, artisti e lavoratori autonomi: ad esempio avvocati, commercianti non societari, artigiani individuali, ecc., che per legge non falliscono e quindi rientrano tra i debitori sovraindebitati ammessi.
- Start-up innovative: le società start-up, per un periodo iniziale, sono escluse dal fallimento e quindi possono usare queste procedure in caso di eccessivi debiti.
- Ex imprenditori e soci: anche l’imprenditore cessato (che ha chiuso l’attività) e il socio illimitatamente responsabile di società di persone possono accedere, se rimasti con debiti personali. La riforma ha esplicitamente incluso queste figure, ampliando la platea dei beneficiari
- Famiglie sovraindebitate: più membri di una stessa famiglia, conviventi o co-obbligati, possono presentare un’unica procedura congiunta (procedura familiare, v. oltre)
In sostanza sono esclusi solo i debitori di grandi dimensioni, soggetti alle normali procedure concorsuali (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, ecc.), e gli enti pubblici. Tutti gli altri, se in crisi di pagamento strutturale, possono provare a utilizzare gli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Requisiti di meritevolezza e onestà del debitore
Le procedure in questione non sono un “condono” automatico: la legge richiede che il debitore sia meritevole, ossia che non abbia colpe gravi nella formazione del proprio indebitamento. In particolare, non può accedere o ottenere benefici chi ha agito con dolo o colpa grave, ad esempio contraendo debiti con frode, dissipando il patrimonio in modo irresponsabile, o aggravando la propria situazione con atti in malafede. Inoltre, per evitare abusi, sono previsti limiti temporali: non si può ottenere l’esdebitazione se si è già beneficiato di una cancellazione dei debiti nei 5 anni precedenti, e in ogni caso non più di due volte nell’arco della vita. Questi requisiti servono a riservare la “scialuppa di salvataggio” ai debitori onesti ma sfortunati, e non a chi sistematicamente truffa i creditori.
Va sottolineato che il sovraindebitamento include tutti i tipi di debito di un soggetto: non solo quelli verso banche o finanziarie (mutui, prestiti personali, carte di credito), ma anche i debiti fiscali (cartelle esattoriali per tasse e imposte non pagate, debiti verso l’Agenzia delle Entrate o l’INPS) e i debiti verso privati (fornitori, padroni di casa per affitti arretrati, condomini, ecc.). L’importante circolare 5/2022 dell’Agenzia delle Entrate ha confermato che “nei debiti risanabili attraverso la composizione della crisi da sovraindebitamento rientrano anche quelli di natura tributaria”. Non sono invece ricomprese le obbligazioni future non ancora sorte (ad es. tasse non ancora accertate o rate di mutuo non ancora dovute in futuro). Ci sono anche debiti esclusi dalla cancellazione finale (esdebitazione), come vedremo, ad esempio le obbligazioni alimentari (assegni di mantenimento) o le sanzioni penali e amministrative pecuniarie – questi debiti restano comunque dovuti e non possono essere “perdonati” neanche a fine procedura.
Fatte queste premesse su chi può accedere, passiamo a illustrare i diversi strumenti legali disponibili per gestire e azzerare i debiti. Il Codice della Crisi prevede essenzialmente quattro procedure principali: il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore, il concordato minore (ex accordo di composizione), la liquidazione controllata del sovraindebitato e l’esdebitazione del debitore incapiente. Vediamole in dettaglio una per una.
Strumenti legali per liberarsi dai debiti (Codice della Crisi)
Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento offrono soluzioni differenziate a seconda della natura del debitore e della strategia adottata (piano di pagamento oppure liquidazione dei beni). Tutte però condividono uno scopo finale: soddisfare, almeno in parte, i creditori in modo ordinato e liberare il debitore da ciò che resta dei debiti. Di seguito descriviamo ciascuno strumento, spiegandone il funzionamento, i vantaggi e le condizioni.
Piano del consumatore (ristrutturazione dei debiti del consumatore)
Il piano del consumatore – chiamato dal Codice “ristrutturazione dei debiti del consumatore” – è la procedura dedicata esclusivamente ai debitori consumatori, cioè persone fisiche che hanno contratto debiti per scopi personali (non legati ad attività d’impresa). È l’evoluzione dell’istituto introdotto originariamente dalla Legge 3/2012. Si tratta, in sostanza, di un piano di rientro dai debiti su misura, proposto dal consumatore in base alle proprie reali possibilità economiche.
Caratteristica chiave del piano del consumatore è che non richiede il consenso dei creditori: il debitore, con l’assistenza di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), predispone una proposta di pagamento e la presenta al tribunale, il quale la valuta e la omologa (approva) se la ritiene fattibile e equa. I creditori vengono certamente informati e possono far pervenire eventuali opposizioni, ma non c’è una votazione formale da parte loro. Questo aspetto distingue il piano del consumatore dal concordato minore: il giudice può omologare il piano anche con il parere contrario dei creditori, a patto che accerti che il debitore sia meritevole e che la proposta garantisca ai creditori almeno quanto otterrebbero in alternativa (ad esempio in una liquidazione).
Condizioni di ammissibilità: Il consumatore deve soddisfare i requisiti generali già menzionati di meritevolezza. In particolare, la legge prevede che il debitore non abbia causato il sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode, e che non abbia già ottenuto un’esdebitazione nei tempi stabiliti (non nei 5 anni precedenti, mai più di due volte). Inoltre, il piano è riservato solo a chi non è soggetto ad altre procedure concorsuali: un consumatore puro, quindi non un imprenditore (se anche una piccola parte dei debiti deriva da un’attività d’impresa, si dovrà utilizzare il concordato minore e non il piano del consumatore). Il debitore dev’essere persona fisica (anche un erede che ha acquisito debiti del de cuius può accedere, purché consumatore).
Contenuto della proposta: Nel piano il consumatore descrive in dettaglio la propria situazione economica (debiti, redditi, beni, spese familiari) e soprattutto indica come intende pagare i creditori nei limiti delle sue risorse. Sono possibili varie forme di ristrutturazione, ad esempio:
- Rateizzazione del debito: dilazionare i pagamenti in un periodo di tempo congruo alle possibilità del debitore. Ad esempio, proporre di pagare una certa somma mensile per alcuni anni.
- Falcidia (riduzione) dei crediti: prevedere che il debitore pagherà solo una percentuale dell’importo dovuto. La parte di debito che il debitore non è in grado oggettivamente di pagare verrebbe cancellata a fine piano. Ad esempio, se Tizio ha debiti per 100.000€ ma può ragionevolmente pagarne 30.000 in 5 anni, il piano può offrire il pagamento di quel 30% e richiedere l’esdebitazione sul restante 70%. Anche i debiti fiscali possono essere falcidiati o dilazionati; dopo il correttivo 2024, è consentito proporre il pagamento parziale e/o dilazionato anche di imposte come IVA e altre tasse – cosa prima esclusa – se ciò è giustificato dalla situazione e avviene nell’ambito di una procedura omologata.
- Differenziazione tra i creditori: il piano può trattare diversamente categorie di crediti, rispettando però le cause legittime di prelazione. Ad esempio, può prevedere di pagare interamente i creditori privilegiati (nei limiti del valore dei beni su cui hanno garanzia) e in percentuale minore i chirografari (chiedendo lo stralcio parziale del loro credito). Oppure mantenere inalterato un contratto in regola: spesso il debitore vuole conservare la prima casa e il relativo mutuo ipotecario – la legge consente di lasciarlo fuori dalla falcidia, continuando a pagare quelle rate regolarmente, purché si sia in pari o si rientri nei termini concessi dal giudice. In pratica, è possibile escludere dal piano un mutuo sulla casa principale se il debitore è in regola con i pagamenti (o si mette in regola), così da non perdere l’immobile.
Durata del piano: Per legge, il piano del consumatore deve avere una durata minima di 3 anni e massima di 10 anni. Questo intervallo è stato esteso dalle ultime riforme, per dare più respiro ai debitori che ne hanno bisogno. In passato la durata tipica era attorno ai 4-5 anni, oggi si può prevedere un arco temporale più lungo (fino a un decennio) in casi eccezionali, ad esempio per permettere il pagamento dilazionato di imposte oppure se il debitore ha un reddito molto basso e necessita di più tempo per rimborsare una quota significativa. Durante l’esecuzione del piano, il debitore deve destinare ai creditori le risorse promesse (pagamenti periodici o liquidazione di determinati beni secondo il piano), mentre i creditori non possono intraprendere o proseguire azioni esecutive individuali. Infatti, dal momento in cui il piano viene presentato e omologato, scatta una moratoria: pignoramenti, ipoteche, fermi amministrativi e altre azioni di recupero restano sospesi e non possono essere avviati sui beni inclusi nel piano. Anche gli interessi cessano di maturare sui crediti chirografari durante la procedura.
Esdebitazione finale: Se il debitore rispetta integralmente il piano e quindi paga tutto quanto promesso nei tempi stabiliti, al termine ottiene l’esdebitazione, ossia la cancellazione di tutti i debiti residui ancora non pagati. In pratica, il debitore esce “pulito”: i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito eventualmente tagliata o non soddisfatta nel piano. Questo è il traguardo più importante: dopo aver pagato ciò che poteva, la persona viene liberata dal fardello dei debiti pregressi e può ripartire. Se invece il piano viene violato (ad esempio il debitore salta delle rate significative senza giustificazione) possono accadere due cose: (1) il tribunale revoca l’omologazione e dichiara la risoluzione del piano, facendo decadere gli effetti protettivi, con la conseguenza che i creditori potranno riattivarsi per il recupero coattivo; oppure (2) in alcuni casi, se il mancato adempimento è parziale e c’è comunque soddisfazione minima dei crediti, il giudice potrebbe dichiarare chiusa la procedura limitando l’esdebitazione ai debiti pagati (ma questa è un’ipotesi peculiare). In generale, il mancato rispetto del piano fa perdere i benefici e il debitore torna esposto alle azioni di riscossione, salvo che richieda l’apertura di una liquidazione controllata come extrema ratio.
Esempio pratico – Piano del consumatore: Maria è un’impiegata che ha accumulato debiti per 50.000 €, tra carte di credito, un prestito auto e alcune bollette arretrate, a causa di periodi di disoccupazione. Ora ha di nuovo un reddito stabile, ma non sufficiente a pagare tutte le rate pregresse. Con l’aiuto di un OCC, Maria propone un piano del consumatore: offre di pagare 300 € al mese per 5 anni ai creditori chirografari (per un totale di circa 18.000 €), mantenendo invece il pagamento regolare del mutuo sulla casa di cui è in pari. I creditori chirografari riceveranno circa il 36% del loro credito, che è comunque di più di quanto otterrebbero se Maria vendesse la piccola auto usata e poco altro. Il tribunale verifica che Maria non ha colpe gravi (il sovraindebitamento è dovuto alla perdita del lavoro) e omologa il piano nonostante alcuni creditori finanziari fossero contrari. Maria rispetta i pagamenti mensili per 5 anni; al termine, il giudice le concede l’esdebitazione e i 32.000 € circa di debito rimanente vengono definitivamente cancellati. Maria può così ripartire senza più pendenze, avendo però rimborsato ai creditori tutto il possibile in base alle sue capacità.
Concordato minore (accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento)
Il concordato minore è la procedura corrispondente al piano del consumatore, ma rivolta ai debitori non consumatori, cioè ai piccoli imprenditori, professionisti, start-up o società “minori” sopra descritti. Nella legge previgente era chiamato “accordo di composizione della crisi”; il Codice della Crisi ne ha modificato alcuni aspetti e lo ha rinominato concordato minore, mantenendo però la sostanza: si tratta di un piano di ristrutturazione dei debiti che richiede l’accordo dei creditori. È in buona parte simile a un concordato preventivo semplificato per soggetti sotto-soglia.
Chi può accedere: possono proporre un concordato minore gli imprenditori minori, gli imprenditori agricoli, i professionisti, le start-up innovative e in genere tutti i debitori “non consumatori” in stato di sovraindebitamento. Sono ammessi anche le società di persone e le società di capitali minori (ad esempio una SRL con debiti sotto 500.000 €): in tal caso sarà la società, con l’organo amministrativo autorizzato, a presentare la domanda. Ovviamente anche per il concordato minore valgono le condizioni di onestà e meritevolezza già discusse: niente frodi o malafede, nessuna esdebitazione recente oltre i limiti. Inoltre l’azienda deve rientrare nei parametri dimensionali dell’imprenditore minore (se li supera, sarebbe soggetta a liquidazione giudiziale/concordato preventivo ordinario e non potrebbe usare questa procedura).
Contenuto della proposta: Il debitore, con l’OCC, elabora una proposta di concordato destinata ai creditori. Può essere un piano di ristrutturazione in continuità (se l’attività imprenditoriale prosegue) oppure un piano liquidatorio (se l’attività cessa e si liquidano i beni), o una combinazione delle due cose. Come nel piano del consumatore, la proposta può prevedere dilazioni e stralci dei debiti in base alle capacità di pagamento del debitore. Ad esempio, una piccola impresa può offrire ai creditori chirografari il pagamento di una percentuale del dovuto, magari grazie all’apporto di nuova finanza da parte di un investitore, oppure tramite la cessione di un immobile non essenziale. Si possono distinguere classi di creditori per trattare in modo diverso categorie omogenee (es. separare fornitori, banca, Fisco). Importante: se l’imprenditore intende proseguire l’attività, è lecito presentare un piano in continuità anche senza particolare apporto esterno; viceversa, se il piano non prevede la continuazione dell’attività, la legge impone che vi sia comunque un apporto di risorse esterne apprezzabile a beneficio dei creditori, come condizione per poter proporre il concordato minore. Ciò significa che se un piccolo imprenditore vuole semplicemente liquidare tutto senza proseguire l’azienda, può farlo via concordato minore solo se aggiunge qualcosa in più per i creditori (ad es. un familiare mette fondi propri per aumentare il pagamento ai creditori). In assenza di tale contributo, il debitore dovrebbe allora optare per la liquidazione controllata (procedura liquidatoria pura). Questa regola serve a evitare concordati “liquidatori” poveri di soddisfazione: in mancanza di continuità aziendale, si richiede uno sforzo aggiuntivo per rendere il concordato più vantaggioso di una semplice liquidazione.
Iter di approvazione: A differenza del piano del consumatore, qui i creditori sono chiamati ad esprimersi sulla proposta. Il tribunale, ricevuta l’istanza di concordato minore, nomina un gestore della crisi/commissario e dispone che la proposta venga comunicata ai creditori per la votazione. La legge stabilisce delle maggioranze: semplificando, il concordato minore è approvato se i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto si esprimono a favore (computando le eventuali diverse classi). È sufficiente che almeno una classe di creditori voti sì, purché i creditori favorevoli rappresentino la maggior parte del totale crediti, per poter poi chiedere l’omologazione anche contro il dissenso di altre classi (principio del cram-down introdotto dalla direttiva UE). Ad esempio, se i creditori chirografari approvano il piano ma il Fisco (privilegiato) si oppone, il tribunale potrebbe comunque omologare se ritiene che l’erario riceva nel piano almeno quanto otterrebbe dalla liquidazione e che senza quel piano anche i chirografari perderebbero di più. Le regole tecniche di voto e omologazione forzata sono dettagliate negli artt. 74-88 CCII, ma ciò che conta per il debitore è che serve il consenso della maggioranza dei creditori. In pratica, è necessario cercare l’adesione dei creditori chiave prima o durante la procedura: il ruolo dell’OCC è anche quello di favorire la negoziazione con i creditori, magari convocando incontri e spiegando che la proposta conviene a tutti rispetto alle alternative.
Una volta raccolto il voto dei creditori, il tribunale tiene un’udienza di omologazione. Se le maggioranze sono state raggiunte (o la condizione per l’omologazione nonostante il dissenso di una classe è soddisfatta) e se non emergono irregolarità, il giudice omologa il concordato minore, rendendolo vincolante per tutti i creditori inclusi. Da quel momento, la proposta diventa esecutiva: il debitore (o l’eventuale liquidatore nominato) dovrà attuare il piano come previsto, sotto la vigilanza del gestore/commissario. Durante la pendenza della procedura, il tribunale può disporre misure protettive e cautelari per impedire azioni esecutive individuali e conservare il patrimonio (ad es. sospendere i pignoramenti in corso).
Effetti e conclusione: Se il piano concordatario viene eseguito con successo, il tribunale dichiara conclusa la procedura e il debitore ottiene l’esdebitazione riguardo ai debiti anteriori non soddisfatti integralmente (analogamente a quanto avviene per il piano del consumatore). Tutti i crediti compresi nel concordato (anche quelli dei dissenzienti) si considerano definiti secondo quanto pagato, e i creditori non possono più pretendere altro. In caso invece di inadempimento rilevante del concordato (es.: mancata esecuzione di atti essenziali, mancato pagamento delle percentuali promesse), il tribunale su istanza può dichiarare risolto il concordato: i creditori riacquistano le loro pretese originarie (deducendo quanto eventualmente incassato) e possono agire esecutivamente. Spesso, in caso di fallimento del concordato minore, il debitore finisce nella liquidazione controllata d’ufficio, così da proseguire con la vendita dei beni residui. La legge infatti prevede la conversione del concordato minore in liquidazione controllata se l’omologazione viene revocata per fatti imputabili al debitore o se il concordato non raggiunge l’omologa.
Esempio pratico – Concordato minore: La società XYZ S.r.l. (una piccola impresa edile) ha debiti per 400.000 €: 100k verso il fisco (IVA e INPS), 50k verso la banca (ipoteca su un capannone) e 250k verso vari fornitori. L’attivo consiste in un capannone dal valore di 150k e attrezzature per 50k; l’attività è ferma. XYZ, non essendo fallibile per via delle dimensioni, propone un concordato minore liquidatorio: offre di vendere il capannone e le attrezzature, usare il ricavato per pagare per intero la banca (garantita dall’ipoteca) e in parte gli altri. Inoltre, il socio amministratore si impegna a conferire 50k aggiuntivi di risorse proprie per aumentare la percentuale ai chirografari. In totale si prevede di recuperare 200k (150k vendita + 50k apporto). Con questa somma, dopo aver soddisfatto la banca (50k) e pagato in parte il Fisco (ad esempio 50k su 100, con un accordo di stralcio del 50% delle imposte grazie al correttivo 2024), restano circa 100k da distribuire ai fornitori su 250k di credito (40%). I fornitori, vedendo l’apporto esterno e valutando che in una liquidazione semplice forse prenderebbero meno, approvano il piano in maggioranza. Anche l’Erario aderisce perché ottiene subito metà del dovuto. Il tribunale omologa il concordato. Vengono venduti gli asset, eseguiti i pagamenti concordati (in qualche caso dilazionati). Al termine, la società XYZ viene liberata dai debiti residui: ai fornitori viene stralciato il 60% e al Fisco il restante 50%, grazie all’esdebitazione derivante dall’esecuzione del concordato.
(Nota: se la società XYZ avesse voluto continuare l’attività, avrebbe potuto proporre un concordato in continuità – ad esempio pagando i debiti con i futuri utili – ma in questo caso, essendo l’attività ferma e poco redditizia, la scelta liquidatoria con apporto è stata la più indicata.)
Liquidazione controllata del sovraindebitato
La liquidazione controllata è la procedura a cui si ricorre quando il debitore sovraindebitato non è in grado di proporre (o far approvare) un piano di ristrutturazione dei debiti. È l’equivalente, per i soggetti “non fallibili”, della liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) prevista per le imprese maggiori. In pratica, il debitore mette a disposizione tutti i propri beni per soddisfare i creditori, sotto il controllo del tribunale. Al termine della procedura, il debitore persona fisica può accedere alla liberazione dai debiti residui. Questa procedura era chiamata in precedenza liquidazione del patrimonio (ex art.14-terdecies L.3/2012); oggi è stata potenziata e semplificata dal Codice della Crisi.
Chi può accedervi: la liquidazione controllata è aperta a qualunque debitore sovraindebitato (consumatore, imprenditore minore, ecc.), senza particolari condizioni soggettive. In teoria, anche chi non fosse “meritevole” può essere sottoposto a liquidazione – la differenza è che poi potrebbe non ottenere l’esdebitazione. Spesso vi ricorrono coloro che non sono in grado di offrire un piano sostenibile (ad esempio, il debitore ha troppi pochi redditi per proporre pagamenti rateali significativi, oppure i creditori hanno rigettato la proposta di concordato minore/piano del consumatore). Si può accedere alla liquidazione controllata sia volontariamente, su istanza del debitore che rinuncia a tentare accordi e chiede direttamente di liquidare tutto, sia come conversione di un’altra procedura andata male (un piano revocato o un concordato minore non omologato possono sfociare in automatico in una liquidazione). Anche i creditori o il P.M. in alcuni casi di insolvenza manifesta potrebbero chiedere l’apertura della liquidazione di un sovraindebitato, ma nel Codice della Crisi la liquidazione controllata rimane perlopiù volontaria (differenziandosi dal fallimento che poteva essere richiesto dai creditori).
Come funziona: una volta aperta la procedura, il tribunale nomina un liquidatore (figura simile al curatore fallimentare) che prende in mano il patrimonio del debitore. Tutti i beni di proprietà del debitore alla data di apertura (ad esclusione di quelli impignorabili per legge, ad es. beni di stretta necessità, stipendio in parte ecc.) confluiscono nella massa attiva da liquidare. Il liquidatore redige l’inventario dei beni, notifica ai creditori l’apertura della liquidazione e li invita a presentare le domande di insinuazione. Viene formato quindi lo stato passivo, cioè l’elenco dei crediti ammessi e del loro grado (privilegiati, chirografari, ecc.), approvato dal Giudice Delegato. Dopodiché il liquidatore procede a vendere i beni: può trattarsi di beni mobili, immobili, crediti, ecc. – il tutto secondo un programma di liquidazione approvato dal giudice. Le somme ricavate dalle vendite e dai recuperi vengono via via distribuite ai creditori secondo l’ordine delle prelazioni (prima i creditori privilegiati fino a concorrenza del valore dei beni su cui hanno privilegio, poi i chirografari in proporzione).
Durante la liquidazione controllata, il debitore subisce effetti simili al fallimento: non può disporre liberamente dei propri beni (sono gestiti dal liquidatore), può essere soggetto a determinati obblighi (ad esempio rendere il rendiconto, consegnare documenti, collaborare con gli organi della procedura) e perde eventualmente la capacità di stare in giudizio sui rapporti attinenti al patrimonio liquidato. Le eventuali azioni esecutive individuali dei creditori rimaste pendenti vengono assorbite nella liquidazione (si bloccano i pignoramenti in corso) e i beni pignorati confluiscono nella massa attiva. In sostanza cessa la frammentazione delle azioni di recupero: c’è un’unica procedura concorsuale collettiva.
Una importante novità introdotta dal Codice della Crisi è il limite di durata della liquidazione controllata e la semplificazione dell’esdebitazione. La liquidazione, di regola, non può durare più di 3 anni dalla sua apertura. Entro questo termine il liquidatore dovrebbe aver realizzato il patrimonio. Se trascorsi tre anni la liquidazione non è ancora terminata, il tribunale può comunque dichiararne la chiusura, fatta salva la possibilità di completare atti già iniziati. Questo limite serve a evitare procedure troppo lunghe che impediscano al debitore di ripartire. Inoltre, non è più necessaria una domanda separata di esdebitazione a fine procedura: l’esdebitazione del debitore opera di diritto quando la liquidazione si chiude, o comunque decorso il triennio. In pratica, dopo la chiusura della liquidazione controllata, il debitore persona fisica è automaticamente liberato dai debiti residui anteriori non soddisfatti, a meno che il giudice – con decreto motivato – escluda specificamente l’esdebitazione per uno dei motivi di legge. I motivi per negare l’esdebitazione sono legati a comportamenti del debitore: ad esempio se ha frodato i creditori, o violato i doveri di collaborazione, o commesso reati fallimentari, o se ha già beneficiato di esdebitazione nei 5 anni precedenti (o 2 volte in totale). Inoltre non tutti i debiti si cancellano: restano comunque dovuti, anche dopo l’esdebitazione, i debiti per obblighi di mantenimento e alimentari, le multe e sanzioni penali/amministrative, i risarcimenti da fatti illeciti dolosi, e in generale i debiti non soggetti a esdebitazione per legge (simili a quanto avviene nel fallimento con l’art. 279 CCII).
Riassumendo gli effetti finali: chi mette in liquidazione i propri beni ottiene in cambio che, dopo aver distribuito tutto il possibile ai creditori, nessuno possa più perseguitarlo per eventuali somme non pagate. Il debitore persona fisica tornerà ad essere libero dai debiti pregressi (tranne le esclusioni di legge) grazie all’esdebitazione post-liquidazione. Questa è una differenza cruciale rispetto alla liquidazione fallimentare di un tempo (in cui il fallito doveva presentare una specifica istanza di esdebitazione e attendere il giudizio del tribunale). Ora l’esdebitazione è parte integrante e automatica della chiusura, salvo eccezioni.
Esempio pratico – Liquidazione controllata: Giuseppe è un artigiano in pensione che ha debiti personali e della ex bottega per circa 120.000 € (banche, fornitori, fiscali). Non ha un reddito sufficiente per proporre un piano di rientro significativo: percepisce solo una modesta pensione e possiede come unico bene un piccolo appartamento. Non essendo in grado di offrire ai creditori un pagamento apprezzabile a rate, opta per la liquidazione controllata. Presenta istanza al tribunale con l’ausilio dell’OCC. Il tribunale apre la procedura, nomina un liquidatore e dispone la vendita dell’appartamento di Giuseppe (valore stimato 80.000 €). Dopo alcuni mesi, l’immobile viene venduto e il ricavato, detratte le spese, frutta 75.000 € netti. I creditori vengono parzialmente soddisfatti in quest’ordine: prima lo Stato per i tributi privilegiati, poi la banca garantita da ipoteca (se presente), quindi i chirografari ricevono una quota (diciamo il 20% di quanto vantato). Al termine, tutti i beni di Giuseppe risultano liquidati. Il tribunale dichiara chiusa la procedura. Giuseppe ottiene l’esdebitazione: dei 120.000 € iniziali, ha pagato quello che è derivato dalla vendita (75k suddivisi) e i restanti debiti sono cancellati. I creditori chirografari che hanno ricevuto solo il 20% non possono più pretendere il restante 80%; similmente, l’Agenzia delle Entrate non potrà più riscuotere la parte di tasse rimasta insoddisfatta. Giuseppe, perso l’immobile, si sistema in affitto, ma almeno può ricominciare senza il peso di decreti ingiuntivi e pignoramenti sulla pensione.
(Nota: se risultasse che Giuseppe aveva nascosto volutamente dei beni al liquidatore, o avesse dissipato denaro prima della procedura, il tribunale – su segnalazione – potrebbe negargli l’esdebitazione, lasciandogli in teoria addosso i debiti. Ecco perché l’onestà paga: solo il debitore collaborativo e trasparente viene premiato con la cancellazione dei debiti residui.)
Esdebitazione del debitore incapiente
L’esdebitazione del debitore incapiente è uno strumento eccezionale introdotto dalla riforma per aiutare le persone prive di qualsiasi risorsa. Si tratta della cancellazione totale dei debiti senza alcun pagamento, riservata al debitore persona fisica meritevole che non ha davvero nulla da dare ai creditori, né ora né in prospettiva. Viene detta anche “esdebitazione a zero”. È l’ultimo salvagente previsto dal Codice, da utilizzare quando tutte le altre procedure sono impraticabili perché il debitore è assolutamente incapiente.
Le condizioni per poter accedere a questa esdebitazione speciale sono molto stringenti:
- Il debitore deve essere persona fisica (no società) e meritevole – ovvero trovarsi in una situazione di insolvenza non causata da dolo o colpa grave.
- Deve non possedere beni liquidabili né redditi pignorabili. In altre parole, dopo aver garantito il minimo vitale, non vi è alcuna utilità, neppure parziale, che il debitore possa offrire ai creditori, nemmeno in futuro. Ad esempio, un disoccupato senza immobili né stipendi, oppure un invalido privo di patrimonio, ecc.
- Il debitore non deve aver già beneficiato di questa esdebitazione incapiente in passato (è concedibile una volta sola nella vita).
- Il debitore assume comunque un impegno postumo: se entro i 4 anni successivi all’esdebitazione dovesse migliorare la propria condizione con il sopravvenire di beni o redditi significativi, è tenuto a pagarli ai creditori fino ad almeno il 10% di quanto era dovuto. In pratica, la legge prevede un meccanismo di “riserva”: fatto salvo l’obbligo del pagamento dei debiti entro quattro anni dal decreto in caso di sopravvenienze che permettano di soddisfare i creditori in misura ≥10%. Ciò significa che se, ad esempio, dopo due anni dall’esdebitazione l’ex debitore incapiente riceve un’eredità consistente o inizia a guadagnare molto, dovrà destinare una parte rilevante di queste nuove risorse a riattivare il rimborso dei vecchi creditori (almeno fino al 10% dell’ammontare dei debiti originari, se le risorse lo consentono).
Procedura: L’esdebitazione del debitore incapiente va richiesta al tribunale presentando un’istanza, solitamente con l’ausilio di un OCC che attesti la condizione di incapienza e l’assenza di utilità ricavabili. Il giudice verifica la sussistenza di tutti i presupposti (meritevolezza, assenza di patrimonio presente e futuro, unicità della domanda nella vita del debitore). Se tutto è in regola, emette un decreto di esdebitazione con cui cancella i debiti del richiedente senza aprire alcuna procedura di pagamento ai creditori (che infatti rimarranno insoddisfatti). È una sorta di “perdono giudiziale” dei debiti, motivato dalla totale incapienza del debitore. È importante sottolineare che questa possibilità estrema è stata prevista proprio per evitare che persone nullatenenti restino schiacciate da debiti impagabili per tutta la vita – situazione che può portare a lavoro nero, disperazione sociale, se non addirittura gesti autolesivi (da qui il nome popolare di legge “salva suicidi”).
Dopo la concessione dell’esdebitazione incapiente, il debitore è formalmente libero dai debiti passati. Tuttavia, come detto, per i successivi 4 anni dovrà tenere informato il tribunale di eventuali miglioramenti economici rilevanti. Se entro quel periodo ottiene nuovi mezzi finanziari significativi, potrebbe essergli ordinato di pagarne una parte ai vecchi creditori (riaprendo in un certo senso la partita, ma solo in caso di “colpo di fortuna” che porti almeno al 10% di soddisfacimento). Se invece trascorrono i quattro anni senza che nulla di rilevante muti, l’esdebitazione diventa definitiva e irrevocabile.
Esempio pratico – Esdebitazione incapiente: Anna ha 45 anni, era coobbligata in alcuni debiti del defunto marito ma attualmente è disoccupata, senza beni intestati e con due figli a carico. I creditori la stanno inseguendo per circa 60.000 € (tra banca e finanziaria), ma Anna non ha alcuna possibilità di pagamento: vive in affitto, mantiene a stento la famiglia con aiuti dei parenti. In questo caso Anna, assistita da un OCC, presenta istanza di esdebitazione come debitrice incapiente. Dichiarando e documentando di non possedere immobili, auto, conti in banca significativi, e di essere priva di redditi (a parte magari un modesto assegno sociale), chiede al giudice di cancellare i suoi debiti residui. Il tribunale verifica che Anna non ha colpe gravi (i debiti derivano da fideiussioni per l’attività del marito deceduto) e che davvero non esistono beni aggredibili né prospettive concrete di entrate. Accoglie così la domanda ed emette decreto di esdebitazione: i 60.000 € vengono cancellati. I creditori purtroppo non recuperano nulla, ma la legge considera preferibile liberare Anna da un peso impossibile, anziché tenerla per sempre insolvente. Nei successivi 4 anni Anna trova solo lavori saltuari e non ottiene vincite o eredità: pertanto non scatta alcun obbligo di pagamento supplementare. Anche trascorsi quei quattro anni, i creditori non potranno più rivalersi.
(Nota: l’esdebitazione incapiente non si applica alle società né ai debitori con patrimonio. Se Anna avesse anche solo un piccolo immobile o un reddito pignorabile, dovrebbe invece tentare un piano o liquidare quei beni. Questo istituto è davvero l’ultima spiaggia per chi non può offrire nulla.)
Procedure familiari e casi particolari
La normativa prevede anche la possibilità di gestire congiuntamente il sovraindebitamento di più persone legate tra loro, tramite le procedure familiari. Membri della stessa famiglia conviventi o con indebitamento di origine comune possono presentare un unico progetto di composizione della crisi. È il caso, ad esempio, di marito e moglie entrambi indebitati (magari per aver firmato insieme mutui e prestiti), oppure genitori e figli conviventi coinvolti in obbligazioni comuni. In tal caso, invece di avviare due o più procedimenti separati, si può proporre un solo piano o concordato familiare, con evidenti vantaggi di coordinamento e riduzione di costi.
Nella procedura familiare, tutti i debitori partecipanti presentano congiuntamente la domanda e nominano un unico OCC gestore. Se tutti i membri della famiglia sono consumatori, si seguiranno le regole del piano del consumatore; se anche uno solo è un imprenditore/professionista, si applicheranno le disposizioni del concordato minore (considerando quindi la necessità del voto dei creditori). Questo per evitare che la presenza di una componente “imprenditoriale” eluda il coinvolgimento dei creditori. I familiari ammissibili includono il coniuge, i parenti entro il 4° grado, gli affini entro il 2° grado, nonché le parti di un’unione civile e i conviventi di fatto ex L.76/2016. Ad esempio, possono accedere congiuntamente marito, moglie e un figlio adulto convivente; oppure due fratelli che gestiscono insieme un piccolo negozio e hanno debiti comuni.
Il vantaggio della procedura unitaria è che si può presentare un piano unico e coerente per risolvere la crisi familiare nel complesso. Spesso i patrimoni e i redditi sono mescolati (conto cointestato, casa in comunione dei beni, ecc.), quindi conviene trattarli insieme. I creditori votano sul progetto complessivo. Al termine, l’esdebitazione varrà per tutti i membri della famiglia coinvolti.
Un altro caso particolare previsto è la composizione negoziata della crisi (introdotta nel 2021, D.L. 118/2021) che, pur rivolta principalmente alle imprese, può essere utilizzata anche da imprenditori minori. Si tratta di una procedura stragiudiziale assistita: un esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio aiuta l’imprenditore a negoziare con i creditori un accordo di ristrutturazione, eventualmente ottenendo misure protettive temporanee. La composizione negoziata non cancella di per sé i debiti, ma può facilitare il raggiungimento di accordi volontari (ad esempio, ottenere che alcuni creditori rinuncino a parte del credito o dilazionino). Se la trattativa riesce, l’accordo viene formalizzato (può essere un concordato semplificato, un accordo ex art. 11 quater CCII, ecc.); se non si trova un accordo extragiudiziale, l’imprenditore può comunque “convertire” il lavoro fatto in un formale piano del consumatore o concordato minore da far omologare dal tribunale. Questa possibilità è utile soprattutto per le piccole imprese che vogliono tentare una soluzione meno formale inizialmente, e soltanto in caso di mancato accordo passare alla procedura giudiziale di sovraindebitamento.
Come avviare la procedura: ruolo dell’OCC e iter da seguire
Avviare una procedura di sovraindebitamento richiede alcuni passi formali. Il primo interlocutore del debitore è l’Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento (OCC). Gli OCC sono enti (istituiti presso Camere di Commercio, Ordini professionali, o società autorizzate) iscritti in un apposito registro ministeriale, deputati a gestire queste procedure. In pratica, fungono da “sportello” per il debitore sovraindebitato e da ausilio tecnico per il tribunale.
1. Ricorso a un OCC e nomina del Gestore della crisi: Il debitore che intende avvalersi di una delle procedure deve presentare un’istanza all’OCC competente (di solito nella propria provincia di residenza o sede dell’impresa). L’istanza è un modulo in cui il debitore chiede la nomina di un gestore della crisi e dichiara di trovarsi in stato di sovraindebitamento, specificando quale procedura intende attivare (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione o esdebitazione incapiente). Vanno allegati i documenti che provano la situazione economica: elenco dei creditori e dei debiti (con importi, scadenze, eventuali cause legali in corso), elenco di tutti i beni posseduti (immobili, auto, conti, partecipazioni), documentazione su redditi, ultime dichiarazioni fiscali, bilanci se impresa, stato di famiglia, spese mensili medie, etc. Inoltre occorre allegare una relazione dettagliata sulle cause dell’indebitamento e sull’eventuale attivo e tentativi di soluzione (questo spesso la redige con l’aiuto di un professionista). L’OCC fornisce moduli precompilati per facilitare: ad esempio, bisogna compilare tabelle con l’elenco dei debiti suddivisi per tipologia (banche, fisco, privati, ecc.), l’elenco dei beni con i rispettivi valori e se si intende destinarli alla procedura, l’elenco dei redditi annui e mensili percepiti, la composizione del nucleo familiare e le spese di sostentamento, nonché l’eventuale somma mensile che si propone di destinare al piano e se si sono effettuati atti di disposizione del patrimonio negli ultimi 5 anni. Tutte queste informazioni servono a presentare un quadro completo e veritiero ai fini della procedura.
Contestualmente all’istanza, il debitore deve pagare un piccolo contributo iniziale (marca da bollo da €16 e un anticipo spese, spesso intorno ai 200-300 €) per l’attivazione. Ad esempio, presso un OCC camerale il costo iniziale può essere €260 (che copre bollo e un primo acconto sui costi). Dopo il deposito, il referente dell’OCC verifica che la richiesta non sia manifestamente inammissibile (ad es. un soggetto fallibile che chiede il sovraindebitamento, o un debitore che non fornisce documentazione minima). In caso positivo, l’OCC nomina un Gestore della crisi, ovvero un professionista (avvocato, commercialista o esperto) iscritto nell’elenco dei gestori che si occuperà del caso. Il debitore viene informato della nomina e iniziano i contatti con il gestore.
2. Predisposizione del piano/proposta o istruttoria per liquidazione: Il gestore della crisi (che può coincidere con un “commissario” o “liquidatore” a seconda della procedura scelta) assume il compito di analizzare la posizione del debitore. Egli esamina i documenti forniti, richiederà eventualmente integrazioni, e valuta la fattibilità della soluzione prospettata. Se si tratta di un piano del consumatore o concordato minore, il gestore aiuta materialmente a redigere la proposta: quantifica quanto il debitore può pagare (considerando reddito al netto delle spese essenziali, oppure ricavato dalla vendita di qualche bene), prepara i piani di ammortamento, stima le percentuali di soddisfacimento dei creditori, verifica il rispetto delle norme (ad es. che i privilegiati non vengano pregiudicati oltre il consentito, che i creditori abbiano almeno quanto spetterebbe in liquidazione). Se invece la scelta è la liquidazione controllata, il gestore raccoglie l’inventario dei beni e l’elenco creditori per predisporre il ricorso di apertura liquidazione. In ogni caso, il gestore (spesso denominato OCC o professionalista attestatore) deve anche redigere una relazione da presentare al giudice, nella quale attesta la veridicità dei dati forniti dal debitore e fornisce un giudizio di fattibilità del piano. Questa relazione indipendente è fondamentale soprattutto per il piano del consumatore (dove il giudice si basa su di essa non essendoci voto dei creditori).
Durante questa fase preparatoria, è possibile che il gestore entri in contatto anche con i principali creditori per sondare il terreno: ad esempio, può chiedere all’Agenzia delle Entrate se è disposta ad accettare un certo stralcio, oppure verificare con la banca la possibilità di rinegoziare un mutuo. La collaborazione del debitore è essenziale: deve fornire tutto quanto richiesto e non nascondere nulla, pena l’inammissibilità. Se emergono criticità (es. il debitore ha tenuto una condotta dolosa, oppure mancano documenti chiave), il gestore potrebbe segnalare che la procedura non è attuabile.
3. Deposito in tribunale e fase giudiziale: Una volta messo a punto il fascicolo (proposta di piano o ricorso di liquidazione, con tutti gli allegati e la relazione dell’OCC), l’OCC lo deposita presso il tribunale competente. Da questo momento si apre la fase giudiziale vera e propria. Il tribunale nomina un giudice delegato al caso e fissa le modalità di prosecuzione:
- Nel piano del consumatore, di solito viene fissata un’udienza in cui il giudice valuta se omologare il piano. I creditori vengono avvisati e possono presentare eventuali opposizioni scritte (contestando ad esempio la convenienza o la meritevolezza). All’udienza il giudice sente il debitore e l’OCC e decide se approvare il piano. Se non ci sono opposizioni o se queste vengono respinte, il tribunale emette il decreto di omologazione del piano del consumatore.
- Nel concordato minore, il tribunale inizialmente controlla l’ammissibilità e quindi ordina all’OCC di convocare i creditori o raccogliere le loro adesioni al piano (anche con votazione telematica eventualmente). Può nominare un commissario giudiziale (spesso coincide con il gestore OCC) che sovrintende alla votazione. Dopo la raccolta dei voti, si tiene un’udienza di omologa: il giudice verifica il raggiungimento delle maggioranze e l’assenza di comportamenti scorretti, quindi omologa il concordato rendendolo definitivo.
- Nella liquidazione controllata, il tribunale – accertati i presupposti – emette direttamente il decreto di apertura della liquidazione. Con lo stesso decreto nomina il giudice delegato e il liquidatore (che può essere diverso dall’OCC originario), e dispone gli atti iniziali: comunicazioni ai creditori, eventuale sospensione delle azioni esecutive in corso, ecc. La procedura di liquidazione quindi prosegue con le regole concorsuali (predisposizione stato passivo, vendite, ecc.) sotto la direzione del GD.
- Nell’esdebitazione incapiente, il tribunale valuta l’istanza e, spesso senza udienza (camera di consiglio), emette il provvedimento di esdebitazione se ritiene soddisfatti i requisiti. I creditori possono essere sentiti, ma poiché comunque non c’è niente da distribuire, la loro posizione non incide se i presupposti di legge sono rispettati.
Misure protettive: Appena la procedura viene aperta o anche durante la pendenza della decisione di omologa, il debitore gode generalmente di tutela contro nuove azioni esecutive. Già con il deposito della domanda, su richiesta, il tribunale può concedere la sospensione temporanea dei pignoramenti e delle azioni individuali (misura protettiva). Una volta omologato un piano o aperta la liquidazione, scatta il divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni di recupero sui beni del debitore per i debiti anteriori. Ad esempio, se era in corso un’esecuzione immobiliare sulla casa, verrà sospesa in attesa di vedere se il piano va in porto; se poi il piano viene omologato, quella esecuzione non potrà riprendere se il credito viene soddisfatto nelle modalità del piano o stralciato. Questa “pace giudiziaria” è cruciale perché evita la corsa caotica dei creditori al pignoramento, consentendo una gestione unitaria della crisi.
Costo della procedura: Le procedure di sovraindebitamento comportano dei costi, ma in genere molto inferiori rispetto a un fallimento e proporzionati alle possibilità del debitore. I principali costi sono:
- Un contributo unificato per il tribunale (spese di giustizia): attualmente circa €244 se il debitore è un consumatore, €366 se è un’impresa/professionista. Si paga all’atto del deposito in tribunale.
- Il compenso dell’OCC/gestore: è determinato secondo il DM 202/2014, spesso in percentuale sull’attivo o sul passivo trattato, con possibilità di riduzioni. In concreto l’OCC fornisce un preventivo al debitore prima di procedere. I costi possono variare molto: per situazioni semplici e con pochi debiti, alcuni OCC applicano tariffe minime o sconti fino al 40%. Il pagamento di solito avviene in parte all’inizio (un acconto), in parte prima del deposito e il saldo a fine procedura, e spesso il saldo viene preso in prededuzione (cioè sottraendo una quota dalle somme destinate ai creditori). Questo significa che una parte del compenso OCC si paga coi soldi che il debitore destina ai creditori – in pratica è come se fossero i creditori a contribuire, poiché al debitore viene chiesto di pagare quanto può in totale, e da lì una piccola quota va a coprire i costi procedurali.
- L’onorario dell’avvocato eventualmente incaricato dal debitore: non è obbligatorio averne uno, ma è altamente consigliato farsi assistere da un legale esperto. I costi variano secondo l’accordo col professionista; spesso gli avvocati praticano tariffe sostenibili per queste procedure, magari legate al risultato (es. una percentuale sui debiti cancellati). Anche queste spese a volte possono essere riconosciute in prededuzione.
- Altre spese vive e di procedura: bolli, notifiche, spese di cancelleria, eventuali perizie per stimare immobili, eventuale compenso del commissario o liquidatore se nominati (es. in concordato minore o liquidazione). Questi ultimi di solito sono anch’essi parametrati per legge e prelevati dalla massa attiva (quindi riducono di poco il pagamento ai creditori). In un caso di piccola liquidazione con pochi beni, i costi di curatore/liquidatore sono modesti e comunque rapportati al realizzo.
È importante non farsi spaventare da questi costi: gli OCC pubblici (delle Camere di Commercio, ad esempio) sono tenuti a contenere le spese e adeguarle alla situazione. In molti casi, il debitore anticipa solo qualche centinaio di euro e il resto viene pagato nell’ambito della procedura, solo se la procedura va a buon fine. Se per qualche ragione la domanda viene dichiarata inammissibile subito, i costi si fermano all’essenziale. Inoltre, ricordiamo che durante la procedura le azioni esecutive dei creditori sono sospese e non maturano interessi ulteriori per i chirografari, dunque il debitore ottiene un sollievo immediato: non dovrà temere stipendi pignorati o case all’asta mentre cerca di risolvere legalmente la sua posizione.
Esempi pratici e scenari realistici
Per comprendere meglio come questi strumenti funzionano nella realtà, presentiamo alcuni scenari tipici di sovraindebitamento e la soluzione applicata in ciascun caso.
- Caso 1: Famiglia sovraindebitata (piano del consumatore). Marco e Giulia sono una coppia con due figli. Marco è dipendente e Giulia part-time; qualche anno fa hanno acceso un mutuo per la casa e ottenuto vari prestiti per arredamento, auto e spese varie. Purtroppo, a causa di spese mediche improvvise e di un periodo di cassa integrazione, hanno accumulato arretrati: 5 carte di credito revolving non pagate, rate di prestito personale saltate e bollette insolute, per un totale di circa 80.000 € di debiti, senza contare il mutuo. Riescono a pagare la rata del mutuo (che non vogliono perdere per non rischiare la casa), ma tutto il resto è fuori controllo e i creditori minacciano pignoramenti. La famiglia si rivolge a un OCC e opta per un piano del consumatore familiare congiunto (Marco e Giulia insieme). Dopo analisi, risulta che possono mettere a disposizione circa 400 € al mese dal loro bilancio familiare, stringendo un po’ la cinghia. Propongono quindi un piano quinquennale offrendo ~25.000 € in 5 anni, da dividere proporzionalmente tra tutti i creditori chirografari, che equivale a circa il 30% di ogni debito. Il mutuo sulla casa resta escluso dal piano (continuano a pagarlo regolarmente a parte). Il tribunale omologa il piano visto che i coniugi sono meritevoli (l’indebitamento è dipeso da fattori sfortunati) e che i creditori finanziari, pur ricevendo il 30%, in un’alternativa liquidatoria avrebbero forse ottenuto ancor meno (la casa è già gravata da ipoteca e non ci sono altri beni). Durante i 5 anni, Marco e Giulia versano puntualmente i 400 € mensili all’OCC che li ripartisce ai creditori. Le esecuzioni (un pignoramento del quinto notificato a Marco) vengono sospese e poi decadono. A fine piano, il giudice dichiara l’esdebitazione: dei circa 55.000 € non pagati, la famiglia viene liberata. I creditori incassano il 30% ma non possono più pretendere il resto. Marco e Giulia, mantenuta la casa e risollevati dai debiti, ripartono più leggeri.
- Caso 2: Piccolo imprenditore sommerso dai debiti d’impresa (concordato minore). Luigi gestiva un negozio di abbigliamento come ditta individuale. Negli ultimi anni, complice la crisi e alcune scelte sbagliate, ha accumulato debiti per 250.000 €: fornitori non pagati (120k), affitti commerciali arretrati (30k), una cartella dell’Agenzia Riscossione per IVA e INPS (50k) e un prestito bancario (50k) garantito da ipoteca su un magazzino di sua proprietà. Ha chiuso l’attività perché non più sostenibile, ma i creditori continuano a inseguirlo sul patrimonio personale (la casa di abitazione e il magazzino). Luigi si rivolge all’OCC e, essendo un imprenditore cessato non fallibile, propone un concordato minore. La sua proposta: vendere il magazzino ipotecato (stimato 80k) – con cui si paga per intero la banca ipotecaria (50k) e il resto va ai creditori chirografari – più aggiungere un contributo di 20k che raccoglierà dai risparmi familiari e dall’aiuto di un parente, da destinare anch’esso ai creditori chirografari e al Fisco. Totale masse da distribuire: diciamo 80k vendita + 20k apporto = 100k. I creditori chirografari (fornitori e padrone dei locali) hanno crediti per 150k complessivi e riceveranno quindi circa 100k pro-quota, cioè il 66%. L’Agenzia delle Entrate, creditrice privilegiata per 50k, si vede offrire nel piano una percentuale minore (ad esempio 20k su 50, il 40%), ma giustificata dal fatto che il magazzino vale meno del suo credito ipotecario e non ci sono altri beni: grazie al correttivo 2024, anche l’Erario può accettare un pagamento parziale del suo credito in un concordato minore. In fase di votazione, i fornitori accettano entusiasti (preferiscono 66% ora che forse niente in una liquidazione pura, vista la concorrenza del Fisco), il padrone di casa pure; l’Agenzia delle Entrate inizialmente è restia (vorrebbe tutto l’IVA) ma di fronte alla nuova normativa che lo consente e al fatto che comunque incasserebbe 20k che altrimenti non vedrebbe, non si oppone attivamente. Il tribunale omologa il concordato minore (c’è il voto favorevole della stragrande maggioranza del passivo). Luigi vende il magazzino, versa l’apporto promesso: i creditori vengono pagati secondo il piano entro pochi mesi. Conclusa la procedura, Luigi ottiene l’esdebitazione per i residui: i fornitori devono rinunciare al restante 34% e il Fisco al 60% non pagato – nessuno potrà mai più reclamarglieli. Luigi può così concentrarsi su un nuovo lavoro come dipendente, senza il terrore che gli pignorino lo stipendio per vecchi debiti.
- Caso 3: Debitore senza beni (esdebitazione incapiente). Rosa, 50 anni, ex lavoratrice autonoma, ha dovuto cessare la sua attività di servizi a causa della pandemia. Ha accumulato debiti per circa 40.000 € (prestiti personali e debiti verso fornitori); non ha immobili né risparmi, vive in affitto in condizioni modeste e attualmente è disoccupata senza reddito, mantenuta saltuariamente da un fratello. La sua situazione è disperata: non avrebbe nulla da offrire neppure in una liquidazione (ha solo mobilio usato di scarso valore). Presenta quindi richiesta di esdebitazione da incapienza. Il tribunale verifica che Rosa effettivamente non possiede nulla di utile per i creditori e che la sua insolvenza deriva in buona fede dal crollo dell’attività, non da condotte fraudolente. Accoglie la richiesta ed emette decreto di esdebitazione immediata. I creditori di Rosa (banche e fornitori) ricevono la comunicazione che il loro credito è inesigibile per intervenuta esdebitazione: devono quindi rinunciare definitivamente a ogni azione di recupero. Rosa viene liberata dai 40.000 € di debiti senza aver pagato nulla – cosa che del resto le era impossibile. Nei quattro anni successivi, la situazione economica di Rosa purtroppo non migliora sensibilmente (trova solo lavoretti part-time): non emergono “utilità rilevanti” sopra la soglia del 10%, dunque il beneficio dell’esdebitazione diventa definitivo. Rosa può cercare di ricostruire la propria vita senza l’angoscia di debiti insormontabili.
Ogni caso di sovraindebitamento ha le sue particolarità. Questi esempi mostrano come, applicando gli strumenti legali giusti, sia il consumatore con debiti familiari, sia il piccolo imprenditore sommerso dai debiti dell’attività, sia la persona completamente nullatenente, possano trovare una soluzione sostenibile e soprattutto legale per cancellare i debiti e ripartire. La chiave è affrontare per tempo la situazione rivolgendosi agli enti preposti (OCC, professionisti specializzati) e presentare una proposta seria e credibile secondo le regole di legge.
Modelli di documenti e come presentare le domande
In questa sezione forniamo una panoramica dei documenti tipici utilizzati nelle procedure di sovraindebitamento, con indicazione dei contenuti principali. Ogni OCC mette a disposizione modulistica standard, ma conoscere in anticipo cosa verrà richiesto aiuta a prepararsi.
Istanza di nomina OCC e apertura procedura
È il modulo iniziale che il debitore compila per attivare la procedura presso l’OCC. In esso vanno inseriti:
- Dati anagrafici/commerciali del debitore: nome, cognome, codice fiscale, indirizzo, eventuale ditta o ragione sociale se impresa, indicazione se consumatore o imprenditore minore (con dichiarazione di rientrare nei limiti dimensionali). Se è una società, i dati legali e del rappresentante.
- Dichiarazione di sovraindebitamento: si dichiara espressamente di versare in stato di sovraindebitamento ai sensi dell’art.2, co.1, lett. c) CCII (riportando la definizione).
- Scelta della procedura: si indica quale procedura si intende avviare (es: “ristrutturazione dei debiti del consumatore” oppure “concordato minore” ecc., spesso spuntando una casella).
- Requisiti di accesso: una serie di autocertificazioni richieste dalla legge, ad esempio: di non essere assoggettabile a liquidazione giudiziale (ossia di non essere fallibile), di non aver beneficiato di altra esdebitazione negli ultimi 5 anni né più di due volte in totale, di non aver causato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave, di impegnarsi a collaborare lealmente con l’OCC e fornire ogni informazione. Queste dichiarazioni sono fondamentali per l’ammissibilità.
- Elenco sintetico delle cause dell’indebitamento: si anticipano le ragioni per cui si è divenuti insolventi (es. “perdita del lavoro nel 2023 e spese mediche impreviste” oppure “calo di fatturato e chiusura attività per pandemia”).
- Richiesta: formalmente si chiede all’OCC la nomina di un gestore della crisi ai fini dell’accesso alla procedura scelta, indicando di aver preso visione del regolamento OCC e accettato le condizioni.
All’istanza vanno allegati copia del documento d’identità e codice fiscale, l’informativa privacy firmata, e spesso una prima lista riepilogativa dei debiti suddivisi per tipologia (in un riquadro si elencano i settori: mutui, finanziamenti, fisco, fornitori, bollette, ecc., con a fianco l’importo e l’indicazione di eventuali ipoteche o atti esecutivi in corso). Inoltre, un elenco dei beni posseduti con valore stimato e note (es: “Appartamento in Milano, valore 150k, ipoteca della banca X 100k, si intende metterlo a disposizione? sì/no”) e un elenco dei redditi annui e mensili (es: stipendio 24k annui, pensione 10k, etc.), nonché composizione del nucleo familiare e spese correnti. In pratica, già con l’istanza l’OCC raccoglie gli elementi essenziali per valutare il caso.
(Per esempio, l’“OCC – Modello di Istanza – procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore” prevede le dichiarazioni sopra elencate e tabelle per: A) elenco origine dei debiti; B) beni di proprietà; C) redditi percepiti; D) numero familiari a carico; E) spese mensili familiari; F) somma mensile proponibile nel piano; G) atti di disposizione compiuti negli ultimi 5 anni.)
Proposta di piano del consumatore / concordato minore
È il documento centrale nelle procedure di piano e concordato. Si tratta di un atto, redatto con l’aiuto dell’OCC e depositato in tribunale, che contiene:
- Intestazione e generalità: tribunale adito, procedura di composizione della crisi ex D.Lgs 14/2019, dati del debitore, eventuale n. di R.G. se già assegnato.
- Esposizione della situazione patrimoniale e finanziaria: una parte narrativa iniziale dove si descrive nel dettaglio chi è il debitore, che attività svolge/svolgeva, quali eventi hanno portato al sovraindebitamento (cause della crisi), l’entità dei debiti e la situazione attuale. Si elencano analiticamente tutti i creditori con i rispettivi importi, titolo del credito (mutuo, finanziamento, fornitura, imposta…), eventuali garanzie reali o personali, e se ci sono procedure esecutive pendenti. Si dettaglia il patrimonio: immobili (con dati catastali, valore di stima, gravami), mobili registrati (auto, moto – con valore), conti correnti e depositi, eventuali polizze o TFR maturato, crediti verso terzi, partecipazioni societarie, ecc. Si indicano anche i redditi attuali del debitore (stipendio, pensione, reddito impresa, affitti attivi) e le spese essenziali (sostentamento famiglia, affitto, cure…). Questa sezione offre al giudice e ai creditori una fotografia completa della situazione economica.
- Analisi di fattibilità: qui si evidenzia quanto il debitore può destinare ai creditori. Ad esempio: “Il debitore dispone di un reddito netto mensile di €1.500 e, detratte le spese familiari (€1.000), residuano €500 mensili destinabili ai creditori. Inoltre, il debitore intende vendere l’automobile non necessaria per ricavare €5.000 da distribuire”. Oppure, se c’è un immobile: “Il debitore prevede di vendere l’immobile X al valore stimato di €100.000, con l’accordo di un parente che si rende disponibile ad acquistarlo/fare un’offerta”.
- Proposta dettagliata: il cuore del documento. Si espone come verranno trattati i vari crediti. Ad esempio: “Proposta di ristrutturazione: il debitore propone di pagare integralmente i creditori ipotecari sul ricavato della vendita dell’immobile, fino a concorrenza del valore di perizia (€80.000), e di pagare i creditori chirografari nella misura percentuale del 20% mediante 60 rate mensili di €500 ciascuna, per un totale di €30.000, utilizzando il suo reddito disponibile. Il piano avrà durata 5 anni. Al termine, i debiti chirografari saranno inesigibili per la parte restante. I crediti privilegiati (erario per IVA) saranno soddisfatti al 40% (ovvero €10.000 su €25.000 dovuti) contestualmente alla vendita dell’immobile, trattandosi di importo pari o superiore a quanto essi otterrebbero in caso di liquidazione”. Si può allegare uno schema di riparto con le percentuali offerte a ciascuno. Nel piano del consumatore questa proposta è unilaterale; nel concordato minore la proposta contiene anche l’invito ai creditori ad aderire e può prevedere la divisione in classi. Ad esempio: “Classe A: Banca Alfa (ipotecaria) – pagamento 100% entro 6 mesi; Classe B: Creditori privilegiati (Erario, dipendenti) – pagamento 40% entro 6 mesi; Classe C: Creditori chirografari (fornitori, finanziarie) – pagamento 20% in 5 anni come sopra)”. Si specifica se ci sono eventuali apporti di terzi (es. “il fratello del debitore apporterà €10.000 a fondo perduto da destinare integralmente ai creditori chirografari, incrementando la percentuale di soddisfazione”).
- Meccanismi di attuazione e garanzie: il piano può includere clausole come la nomina di un fiduciario per gestire le somme, la previsione di un conto dedicato, ecc. Ad esempio: “Le rate mensili verranno versate dal debitore sul conto dedicato dell’OCC, che provvederà a ripartirle ai creditori ogni trimestre”. Oppure: “In caso di vendita dell’immobile a prezzo inferiore al previsto, la percentuale ai chirografari si ridurrà in misura proporzionale, fermo restando il minimo del 5%. In caso di vendita a prezzo superiore, l’eccedenza andrà ad aumentare la soddisfazione dei chirografari fino al 100%”.
- Indicazione della meritevolezza: soprattutto nel piano del consumatore, la proposta sottolinea perché il debitore è meritevole di fiducia (es. “Si evidenzia che il debitore non ha assunto nuovi debiti dopo l’insorgenza della crisi, ha sempre cercato di privilegiare i creditori più deboli (ha continuato a pagare l’assegno di mantenimento), e la crisi è dovuta a fattori esterni (perdita lavoro) e non a spese voluttuarie”).
- Conclusioni: il debitore chiede al tribunale di omologare il piano (o, nel concordato minore, di convocare i creditori per l’approvazione e poi omologare) ex artt. 67 e ss. (o 74 e ss.) del Codice della Crisi, con ogni conseguente provvedimento, inclusa l’esdebitazione finale a esecuzione avvenuta.
In allegato alla proposta, vanno inseriti tutti i documenti giustificativi (estratti conto, attestati di stipendio, perizie di stima per immobili, elenco creditori sottoscritto, ecc.) e la fondamentale relazione dell’OCC che attesta la veridicità dei dati e la fattibilità del piano. La relazione OCC solitamente è separata ma viene depositata insieme.
(Il linguaggio usato è formale ma chiaro. Ad esempio, un estratto potrebbe suonare così: “Il debitore si trova nell’impossibilità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni, avendo attualmente esposizioni scadute per €50.234, come da elenco allegato (Doc.3). La crisi finanziaria trae origine dalla perdita del lavoro subita nel 2021 e dalle spese mediche affrontate (Doc.5), circostanze estranee a comportamenti dolosi o colposi del debitore. Egli ha mantenuto un atteggiamento collaborativo con i creditori, cercando soluzioni bonarie finora non andate a buon fine. Si propone pertanto un piano di ristrutturazione ai sensi dell’art. 67 CCII…” e così via).
Ricorso per apertura della liquidazione controllata
Nel caso si opti per la liquidazione, non c’è un “piano” da scrivere con offerte ai creditori, bensì un ricorso al tribunale per chiedere l’apertura della procedura liquidatoria. In esso si indica:
- Identificazione del debitore e premessa sullo stato di insolvenza (molto simile a quella del piano: situazione debitoria dettagliata, elenco creditori, cause del dissesto). Si evidenzia che non vi sono possibili piani di rientro e che l’unica via è liquidare il patrimonio.
- Elenco analitico dei beni da liquidare: immobili (con relativi gravami), mobili, crediti, ecc., e il presumibile valore di realizzo. Si può allegare una perizia giurata se disponibile, oppure stime sommarie. Se alcuni beni sono già pignorati, si menzionano le procedure esecutive in corso.
- Eventuale elenco atti di disposizione compiuti negli ultimi anni: la legge richiede di segnalare vendite, donazioni o atti a titolo gratuito fatti negli ultimi 5 anni, perché potrebbero essere soggetti a revocatoria. Questo l’abbiamo visto anche nell’istanza OCC (casella G).
- Istanza: il debitore chiede al tribunale di aprire la liquidazione controllata ex art. 268 CCII, nominare un liquidatore e adottare le misure protettive del caso, con riserva eventualmente di chiedere l’esdebitazione a fine procedura (oggi automatica).
Questo ricorso è accompagnato, come sempre, dalla relazione dell’OCC che certifica i dati. Una volta presentato, se completo, il tribunale può subito emanare il decreto di apertura senza attendere udienza (salvo casi complessi).
(In alcune realtà, il ricorso per liquidazione è standardizzato: basta compilare i moduli OCC con elenco beni e debiti e aggiungere una lettera in cui si dice “non è praticabile alcun piano; si chiede quindi la liquidazione”. Il tribunale recepisce i dati dagli allegati senza richiedere una memoria particolarmente discorsiva.)
Istanza di esdebitazione del debitore incapiente
Trattandosi di una procedura semplificata, l’istanza è breve ma deve essere ben documentata:
- Dati del debitore e dichiarazione di trovarsi in stato di insolvenza senza soluzione.
- Elenco dei debiti pendenti (per dare contezza dell’ammontare da esdebitare).
- Dichiarazione di totale incapienza: si afferma di non possedere alcun bene mobile o immobile di valore, di non avere redditi né capacità di offrire utilità ai creditori, nemmeno prospettiche. Si può allegare un’autocertificazione di assenza di proprietà (richiedendo visure catastali negative, ecc.) e l’ISEE che evidenzia reddito nullo o basso. Magari anche dichiarare di essere iscritto al Centro per l’Impiego (disoccupato) o di percepire solo sussidi impignorabili.
- Motivazione sulla meritevolezza: spiegare brevemente come si è arrivati a quella situazione senza colpa grave. Es: “Il sovraindebitamento è derivato da fideiussioni concesse al coniuge defunto per avviare un’attività poi fallita; la sottoscritta non aveva competenze e si è fidata, ritrovandosi ora con debiti che non è materialmente in grado di onorare”. Sottolineare di non aver aggravato la posizione volontariamente.
- Richiesta finale: “Si chiede, ai sensi dell’art. 283 CCII, l’esdebitazione del debitore incapiente con riferimento a tutti i debiti elencati, essendo presenti i presupposti di legge (unicità della richiesta, meritevolezza, incapienza assoluta). Si dichiara di non aver mai beneficiato in precedenza di analogo provvedimento.”
Di solito l’istanza viene corroborata da una breve relazione dell’OCC che conferma di aver esaminato la posizione del debitore e che non risultano elementi attivi utilmente liquidabili. L’OCC magari attesta: “Abbiamo riscontrato che il soggetto non possiede immobili né veicoli (visure catastali e PRA allegate), il conto corrente ha saldo quasi nullo, non vi sono beni pignorabili. La situazione debitoria è verificata tramite le comunicazioni dei creditori (allegate). Riteniamo il debitore privo di capacità contributiva, meritevole e incapiente.” Il tribunale, ricevuto tutto questo, deciderà.
Documenti allegati tipici: a supporto di tutte queste istanze e proposte, è fondamentale allegare quanti più documenti probatori possibile: copia dei contratti di finanziamento, estratti conto aggiornati dei debiti (o le ultime comunicazioni di messa in mora ricevute), cartelle esattoriali e intimazioni del fisco, atti di pignoramento o decreti ingiuntivi se notificati, buste paga o attestati di stipendio, certificati di disoccupazione, dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, estratti conto bancari, visure catastali e PRA per dimostrare cosa si possiede (o non si possiede), stato di famiglia, eventuali certificati medici se la crisi è legata a motivi di salute, ecc. Più il quadro documentale è completo e chiaro, più facile sarà per il tribunale (e per i creditori, se coinvolti) comprendere la situazione e fidarsi della proposta.
Va tenuto presente che redigere questi documenti richiede competenze tecniche: per questo è prezioso il supporto dell’OCC e, preferibilmente, di un avvocato o commercialista di fiducia. In ogni caso, gli schemi forniti dall’OCC sono un’ottima guida su cosa includere. Ad esempio, i moduli OCC hanno spazi già predisposti per tutte le informazioni chiave, in modo da non dimenticare nulla (debiti, beni, redditi, familiari, etc.).
Normativa di riferimento e aggiornamenti recenti (fino al 2025)
Le procedure descritte trovano fondamento nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), ovvero il D.Lgs. 12 gennaio 2019 n.14, entrato pienamente in vigore il 15 luglio 2022. Questo Codice ha riorganizzato e sostituito la precedente normativa (Legge 27/01/2012 n.3 sul sovraindebitamento) introducendo alcune innovazioni importanti. È utile riassumere il quadro normativo e le ultime novità legislative fino al 2025:
- Legge n.3/2012 (“Salva Suicidi”): entrata in vigore nel 2012, è stata la prima legge italiana sulle crisi da sovraindebitamento dei privati. Prevedeva tre procedure: piano del consumatore, accordo con i creditori e liquidazione del patrimonio. Ha aperto la strada ma presentava alcune rigidità (ad es. impossibilità di toccare l’IVA, esdebitazione non automatica, ecc.).
- Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019): emanato nel 2019 in attuazione della legge delega 155/2017, avrebbe dovuto entrare in vigore nell’agosto 2020, ma vari rinvii (complice la pandemia) ne hanno spostato l’efficacia al 2022. Il Codice, agli artt. 65-83, disciplina le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (piano del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata), mentre agli artt. 278-283 disciplina l’esdebitazione del debitore incapiente. Nel frattempo, il D.L. 118/2021 (conv. L.147/2021) aveva introdotto la composizione negoziata e ulteriormente rinviato il Codice. Finalmente, dal 15 luglio 2022, il CCII è in vigore, aggiornato dal D.Lgs. 83/2022.
- Decreto “Correttivo” D.Lgs. 83/2022: entrato in vigore sempre a luglio 2022, ha adeguato il Codice della Crisi alla direttiva UE 2019/1023. Per il sovraindebitamento, ha introdotto ad esempio la figura del concordato minore (il vecchio accordo riadattato), nuove regole sul voto dei creditori e sulla cram-down (omologa anche con una classe dissenziente), e la procedura di esdebitazione incapiente. Ha inoltre previsto che nella liquidazione controllata l’esdebitazione operi automaticamente decorsi 3 anni.
- Decreto “Correttivo-ter” D.Lgs. 136/2024: pubblicato a settembre 2024, è un ulteriore aggiustamento del CCII. Ha portato novità rilevanti per rendere le procedure più efficaci: ad esempio, ha chiarito definitivamente che anche i debiti IVA e altre imposte possono essere oggetto di falcidia e dilazione nell’ambito di piani omologati superando vecchie pronunce contrarie (prima, la Cassazione riteneva intoccabile l’IVA in un piano del consumatore, ora invece la legge lo consente espressamente, uniformandosi alla prassi europea). Inoltre, il correttivo-ter ha ampliato l’accesso alle procedure: ad esempio semplificando l’adesione per i soci illimitatamente responsabili e gli imprenditori cessati, e prevedendo una maggiore flessibilità nei piani (come la possibilità di inserire una moratoria fino a 24 mesi per i debiti garantiti – quindi un piano può prevedere di posticipare di due anni il pagamento dei creditori privilegiati, per dare respiro iniziale). Ha anche incentivato la composizione stragiudiziale attraverso l’OCC, prima di giungere in tribunale.
- Altri aggiornamenti: la legge di bilancio 2023 e 2024 hanno stanziato risorse per potenziare gli OCC e le procedure di sovraindebitamento, visto anche l’aumento di richieste dovuto alla crisi economica post-Covid. L’Agenzia Entrate-Riscossione ha emanato direttive interne per partecipare attivamente a queste procedure (ad esempio applicando lo stralcio parziale se il piano lo prevede, come da norma). Dal 2023 è operativo un portale telematico per la gestione delle domande di composizione negoziata e sovraindebitamento, migliorando la digitalizzazione.
Norme di riferimento principali (CCII): Art. 2 co.1 lett. c) (definizione sovraindebitamento); Art. 65 (ambito soggettivo); Art. 67-73 (ristrutturazione debiti consumatore); Art. 74-83 (concordato minore); Art. 268-277 (liquidazione controllata); Art. 278-281 (esdebitazione post-liquidazione); Art. 282-283 (esdebitazione incapiente). Queste disposizioni, insieme al Regolamento OCC (DM 202/2014 per i compensi), costituiscono il quadro regolatorio consolidato al 2025.
In sintesi, oggi le barriere burocratiche sono minori rispetto al passato: più soggetti possono accedere, i piani vengono omologati più rapidamente e i creditori pubblici sono più disponibili ad accettare soluzioni di compromesso. Il sistema è orientato a favorire il risanamento delle persone sovraindebitate, ovviamente senza penalizzare eccessivamente i creditori, ma riconoscendo che un recupero parziale concertato è spesso meglio di nulla (cosa che accade se il debitore resta inadempiente cronico).
Conclusioni
Liberarsi legalmente dai debiti in Italia è possibile, grazie agli strumenti introdotti dal legislatore negli ultimi anni. Le procedure di sovraindebitamento permettono di trovare un equilibrio tra le esigenze dei creditori (ottenere almeno una soddisfazione parziale, in forma organizzata) e la necessità del debitore di avere una via d’uscita dall’incubo dei debiti a vita. Il concetto di esdebitazione – la cancellazione dei debiti residui – è ormai pienamente riconosciuto nel nostro ordinamento: non solo nell’ambito fallimentare, ma anche per i privati e piccoli imprenditori, sancendo il principio che “merita una seconda chance chi dimostra impegno e onestà”.
Naturalmente, l’accesso a questi benefici richiede disciplina e trasparenza. Il debitore deve mettere tutte le carte in tavola, cedere ciò che è sacrificabile, e rispettare il piano approvato. In cambio otterrà l’azzeramento dei debiti pregressi e potrà ripartire senza zavorre. È importante rivolgersi per tempo a professionisti esperti o agli OCC territoriali: spesso, prima si interviene e più margini di manovra ci sono (ad esempio si può evitare che un creditore pignori e svenda un bene a discapito di tutti…(ad esempio, evitando che un singolo creditore pignori e svenda un bene a scapito degli altri, potendolo invece liquidare in modo ordinato nell’ambito della procedura). In conclusione, grazie a queste normative, un debitore sovraindebitato – consumatore o piccolo imprenditore – non è più condannato a restare schiacciato dai debiti per tutta la vita, ma può legalmente riconquistare una stabilità finanziaria. L’obiettivo finale, infatti, è proprio la completa esdebitazione rispetto ai debiti anteriori, cioè la liberazione da tutti i debiti pregressi. Con impegno, trasparenza e l’ausilio degli strumenti legali descritti, liberarsi dai debiti e ripartire da zero diventa un traguardo realistico e raggiungibile.
Uscire Dai Debiti: Perché Affidarsi a Studio Monardo Per Liberarsi Definitivamente Dai debiti e Ripartire
Se ti trovi sommerso da debiti con l’Agenzia delle Entrate, l’INPS, banche o finanziarie, è fondamentale sapere che esistono strumenti legali per ottenere la cancellazione totale o parziale delle tue esposizioni debitorie. Grazie al Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) e alle procedure di sovraindebitamento, è possibile azzerare i debiti residui e ricominciare senza il peso delle passività pregresse.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un professionista esperto e abilitato, in grado di guidarti attraverso le procedure più adatte alla tua situazione, garantendoti un percorso sicuro verso l’esdebitazione.
Le qualifiche dell’Avvocato Monardo
L’Avvocato Giuseppe Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato ex D.L. 118/2021
- Coordinatore di una rete nazionale di professionisti in diritto bancario, tributario ed esecutivo
Con queste qualifiche, l’Avvocato Monardo può assisterti in ogni fase del processo di cancellazione dei debiti, dalla valutazione preliminare alla presentazione dell’istanza al Tribunale, fino all’ottenimento del decreto di esdebitazione.
Perché agire subito
Rimandare l’affrontare la situazione debitoria può portare a conseguenze gravi, come pignoramenti, ipoteche e segnalazioni negative nelle banche dati creditizie. Agire tempestivamente ti permette di:
- Bloccare le azioni esecutive in corso
- Proteggere il tuo patrimonio e il tuo reddito
- Evitare ulteriori aggravamenti della situazione
- Ricominciare con una situazione finanziaria pulita
In conclusione
Liberarsi dai debiti è possibile, grazie agli strumenti legali messi a disposizione dal legislatore e all’assistenza di professionisti qualificati. Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa intraprendere un percorso sicuro e competente verso la cancellazione dei debiti e il recupero della serenità finanziaria.
Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in cancellazione debiti: