Sovraindebitamento Imprenditore Cessato E Cancellato: Guida Legale Per Difendersi Dai Debiti

Sei un imprenditore cessato e cancellato e da ex imprenditore vuoi sapere nei dettagli come difenderti dai debiti accumulati?

Qui di seguito troverai la guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti di società ed ex imprenditori.

Vi auguriamo una buona lettura e in fondo alla guida troverai tutti i riferimenti del nostro Studio Legale per richiedere una consulenza dedicata:

Introduzione

Il sovraindebitamento è la situazione in cui una persona non riesce più a far fronte ai propri debiti con il patrimonio o il reddito disponibile. In Italia, già con la cosiddetta “Legge Salva Suicidi” (Legge 3/2012), sono state introdotte procedure speciali per aiutare chi – pur non soggetto alle ordinarie procedure fallimentari – si trova schiacciato dai debiti. Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore il nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, detto CCII), che ha riformato e ampliato queste tutele, integrando la Legge 3/2012. Questa guida pratica, aggiornata ad aprile 2025, offre un quadro completo di come un ex imprenditore (titolare di ditta individuale cessata e cancellata) possa difendersi dai creditori e liberarsi dai debiti tramite le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Tratteremo innanzitutto chi può accedere a tali procedure e quali debiti vi rientrano. Analizzeremo poi in dettaglio le varie procedure previste dal Codice – dal Piano del Consumatore al Concordato Minore, dalla Liquidazione Controllata all’Esdebitazione del debitore incapiente – spiegandone requisiti, documenti necessari, costi e tempi. Verrà dato particolare risalto a come queste procedure consentono di bloccare pignoramenti ed esecuzioni e arrivare all’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). Infine, esamineremo i principali orientamenti giurisprudenziali più favorevoli agli ex imprenditori cancellati, citando sentenze chiave, e forniremo dei modelli esemplificativi di atti (istanza al giudice, nomina OCC, proposta di piano, ecc.) per aiutare il lettore a orientarsi nella pratica.

Ma andiamo ad approfondire:

Chi può accedere alle procedure di sovraindebitamento? Soggetti “aiutabili” secondo il Codice della Crisi

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti non fallibili, cioè a quelle persone fisiche o enti che non possono (o non possono più) essere assoggettati alle tradizionali procedure concorsuali (fallimento, ora liquidazione giudiziale). In pratica, si tratta di piccoli debitori – consumatori, piccoli imprenditori, professionisti, ex titolari di imprese cessate, ecc. – che versano in stato di insolvenza o grave difficoltà economica. Vediamo nel dettaglio quali sono i soggetti “aiutabili”:

  • Consumatori – Persone fisiche non esercenti attività d’impresa (senza Partita IVA) e che hanno contratto debiti per scopi estranei ad attività imprenditoriali o professionali (es. lavoratori dipendenti, pensionati, disoccupati). Il Codice definisce consumatore “la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta” (art. 2, comma 1, lett. e, CCII). Questa definizione, rispetto al passato, non richiede più che gli scopi siano “esclusivamente” estranei all’impresa, ampliando il concetto: oggi anche chi ha qualche debito di natura “promiscua” (legato in parte ad attività di impresa, in parte personale) può essere considerato consumatore per i debiti personali. Ad esempio, sono stati considerati “consumatori” ai fini dell’accesso alla procedura anche: ex piccoli imprenditori con soli debiti personali residui; soci di società di persone per i debiti estranei a quelli sociali; persone con “debiti promiscui” dove i debiti imprenditoriali si accompagnano a quelli familiari (su questo punto torneremo parlando della giurisprudenza).
  • Imprenditori individuali “non fallibili” – Piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità (vedi oltre), imprenditori artigiani e in generale titolari di partita IVA con attività di piccola dimensione. Rientrano qui anche i professionisti (es. avvocati, commercialisti, ecc.) iscritti a ordini professionali, i lavoratori autonomi e gli imprenditori agricoli, categorie che per legge non sono assoggettabili a fallimento (gli imprenditori agricoli, ad esempio, sono esclusi ex art. 1 l.fall.). Non c’è un limite di fatturato o debito per i professionisti e gli agricoltori ai fini dell’accesso: possono utilizzare le procedure di sovraindebitamento indipendentemente dal volume d’affari.
  • Imprese “minori” – Società di piccola dimensione che non superano i parametri di fallibilità (spesso ditte individuali o piccole società di persone). Anche start-up innovative e imprese non profit (associazioni, fondazioni) rientrano tra i soggetti non fallibili, purché non esercitino attività commerciale in forma tale da farle ricadere nel fallimento. In generale, un ente privato non commerciale o un ente pubblico non economico che abbia debiti può accedere a queste procedure.
  • Imprenditori cessati e ex imprenditori cancellati – Questa categoria è centrale nella nostra guida. Si tratta di imprenditori (individuali o società) che hanno cessato l’attività e sono stati cancellati dal Registro delle Imprese. Dopo la cessazione, se rimangono debiti non pagati, tali soggetti spesso non possono più essere dichiarati falliti (perché magari è decorso più di un anno dalla cancellazione, come prevede l’art. 33 CCII). Ecco che quindi l’ex imprenditore si trova personalmente esposto ai creditori senza poter accedere al fallimento: in questi casi le procedure di sovraindebitamento diventano l’unico strumento di difesa. Attenzione: un ex imprenditore cancellato non viene automaticamente considerato un “consumatore” agli occhi della legge, specie se i suoi debiti originano dall’attività d’impresa. Come vedremo, la giurisprudenza recente è in evoluzione sul punto: secondo la Cassazione un ex imprenditore con debiti misti non può usare il Piano del consumatore né il Concordato minore, ma deve ricorrere alla Liquidazione controllata; alcuni tribunali però hanno ammesso ex imprenditori alla procedura di ristrutturazione dei debiti come fossero consumatori, in presenza di determinate condizioni (ad es. Trib. Napoli Nord 12.11.2022). In ogni caso, imprenditori cessati da oltre un anno e non più soggetti a fallimento possono sicuramente accedere almeno alla Liquidazione controllata, ottenendo poi l’esdebitazione.
  • Soci di società – I soci illimitatamente responsabili di società di persone (S.n.c., S.a.s., S.a.p.a.) sono equiparati agli imprenditori individuali: rispondendo con il proprio patrimonio dei debiti sociali, possono utilizzare le procedure di sovraindebitamento per gestire la loro parte di debito. Il Codice della Crisi lo chiarisce espressamente, includendo tra i beneficiari anche “i soci illimitatamente responsabili”. È interessante notare che sono compresi anche i soci illimitatamente responsabili usciti da oltre un anno dalla società: ciò per evitare che un ex socio resti esposto ai creditori senza tutele dopo la sua uscita (trascorso l’anno, non può più essere coinvolto in un fallimento della società, dunque può usare queste procedure). Invece, i soci di società di capitali (S.r.l., S.p.A.) normalmente non sono debitori dei creditori sociali (hanno responsabilità limitata); tuttavia, se un socio di S.r.l. ha debiti personali (es. ha garantito con fideiussione un mutuo della società, oppure ha debiti tributari a titolo personale), potrà accedere in quanto consumatore o debitore non fallibile. Il Codice infatti ricomprende anche i fideiussori di società o imprenditori per i debiti di quest’ultimi. In pratica, chi ha prestato garanzie personali a favore di un’impresa e viene escusso, pur non essendo “imprenditore” lui stesso, può rivolgersi alle procedure di sovraindebitamento per sistemare quella posizione di debito (che è considerata di natura “imprenditoriale” ma il garante di per sé è un soggetto non fallibile).
  • Eredi di imprenditore defunto – Se un imprenditore muore lasciando debiti, i suoi eredi che abbiano accettato l’eredità con beneficio d’inventario possono utilizzare queste procedure per gestire i debiti ereditari. In particolare, se è passato più di un anno dal decesso, non è più possibile aprire un fallimento a carico dell’eredità; gli eredi dunque rientrano tra i soggetti non fallibili e possono presentare un piano o chiedere la liquidazione (l’art. 33 CCII esclude l’avvio di procedure concorsuali oltre l’anno dalla cessazione dell’attività, qui coincidente con la morte dell’imprenditore).
  • Familiari co-obbligati (Procedure familiari) – Novità importante del Codice è la possibilità di presentare un’unica procedura familiare per più membri della stessa famiglia sovraindebitati. Possono agire insieme con un unico ricorso i coniugi, le parti di un’unione civile o conviventi di fatto, i parenti entro il 4° grado e affini entro il 2° conviventi, a condizione che abbiano debiti origine comune. In altre parole, se più membri dello stesso nucleo familiare sono indebitati magari per obbligazioni contratte insieme o per lo stesso evento (es. marito e moglie co-firmatari di finanziamenti, genitori garanti per figli, etc.), possono fare un unico piano o concordato familiare, risparmiando costi e coordinando meglio la soluzione. È richiesto che vivano insieme e che i debiti abbiano un’origine comune (ad esempio, genitori e figli coinvolti dalle stesse garanzie, oppure coniuge coobbligato). Questa possibilità semplifica la gestione delle crisi familiari, evitando procedure separate.

Soglie di fallibilità: Come accennato, per gli imprenditori commerciali la distinzione tra fallibile o non fallibile dipende dal superamento di certe soglie dimensionali. Il Codice della Crisi riprende sostanzialmente i limiti già previsti dalla vecchia legge fallimentare. Un imprenditore non è soggetto a fallimento (quindi può accedere alle procedure di sovraindebitamento) se negli ultimi 3 esercizi antecedenti la domanda non ha superato contemporaneamente i seguenti parametri:

  • Totale debiti (anche non scaduti) non oltre 500.000 €.
  • Ricavi lordi annuali non oltre 200.000 € (in ciascuno degli ultimi tre esercizi).
  • Attivo patrimoniale (totale dell’attivo di bilancio) non oltre 300.000 € (sempre nei tre esercizi precedenti).

Se l’impresa ha dimensioni superiori a qualsiasi di questi limiti, viene considerata fallibile e dunque in caso di insolvenza dovrebbe ricorrere alle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Al contrario, se resta entro questi parametri, è qualificata “piccolo imprenditore” e ha accesso alle procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, un artigiano con 100.000 € di debiti, 150.000 € di ricavi annui e un attivo di 80.000 € è sotto soglia e può usare il Piano del consumatore o il Concordato minore; una società con 1 milione di debiti no (dovrebbe valutare il concordato preventivo ordinario). Si noti che basta il superamento di anche uno solo dei tre parametri per far scattare la fallibilità.

Requisiti generali per l’accesso: Oltre ad appartenere a una delle categorie sopra e rispettare eventualmente le soglie dimensionali, il debitore sovraindebitato deve trovarsi in uno stato di insolvenza o crisi (incapace di pagare regolarmente i propri debiti) e deve agire in buona fede. In particolare, il Codice richiede che il debitore:

  • Versi in uno stato di sovraindebitamento effettivo, ossia abbia un disequilibrio duraturo tra obbligazioni assunte e patrimonio/redditi disponibili, tale da non riuscire a pagare i debiti nei termini concordati (questa è la definizione stessa di sovraindebitamento introdotta dalla legge 3/2012).
  • Non sia soggetto a liquidazione giudiziale (fallimento), né abbia in corso altre procedure concorsuali. In pratica, non deve essere già “fallito” né poterlo diventare (vedi soglie sopra).
  • Non abbia compiuto atti in frode ai creditori – Tentativi di nascondere beni o simulare debiti per danneggiare i creditori sono causa di inammissibilità. Ad esempio, aver distratto asset poco prima di presentare la domanda può precludere l’accesso.
  • Non abbia già abusato della procedura recentemente – Il Codice prevede che la domanda sia inammissibile se il debitore è già stato esdebitato nei 5 anni precedenti, o se ha già beneficiato dell’esdebitazione due volte (anche in tempi più lontani). Dunque, non è possibile fare ricorso a queste procedure in modo reiterato a breve distanza: sono pensate come un “fresh start” eccezionale. Inoltre, se il debitore ha altre procedure di sovraindebitamento pendenti, deve attendere l’esito di quelle.
  • Abbia mantenuto un comportamento corretto e diligente – Questo aspetto, chiamato tradizionalmente “meritevolezza”, è fondamentale soprattutto per il Piano del consumatore. Significa che il debitore non deve aver causato il proprio sovraindebitamento con colpa grave, malafede o frode. La riforma ha attenuato i criteri: prima del 2021 si negava l’accesso se il debitore anche solo con colpa generica aveva fatto scelte imprudenti; oggi invece il giudice può negare l’omologazione del piano solo se riscontra condotte gravemente colpose, dolose o fraudolente (es. aver contratto debiti senza alcuna prospettiva di pagarli, oppure aver fatto spese voluttuarie insostenibili, aver mentito ai creditori, ecc.). Di fatto, è stata eliminata la nozione soggettiva di “meritevolezza” in senso stretto, ampliando la platea di beneficiari: chi è caduto nei debiti per imprudenza o leggerezza ora non viene automaticamente escluso, a meno che tale imprudenza sia qualificabile come colpa grave o malafede. Ad esempio, fare un mutuo sapendo ragionevolmente di non poterlo pagare potrebbe essere colpa grave; indebitarsi per cure mediche o necessità primarie invece non è certo colposo. La legge inoltre invita a considerare anche il comportamento dei creditori nell’analisi: se il creditore ha concesso prestiti in modo irresponsabile aggravando la posizione del debitore, ciò attenua la responsabilità di quest’ultimo. In sintesi: onestà e trasparenza sono requisiti essenziali per chi chiede aiuto tramite queste procedure.

Riassumendo, imprenditori individuali di piccola dimensione (anche cessati), soci illimitatamente responsabili, professionisti, consumatori e vari altri soggetti simili possono accedere alle procedure di sovraindebitamento. Gli ex imprenditori cancellati in particolare, pur non potendo più fallire, trovano in queste procedure un’ancora di salvezza contro i debiti rimasti. Nei paragrafi successivi vedremo quali debiti possono essere inseriti e come funzionano in concreto le diverse soluzioni offerte dal Codice.

Quali debiti si possono inserire? Tipologie di debiti trattabili e debiti esclusi

Una domanda cruciale è: quali debiti posso includere in una procedura di sovraindebitamento? La risposta breve è quasi tutti. Le procedure sono pensate per offrire al debitore una soluzione complessiva, coinvolgendo la generalità dei creditori (salvo pochissime eccezioni). Ecco i principali tipi di debiti che rientrano e possono essere ristrutturati o cancellati:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui, prestiti personali, finanziamenti rateali, scoperti di conto, leasing. Tutti i debiti verso banche, società finanziarie o intermediari rientrano normalmente. Ad esempio, rate di mutuo scadute, prestiti non rimborsati, carte di credito revolving insolute – possono essere oggetto di piano o di falcidia (stralcio parziale) nell’accordo.
  • Debiti verso fornitori e commerciali: fatture non pagate a fornitori di beni o servizi, bollette di utenze arretrate, canoni di locazione scaduti, ecc. L’imprenditore sovraindebitato può includere tutti i debiti contratti nell’esercizio d’impresa (acquisti di merce non saldati, fornitori, leasing operativo) così come il consumatore può inserire bollette di luce, gas, telefono non pagate. Anche le spese condominiali arretrate rientrano.
  • Debiti verso dipendenti ed ex dipendenti: stipendi arretrati, TFR e altre spettanze dovute a dipendenti o collaboratori. Un ex imprenditore può trovarsi con somme dovute a lavoratori dopo la cessazione dell’attività: queste possono essere inserite nel piano/concordato. Tali crediti sono privilegiati per legge (hanno prelazione sui beni del datore di lavoro); vedremo che il piano deve rispettare una soglia minima di pagamento per questi crediti privilegiati, ma possono comunque essere parzialmente soddisfatti nell’ambito della procedura e il residuo poi esdebitato.
  • Debiti fiscali e tributari: imposte non pagate (es. IVA, IRPEF, IRES), cartelle esattoriali dell’Agenzia delle Entrate, tasse locali (IMU, TARI, etc.). Tutti i debiti verso il Fisco e gli enti pubblici in genere possono essere compresi. Ciò include cartelle di Agenzia Entrate Riscossione per imposte, multe stradali, contributi previdenziali (INPS, INAIL) non versati, tasse comunali o regionali, ecc. Anche debiti per sanzioni amministrative (multe) e interessi di mora rientrano. Attenzione: i debiti tributari e contributivi sono di norma assistiti da privilegio o da privilegio generale sui beni del debitore, quindi il piano non può semplicemente azzerarli senza condizioni – deve assicurare che il Fisco/INPS riceva almeno quanto otterrebbe in una liquidazione dei beni In pratica si potrà proporre un pagamento parziale, ma garantendo quella “soglia minima” (ad esempio, se l’unico bene è una casa ipotecata dal fisco, il piano dovrà far ottenere all’Erario almeno il valore di realizzo ipotecario di quell’immobile). Tuttavia non è obbligatorio pagare tutto il debito fiscale: la legge consente espressamente la falcidia di imposte e contributi, purché rispettato il “trattamento non inferiore al caso di liquidazione”. Nel Concordato minore, inoltre, l’adesione dell’Erario al voto non è scontata: ma dal 2021 le norme permettono anche all’Agente della Riscossione di accettare stralci importanti se il piano li giustifica.
  • Debiti per contributi previdenziali e assistenziali (INPS, Casse di previdenza): rientrano anch’essi (sono assimilati ai debiti fiscali). Un professionista che non ha pagato i contributi alla propria cassa o un’impresa con contributi INPS arretrati può includerli. Anche qui sono crediti privilegiati (privilegio generale sui mobili) quindi soggetti al vincolo del rispetto del trattamento minimo. Ma è possibile proporre dilazioni o parziali falcidie con l’accordo delle casse.
  • Debiti verso privati: ad esempio debiti contratti con parenti o amici, prestiti informali, oppure obblighi risarcitori derivanti da cause civili (risarcimento danni). Tutto ciò può essere inserito. Un caso frequente è il debito da fideiussione: se una banca escute la garanzia, il garante diventa debitore verso l’altro coobbligato o verso eventuali controgaranti – anch’essi debiti inseribili.
  • Cessioni del quinto e prestiti personali: se il debitore ha in corso una cessione del quinto dello stipendio o pensione, oppure deleghe di pagamento, questi sono debiti che possono essere inclusi nel calcolo e potenzialmente rinegoziati. Ad esempio, un piano del consumatore potrebbe prevedere la sospensione della cessione del quinto o la riduzione dell’importo ceduto. Naturalmente, trattandosi di prestiti concessi in origine come trattenute fisse, occorrerà l’accordo del creditore o un ordine del giudice per modificarli.

Debiti esclusi (non falcidiabili): La regola generale delle procedure da sovraindebitamento è l’esdebitazione totale di tutti i debiti concorsuali non soddisfatti al termine. Ci sono però alcune eccezioni di legge, cioè debiti che non possono essere toccati dalla procedura o non vengono cancellati nemmeno con l’esdebitazione. La principale eccezione espressa è:

  • Obblighi di mantenimento, alimenti e debiti legati a famiglia – Gli assegni di mantenimento dovuti all’ex coniuge o ai figli non rientrano tra i debiti eliminabili. Se quindi un soggetto ha arretrati nell’assegno divorzile o negli alimenti, non potrà liberarsene con il piano o con la liquidazione: questi debiti rimangono dovuti per intero (analogamente a quanto avviene in altre giurisdizioni, sono considerati debiti di natura personale non scaricabili). Essi peraltro in molti casi sono crediti “impignorabili” o comunque privilegiati per legge.
  • Debiti da illecito extracontrattuale per danni – Sebbene non esplicitato come nella legge fallimentare USA, tipicamente i debiti derivanti da risarcimento per fatti illeciti non dolosi sono ammessi (possono essere stralciati), mentre se si trattasse di danni derivanti da reati o da atti dolosi potrebbe esserne esclusa la cancellazione per ragioni di ordine pubblico. Il Codice della Crisi prevede che vadano pagati integralmente i “crediti impignorabili” e quelli derivanti da obblighi di mantenimento o alimentari (art. 8 L.3/2012 previgente, oggi integrato nel CCII), ma non cita espressamente altre esclusioni. Pertanto, un debito per risarcimento danni da sinistro stradale, ad esempio, può essere incluso e scaricato, mentre una multa penale (ammenda) potrebbe non esserlo.
  • Multe penali e sanzioni penali – Le sanzioni penali pecuniarie (ammende, pene pecuniarie da reato) in genere non sono soggette a esdebitazione, perché sarebbe contrario al principio che la pena deve essere eseguita. Tuttavia le multe amministrative (come violazioni del codice della strada, sanzioni amministrative per violazioni varie) rientrano invece tra i debiti trattabili e di solito vengono anche falcidiate nei piani, in quanto equiparate a debiti verso la Pubblica Amministrazione. Quindi, una multa stradale non pagata può essere inserita e stralciata, ma un’ammenda penale no (resta dovuta).

In sintesi, quasi tutti i debiti – bancari, fiscali, contributivi, commerciali, personali – possono essere oggetto di una procedura di sovraindebitamento. La procedura consente di trattare in modo unitario posizioni molto diverse: si va dal mutuo ipotecario alla bolletta, dal leasing dell’automobile alla cartella esattoriale. Questa è la forza dell’istituto: fornire una soluzione globale a una crisi debitoria. Naturalmente, tipi di crediti diversi verranno trattati diversamente nel piano: alcuni avranno priorità di pagamento (es. stipendi, imposte garantite da ipoteca), altri potranno essere soddisfatti solo parzialmente. Ma alla fine, con l’esdebitazione, il debitore verrà liberato dal residuo non pagato, tranne i pochi debiti “non cancellabili” (alimenti, etc.).

Nel caso specifico di un imprenditore cessato, i debiti tipici che incontriamo sono spesso debiti fiscali (IVA, ritenute, IRAP non versati negli ultimi tempi dell’attività), debiti bancari (affidamenti di conto o mutui aziendali garantiti personalmente), debiti verso fornitori, e magari somme dovute a dipendenti o collaboratori. Tutte queste categorie, come visto, rientrano. Un ex imprenditore potrebbe anche avere debiti personali (es. finanziamenti personali usati per tamponare la ditta, debiti di famiglia): anch’essi vengono compresi.

Importante: Nella procedura, al momento della presentazione della domanda, il debitore deve elencare tutti i propri crediti e debiti, in modo completo e veritiero. Non è ammesso “selezionare” quali debiti inserire e quali no: c’è l’obbligo di trasparenza totale sul passivo. Omettere dolosamente un creditore (per non coinvolgerlo) è un grave atto di mala fede e può portare all’inammissibilità o, se scoperto dopo, alla revoca dei benefici. Dunque, chi intraprende questo percorso deve essere pronto a coinvolgere tutti i creditori nella soluzione proposta. È possibile però classificare i debiti e trattarli in maniera differenziata (come vedremo nei piani): ad esempio, al creditore ipotecario si propone X, agli altri Y, ecc., purché con criteri di legge.

Passiamo ora ad analizzare le procedure disponibili per risolvere il sovraindebitamento, con il loro funzionamento.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Il Codice della Crisi disciplina quattro principali procedure dedicate ai debitori sovraindebitati (artt. 65-83 CCII per piani e concordato, artt. 268-277 CCII per liquidazione, e art. 282 CCII per esdebitazione incapiente). Queste procedure, pur avendo obiettivi comuni (evitare ai debitori azioni esecutive disordinate e permettere loro di ripagare almeno in parte i crediti, ottenendo alla fine la liberazione dai debiti residui), funzionano in modo diverso e si adattano a differenti tipologie di situazione. Ecco una panoramica:

  1. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore (detto brevemente Piano del consumatore): è la procedura riservata al debitore persona fisica consumatore, quindi non soggetta all’approvazione dei creditori, ma solo al controllo del tribunale. Il consumatore propone un piano sostenibile di rientro dal debito, che, se ritenuto equo e fattibile, viene omologato dal giudice anche senza il consenso dei creditori. È la via tipicamente utilizzata da famiglie e individui sovraindebitati (es. per cumulo di finanziamenti, carte di credito, debiti personali vari).
  2. Concordato minore (prima chiamato accordo di composizione dei debiti): è la procedura destinata ai debitori non consumatori (imprese, professionisti, titolari di P.IVA non fallibili). Funziona in modo analogo a un piccolo concordato preventivo: il debitore formula una proposta di accordo ai creditori, la quale per essere efficace deve ottenere l’adesione della maggioranza dei crediti (almeno il 50% del totale). Dopo il voto favorevole, il Tribunale omologa l’accordo verificando che siano rispettate le norme (in primis che ai creditori venga garantito almeno quanto avrebbero ottenuto liquidando i beni). Il concordato minore può prevedere la prosecuzione dell’attività del debitore (concordato “in continuità”) oppure essere liquidatorio (prevede la cessione dei beni, ma in forma concordata e sotto controllo del debitore stesso). È escluso per i consumatori (che hanno il loro piano dedicato). Questa procedura è quella su cui ricade tipicamente l’imprenditore cancellato se vuole evitare la liquidazione: tuttavia, come detto, vi è una limitazione normativa (art. 33 CCII) che impedisce il concordato minore all’imprenditore cessato da oltre 1 anno. Su questa limitazione, però, è in corso un dibattito e alcune Corti la interpretano in senso flessibile.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio): è la procedura più vicina al vecchio fallimento, applicabile a qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o imprenditore non fallibile). In pratica, il debitore chiede al Tribunale di liquidare tutto il suo patrimonio disponibile per pagare i creditori, sotto la gestione di un liquidatore nominato dal giudice (che di solito coincide con l’OCC, Organismo di Composizione della Crisi). È una procedura concorsuale a tutti gli effetti: si apre un concorso dei creditori sul patrimonio, le eventuali azioni esecutive individuali vengono bloccate, i beni del debitore sono venduti e il ricavato distribuito secondo l’ordine delle prelazioni. Al termine, il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione dei debiti residui. La liquidazione controllata viene scelta di solito quando non è possibile o conveniente fare un piano (ad esempio, il debitore non ha un reddito sufficiente per offrire pagamenti rateali ai creditori, oppure i creditori non accetterebbero un concordato). È la soluzione residuale ma garantisce comunque al debitore onesto la liberazione dai debiti dopo la procedura.
  4. Esdebitazione del debitore incapiente (detta anche esdebitazione “senza utilità”): è una procedura speciale introdotta nel 2021 che consente al debitore persona fisica privo di beni o redditi di ottenere la cancellazione dei propri debiti senza dover pagare nulla, purché soddisfi rigorose condizioni di meritevolezza e di effettiva incapienza. In pratica, è pensata per chi non ha davvero nulla da liquidare – nemmeno parzialmente – e altrimenti rimarrebbe indebitato a vita. Il debitore incapiente può rivolgersi al giudice chiedendo l’esdebitazione immediata dei suoi debiti (fresh start), impegnandosi però, se nei 4 anni successivi dovesse migliorare la propria situazione economica, a pagare ai creditori fino al 10% dei debiti originari. Questa procedura non prevede un pagamento iniziale ai creditori, ma impone il controllo di un OCC sul fatto che davvero il debitore non tragga alcun beneficio (nessuna “utilità”) da eventuali liquidazioni. È un istituto nuovo e di portata rivoluzionaria, soggetto a verifiche stringenti, e non può essere utilizzato dai debitori che abbiano anche solo minime capacità di soddisfare i creditori attraverso un piano o una liquidazione. Lo tratteremo più avanti in dettaglio.

Vediamo ora in modo approfondito ciascuna procedura, con i requisiti specifici, i passi da compiere, i documenti da presentare, nonché i costi e le tempistiche tipiche. Successivamente affronteremo le questioni pratiche (come bloccare i pignoramenti) e gli esempi di atti.

Il Piano del Consumatore (Ristrutturazione dei debiti del consumatore)

Il Piano del consumatore è la procedura di sovraindebitamento dedicata esclusivamente al debitore “consumatore”, ossia la persona fisica che ha contratto debiti al di fuori dell’attività d’impresa. È una procedura molto vantaggiosa per il debitore perché non richiede il consenso dei creditori: il piano viene imposto ai creditori con l’omologazione del giudice, se ritenuto equo. Questo consente, ad esempio, di proporre ai creditori pagamenti parziali anche senza il loro accordo, purché il giudice valuti che non vengano lesi i loro diritti fondamentali (in particolare, che ottengano almeno quanto avrebbero avuto dalla liquidazione dei beni del debitore).

Chi può accedere e quando conviene: può presentare un Piano del consumatore solo chi non è imprenditore o professionista (o lo è stato in passato ma ora ha esclusivamente debiti personali). È escluso invece l’imprenditore attivo con debiti d’impresa (per il quale c’è il concordato minore) e, secondo la Cassazione, anche l’ex imprenditore con debiti derivanti in parte dall’attività cessata rimane fuori da questa procedura. Tuttavia, come visto, la nozione di consumatore è stata ampliata: se un ex imprenditore cancellato ha solo debiti personali o comunque la sua crisi è dipesa principalmente da debiti personali, alcuni tribunali gli consentono di qualificarsi come consumatore. In linea di massima, comunque, parliamo di famiglie sovraindebitate, lavoratori dipendenti, pensionati.

Il piano conviene quando il consumatore ha un reddito regolare o qualche risorsa da offrire per pagare una parte dei debiti, ma non abbastanza da pagarli integralmente. Ad esempio, una famiglia con casa di proprietà e stipendio potrebbe, tramite il piano, salvare la casa dal pignoramento e pagare i debiti in misura ridotta ma sostenibile. In caso di totale incapienza (nessun reddito né beni) invece il piano non sarebbe fattibile e si valuterebbe piuttosto l’esdebitazione del debitore incapiente.

Come funziona: Il consumatore, con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), elabora un piano di ristrutturazione dei debiti e lo presenta al Tribunale competente. Il Tribunale competente è quello del luogo di residenza (centro degli interessi principali) del debitore. Non è necessario farsi assistere da un avvocato per presentare la domanda (la legge consente al consumatore di presentarla anche personalmente), anche se di fatto spesso ci si avvale di un legale o quantomeno dell’OCC per predisporre gli atti in maniera corretta.

La domanda di apertura della procedura deve contenere il Piano e la Proposta ai creditori, oltre a tutta una serie di documenti allegati obbligatori. In particolare, occorre allegare:

  • Relazione dell’OCC: un rapporto redatto dall’Organismo di Composizione della Crisi, figura terza e indipendente, che attesti la veridicità dei dati forniti dal debitore e fornisca una valutazione sulla fattibilità del piano e sulla condotta del debitore (in particolare, l’OCC deve riferire se il debitore ha assunto obblighi senza ragionevole prospettiva di adempimento o con colpa grave). Questa relazione è fondamentale per permettere al giudice di valutare la meritevolezza e la sostenibilità del piano. È prevista dall’art. 68 CCII e deve includere, tra l’altro: l’indebitamento residuo, le cause dell’indebitamento, il resoconto su eventuali atti in frode, e un giudizio sul “merito creditizio” ossia anche sul comportamento degli istituti finanziatori.
  • Elenco di tutti i creditori con indicazione di importi dovuti e eventuali garanzie/prelazioni. Questo per mappare l’intero passivo.
  • Inventario e descrizione del patrimonio del debitore, cioè elenco di tutti i beni di proprietà (immobili, auto, conti correnti, investimenti) e del loro valore.
  • Elenco degli atti di straordinaria amministrazione negli ultimi 5 anni: vendite di immobili, donazioni, costituzioni di garanzie, pagamenti anomali, ecc. Questa serve a verificare che il debitore non abbia sottratto risorse ai creditori di recente.
  • Dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni e documentazione di ogni entrata. Se il debitore non ha dichiarazioni (perché non obbligato), dovrà produrre documenti equivalenti (buste paga, CUD, estratti conto).
  • Attestazione delle attuali fonti di reddito (stipendi, pensioni, indennità) proprie e del nucleo familiare, con indicazione di quanto serve per il mantenimento della famiglia. Questo serve a determinare la parte di reddito eventualmente destinabile ai creditori senza ledere il minimo vitale.

In pratica, il fascicolo deve offrire al giudice un quadro completo del chi deve cosa a chi, cosa possiede il debitore, quanto guadagna e come si è indebitato. La completezza e veridicità di questi allegati è essenziale: se manca qualcuno di questi documenti, la domanda sarà dichiarata inammissibile. Analogamente, se il debitore dichiara il falso o occulta informazioni, l’omologazione potrà essere negata o successivamente revocata.

Una volta depositata la domanda completa, il semplice deposito comporta alcuni effetti protettivi: ad esempio, si sospende il corso degli interessi sui debiti chirografari (non garantiti). Inoltre, il debitore può chiedere al Tribunale di sospendere le azioni esecutive in corso (pignoramenti, aste) e di bloccare nuovi pignoramenti. Spesso, unitamente al ricorso per l’omologazione del piano, si deposita un’istanza di sospensione urgente degli atti esecutivi, soprattutto se c’è una casa all’asta o uno stipendio già pignorato. Il Tribunale, se ritiene il piano ammissibile e non manifestamente inidoneo, può con decreto disporre la sospensione di tutte le procedure esecutive individuali pendenti. In tal caso, fino all’esito dell’iter, i creditori non potranno iniziare o proseguire pignoramenti (pena nullità degli stessi). Questa moratoria consente di “congelare” la situazione, evitando che durante l’esame del piano il patrimonio del debitore venga aggredito singolarmente dai creditori, compromettendo la fattibilità della soluzione collettiva.

Approvazione del piano: Diversamente dal concordato, nel Piano del consumatore non c’è voto dei creditori. I creditori vengono solo informati della proposta e possono eventualmente far pervenire osservazioni o opposizioni, ma non sono chiamati ad approvare o rifiutare. L’ultima parola spetta al Tribunale, che in sede di udienza di omologazione verifica alcuni elementi chiave (art. 69 CCII):

  • Regolarità formale della procedura e completezza documenti.
  • Presenza dei requisiti soggettivi: che il debitore sia effettivamente un consumatore non fallibile.
  • Contenuto minimo del piano: cioè che il piano preveda il pagamento dei crediti impignorabili e rispetti il trattamento minimo dei privilegiati (come spieghiamo sotto).
  • Assenza di cause di inammissibilità: ad esempio che non abbia già avuto esdebitazioni nei 5 anni, o che non vi sia frode.
  • Corretta informazione ai creditori: l’OCC deve aver comunicato la proposta ai creditori, i quali hanno diritto di essere sentiti (possono comparire all’udienza e contestare).
  • Meritevolezza: ovvero che il consumatore non abbia provocato il sovraindebitamento con dolo o colpa grave (come discusso prima). Deve risultare dall’istruttoria e dalla relazione OCC che, ad esempio, il consumatore non ha fatto spese pazze sapendo di non poterle sostenere, oppure che se ha accumulato debiti era in buona fede (magari per far fronte a eventi sfortunati come perdita del lavoro, spese mediche, etc.). Sul punto il giudice oggi ha margini più ristretti per negare l’omologa: solo se ravvisa condotte gravemente scorrette.
  • Convenienza per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria. Il giudice valuta se, ipotizzando di liquidare tutto il patrimonio del debitore (o procedere coi pignoramenti), i creditori otterrebbero di più o di meno di quanto proposto dal piano. Se il piano offre ad ogni creditore almeno il valore di realizzo che avrebbero ottenuto in caso di liquidazione, allora è considerato conveniente. Ad esempio, se il debitore ha solo un reddito e nessun bene, l’alternativa liquidatoria darebbe zero (non potendo pignorare oltre il quinto dello stipendio per alcuni anni); se il piano offre qualcosa (es. il pagamento del 20% del debito in 4 anni) è sicuramente migliorativo per i creditori rispetto al niente. Se invece il debitore ha un bene ipotecato di valore e il piano offrisse al creditore ipotecario molto meno del valore di realizzo di quel bene, il giudice non potrebbe omologare perché quel creditore verrebbe pregiudicato (prenderebbe meno che dalla vendita forzata).

Un punto importante: trattamento dei crediti privilegiati (garantiti). Ai sensi dell’art. 67, co. 4 CCII, il piano non è obbligato a pagare integralmente i creditori privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegiati). Questa è una differenza rispetto al passato: prima la legge 3/2012 imponeva che nel piano del consumatore alcuni crediti come quelli con privilegio speciale fossero soddisfatti integralmente salvo diverse accordi. Ora si consente di proporre anche a un ipotecario una soddisfazione parziale, purché gli si dia almeno quanto otterrebbe liquidando la garanzia. In pratica, il privilegiato deve ricevere “un trattamento non inferiore a quello che avrebbe in mancanza della procedura”, tenendo conto del valore di mercato dei beni su cui ha privilegio, stimato dall’OCC. Esempio: se c’è un mutuo ipotecario su una casa, valore casa 100, debito residuo 120, il creditore ipotecario in un’esecuzione prenderebbe al massimo 100 (valore bene) al netto spese; il piano potrebbe proporgli di pagare 100 rateizzato (o magari un po’ meno considerando spese e tempi), ma non 50. Oppure se c’è un privilegio del Fisco su un bene mobile per 10.000 €, valore stimato 5.000 €, pagandogli 5.000 € lo si può falcidiare integralmente il resto.

In generale, non esistono percentuali minime prefissate per il pagamento dei debiti nel piano del consumatore: si può proporre di pagare anche una percentuale molto bassa del totale (es. 20%, 10%), se questo è il massimo che il debitore può permettersi. Il Tribunale però valuterà se ciò è fattibile e giustificato. Un piano può prevedere anche pagamenti differenziati tra categorie di creditori: ad esempio, pagare integralmente le spese di giustizia e gli alimenti (che per legge non si toccano), al 100% i dipendenti, al 40% il Fisco e al 10% gli altri chirografari. L’importante è che ogni differenza di trattamento sia motivata e rispettosa delle cause legittime di prelazione.

Esempio pratico: Un consumatore possiede solo la prima casa gravata da mutuo e ha vari debiti al consumo. Il piano potrebbe essere: mantenere la casa e continuare a pagare il mutuo (magari dilazionando le rate arretrate), offrire ai creditori chirografari (banche, finanziarie senza garanzie) una percentuale, ad esempio il 30%, da pagarsi in 4 anni utilizzando la parte di stipendio libera, e forse prevedere che un parente versi una somma una tantum per chiudere alcune posizioni. I creditori ipotecari (banca del mutuo) continuerebbero a essere pagati come da contratto (magari con un allungamento se necessario), i privilegiati (es. Equitalia per tributi sull’immobile) verrebbero pagati fino a concorrenza del valore dell’immobile. Tutto questo senza chiedere il voto dei creditori: se il giudice ritiene il piano fattibile e vede che il debitore ha agito correttamente e offre quanto può, potrà omologarlo anche se, ad esempio, le finanziarie avrebbero preferito pignorargli lo stipendio.

Durata del piano: Solitamente i piani del consumatore prevedono una durata massima di pochi anni. Non c’è un termine fisso imposto dalla legge, ma è prassi che il piano non si protragga per periodi eccessivi. Le linee guida parlano di una durata ragionevole, spesso intorno a 4 anni per l’esecuzione dei pagamenti. In alcuni casi si può estendere un po’ di più (es. 5 anni), specie se serve per ottenere una rata più bassa; ma piani ventennali sarebbero contrari al principio della “fresh start” in tempi accettabili. Ad esempio, l’Agenzia Riscossione in alcune omologhe ha accettato dilazioni lunghe, ma il Tribunale potrebbe storcere il naso su piani troppo lunghi perché la situazione economica può cambiare in modo imprevedibile. Indicativamente, 4-5 anni è il range considerato di regola “ragionevole” per un piano del consumatore completo. Durante questo periodo, l’OCC spesso funge da “gestore”: controlla che il debitore effettui i pagamenti secondo il piano e riferisce eventuali inadempimenti.

Effetti dell’omologazione: Con l’omologa del piano da parte del tribunale, il piano diventa vincolante per tutti i creditori indicati. Significa che: i creditori non possono più attivare o proseguire azioni individuali esecutive (pignoramenti) contro il debitore per recuperare diversamente i loro crediti, ma devono attenersi a quanto stabilito nel piano. Le eventuali procedure esecutive in corso vengono definitivamente estinte. Se era stato concesso un provvedimento di sospensione provvisoria, l’omologa lo conferma e rende la protezione definitiva, salvo diversa previsione del piano. Da quel momento, il debitore deve eseguire il piano (pagare le somme promesse nelle modalità e tempi previsti). I creditori anteriori ottengono i pagamenti secondo le percentuali e scadenze fissate e non possono pretendere di più.

Una volta che il debitore ha integralmente eseguito il piano (pagando tutte le rate dovute, cedendo eventuali beni previsti, ecc.), viene liberato da ogni debito residuo verso i creditori anteriori. In altri termini, se il piano prevedeva di pagare il 30% e ciò è stato fatto, il restante 70% del debito originario viene cancellato per effetto dell’esdebitazione. L’ordinanza di omologa costituisce titolo per la cancellazione di ipoteche o pignoramenti su beni eventualmente rimasti (per la parte eccedente quanto pagato). Il debitore torna così solvente per quei rapporti.

Mancato rispetto del piano: Occorre però fare attenzione: se il debitore non rispetta gli impegni presi nel piano (ad esempio salta delle rate importanti senza giustificazione), i creditori possono chiedere la risoluzione del piano. In tal caso, si perde il beneficio e i creditori riacquistano la facoltà di agire per l’intero credito originario diminuendo quanto eventualmente già incassato. Pertanto, è fondamentale che il piano sia realistico e sostenibile: proporre rate troppo ottimistiche per ottenere l’omologa e poi non mantenerle sarebbe controproducente. In caso di sopravvenienze negative (es. perdita del lavoro durante l’esecuzione del piano), il debitore deve informare l’OCC e il giudice: si potrà eventualmente modificare il piano o, se ciò non è possibile, può essere aperta una liquidazione controllata al posto del piano, per poi ottenere comunque l’esdebitazione al termine dei 3 anni (è previsto infatti che il debitore possa chiedere la conversione in liquidazione se non riesce più a dare esecuzione al piano).

Vantaggi e svantaggi del Piano del consumatore: I vantaggi sono evidenti: niente voto dei creditori (quindi si bypassa un eventuale dissenso irragionevole di banche o Fisco), procedure abbastanza rapide (pochi mesi per l’omologa, contro magari un concordato che richiede assemblee di creditori), tutela elevata del debitore “meritevole” e possibilità di coinvolgere terzi (contributi di familiari, garanzie aggiuntive) per rendere il piano più appetibile. Lo svantaggio è che è accessibile solo a un sottoinsieme di debitori (persone fisiche non fallibili, fuori dall’ambito imprenditoriale stretto). Inoltre, tutta la responsabilità del giudizio di convenienza ricade sul tribunale, quindi serve un OCC preparato che certifichi bene i dati per convincere il giudice. Ma per un ex imprenditore che oggi è di fatto un privato cittadino con debiti residuali, questa procedura rappresenta una via preziosa per uscire dal tunnel dei debiti conservando magari i beni essenziali.

Il Concordato Minore (accordo di ristrutturazione per imprese e partite IVA)

Il Concordato Minore è la procedura rivolta ai debitori non consumatori – quindi tipicamente imprenditori individuali, professionisti, piccole imprese – in stato di sovraindebitamento. È l’erede diretto dell’“accordo di composizione dei debiti” previsto dalla legge 3/2012, ma con meccanismi molto simili al concordato preventivo ordinario (tant’è che il Codice prevede l’applicazione in quanto compatibile di molte norme del concordato preventivo al concordato minore). La sua finalità è permettere al debitore in crisi di proporre ai creditori una soluzione concordata che eviti la liquidazione giudiziale o l’esecuzione forzata dei beni, garantendo comunque ai creditori un soddisfacimento equo.

Chi può accedere: Possono accedere al concordato minore tutti i debitori sovraindebitati non consumatori. Ciò include: imprenditori commerciali sotto soglia, imprenditori cessati (entro certi limiti temporali), imprenditori agricoli, professionisti, start-up, società non fallibili, soci illimitatamente responsabili per debiti sociali. Non possono invece accedervi i consumatori puri, i quali devono usare il loro Piano. Inoltre, come menzionato, l’art. 33 co. 4 CCII prevede che un imprenditore che ha cessato l’attività da oltre 1 anno non può accedere a concordato preventivo o accordi di ristrutturazione. La giurisprudenza interpreta ciò come esteso anche al concordato minore. In sostanza, la Cassazione (ordinanza 2023 citata in dottrina) ha affermato che un ex imprenditore cancellato non può presentare concordato minore oltre l’anno dalla cessazione, ma deve semmai andare in liquidazione controllata. Questa è una interpretazione restrittiva. C’è però attesa su possibili interventi correttivi o pronunce diverse, dato che appare penalizzante: un imprenditore cessato magari vorrebbe fare un accordo con i creditori invece di liquidare tutto, ma la legge glielo vieta dopo l’anno. Più avanti vedremo che alcune Corti d’Appello (ad es. CA Firenze 2023) hanno sollevato la questione. Per ora, atteniamoci: imprenditore attivo o cessato da poco = potenzialmente concordato minore; imprenditore cessato da molto = probabilmente solo liquidazione controllata.

Quando utilizzarlo: Il concordato minore si utilizza quando il debitore ha bisogno del consenso dei creditori per ristrutturare perché magari occorre sacrificare in modo significativo i diritti di alcuni di loro e non è un consumatore. Ad esempio, un artigiano con molti debiti d’impresa potrebbe proporre di pagare i fornitori al 40%, ma per farlo deve ottenere la loro adesione. Se è prevedibile di ottenere almeno la maggioranza favorevole, il concordato minore è la strada giusta. Offre inoltre la possibilità di continuare l’attività durante la procedura e anche dopo, se il piano lo prevede (concordato in continuità), oppure di gestire una liquidazione ordinata dei beni sotto il controllo del debitore invece che di un curatore (concordato liquidatorio).

Come funziona in pratica: Anche qui tutto parte da un ricorso al Tribunale competente (luogo sede dell’impresa o residenza imprenditore) con l’ausilio di un OCC. Nel ricorso il debitore presenta una Proposta di concordato minore accompagnata da un Piano che descrive le modalità attuative e da tutti i documenti analoghi a quelli visti per il piano del consumatore (elenco debiti, inventario attivo, bilanci se esistenti, dichiarazioni dei redditi, elenco atti ultimi 5 anni, relazione particolareggiata dell’OCC). Anzi, trattandosi di un’impresa o ex impresa, la documentazione può essere anche più corposa (es. ultime scritture contabili disponibili, stato di eventuali procedimenti pendenti, ecc.).

Presentata la domanda, il Tribunale verifica l’ammissibilità (requisiti soggettivi, completezza documenti, ecc.). Se ammette la procedura, dichiara aperto il concordato minore con un decreto e nomina un commissario giudiziale (solitamente l’OCC stesso funge da commissario). In quello stesso decreto può anche avere sospeso le azioni esecutive individuali pendenti, se il debitore ne aveva fatto istanza. In assenza di sospensione, i creditori potrebbero continuare i pignoramenti anche durante la procedura, il che però di fatto vanificherebbe la proposta, quindi di regola conviene chiedere la moratoria e i tribunali sono inclini a concederla per dare respiro al negoziato.

A questo punto, sotto la supervisione del commissario OCC, si convoca una adunanza dei creditori o comunque si procede a raccogliere il voto dei creditori sulla proposta. Il meccanismo di voto è semplificato rispetto al concordato preventivo ordinario: è richiesto il sì dei creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto, quindi >50% del totale dei crediti. Non c’è distinzione in classi obbligatoria (anche se il debitore può suddividere i creditori in classi omogenee, la legge lo consente). Il voto può essere espresso in adunanza o per iscritto, secondo le modalità stabilite dal giudice. I creditori privilegiati partecipano al voto solo per la parte del loro credito che si prevede non essere soddisfatta: se un creditore ipotecario è completamente coperto dal valore della garanzia (100% presumibilmente soddisfatto), non vota perché teoricamente non intaccato; se invece viene parzialmente falcidiato, vota per la parte oggetto di falcidia.

La Proposta di concordato minore potrà prevedere varie forme di soddisfacimento dei creditori, ad esempio:

  • Pagamenti percentuali sul debito, in uno o più anni.
  • Cessione di determinati beni ai creditori (o realizzo degli stessi a vantaggio dei creditori).
  • Eventuale apporto di finanza esterna (denaro di terzi, soci o familiari, che viene destinato a pagare i creditori).
  • Se concordato in continuità: l’impegno a proseguire l’attività e pagare i creditori col ricavato futuro, magari con un piano industriale allegato che dimostri la ripresa.
  • Se liquidatorio: la vendita del patrimonio (anche tramite assegnazione diretta di beni ai creditori o vendita in blocco), ma con regole più snelle rispetto a una liquidazione fallimentare.

Importante: anche nel concordato minore vale la regola del best interest of creditors, ossia nessun creditore può ricevere meno di quanto otterrebbe in una liquidazione controllata dei beni del debitore. Questa verifica sarà fatta dal giudice in sede di omologa. Quindi, analogamente al piano del consumatore, bisogna assicurare ai privilegiati un trattamento almeno pari al valore di realizzo delle garanzie, e in generale che se un creditore chirografo avrebbe preso 5% in una liquidazione, nel concordato non gliene si diano 0%.

Voto e omologa: Se i creditori approvano la proposta (raggiunto il quorum del 50% crediti favorevoli), si passa alla fase di omologazione da parte del Tribunale. Il giudice verifica che la procedura si sia svolta regolarmente, che i creditori siano stati informati compiutamente, che non vi siano contestazioni sull’ammontare dei crediti non risolte, e soprattutto valuta la legittimità e fattibilità del concordato. Legittimità significa che il contenuto dell’accordo non viola norme imperative (ad esempio non si possono alterare l’ordine delle cause di prelazione senza consenso del creditore privilegiato, non si possono prevedere cose contrarie alla legge). Fattibilità significa che il piano proposto è concretamente realizzabile: qui incide la relazione dell’OCC che avrà attestato la veridicità dei dati e la fattibilità economica. Se ad esempio il piano si basa su vendere un capannone a un certo prezzo, l’OCC deve aver stimato che quel prezzo è realistico.

Un aspetto particolare nel concordato minore (come nel preventivo) è che il Tribunale può omologare anche in caso di voto negativo dei creditori, ma solo in casi eccezionali (cram-down). Nel concordato minore, il cram-down è ammesso solo se uno specifico creditore ha votato contro in modo determinante ma verrebbe soddisfatto integralmente o se il dissenso è manifestamente abusivo. Questo è molto tecnico e raro: generalmente se i creditori non approvano, la procedura fallisce. In caso di mancata approvazione, il debitore può comunque chiedere al giudice la conversione in liquidazione controllata (così almeno non perde del tutto la chance di esdebitazione; l’art. 74 CCII lo consente).

Se invece l’accordo non raggiunge il quorum, come detto, si esce dalla procedura senza omologa. Idem se il giudice rileva gravi irregolarità o inammissibilità.

Con l’omologazione del concordato minore, la proposta approvata diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi i dissenzienti e non votanti. Vige la regola del concorso: i creditori non possono più agire individualmente, ma devono ricevere quanto previsto. Eventuali pignoramenti pendenti decadono, sostituiti dall’esecuzione del piano concordatario. Il commissario giudiziale può essere confermato come liquidatore o supervisore per l’esecuzione, specie se c’è da liquidare beni (allora diventa liquidatore e procede a vendere i beni secondo il piano). Se è un concordato in continuità, probabilmente il debitore stesso, sotto sorveglianza, continuerà a gestire l’impresa e a fare i pagamenti concordati.

Durata e adempimento: La durata del concordato minore dipende dal piano proposto. Può essere di qualche anno (5 anni è spesso un riferimento), ma anche prevedere atti immediati (es. vendita di un immobile entro 6 mesi e distribuzione del ricavato). In generale, si applica il principio della durata ragionevole: si stima di solito che un concordato minore non debba eccedere 5 anni di esecuzione, altrimenti rischia di diventare troppo aleatorio. Durante l’esecuzione, il commissario/occ verifica il rispetto del piano. Se il debitore non adempie agli obblighi (ad es. non versa le rate ai creditori come promesso), i creditori possono chiedere al tribunale la risoluzione del concordato. Con la risoluzione, si perdono i benefici e ciascun creditore torna libero di agire per il suo credito originale meno quanto eventualmente ricevuto. Anche qui c’è la possibilità di evitare la risoluzione in extremis convertendo in liquidazione controllata qualora il piano diventi inattuabile.

Vantaggi del concordato minore: Permette soluzioni flessibili. Ad esempio, si può salvare l’azienda in crisi continuando a lavorare e pagando i debiti in parte coi flussi futuri (concordato in continuità). Oppure si può vendere l’azienda o certi beni in modo ordinato per ottenere più valore che in un fallimento. Il debitore mantiene maggiore controllo rispetto alla liquidazione, e se collabora con i creditori può raggiungere un accordo win-win (il debitore evita misure più drastiche, i creditori ottengono più di quanto forse otterrebbero da una liquidazione forzata). In più, la soglia di approvazione è solo 50% (mentre nei vecchi accordi serviva il 60%), quindi relativamente abbordabile.

Svantaggi: Serve comunque convincere almeno metà dei creditori (per importo). Ciò richiede spesso un negoziato e una credibilità da parte del debitore. Inoltre la procedura è un po’ più lunga e complessa: c’è la fase di voto, la nomina del commissario, potenziali contestazioni. I costi possono essere maggiori rispetto a un piano del consumatore perché c’è in più la gestione del voto e spesso un commissario da retribuire.

Per un ex imprenditore cessato, se ancora ammesso, il concordato minore sarebbe l’ideale se ha ancora delle risorse o un’attività residuale da salvare. Ad esempio, un ex artigiano che ha chiuso bottega ma vuole evitare di vendere i macchinari per aprire magari una nuova attività, potrebbe proporre ai creditori: “lasciatemi tenere i beni e vi pago il 30% in tot anni con i proventi di nuovi lavori”. Però, come rilevato, la legge attuale formalmente gli nega l’accesso se la cancellazione è da più di un anno. Dovrebbe allora (secondo Cassazione) optare per la liquidazione controllata. Questa rigidità è oggetto di critica, e ci sono speranze di un chiarimento normativo. Alcuni tribunali cercano vie d’uscita attraverso l’estensione della nozione di consumatore (come il caso Napoli Nord 2022, dove un ex imprenditore con debiti promiscui è stato ammesso al piano del consumatore).

In conclusione, il concordato minore è uno strumento potente per ristrutturare i debiti degli imprenditori minori, purché vi sia un minimo di adesione da parte dei creditori. Di converso, se il dialogo con i creditori è impossibile (creditori ostili che vogliono liquidazione a tutti i costi) o se il debitore non ha proprio nulla da offrire se non i beni esistenti, allora la strada da percorrere sarà la liquidazione controllata.

La Liquidazione Controllata del sovraindebitato

La Liquidazione Controllata (artt. 268-277 CCII) è la procedura concorsuale di tipo liquidativo riservata ai debitori non fallibili. È l’equivalente, per i piccoli debitori, di ciò che la Liquidazione Giudiziale (ex fallimento) è per le imprese fallibili. In sostanza, attraverso questa procedura tutto il patrimonio del debitore viene liquidato (venduto) sotto la supervisione di un liquidatore nominato dal tribunale, e il ricavato distribuito ai creditori secondo le regole di prelazione. Al termine, se il debitore è una persona fisica, ottiene l’esdebitazione (liberazione dai debiti non pagati).

La liquidazione controllata può essere vista come l’ultima risorsa: si ricorre ad essa quando non è percorribile o non ha successo una soluzione concordata (piano o concordato). Ad esempio, se i creditori non approvano il concordato minore, o se il debitore non ha redditi per un piano del consumatore, o se comunque la massa debitoria è tale che l’unica cosa da fare è liquidare i beni. In alcuni casi il debitore stesso può preferirla da subito: ad esempio, un ex imprenditore molto indebitato che possiede solo una casa può “arrendersi”, far vendere la casa e poi ripartire pulito dai debiti dopo l’esdebitazione.

Chi può accedere e come si avvia: Possono accedere tutti i debitori sovraindebitati, consumatori o meno, indipendentemente dalla natura dei debiti. Quindi anche l’ex imprenditore cancellato sicuramente può, anzi come visto la Cassazione indica questa come l’unica via per l’ex imprenditore che non può fare accordi. La liquidazione controllata può essere richiesta dallo stesso debitore con ricorso al tribunale, oppure dai suoi eredi, o anche da un creditore o dal Pubblico Ministero in certi casi (ad esempio se il debitore ha chiesto un piano del consumatore che è stato rigettato per frode, un creditore può chiedere allora la liquidazione forzata). Tuttavia, la regola generale è che la liquidazione è volontaria, cioè su istanza del debitore (la possibilità di iniziativa di terzi è limitata a ipotesi di frode o abuso da parte del debitore).

Il ricorso per liquidazione contiene l’elenco dei creditori, dei beni, e gli allegati visti anche per le altre procedure (dichiarazioni redditi, atti ultimi 5 anni, etc.), oltre a una relazione dell’OCC. Il tribunale, verificati i requisiti (sovraindebitamento conclamato, documenti in regola, assenza di atti in frode di recente – quest’ultimo non preclude l’accesso ma può essere causa di diniego di esdebitazione poi), dichiara aperta la procedura di Liquidazione controllata con sentenza. Nella sentenza nomina un Giudice Delegato (un magistrato che sovrintende alla procedura) e un Liquidatore (spesso un commercialista o avvocato esperto in crisi, può coincidere con l’OCC già coinvolto). Da questo momento, il patrimonio del debitore viene vincolato a favore dei creditori: il debitore persona fisica conserva la proprietà formale dei beni sino alla vendita, ma ne perde la disponibilità (non può venderli lui, ci pensa il liquidatore). Se il debitore gestiva un’impresa, questa può proseguire solo se il liquidatore lo ritiene utile ai fini della liquidazione (ad es. per vendere l’azienda funzionante). Più comunemente, le attività cessano e si passa a realizzare l’attivo.

Effetti protettivi: Con l’apertura della liquidazione controllata tutte le azioni esecutive individuali cessano e i beni del debitore non possono più essere pignorati dai singoli creditori (si forma la cosiddetta par condicio creditorum). I pignoramenti in corso vengono assorbiti nella procedura: ad esempio, se c’era un pignoramento immobiliare, il liquidatore deciderà se proseguire la vendita in sede concorsuale o farne una nuova, ma comunque la vendita sarà per tutti i creditori concorsuali, non solo per quello che aveva pignorato. Si tratta di un effetto analogo al fallimento.

Massa attiva e passiva: Il liquidatore raccoglie tutte le informazioni sui beni (immobili, mobili, crediti che il debitore vanta verso terzi, eventuali cause attive, etc.) e li inventaria. Alcuni beni potrebbero essere esclusi perché per legge impignorabili (es. beni di stretta necessità, stipendio minimo vitale, ecc., sul modello art. 545 c.p.c.). In generale comunque confluisce nella massa tutto ciò che è liquidabile. Nel contempo, il liquidatore notifica ai creditori l’apertura della procedura e invita chi vanta crediti a presentare domanda di ammissione al passivo. Verrà poi formato lo stato passivo, ossia l’elenco dei crediti ammessi, distinti per grado (privilegiati, ipotecari, chirografari). Questo passivo potrà essere formato anche sulla base dell’elenco fornito dal debitore, se i creditori non fanno contestazioni.

Liquidazione dei beni: Il liquidatore poi procede a vendere i beni del debitore. Può farlo tramite procedure competitive (aste) analoghe a quelle fallimentari, oppure – con l’autorizzazione del giudice – anche tramite affidamenti a mediatori, vendite private, etc. L’obiettivo è ottenere il massimo ricavato in tempi ragionevoli. Se ci sono beni già ipotecati o pignorati, spesso si continua con la vendita già in corso (ma sotto il cappello della liquidazione). Se l’attività del debitore è in esercizio e ha valore come azienda in funzionamento, il liquidatore può chiedere al giudice di autorizzare l’esercizio provvisorio per poi vendere l’azienda intera, oppure stipulare un contratto d’affitto d’azienda in attesa della cessione. Insomma, ha vari poteri gestori, sempre sotto controllo del giudice delegato.

Distribuzione ai creditori: Una volta realizzato l’attivo (in tutto o in parte consistente), il liquidatore predispone dei piani di riparto: distribuisce le somme raccolte ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Prima si pagano le spese di procedura (compensi del liquidatore, contributi dovuti allo Stato), poi eventualmente crediti prededucibili, quindi crediti con pegno/ipoteca (fino a capienza del valore dei beni vincolati), poi privilegi speciali, privilegi generali, e infine chirografari in proporzione. In molti casi di sovraindebitamento, la massa attiva coprirà solo una frazione dei debiti – da qui l’importanza dell’esdebitazione successiva.

Durata della liquidazione: Il Codice della Crisi ha stabilito un principio di celerità: la liquidazione controllata deve durare al massimo 3 anni (salvo proroghe straordinarie), calcolati dall’apertura alla chiusura. In particolare, entro 3 anni il liquidatore dovrebbe aver venduto tutti i beni e distribuito il ricavato. Se qualche bene resta invenduto perché nessuno lo vuole (es. un immobile senza mercato), la procedura può chiudersi lo stesso decorsi i 3 anni, lasciando quel bene in capo al debitore (ma libero dai debiti grazie all’esdebitazione). Questo termine triennale recepisce l’indirizzo europeo di consentire ai debitrori onesti una “fresh start” entro 3 anni massimo nelle procedure liquidatorie. Nota: i 3 anni decorrono dall’apertura e non includono eventuale tempo impiegato per convertire un piano in liquidazione. Quindi, se prima c’è stato un tentativo di concordato per 6 mesi, poi liquidazione 3 anni, totale 3.5 anni.

Durante la liquidazione, il debitore persona fisica ha l’obbligo di collaborazione e di dedicare ai creditori una parte dei suoi eventuali redditi futuri. Infatti, se il debitore ha un lavoro o altri redditi regolari, la legge prevede che debba versare nel fondo liquidatorio la parte di reddito eccedente ciò che serve al suo sostentamento e della famiglia. Ad esempio, se ha uno stipendio, la quota pignorabile (solitamente 1/5) potrebbe essere richiesta dal liquidatore ogni mese. Queste contribuzioni dal reddito però non possono protrarsi oltre i 3 anni: trascorso il triennio, la procedura chiude comunque. In altre parole, il debitore versa ai creditori per 3 anni il suo surplus di reddito (oltre ai beni liquidati); dopo 3 anni stop, anche se il debito non è pagato interamente.

Esdebitazione finale: Trascorso il periodo e completata la liquidazione dell’attivo, il liquidatore presenta il rendiconto finale e si chiude la procedura. A questo punto, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione di diritto (ex art. 282 CCII). Significa che tutti i debiti residui verso i creditori concorsuali vengono cancellati. Non occorre una specifica istanza separata come nella vecchia legge fallimentare: il tribunale, verificato che non sussistono cause ostative (es. frodi scoperte, comportamenti in malafede del debitore), dichiara l’esdebitazione contestualmente alla chiusura, “inserendola nella stessa procedura”. Quindi il debitore ottiene la liberazione. Da quel momento i creditori non possono più avanzare pretese per la parte di credito non soddisfatta (diventa giuridicamente inesigibile).

L’esdebitazione può essere negata solo in casi eccezionali, ad esempio se si scopre che il debitore ha occultato deliberatamente beni o documenti, o non ha collaborato, o ha violato i doveri di lealtà. Ma se il debitore si è comportato correttamente, l’esdebitazione è automatica dopo 3 anni. Questo è un enorme vantaggio rispetto al passato: l’imprenditore fallito doveva chiedere al giudice l’esdebitazione e sperare nell’accoglimento, qui è quasi un effetto naturale per il debitore sovraindebitato onesto.

Esempio: Un ex imprenditore presenta liquidazione controllata nel 2023. Ha una casa che viene venduta, ricavato €50.000, e debiti per €300.000. Ha anche uno stipendio da dipendente di €1.500 al mese; il giudice stabilisce che €300 al mese (circa 1/5) vadano ai creditori per 3 anni (totale altri ~€10.800). Complessivamente in tre anni i creditori ricevono €60.800, magari pari al 20% dei loro crediti. Dopodiché, nel 2026, il tribunale chiude la procedura ed esdebità il residuo 80% (circa €239.200) che il debitore non ha potuto pagare. Da allora quei creditori non potranno più avanzare pretese per quei restanti importi: il debitore riparte libero, pur avendo perso la casa e versato il quinto per 3 anni.

Costi e tempi della liquidazione: I tempi come visto sono intorno ai 3 anni (possono allungarsi se ci sono beni complicati da vendere, ma il legislatore spinge per chiudere comunque). In termini di costi, la liquidazione comporta le spese di giustizia (contributo unificato modesto, spese di cancelleria) e soprattutto il compenso del liquidatore/OCC, che viene prelevato dalla massa attiva (ha priorità di pagamento). I compensi dei gestori sono stabiliti per legge su base percentuale sui valori realizzati, ma spesso nei sovraindebitamenti trattandosi di masse piccole, il compenso è contenuto o anche calmierato. Se il debitore non ha nulla, può esserci il problema di pagare l’OCC: per questo, la legge prevede che nella esdebitazione del debitore incapiente (che vedremo a breve) l’OCC sia pagato attraverso un Fondo statale apposito, proprio per non gravare sul nullatenente.

Effetti sul debitore: Durante la liquidazione, il debitore persona fisica non subisce limitazioni personali (non è una bancarotta, quindi non ci sono pene o interdizioni civili); certo, perde la disponibilità dei beni e deve collaborare. Dopo la chiusura con esdebitazione, egli può anche tornare a svolgere attività d’impresa senza i debiti passati. Attenzione però: l’esdebitazione non copre gli eventuali coobbligati e fideiussori. Quindi, se Tizio viene esdebitato ma Caio era garante di uno dei suoi debiti, il creditore può ancora escutere Caio.

In sintesi, la Liquidazione controllata è un procedimento di “fallimento personale” che permette di azzerare i debiti in 3 anni al prezzo di liquidare i propri beni disponibili. Per un ex imprenditore sommerso dai debiti e magari senza prospettive di pagarli, può essere la scelta più logica: “sacrifico tutto ora, ma tra 3 anni esco pulito”.

L’Esdebitazione del debitore incapiente (c.d. “esdebitazione senza utilità”)

L’Esdebitazione del debitore incapiente è la novità più recente e significativa introdotta nel nostro ordinamento con la riforma del 2020 (poi confluita nel Codice della Crisi, art. 283 CCII). Si tratta di una procedura che consente, in casi eccezionali, di ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza alcuna contropartita ai creditori, sin da subito. In altre parole, è un fresh start immediato per il debitore persona fisica che sia totalmente privo di patrimonio liquidabile e di reddito oltre il necessario al sostentamento. Viene definita anche esdebitazione “a zero” o “senza utilità” perché non porta alcuna utilità ai creditori nell’immediato.

Chi può chiederla: Solo il debitore persona fisica sovraindebitato (quindi non società, non enti) e che:

  • Non possiede alcun bene (o comunque beni di valore economico trascurabile) da poter liquidare a favore dei creditori.
  • Non ha capacità reddituale tale da consentire nemmeno pagamenti parziali significativi in un piano. Cioè, tolto il minimo per vivere, non resta nulla di aggredibile.
  • È meritevole: ossia la sua situazione di indebitamento deve essere dovuta a cause indipendenti dalla sua volontà o comunque non a colpa grave sua. Ad esempio, chi si è indebitato per far fronte a spese mediche, o a seguito di perdita del lavoro, o per garantire un familiare, ecc., e ora non ha più nulla. Non deve aver frodato i creditori, né aver rifiutato offerte di lavoro congrue nel frattempo (il giudice valuta anche se la condizione di nullatenenza è “colpevole” o no).
  • Non ha già beneficiato di un’esdebitazione simile in passato (c’è il limite generale delle due volte massimo e dei 5 anni minimo tra una e l’altra, come visto prima).

In pratica, è pensata per quei poveri indebitati che altrimenti resterebbero esclusi anche dalla liquidazione (perché liquidare zero beni non avrebbe senso e non c’è soddisfacimento per aprire concorso). In passato, questi soggetti restavano intrappolati a vita nei debiti. Ora si dà loro una chance di liberarsene, riconoscendo che tenere in piedi debiti inesigibili non giova a nessuno (il debitore resta emarginato, i creditori comunque non recupereranno nulla).

Come funziona la richiesta: Il debitore deve presentare un ricorso al Tribunale (lo stesso competente per le altre procedure, quindi residenza) chiedendo di essere ammesso al beneficio dell’esdebitazione del debitore incapiente. Deve allegare più o meno gli stessi documenti di cui sopra (elenco creditori, attestazione di non avere beni, di non aver fatto atti di frode, ecc.), e soprattutto dimostrare la propria condizione di incapienza totale. Solitamente, si avvale di un OCC per asseverare la veridicità delle sue dichiarazioni e per stilare una relazione. L’OCC è importante perché dovrà poi vigilare per 4 anni sugli obblighi post-esdebitazione.

Il Tribunale sente il parere dei creditori (che potrebbero opporsi, magari contestando che il debitore in realtà possiede qualcosa di occultato). Se ritiene verificati i presupposti, emette decreto di esdebitazione del debitore incapiente. Questo decreto:

  • Cancella tutti i debiti concorsuali del debitore, immediatamente.
  • Può eventualmente escludere specifici debiti non meritevoli di esdebitazione (ad es. debiti per obblighi di mantenimento o altre eccezioni).
  • Impone al debitore una serie di obblighi per i successivi 4 anni (il cosiddetto “periodo di prova” post-esdebitazione). In particolare, se entro 4 anni sopravviene una qualsiasi utilità rilevante nel patrimonio del debitore, egli è tenuto a farlo presente e a destinarla in parte ai creditori.

In pratica, c’è un meccanismo di “condizione risolutiva parziale”: se durante i 4 anni successivi l’ex debitore per esempio riceve un’eredità, o gli capita una vincita, o comunque migliora la propria situazione finanziaria in modo da potere pagare almeno il 10% dei creditori soddisfatti, allora scatta l’obbligo di pagamento parziale. Il parametro indicato in legge è: se entro 4 anni il debitore entra in possesso di beni o redditi che permetterebbero di soddisfare i creditori in misura non inferiore al 10%, deve informare l’OCC e il tribunale e versare tale importo (fino a concorrenza del debito, ma limitato a quell’entità).

Esempio: Tizio viene esdebitato incapiente con €100.000 di debiti. Dopo 2 anni, vince alla lotteria €50.000. Con quei €50.000 potrebbe teoricamente pagare il 50% dei suoi vecchi debiti, quindi ben oltre il 10%. L’obbligo è di destinare quel sopravvenuto ai creditori per almeno il 10% (quindi €10.000); in pratica, poiché i crediti sono €100.000, dovrebbe destinare €10.000, ma essendo in possesso di €50.000 potrebbe spingersi a soddisfarli anche di più. La legge fissa il 10% come soglia minima di rilevanza: se la sopravvenienza basta a pagare almeno 10%, scatta l’obbligo per quell’importo. Se la sopravvenienza fosse minore (es. €5.000, cioè 5%), potrebbe teoricamente tenerla.

Questa clausola serve ad evitare furberie e ad assicurare che se l’incapienza non è più tale subito dopo, i creditori abbiano almeno qualcosa. Va detto che il debitore esdebitato rimane comunque incentivato a migliorare la sua condizione, perché l’obbligo di versamento è solo parziale (non è che se vince €1 milione deve restituire tutti i €100.000; ne deve dare 10% ai creditori e il resto può tenerlo, in base al dettato normativo). Quindi c’è anche un ragionamento di equità: i creditori prendono almeno una piccola soddisfazione se la fortuna arride al debitore entro un periodo di tempo limitato, ma oltre quello stop.

Durante quei 4 anni, il debitore deve inoltre tenere informato annualmente l’OCC sulla sua situazione economica. L’OCC fa da “tutore”: se scoprisse che il debitore ha occultato entrate, potrebbe segnalarlo al giudice e far revocare il beneficio.

Trascorsi i 4 anni, senza che vi siano state rilevanti migliorie patrimoniali, l’esdebitazione diventa definitiva e incondizionata. I creditori non potranno più pretendere nulla e il debitore non avrà più vincoli di rendiconto.

Da notare: questa procedura non coinvolge i creditori in un concorso perché non c’è nulla da distribuire. Quindi, formalmente, non è nemmeno una “procedura concorsuale” in senso stretto, ma un provvedimento di clemenza verso il debitore. I creditori ovviamente possono opporsi in fase di richiesta, adducendo magari che il debitore in realtà non è così nullatenente o che ha colpa grave nell’essere in quella condizione (ad es. ha dilapidato patrimonio volontariamente). Il giudice valuterà caso per caso.

Vantaggi: Permette di risolvere situazioni altrimenti disperate. Pensiamo a chi, in buona fede, ha garantito debiti di un’impresa andata male, ha perso anche la casa e vive magari in affitto con uno stipendio minimo: aveva comunque €200.000 di debiti residui – senza questa norma resterebbe segnalato, aggredibile a vita (anche se di fatto non possono togliergli nulla se non ha beni, ma la spada di Damocle resta). Con l’esdebitazione incapiente, può azzerare tutto e ripartire, destinando le sue poche risorse solo a vivere dignitosamente.

Svantaggi e attenzioni: Può essere richiesto una sola volta (di fatto, se uno la ottiene e poi si reindebita, difficilmente potrà riottenerla, anche per limiti di legge sulle esdebitazioni plurime). Inoltre, il debitore deve mettere in conto i 4 anni di “sorveglianza”: se trova un lavoro ben pagato, di fatto gli toccherà pagare una parte ai vecchi creditori. Comunque, anche in quel caso, avrebbe pagato solo il 10%, cioè molto meno del dovuto originario, quindi è comunque in forte vantaggio rispetto a non aver ottenuto l’esdebitazione.

Rapporto con le altre procedure: l’esdebitazione incapiente è alternativa: un debitore può chiedere o questa o le altre. Non può ad esempio prima fare un piano e poi dire “non pago nulla”. Però può succedere che inizi un piano e si accorga che non ce la fa perché proprio non ha risorse: in teoria potrebbe rinunciare al piano e chiedere direttamente questo beneficio se ne ha i requisiti. I creditori preferiscono di solito che provi a pagare qualcosa (piano o liquidazione) piuttosto che nulla; perciò, ci potrebbe essere opposizione se il debitore ha anche una minima capacità di pagare (in tal caso gli si dirà: fai una liquidazione e paga quel poco). Infatti, la legge richiede che “il debitore non abbia alcuna utilità ricavabile”, cioè neanche il 1% possibile. Appena c’è qualcosa, non scatta questa procedura ma bisogna fare la liquidazione.

Casi tipici di applicazione: persone indigenti con debiti magari di multe, bollette, piccoli finanziamenti non pagati accumulatisi; ex imprenditori che hanno chiuso attività in perdita e rimasti senza niente (ad es. negoziante fallito, casa in affitto, nessun bene a nome suo); soggetti sovraindebitati per eventi drammatici (malattie, ecc.) che hanno esaurito tutte le risorse. Anche i giocatori d’azzardo patologici o affetti da ludopatia vengono in considerazione: c’è stata discussione se chi ha dilapidato per gioco sia meritevole o no. Alcuni tribunali hanno concesso procedure di sovraindebitamento a ludopatici considerando la ludopatia una malattia (non dolo), ma qui bisognerà valutare se rientra tra le cause non imputabili a colpa grave.

In conclusione, l’esdebitazione del debitore incapiente è una sorta di “grazia” del sistema: ai creditori non dà nulla oggi, ma li tiene agganciati per 4 anni nel caso il debitore risorga economicamente (almeno per un contentino). Per l’ex imprenditore cancellato che proprio è rimasto sul lastrico, può essere la via per cancellare debiti magari ingentissimi, senza doversi trascinare per anni una procedura. Ovviamente le condizioni sono stringenti.

Requisiti, Documenti, Costi e Tempi delle Procedure

Dopo aver descritto singolarmente le procedure, riassumiamo qui in modo sistematico i requisiti principali, i documenti richiesti, nonché i costi e tempi medi di ciascun percorso, con un occhio pratico su come difendersi efficacemente (ad esempio bloccando i pignoramenti).

Requisiti in sintesi

  • Piano del consumatore: Debitore persona fisica consumatore (no debiti di impresa attivi). Richiesta meritevolezza (assenza di frode o colpa grave). Non aver ottenuto altra esdebitazione nei 5 anni né altra procedura pendente. Presenza di reddito o contributo terzi sufficiente a proporre un piano sostenibile.
  • Concordato minore: Debitore non fallibile non consumatore (imprenditore sotto soglia, professionista, ecc.). Ammesso se impresa attiva o cessata da non oltre 1 anno (oltre, interpretazione restrittiva### Requisiti in sintesi
  • Piano del consumatore: riservato al consumatore persona fisica (debiti di natura personale, non riferiti ad attività d’impresa). Il debitore deve trovarsi in sovraindebitamento, essere in regola con gli obblighi documentali e non aver causato il proprio indebitamento con colpa grave, malafede o frode. Inoltre non deve aver già ottenuto un’esdebitazione nei 5 anni precedenti. Serve la presenza di un reddito disponibile (stipendio, pensione, ecc.) o di altre risorse (ad es. aiuti da familiari) per poter formulare un piano di pagamenti credibile.
  • Concordato minore: destinato ai debitori non consumatori (imprenditori sotto soglia, professionisti, imprenditori agricoli, start-up, ecc.). Richiede lo stato di sovraindebitamento e il fatto di essere “non fallibile” (sotto le soglie dimensionali viste). Se il debitore è un imprenditore cessato, deve essere trascorso meno di un anno dalla cancellazione (in base all’interpretazione attuale dell’art. 33 CCII). Anche qui è richiesta onestà e correttezza del debitore (assenza di frodi). È necessario poter offrire ai creditori un soddisfacimento migliore di quello ottenibile liquidando i beni. Almeno il 50% dei crediti dovrà esprimere voto favorevole perché la proposta sia approvata.
  • Liquidazione controllata: accessibile a qualsiasi debitore sovraindebitato (consumatore o imprenditore minore). È spesso la via obbligata se le altre falliscono o non sono praticabili. I requisiti sono più oggettivi: insolvenza conclamata e impossibilità di soddisfare regolarmente i creditori. Non è strettamente richiesta la “meritevolezza” (un debitore poco diligente può comunque accedervi), anche se comportamenti fraudolenti possono portare a negare poi l’esdebitazione. Può accedervi anche l’ex imprenditore cessato da oltre un anno (che magari non può fare il concordato). Si tratta di consegnare sostanzialmente tutto il proprio patrimonio alla procedura.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: riservata al debitore persona fisica nullatenente e senza capacità di pagamento, che sia meritevole e cooperativo. Il requisito chiave è l’assenza assoluta di patrimonio liquidabile o di reddito aggredibile. Se il debitore possiede anche un solo bene di valore apprezzabile, non verrà ammesso: in tal caso dovrebbe prima passare per la liquidazione controllata. Occorre inoltre non aver già beneficiato di due esdebitazioni in passato o di una nei 5 anni precedenti. In pratica è l’ultima spiaggia per chi non ha nulla da offrire ai creditori.

Documenti necessari

Le procedure di sovraindebitamento richiedono un importante corredo di documenti, in gran parte comuni a tutte le forme (piano, concordato o liquidazione):

  • Elenco completo dei creditori con indicazione per ciascuno dell’importo dovuto, causale del debito e garanzie/prelazioni eventualmente esistenti. Questo serve a mappare l’intero indebitamento.
  • Elenco dei beni di proprietà (immobili, veicoli, conti correnti, partecipazioni societarie, ecc.) e descrizione analitica del patrimonio del debitore. Nel piano del consumatore e concordato minore sarà il piano stesso a indicare quali beni eventualmente sono destinati alla liquidazione o quali vengono mantenuti; nella liquidazione tutti i beni (eccetto quelli impignorabili) confluiscono nella procedura.
  • Atti di straordinaria amministrazione degli ultimi 5 anni: vendite di immobili, donazioni, costituzione di garanzie a favore di terzi, pagamenti preferenziali fatti in periodo sospetto, ecc. Questo per evidenziare se il debitore ha compiuto atti in frode ai creditori (es. ha regalato un immobile al parente per non farlo pignorare). Tali atti, se individuati, possono essere revocati dal giudice o costituire causa di inammissibilità se particolarmente gravi.
  • Dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni e ultime buste paga o altra documentazione delle entrate correnti del debitore e del suo nucleo familiare. Questo certifica la situazione economica e la capacità contributiva. Se il debitore non era tenuto a dichiarazione (es. perché disoccupato), va autocertificata l’assenza di redditi e magari allegato uno storico dei movimenti bancari per trasparenza.
  • Situazione familiare: spesso si allega lo “stato di famiglia” e si indicano le persone a carico, per contestualizzare quanto reddito serve al mantenimento (il Codice chiede di specificare “quanto occorre al sostentamento della famiglia”). Questo è rilevante per quantificare la parte di reddito eventualmente disponibile per i creditori.
  • Relazione particolareggiata dell’OCC (Organismo di Composizione della Crisi). L’OCC è un professionista o ente apposito (es. organismi presso gli Ordini professionali o le Camere di Commercio) che assiste il debitore e funge da supervisore. La sua relazione deve attestare: la completezza e veridicità dei dati forniti dal debitore, le cause dell’indebitamento, l’eventuale esistenza di atti in frode, un giudizio sulla fattibilità del piano o accordo proposto e sull’adeguatezza dell’offerta ai creditori rispetto alle alternative. Nel piano del consumatore, la relazione OCC è cruciale per valutare la buona fede del debitore; nel concordato minore serve a rassicurare i creditori (e poi il giudice) sulla bontà della proposta; nella liquidazione, l’OCC spesso diventa liquidatore e certifica che il debitore non ha nascosto nulla.
  • Ulteriori documenti specifici: a seconda dei casi, possono essere richiesti: bilanci degli ultimi esercizi (se il debitore è un imprenditore), estratti catastali e visure PRA (per accertare i beni), relazione notarile sui beni immobili, attestazioni di valore (per immobili spesso serve una perizia di stima, allegata o redatta dallo stesso OCC), certificato dei carichi pendenti fiscali (Equitalia/Agenzia Entrate Riscossione) per elencare ufficialmente le cartelle esistenti. Inoltre, un’autocertificazione del debitore di non aver fatto altre procedure e di non aver beneficiato di esdebitazione negli ultimi 5 anni viene usualmente richiesta.

Nota: La completezza documentale è essenziale. La legge prevede espressamente che la domanda sia dichiarata inammissibile se mancano i documenti richiesti senza giustificazione. In pratica, prima di depositare il ricorso, l’OCC e il debitore lavorano intensamente per raccogliere tutta la documentazione. Ciò può richiedere anche varie settimane, specie per ottenere certificati dai vari enti.

Costi delle procedure

Uno degli aspetti pratici importanti per il debitore è: quanto costa accedere a queste procedure? I costi si possono suddividere in:

  • Spese di giustizia: al momento del deposito del ricorso occorre pagare un contributo unificato (per le procedure concorsuali minori è in genere di importo contenuto, ad esempio circa 98 euro) e le marche da bollo per diritti forfettari. Nel corso della procedura potranno esservi altre spese vive (notifiche ai creditori, spese di cancelleria, ecc.), anch’esse di solito modeste.
  • Compenso dell’OCC/Commissario/Liquidatore: è la voce principale. L’Organismo di Composizione della Crisi ha diritto a un compenso per l’opera prestata, che viene stabilito dal giudice a fine procedura. Nel piano del consumatore e concordato minore, il compenso dell’OCC (o del commissario) è a carico del debitore e viene in genere pagato nell’ambito del piano stesso (cioè incluso tra le spese che il debitore deve coprire). Nella liquidazione controllata, il compenso del liquidatore viene liquidato attingendo alla massa attiva prima di soddisfare i creditori (ha carattere prededucibile). I parametri di legge modulano il compenso in base all’attivo e al passivo; per piccoli attivi i compensi sono relativamente contenuti (possono variare da poche migliaia di euro a salire). Attenzione: l’OCC spesso chiede un anticipo sui costi al momento di accettare l’incarico, specialmente per il piano del consumatore, sapendo che dovrà lavorare prima di ottenere l’omologazione. Alcuni OCC lavorano tramite enti pubblici (es. organismi delle Camere di Commercio) e percepiscono un compenso calmierato. In caso di esdebitazione dell’incapiente, la legge prevede che il compenso dell’OCC sia a carico di un Fondo pubblico istituito presso il Ministero della Giustizia, proprio perché il debitore incapiente non può permetterselo. Ciò rimuove il deterrente economico per i nullatenenti nel chiedere aiuto.
  • Eventuale compenso dell’avvocato: se il debitore si avvale anche di un avvocato difensore (non è obbligatorio per legge presentare la domanda con avvocato, ma spesso è consigliabile), bisognerà considerare anche il costo dell’assistenza legale. Tuttavia, se il debitore ha i requisiti per il patrocinio a spese dello Stato (redditi molto bassi), può richiederlo e far sì che l’avvocato venga pagato dall’erario. Molti OCC collaborano con avvocati per fornire un servizio completo, e i costi legali vengono inclusi nel piano.
  • Altre spese eventuali: ad esempio i costi di pubblicazione della procedura nel registro delle imprese (una formalità richiesta per dare pubblicità, anch’essa di poche decine di euro), compensi di eventuali periti (se il giudice richiede valutazioni di terzi, ma di solito basta la perizia dell’OCC). Nella liquidazione, le spese di procedura (aste, imposte di registro sulle vendite, ecc.) vengono prelevate dall’attivo.

In generale, le procedure di sovraindebitamento sono pensate per essere accessibili. I costi vivi sono modesti rispetto a un fallimento. L’onere principale è pagare l’OCC, ma spesso quell’importo viene “finanziato” nel piano stesso. Ad esempio, nel piano si può prevedere che una parte iniziale dei pagamenti vadano a coprire compenso OCC e spese, e solo dopo inizino le distribuzioni ai creditori. I creditori accettano, perché sanno che senza quel lavoro il piano non esisterebbe. In liquidazione, il debitore non sborsa nulla di tasca propria (si paga tutto dall’attivo).

Un debitore davvero privo di liquidità iniziale può comunque attivarsi: molti OCC e professionisti accettano di essere pagati a risultato, confidando di recuperare dal piano o dalla liquidazione. Anche il meccanismo del Fondo ministeriale per i casi di nullatenenti aiuta a coprire le spese dell’OCC.

Per dare un’idea, in casi semplici il costo complessivo (tra spese e compensi) può aggirarsi su qualche migliaio di euro. Cifra ben investita, considerando che si possono cancellare decine o centinaia di migliaia di euro di debiti.

Tempi delle procedure

I tempi variano a seconda della procedura seguita e della complessità del caso:

  • Piano del consumatore: i tempi per ottenere l’omologazione sono relativamente brevi: da poche settimane a qualche mese. Molto dipende dal carico del tribunale e dall’eventuale necessità di approfondimenti. In casi semplici, si è visto un piano omologato anche in 2-3 mesi dal deposito. Una volta omologato, il piano prevede poi la sua esecuzione, tipicamente nell’arco di 4 anni circa (durata spesso fissata nel piano stesso). Dunque, dal ricorso iniziale alla completa esdebitazione possono volerci circa 4-5 anni (di cui la maggior parte impegnati a pagare le rate del piano). Se il debitore riesce, potrebbe anche proporre un piano più breve (ad esempio utilizzando un finanziamento ponte per pagare subito i creditori con uno stralcio lump-sum): in tal caso i tempi di uscita sarebbero minori. La sospensione delle azioni esecutive può essere ottenuta già prima dell’omologa (spesso col decreto di fissazione d’udienza il giudice sospende i pignoramenti in corso), quindi il sollievo per il debitore è rapido.
  • Concordato minore: il tempo per arrivare all’omologazione può essere un po’ più lungo che nel piano del consumatore, perché bisogna svolgere la votazione dei creditori. Indicativamente, si può stimare in 6-12 mesi il tempo dall’apertura alla omologa (6 mesi in casi davvero consensuali e semplici, 12 in caso di creditori numerosi o contestazioni). Dopo l’omologa, il piano concordatario viene eseguito di solito in un periodo compreso tra 3 e 5 anni, raramente fino a 6 anni. Quindi l’orizzonte massimo è intorno ai 6 anni post-omologa. Durante la pendenza della procedura, il debitore è protetto dai creditori (grazie al provvedimento di sospensione delle esecuzioni), quindi può proseguire l’attività se previsto. In caso di concordato in continuità, potrebbe essere necessario un monitoraggio costante durante gli anni di esecuzione – il tribunale può riservarsi di vigilare con il commissario fino a completa attuazione.
  • Liquidazione controllata: la legge fissa un termine di 3 anni per la chiusura. Spesso le liquidazioni vengono effettivamente chiuse entro questo periodo, salvo casi complessi (es. immobili difficili da vendere o cause legali pendenti che richiedono tempo per essere definite). In ogni caso, il debitore ha diritto di chiedere la chiusura e l’esdebitazione trascorsi i 3 anni anche se non tutti i beni sono stati collocati. Quindi possiamo dire che il debitore persona fisica ottiene l’esdebitazione in un tempo di circa 3 anni dall’apertura della liquidazione (a cui va aggiunto il tempo per preparare e presentare il ricorso, qualche settimana). Se c’è stata prima una conversione da un concordato minore non riuscito, quei mesi iniziali si sommano. Durante la liquidazione, come ricordato, il debitore deve sopportare fino a 3 anni di eventuale prelievo su redditi (quinto stipendio) ma poi termina. Dunque, per un ex imprenditore, il tempo massimo per essere libero dai debiti con la liquidazione è 3 anni, molto meno della durata di un piano concordatario (ma ovviamente con la rinuncia al patrimonio).
  • Esdebitazione dell’incapiente: i tempi per l’ottenimento sono i più brevi di tutti, paradossalmente. Non essendoci riparti da fare né voti, il tribunale può decidere sulla richiesta in tempi anche di 2-3 mesi dal deposito (sentiti i creditori). Una volta emanato il decreto di esdebitazione, l’effetto è immediato: il debitore è libero dai debiti subito. Tuttavia, decorre da quel momento il periodo quadriennale di “probation” durante il quale, come visto, il debitore deve comunicare le eventuali sopravvenienze utili e potrebbe dover pagare qualcosa se la sua situazione migliora. Dunque, la vera “liberazione definitiva” si ha scaduti i 4 anni, se non è avvenuto nulla di rilevante. In pratica, se un nullatenente rimane tale, per 4 anni non dovrà far nulla se non aggiornare l’OCC sul suo status, dopodiché sarà definitivamente esdebitato. Se invece in quei 4 anni trova un buon lavoro o riceve beni, dovrà contribuire ai crediti entro i limiti detti, ma ciò non prolunga la procedura: semplicemente paga e resta esdebitato comunque.

Riassumendo: il percorso più rapido in assoluto verso l’esdebitazione è l’incapiente (subito, con 4 anni di monitoraggio); segue la liquidazione (3 anni); poi il piano del consumatore (omologa in pochi mesi, completamento piano in ~4 anni); e infine il concordato minore (omologa in ~1 anno, completamento in ~5 anni). È importante però scegliere il percorso adeguato alla propria situazione: voler fare un piano a tutti i costi se non si hanno redditi rischia di fallire e far perdere tempo; al contrario, gettarsi in liquidazione quando si potrebbero pagare i debiti in parte potrebbe non essere la scelta ottimale.

Come bloccare i pignoramenti e difendersi dai creditori

Un obiettivo fondamentale per l’ex imprenditore indebitato è evitare l’aggressione dei creditori sul (poco) che gli rimane – tipicamente la casa di abitazione, l’automobile, o lo stipendio/pensione se ne ha uno. Le procedure di sovraindebitamento, oltre a portare all’esdebitazione finale, offrono strumenti per congelare e sospendere le azioni esecutive in corso, permettendo di tirare il fiato e preservare i beni durante la ricerca di una soluzione. Ecco come:

  • Moratoria automatica degli interessi: Dal momento del deposito della domanda, gli interessi sui debiti chirografari sono sospesi. Ciò significa che, mentre pende la procedura, il debito non continua a crescere per interessi di mora (almeno per i crediti non garantiti). Questo frena l’aggravarsi della situazione finanziaria.
  • Sospensione delle esecuzioni su istanza: Nella fase iniziale sia del piano del consumatore che del concordato minore, il debitore può chiedere al tribunale un provvedimento di urgenza che sospenda tutte le azioni esecutive e cautelari dei creditori. Spesso il giudice, nel decreto di apertura o di ammissione della procedura, dispone la sospensione generale dei pignoramenti e fissa l’udienza di omologa. In alcuni tribunali la sospensione viene concessa addirittura inaudita altera parte (cioè immediatamente, senza attendere i creditori) se c’è il rischio di pregiudizio grave (ad esempio un’asta immobiliare imminente). Con la sospensione, tutte le procedure di pignoramento in corso vengono “congelate”: aste rinviate, pignoramenti di stipendio sospesi (il datore di lavoro viene avvisato di non trattenere oltre), fermi amministrativi su veicoli sospesi, ecc. Questa tutela spesso scatta pochi giorni o settimane dopo la presentazione del ricorso, dando un sollievo immediato al debitore.
  • Divieto di nuove azioni: Una volta aperta la procedura (sia piano, concordato o liquidazione), i creditori non possono iniziare nuove esecuzioni. Nel concordato minore aperto, se malgrado ciò un creditore tentasse un pignoramento, il giudice dell’esecuzione lo dichiarerebbe improcedibile. Nella liquidazione controllata, il divieto è analogo a quello del fallimento: tutti i creditori anteriori devono fare valere le proprie ragioni nella procedura collettiva e non più in via individuale.
  • Sospensione/scioglimento di contratti in corso: Il debitore può chiedere che certi contratti in corso, se onerosi, siano sospesi o sciolti. Ad esempio, un leasing: col piano o concordato il debitore potrebbe chiedere di sciogliersi dal leasing (restituendo il bene) per evitare il pignoramento e il maturare di ulteriori rate. Il tribunale può autorizzare lo scioglimento di contratti pendenti non più sostenibili, con indennizzo al contraente opposto, come previsto dal CCII anche per il concordato preventivo.
  • Conservazione dei beni essenziali: Durante la procedura, il debitore mantiene l’uso dei beni non destinati a essere liquidati. Ad esempio, se nel piano del consumatore il debitore ha previsto di mantenere l’abitazione pagando regolarmente il mutuo, il giudice sospenderà l’asta (se c’era) e il debitore continuerà a viverci. Oppure, se un imprenditore in concordato continua l’attività, i macchinari non potranno essere pignorati singolarmente dai creditori perché asserviti al piano di risanamento.
  • Attenzione alle garanzie: La sospensione delle azioni esecutive si applica ai creditori del debitore. Non copre però eventuali fideiussori o coobbligati. Ciò significa che se, ad esempio, la moglie del debitore ha garantito un debito, la banca potrebbe rivalersi su di lei anche se il marito ha ottenuto la sospensione. Per questo, spesso conviene coinvolgere anche i coobbligati in una procedura familiare unitaria, se possibile, così da estendere la protezione (come visto è consentito per coniugi o parenti conviventi con debiti comuni).
  • Rigetto della domanda: Bisogna agire con trasparenza. Se un giudice dovesse rigettare la domanda di omologa (magari per scoperta di atti in frode), le sospensioni decadono e i creditori possono riprendere le azioni. Tuttavia, il debitore potrebbe in tal caso proporre subito la liquidazione controllata per continuare a essere protetto in quel contesto.

In pratica, un ex imprenditore con casa pignorata e asta fissata può, presentando un piano o concordato fattibile, bloccare l’asta e salvare temporaneamente l’immobile. Poi, a seconda dell’esito, potrà salvarlo definitivamente (se il piano prevede di soddisfare il creditore ipotecario e viene omologato) oppure negoziare una vendita più vantaggiosa nel concordato. Se tutto fallisce, avrà ancora l’opportunità di vendere l’immobile in liquidazione con calma o magari cederlo al creditore a saldo del debito.

Va sottolineato che i creditori chirografari non hanno alcun potere esecutivo una volta attivata la procedura: devono aspettare. I creditori privilegiati (es. banca con ipoteca) in teoria conservano il diritto sulla garanzia, ma la procedura concorsuale prevale: ad esempio, la banca ipotecaria non può procedere da sola alla vendita ipotecaria se il bene è inserito nel piano o nella liquidazione, deve passare attraverso la procedura (nel concordato voterà, in liquidazione parteciperà al riparto preferenziale).

Quindi, dal punto di vista della difesa: appena ci si rende conto di essere in sovraindebitamento, è consigliabile attivarsi prima che i creditori agiscano. Se tuttavia è già in corso un pignoramento, la procedura di sovraindebitamento (piano/concordato) è uno strumento efficace per congelarlo. Molti pignoramenti immobiliari vengono sospesi e poi chiusi grazie all’omologa di un piano. Ad esempio, come citato in precedenza, il Tribunale di Napoli Nord ha omologato un piano in corso di esecuzione immobiliare, permettendo al debitore di salvare la casa pagando solo il 37% del mutuo residuo. Questo dimostra come l’istituto possa realmente ribaltare situazioni disperate a favore del debitore.

Esdebitazione: la liberazione definitiva dai debiti

Il traguardo finale di tutto il percorso è l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti residui rimasti insoddisfatti al termine della procedura. In altri ordinamenti si parla di discharge o fresh start. Vediamo in quali casi e come interviene:

  • Dopo il Piano del consumatore: se il debitore esegue integralmente il piano omologato, egli è esdebitato di diritto per la parte di debito eccedente quanto pagato. Il decreto di omologa, una volta attestato l’adempimento finale, vale come esdebitazione. Ad esempio, piano paga 30%: a completamento, il restante 70% viene stralciato definitivamente. L’esdebitazione qui è “in re ipsa”: l’omologa comporta che, adempiuto il piano, i crediti anteriori non sono più esigibili per la quota residua. Se il debitore non adempie, può essere dichiarata la risoluzione e allora niente esdebitazione (salvo passare a liquidazione). Ma se intervengono cause di forza maggiore durante l’esecuzione, il giudice può apportare modifiche o concedere proroghe, per favorire il buon esito.
  • Dopo il Concordato minore: analogamente, il debitore è esdebitato per la parte di debito tagliata dal concordato una volta eseguite le obbligazioni assunte. L’omologazione del concordato prevede già che i creditori rinuncino a quella parte di credito eccedente. Dunque, completato il piano concordatario (pagate le percentuali concordate, ceduti i beni promessi ecc.), i creditori non possono avanzare pretese ulteriori. Se però il concordato non viene adempiuto e viene risolto, allora l’esdebitazione salta (ma in tal caso il debitore spesso chiederà la conversione in liquidazione per ottenere comunque esdebitazione dopo). Da notare: se il concordato prevede la continuazione dell’attività, l’esdebitazione rende il debitore libero dai vecchi debiti e quindi in grado di continuare senza zavorre (a parte eventuali garanzie che dovesse ancora onorare per parti non falcidiate).
  • Dopo la Liquidazione controllata: come già spiegato, decorsi 3 anni dall’apertura della liquidazione, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione integrale di tutti i debiti concorsuali non pagati. Questo avviene con decreto del tribunale (su istanza del debitore o anche d’ufficio). L’art. 282 CCII infatti stabilisce che l’esdebitazione è un “diritto” del debitore onesto e collaborativo. Solo alcune categorie di debiti restano esclusi: in particolare gli obblighi di mantenimento e alimentari, le sanzioni penali e amministrative pecuniarie e i debiti da risarcimento di danni da fatto illecito non colposo (questi sono generalmente ritenuti non esdebitabili per motivi di ordine pubblico, similmente a quanto avviene nel fallimento). Salvo tali eccezioni, il debitore si libera da tutto il resto. Questo è il risultato più prezioso: significa che, pur avendo magari pagato poco (perché il patrimonio era insufficiente), il soggetto può tornare ad una vita economica normale, senza che ogni nuovo guadagno sia aggredibile dai vecchi creditori. Non a caso l’esdebitazione è chiamata “esdebitazione di diritto” nella liquidazione, proprio a indicare che non è più discrezionale. Prima della riforma, il tribunale valutava caso per caso e qualche volta negava l’esdebitazione (ad esempio ai debitori considerati troppo “leggeri” nel contrarre debiti). Oggi questa valutazione è anticipata nella fase di ammissione (meritevolezza), mentre a fine liquidazione si esdebitano tutti tranne chi ha frodato.
  • Esdebitazione “incapiente”: qui l’esdebitazione è anticipata all’inizio. Il decreto che la concede cancella subito i debiti. Come già visto però, è sottoposta alla condizione risolutiva parziale dei 4 anni: se il debitore entro 4 anni acquisisce disponibilità finanziarie importanti, dovrà destinare ai creditori almeno il 10%. Se non lo fa spontaneamente, il beneficio può essere revocato dal tribunale su istanza dei creditori (anche a posteriori). Trascorsi i 4 anni senza eventi rilevanti, l’esdebitazione incapiente diventa definitiva e non condizionata. Vale la pena ribadire che questa forma di esdebitazione non cancella eventuali debiti verso il coniuge o i figli per mantenimento e simili, coerentemente con le altre procedure.

In tutti i casi, l’esdebitazione riguarda solo i debiti sorti prima dell’apertura della procedura. Eventuali nuovi debiti contratti dal debitore durante la procedura restano a suo carico (ad esempio, se durante un piano del consumatore il debitore contrae un nuovo finanziamento – cosa sconsigliata e in alcuni casi vietata senza autorizzazione – quel debito non è coperto dal piano omologato).

Un debitore esdebitato viene cancellato dalle banche dati dei protesti o comunque la sua posizione risulta “risolta”: ad esempio, Crif o Centrale Rischi possono essere aggiornate per indicare che quei debiti non sono più dovuti per esdebitazione ottenuta. Questo migliora enormemente la riabilitazione finanziaria del soggetto. A tal proposito, il Codice prevede anche misure contro lo stigma: l’esdebitazione comporta la riabilitazione piena, e la legge oggi vieta espressamente di tenere conto dell’avvenuto sovraindebitamento come elemento negativo per assumere o meno una persona, salvo casi particolari (ad esempio per incarichi societari con responsabilità fiduciaria, si può valutare). In generale, l’esdebitazione mira a dare al debitore onesto una seconda opportunità – principio sancito anche dalla normativa europea (Direttiva UE 2019/1023).

Principali orientamenti giurisprudenziali a favore degli ex imprenditori cancellati

La materia del sovraindebitamento è relativamente giovane e in evoluzione. La giurisprudenza ha avuto un ruolo importante nel chiarire alcuni punti controversi, spesso in senso favorevole ai debitori ex imprenditori che hanno cessato l’attività. Ecco alcuni snodi giurisprudenziali significativi:

  • Accesso dell’ex imprenditore alle procedure: In passato, con la legge 3/2012, vi era dibattito se un ex imprenditore potesse accedere al piano del consumatore oppure dovesse per forza usare l’accordo di ristrutturazione. La Cassazione, sent. n. 1869/2016, a lungo è stata interpretata rigidamente: affermò che un soggetto che aveva debiti anche parzialmente derivanti da un’attività d’impresa (debiti “promiscui”) non potesse qualificarsi come consumatore, precludendogli il piano del consumatore. Questa sentenza ha fatto sì che molti ex imprenditori dovessero percorrere la via dell’accordo (ora concordato minore) o della liquidazione, considerandoli non “consumatori” anche se l’attività era cessata.
  • Nuovo Codice e nozione di consumatore: Il Codice della Crisi del 2019 ha leggermente modificato la definizione di consumatore, eliminando la parola “esclusivamente” (scopi estranei all’attività imprenditoriale eventualmente svolta). Ciò ha aperto la porta a una interpretazione più ampia: oggi si tende a guardare allo scopo dei singoli debiti. Se un ex imprenditore ha, poniamo, dieci debiti, di cui otto originati da vicende personali e due da attività di impresa cessata, potrebbe essere considerato consumatore per i primi otto debiti. In pratica, la qualità di consumatore viene valutata “di volta in volta dallo scopo del debito contratto”. Questo ha consentito ad alcuni tribunali di ammettere al piano del consumatore debitori che in passato avevano avuto un’impresa, purché i debiti d’impresa non fossero preponderanti o la crisi fosse riconducibile in gran parte alla sfera personale. Tribunale di Napoli Nord (sentenza 12/11/2022): ha fatto scuola affermando che un imprenditore cessato può essere trattato come consumatore se: (a) i suoi debiti sono esclusivamente personali, oppure (b) ha debiti misti ma le difficoltà finanziarie derivano principalmente da obbligazioni personali/familiari, oppure (c) ha cessato l’attività e i debiti residui, anche professionali, non sono più legati a un’attività in corso. In quel caso, il giudice campano ha omologato un piano del consumatore per un soggetto con debiti anche IVA e tributari d’impresa, ritenendo che la finalità di quegli indebitamenti fosse comunque collegata al sostentamento familiare (es. aveva fatto debiti fiscali per poter pagare spese di famiglia). Questa pronuncia è stata accolta con favore perché evita l’automatismo di escludere dal piano chiunque abbia anche solo €1 di debito d’impresa.
  • Preclusione concordato minore post-cessazione: L’art. 33, comma 4, CCII (riprendendo concetti della vecchia legge fallimentare) prevede che l’imprenditore che ha cessato l’attività non può accedere a concordato preventivo o ad accordi di ristrutturazione dopo un anno dalla cessazione, a meno che provi che la tardiva cancellazione non gli sia imputabile. La giurisprudenza ha esteso tale preclusione anche al concordato minore. Cassazione 2023 (ordinanza ex art. 363-bis c.p.c.): chiamata a pronunciarsi, ha di fatto confermato che un ex imprenditore cancellato da oltre un anno non può accedere al concordato minore (essendo equiparato a un accordo di ristrutturazione). Nella vicenda specifica, la Suprema Corte ha enunciato due principi: 1) l’ex imprenditore con debiti misti non è consumatore (principio già noto); 2) lo stesso non ha diritto al concordato minore se è passato troppo tempo. Tuttavia, la Corte ha tenuto a precisare che ciò non impedisce affatto al medesimo soggetto di ottenere tutela: “l’unica opzione per l’ex imprenditore è la liquidazione controllata ex art. 268 CCII”, ma tale via non esclude l’esdebitazione; anzi, dopo 3 anni dall’apertura della liquidazione, il debitore avrà diritto all’esdebitazione ex art. 282 CCII. In sintesi, la Cassazione ha detto: se hai chiuso l’impresa da troppo tempo, niente concordato, ma puoi sempre liquidare e ripulirti dai debiti dopo. Questo orientamento è rigoroso (nega la flessibilità del concordato) ma allo stesso tempo assicura comunque una soluzione al debitore via liquidazione.
  • Orientamento estensivo pro-debitore: Accanto alla linea dura della Cassazione, esiste un filone di pronunce di merito “creativo” a favore dei debitori ex imprenditori. Il citato Trib. Napoli Nord 2022 è un esempio, ma non unico. Anche il Tribunale di Pordenone (decreto 11/1/2021), in epoca di transizione, ammise un ex imprenditore al piano del consumatore motivando che la finalità dei suoi debiti (anche fiscali) era legata alla sfera privata e che la ratio della norma è di aiutare chiunque non abbia accesso al fallimento, evitando formalismi. Questi giudici adottano una nozione sostanziale di consumatore e privilegiano l’accesso alla procedura più favorevole (piano) quando non vi sia pregiudizio concreto per i creditori.
  • Merito creditizio dei finanziatori: Un altro aspetto dove la giurisprudenza si mostra favorevole ai debitori è la considerazione della condotta dei creditori bancari o finanziari nella concessione del credito. Cassazione n. 28225/2022 (in tema di legge 3/2012 ma principio valido): ha affermato che, nel valutare la meritevolezza del consumatore, bisogna considerare se la banca ha concesso prestiti imprudentemente, aggravando il sovraindebitamento (violazione del dovere di valutazione del merito creditizio ex art. 124-bis TUB). In tal caso, il debitore non va penalizzato per aver ottenuto prestiti che l’ente erogatore sapeva o doveva sapere insostenibili. Questo orientamento, recepito dall’art. 69 CCII in parte, è pro debitore: spinge i giudici a omologare piani anche se il debitore ha accumulato troppi prestiti, qualora risulti che c’è stata corresponsabilità delle finanziarie nel sovraindebitamento. Ciò è particolarmente utile per consumatori/ex imprenditori che si sono “tirati la zappa sui piedi” con una spirale di credito facile: i giudici possono comunque concedere l’esdebitazione, stigmatizzando semmai le prassi scorrette delle finanziarie.
  • Salvataggio della prima casa: Molte pronunce di merito mostrano sensibilità verso la tutela dell’abitazione principale del debitore. Pur non essendoci una norma che vieti la vendita della casa (come invece avviene nell’esdebitazione francese ad es.), i tribunali tendono a favorire soluzioni concordate che permettano al debitore di conservarla. Esempio: Tribunale di La Spezia, 2021, ha omologato un piano dove il debitore manteneva la casa e la banca ipotecaria accettava un rimborso dilazionato, ritenendo ciò vantaggioso rispetto a un’esecuzione. In vari provvedimenti si legge che l’espropriazione immobiliare spesso soddisfa in minima parte i creditori (a causa di costi e ribassi d’asta), quindi concordare nel piano una soluzione di rimborso parziale ma concordato del mutuo può convenire a tutti. Questo incoraggiamento implicito ha portato molti debitori a utilizzare il piano del consumatore proprio per bloccare aste immobiliari e proporre alla banca di riprendersi magari l’80% del mutuo residuo con comodo, piuttosto che rischiare di ricavare meno in asta. Diversi tribunali hanno accolto tali piani. È un indirizzo fattuale più che giuridico, ma denota un clima favorevole al “keep the debtor’s home if possible”.

In definitiva, la giurisprudenza recente riconosce la particolare posizione degli ex imprenditori: persone che, non potendo accedere alle procedure fallimentari ordinarie, rischiavano di rimanere in un limbo. La Cassazione ha tracciato una linea netta (ex imprenditore = o concordato entro 1 anno, o liquidazione), ma tribunali di merito hanno trovato modi per estendere la tutela del piano del consumatore a taluni ex imprenditori. Inoltre, l’attenzione al comportamento dei creditori (merito creditizio) e alla conservazione dei beni essenziali va nel senso di massimizzare le chance di risanamento per il debitore. Un ex imprenditore diligente, che ha chiuso l’attività e vuole semplicemente liberarsi dei debiti onestamente, oggi trova nel sistema del sovraindebitamento un alleato: o tramite un accordo coi creditori (se praticabile), o tramite la liquidazione del patrimonio, potrà ottenere quella esdebitazione che lo rimetta in gioco economicamente.

Modelli esemplificativi di atti

Per aiutare a comprendere concretamente come si impostano queste procedure, forniamo ora degli schemi semplificati dei principali atti da predisporre:

1. Ricorso al Tribunale per l’apertura della procedura

Questo è l’atto introduttivo (chiamato anche istanza o ricorso ex art. 65 CCII per piano/concordato, o ex art. 268 CCII per liquidazione). Va indirizzato al Tribunale – sezione Volontaria giurisdizione o Fallimentare – competente per territorio.

Schema contenuti:

  • Intestazione: “Tribunale Ordinario di … – Sezione Civile/Procedure concorsuali”.
  • Ricorso ex art…: indicare la base (es. “Ricorso per l’omologazione di un Piano del Consumatore ex artt. 67-73 CCII” oppure “Ricorso per apertura della Liquidazione Controllata ex artt. 268 ss. CCII”).
  • Generalità del debitore: nome, cognome, data di nascita, codice fiscale, residenza, eventuale domicilio eletto (presso avvocato se nominato). Se azienda: denominazione, sede, C.F./P.IVA.
  • Esposizione dei fatti: si riassume la situazione: ad es. “Il ricorrente versa in stato di sovraindebitamento, determinatosi a causa di … (esempio: il calo di fatturato della sua ditta individuale poi cessata e spese mediche impreviste). Attualmente il debitore è disoccupato/impiegato etc con reddito di €…, possiede soltanto … (elencare beni principali) e ha debiti complessivi pari a €… verso … (dare un quadro).”
  • Indicazione della procedura richiesta: es. “Intende accedere alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento mediante omologazione di un Piano del Consumatore” oppure “domanda l’apertura della procedura di Liquidazione Controllata del proprio patrimonio”.
  • Elenco documenti allegati: si elencano tutti i documenti richiesti (lista creditori, lista beni, relazione OCC, dichiarazioni redditi, ecc. – tutti numerati come allegati).
  • Proposta/Piano allegato: Nel caso di piano del consumatore o concordato minore, il ricorso dovrebbe includere la Proposta e il Piano come allegato sostanziale. Spesso si riporta nel ricorso un sunto della proposta (“Il debitore propone di pagare i creditori chirografari nella misura del 20% mediante 48 rate mensili… etc., come meglio dettagliato nel piano allegato”). Per la liquidazione, invece, non c’è una “proposta”: si chiede la liquidazione di tutti i beni e l’esdebitazione finale.
  • Istanza di sospensione delle esecuzioni: Se pendono pignoramenti, va inserita la richiesta esplicita al tribunale di disporre subito la sospensione ex art. 54 CCII (richiamato anche per sovraindebitamento). Esempio: “Si chiede sin d’ora, stante la pendenza di procedura esecutiva immobiliare n… innanzi al Tribunale di…, la sospensione di tutte le azioni esecutive ex art. 54 CCII, al fine di preservare l’utilità dei beni ai creditori nella presente procedura”.
  • Nomina OCC: se il debitore si è già rivolto a un OCC (come di solito avviene), indicherà: “ha nominato l’Organismo di Composizione della Crisi presso …, nella persona del dott. …, che ha accettato l’incarico e predisposto la relazione allegata”. Se invece il debitore deposita ricorso senza aver coinvolto un OCC, chiede al tribunale la nomina di un OCC d’ufficio. (Meglio arrivare con OCC già nominato autonomamente, per risparmiare tempo).
  • Conclusioni: si formula la richiesta al giudice: es. “Alla luce di tutto ciò, il ricorrente chiede che l’Ill.mo Tribunale voglia: a) dichiarare aperta la procedura di sovraindebitamento; b) omologare il piano del consumatore proposto, con ogni conseguente provvedimento di esdebitazione ex art. 70 CCII; c) disporre la sospensione/cessazione di tutte le azioni esecutive individuali; d) nominare l’Organismo di Composizione della Crisi (o confermare quello già designato) per gli adempimenti di legge; e) emettere ogni altro provvedimento ritenuto opportuno ai fini dell’attuazione della procedura.”.
  • Data e firma: luogo, data, firma del debitore (e dell’avvocato se presente).

N.B.: In alcuni tribunali è previsto un modello standard, ma in generale il ricorso è libero. L’importante è includere tutti gli elementi richiesti dalla norma (art. 67 CCII per il contenuto del piano del consumatore, art. 75 CCII per concordato minore, art. 268 CCII per liquidazione).

2. Proposta di Piano del consumatore / Concordato minore

La Proposta e il Piano possono essere predisposti come documento unico o separati (spesso un documento intitolato “Proposta e Piano” li contiene entrambi). Esso rappresenta il cuore della procedura nei casi di ristrutturazione.

Schema contenuti (per Piano del consumatore):

  • Premessa: Identificazione del debitore, eventuale co-debitori (nel caso di piano familiare indicare i soggetti congiunti), dichiarazione di voler accedere alla procedura e di aver nominato l’OCC (se non già nel ricorso).
  • Esposizione della situazione debitoria: dettaglio dei debiti, creditori, importi, e cause. Si può fare in forma tabellare (creditore, importo capitale, interessi, totale, natura del credito – ad esempio chirografo, privilegiato, ecc.).
  • Cause del sovraindebitamento: una sezione discorsiva che spiega come si è giunti alla crisi. Ad esempio: “Negli anni 2018-2020 il ricorrente contraeva vari finanziamenti per far fronte al calo di reddito dovuto a malattia, accumulando rate divenute insostenibili…”. Questa parte serve anche a evidenziare la buona fede (il debitore non ha fatto debiti per lusso, ma per necessità, o comunque confidando ragionevolmente di pagarli prima che subentrassero eventi negativi).
  • Situazione economica attuale: indicazione dell’occupazione attuale, reddito mensile netto, spese mensili familiari, eventuale disponibilità mensile per i creditori. Se il debitore ha già ridotto all’osso le spese, indicarlo. Esempio: “Il debitore vive con il figlio a carico, spese mensili medie €1200, reddito €1500, disponibile €300 al mese per i creditori”.
  • Descrizione dell’attivo: cosa possiede il debitore e cosa si intende fare di tali beni. Se la casa non è toccata dal piano (perché magari è in affitto o è modesta e non conviene liquidarla), lo si dice; se invece è prevista la vendita di un bene, lo si specifica (“L’auto verrà venduta dall’OCC e il ricavato, stimato in €5.000, destinato ai creditori chirografari”).
  • Piano di pagamento dettagliato: qui si spiega come il debitore intende pagare i vari creditori. Ad esempio:
    • Creditori ipotecari: “La Banca X (ipoteca sulla casa) sarà soddisfatta integralmente tramite accollo del mutuo da parte del parente Y” oppure “continuerà a percepire le rate mensili di €…; le eventuali rate scadute saranno posticipate a fine piano” oppure “sarà parzialmente soddisfatta con il ricavato della vendita dell’immobile, stimato in €… che copre il 70% del suo credito, rinunciando al residuo 30%”.
    • Crediti privilegiati (es. Agenzia Entrate per IVA): “Agenzia Entrate: verrà pagato €10.000 (pari al valore di realizzo dell’ipoteca di secondo grado iscritta su immobile, corrispondente al 20% del suo credito di €50.000) entro 24 mesi dall’omologazione, in due tranche annue da €5.000”.
    • Creditori chirografari: “Tutti gli altri creditori chirografari saranno soddisfatti nella misura del 15% del loro credito, mediante 60 rate mensili posticipate. In particolare, riceveranno complessivamente €… a partire dal mese successivo all’omologazione, come da piano di riparto allegato.” Si può allegare una tabella di riparto per mese e per creditore.
  • Fonti delle somme: spiegare da dove il debitore ricaverà i soldi per pagare quanto promesso. Es: “Le rate mensili di €300 saranno versate utilizzando il reddito da lavoro dipendente (trattenuta volontaria in busta paga), integrato da un contributo mensile di €100 da parte della moglie (come da dichiarazione allegata)”. Se c’è una liquidazione di bene: “si prevede di alienare l’immobile di proprietà entro 12 mesi con l’assistenza dell’OCC, il cui ricavato netto, stimato in €…, andrà a soddisfare i creditori ipotecari e in parte l’Erario.” È importante mostrare la concretezza del piano. Se un parente aiuta, meglio allegare una sua lettera d’impegno.
  • Confronto con alternativa liquidatoria: soprattutto per convincere il giudice (e nel concordato anche i creditori), si inserisce un breve confronto: “In caso di liquidazione controllata, i creditori avrebbero ricevuto circa il 5% (vedi stima allegata OCC). Con il presente piano ne riceveranno il 20%. Pertanto il piano è più conveniente della liquidazione per la generalità dei creditori”. Questo passaggio può anche essere contenuto nella relazione OCC, ma è bene evidenziarlo.
  • Conclusione: una formula tipo: “Il debitore chiede pertanto che l’Ill.mo Tribunale voglia omologare il presente piano ai sensi dell’art. 69 CCII, ritenendo soddisfatte le condizioni di legge (miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa, assenza di atti in frode, meritevolezza del debitore). Si allega l’elenco analitico dei pagamenti previsti e il piano di riparto.”

Schema contenuti (per Concordato minore): sarà simile, ma con alcune differenze:

  • Vanno menzionate le eventuali classi di creditori se previste (il debitore potrebbe dividere, ad es., fornitori in una classe, banche in un’altra).
  • Indicare la percentuale di voto necessaria e presumibilmente raggiunta (es. “I creditori che hanno già manifestato assenso rappresentano il 60% del passivo, superando la maggioranza richiesta”).
  • Prevedere dettagliatamente la continuità aziendale se applicabile (es. “Il debitore proseguirà la gestione della ditta artigiana. I ricavi attesi (piano industriale allegato) consentiranno il pagamento delle percentuali offerte. Il Commissario giudiziale vigilerà sull’andamento”).
  • Inserire eventualmente la richiesta di moratoria dei creditori privilegiati: nel concordato è possibile chiedere di iniziare a pagare i creditori con prelazione dopo un certo periodo (fino a 2 anni dall’omologa) anche senza il loro consenso, purché vengano nel frattempo soddisfatti gli interessi. Se il piano lo prevede, va esplicitato.
  • Conclusioni chiedono l’omologa previa approvazione dei creditori: dunque andrà allegato poi il verbale di voto con la maggioranza favorevole.

3. Decreto di nomina OCC e provvedimenti iniziali (atto del Giudice)

Non è redatto dal debitore, ma è utile sapere cosa aspettarsi. In un tipico decreto di apertura il Tribunale:

  • Nomina l’OCC/Commissario (se già designato conferma quello proposto, altrimenti ne sceglie uno dall’elenco ministeriale).
  • Fissa l’udienza per l’esame o l’omologa (nel piano del consumatore, un’udienza di comparizione del debitore e dei creditori eventualmente oppositori; nel concordato minore, l’adunanza dei creditori per il voto).
  • Dispone la sospensione delle azioni esecutive fino all’omologazione.
  • Ordina forme di pubblicità (di solito la pubblicazione sul registro delle imprese e l’affissione all’albo, per conoscenza dei terzi).
  • In caso di liquidazione, dichiara aperta la procedura di liquidazione, nomina liquidatore e giudice delegato e fissa i termini per insinuare i crediti.

Il debitore deve semplicemente rispettare quanto indicato (comparire all’udienza, collaborare con OCC per avvisi ai creditori, ecc.).

4. Verbale di adunanza dei creditori (Concordato minore)

Nel concordato minore, l’OCC/Commissario redige il verbale della riunione dei creditori (o dell’espressione di voto scritta). Questo conterrà:

  • L’elenco dei creditori votanti e delle loro percentuali di credito.
  • L’indicazione di chi ha votato favorevole, contrario o si è astenuto.
  • Il calcolo finale: ad es. “Favorevoli: 55% del monte crediti – Quorum raggiunto. Contrari: 10%. Astenuti/Non votanti: 35%.”
  • Eventuali dichiarazioni dei creditori rese in udienza (spesso i creditori se dicono qualcosa, l’OCC lo verbalizza).
  • La firma del commissario e magari del giudice presente.

Questo verbale sarà depositato e, se il quorum c’è, allegato alla richiesta di omologa.

5. Decreto/Sentenza di omologazione

Atto finale emanato dal Tribunale:

  • Nel Piano del consumatore: assume forma di decreto motivato. Il giudice dà atto che il piano soddisfa i requisiti (fattibilità, assenza di colpa grave del debitore, migliore soddisfacimento rispetto all’alternativa), rigetta eventuali opposizioni dei creditori (se reputate infondate) e omologa il piano, disponendo per legge la sua efficacia obbligatoria per tutti i creditori anteriori. Nel decreto si ordina all’OCC di curare l’esecuzione e si dichiarano eventualmente cessate le esecuzioni pendenti. Viene anche disposto che, eseguito il piano, il giudice emetterà decreto di esdebitazione del residuo.
  • Nel Concordato minore: il tribunale emette un decreto di omologazione (o sentenza, ma dovrebbe essere decreto in volontaria giurisdizione), in cui verifica la regolarità del voto e omologa l’accordo approvato. Se ci sono creditori dissenzienti che hanno proposto opposizione, li tratta e rigetta se il concordato li rispetta (in pratica, può esserci un giudizio di omologazione con contraddittorio, come nel concordato preventivo ordinario). Una volta omologato, il concordato diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori, e il decreto lo sancisce. Si nomina il Commissario come eventuale liquidatore per l’esecuzione (se beni da vendere) e si dichiarano anche qui cessate eventuali esecuzioni. Se il concordato non è approvato dai creditori, il tribunale ne prende atto e dichiara chiusa la procedura per mancata approvazione, eventualmente aprendo d’ufficio la liquidazione se richiesta.
  • Liquidazione controllata: il tribunale emette una sentenza di apertura all’inizio (con nomina liquidatore) e poi un decreto di chiusura a fine procedura. Nel decreto di chiusura, su istanza del debitore, dichiara l’esdebitazione per i debiti residui. Questo provvedimento è notificato a tutti i creditori.

Questi modelli naturalmente andranno adattati alle circostanze specifiche. L’assistenza di un OCC esperto e, preferibilmente, di un avvocato preparato in crisi da sovraindebitamento, è altamente raccomandata per redigere atti completi e convincenti.

Conclusione

L’ex imprenditore cessato e cancellato non è più solo di fronte ai suoi debiti: il Codice della Crisi e dell’Insolvenza gli mette a disposizione una “cassetta degli attrezzi” legale per difendersi e ripartire. Che si tratti di un artigiano che ha chiuso bottega, di un ex socio di SNC oberato dai debiti sociali, o di un professionista travolto dai debiti fiscali, esiste una procedura di sovraindebitamento adatta.

In questa guida abbiamo visto che:

  • Identificare correttamente la categoria del debitore (consumatore vs imprenditore minore) è il primo passo per scegliere la strada giusta.
  • Tutti i principali debiti – da quelli con le banche al fisco, dai fornitori ai dipendenti – possono essere trattati nella procedura, con pochissime eccezioni.
  • Le procedure offrono soluzioni diverse: il piano del consumatore consente di uscire dai debiti pagando solo una parte e senza il voto dei creditori; il concordato minore permette di trovare un accordo con la maggioranza dei creditori e dare continuità all’attività; la liquidazione controllata sacrifica il patrimonio ma garantisce la liberazione in tempi rapidi; l’esdebitazione dell’incapiente è la rete di salvataggio estrema per chi non ha nulla da dare.
  • Ci sono requisiti formali (documenti, meritevolezza) da rispettare, ma con l’aiuto di professionisti e un po’ di ordine si possono soddisfare. I costi non sono proibitivi e spesso vengono inglobati nel piano stesso.
  • Temporeggiare non conviene: attivarsi presto consente di bloccare le azioni esecutive e preservare il necessario. La legge prevede efficaci misure di sospensione dei pignoramenti, come abbiamo dettagliato, che permettono di evitare la dispersione del patrimonio (ad esempio svendite all’asta) a vantaggio di una soluzione più ragionata.
  • Le pronunce favorevoli dei tribunali indicano che c’è un clima di sostegno verso chi, onestamente, cerca di sistemare la propria situazione. Un ex imprenditore non è visto come un “fallito irresponsabile”, ma come una persona che merita una seconda chance se agisce correttamente. Le tendenze giurisprudenziali sull’allargamento del concetto di consumatore e sulla valutazione del comportamento delle banche giocano a favore del debitore.
  • Infine, con la esdebitazione, il diritto italiano sancisce che il fallimento economico non è una condanna a vita. Dopo aver seguito la procedura e adempiuto agli obblighi previsti, il debitore esdebitato torna libero: libero dai debiti e libero di intraprendere nuove attività senza lo spettro del passato.

Questa guida, ha fornito un quadro dettagliato e pratico. Ovviamente ogni caso concreto ha le sue peculiarità: è sempre consigliabile farsi assistere da un OCC competente e, se possibile, da un legale specializzato in crisi d’impresa. Ma il messaggio finale per l’ex imprenditore sovraindebitato è di speranza: le norme ci sono, gli strumenti legali esistono e sono stati concepiti proprio “per difendersi” e superare la crisi, permettendo di tornare ad una vita finanziariamente sostenibile. Come recita metaforicamente il soprannome della legge 3/2012, questa è davvero una “legge salva-vita”: consente di evitare che i debiti trascinino per sempre una persona in un vortice senza uscita, offrendo invece un percorso di risanamento e redenzione economica.

Sovraindebitamento Imprenditore Cessato e Cancellato: Perché Affidarsi a Studio Monardo per liberarsi dai debiti residui

Hai chiuso l’attività, la tua impresa non esiste più, ma i debiti continuano a perseguitarti? Sei un ex imprenditore – individuale o socio di società – e ti ritrovi ancora oggi con cartelle esattoriali, richieste di pagamento o pignoramenti personali?
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa difendersi legalmente, bloccare le azioni esecutive e – soprattutto – cancellare i debiti ancora in sospeso, anche se l’attività non c’è più.

Cancellare l’impresa non cancella i debiti

Molti ex imprenditori pensano che, con la cessazione della partita IVA o la cancellazione dal Registro Imprese, i problemi siano finiti.
In realtà, i debiti aziendali possono ricadere personalmente su di te se:

  • Eri imprenditore individuale
  • Eri socio accomandatario in una SAS o socio di SNC
  • Hai prestato garanzie personali per mutui o finanziamenti aziendali
  • Il Fisco ti considera responsabile diretto per IVA, IRPEF, INPS o cartelle non pagate

La Soluzione: Sovraindebitamento e Esdebitazione

Se non sei più in grado di pagare, puoi accedere alla Legge 3/2012 aggiornata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019).
L’Avvocato Monardo, esperto in crisi da sovraindebitamento, ti guida passo dopo passo per:

  • Bloccare pignoramenti, ipoteche, fermi e ingiunzioni
  • Accedere alla liquidazione controllata del patrimonio
  • Presentare un piano di rientro compatibile con il tuo reddito attuale
  • Ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione legale di tutti i debiti residui, anche se l’attività è chiusa

Perché affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo

L’Avvocato Monardo è:

  • Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al Ministero della Giustizia
  • Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
  • Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
  • Coordinatore di avvocati e commercialisti esperti in tutta Italia in materia fiscale, bancaria e di ristrutturazione del debito

Con lui, potrai:

  • Evitare responsabilità personali non dovute
  • Difenderti da richieste illegittime
  • Chiudere in modo ordinato e definitivo ogni posizione debitoria aperta

Anche Se Non Hai Beni

Se sei incapiente – cioè non hai reddito né patrimonio – Monardo ti assiste nella esdebitazione dell’incapiente, che ti consente di cancellare tutti i debiti anche senza pagare nulla, secondo le ultime modifiche normative.

In Conclusione

Anche se l’attività è cessata, i problemi non spariscono da soli. Ma la legge ti dà il diritto di chiudere definitivamente con il passato.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa essere seguiti da un professionista esperto, riconosciuto e abilitato, capace di cancellare i debiti aziendali che ti perseguitano anche dopo la chiusura dell’impresa.
Con Studio Monardo, puoi ricominciare davvero da zero.

Qui di seguito tutti i dettagli di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in procedure di sovraindebitamento:

Leggi con attenzione: Se stai affrontando difficoltà con il Fisco e hai bisogno di una rapida valutazione delle tue cartelle esattoriali e dei debiti, non esitare a contattarci. Siamo pronti ad aiutarti immediatamente! Scrivici su WhatsApp al numero 351.3169721 oppure inviaci un’e-mail all’indirizzo info@fattirimborsare.com. Ti ricontatteremo entro un’ora per offrirti supporto immediato.

Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
Si invita a leggere attentamente il disclaimer del sito.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Torna in alto

Abbiamo Notato Che Stai Leggendo L’Articolo. Desideri Una Prima Consulenza Gratuita A Riguardo? Clicca Qui e Prenotala Subito!