Vuoi sapere nel dettaglio come funziona la Liquidazione Controllata del Sovraindebitato?
Leggi con cura la guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in procedure di sovraindebitamento.
In fondo alla guida troverai poi tutti i nostri contatti per richiedere una consulenza professionale dedicata.
Introduzione
La liquidazione controllata del sovraindebitato è una procedura legale che consente a un imprenditore o a un individuo non fallibile (cioè non soggetto alle ordinarie procedure fallimentari) che si trova in gravi difficoltà economiche di liquidare il proprio patrimonio sotto il controllo del tribunale, al fine di soddisfare i creditori e ottenere l’esdebitazione (cancellazione dei debiti residui). In termini più semplici, è uno strumento che permette a chi è sommerso dai debiti di vendere i propri beni in modo ordinato e supervisionato, per pagare ciò che è possibile pagare, e liberarsi poi di eventuali debiti rimasti non pagati.
Questa procedura era precedentemente nota come “liquidazione del patrimonio” nella vecchia Legge 3/2012, ma dal 2022 è stata riformata e rinominata “liquidazione controllata” con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. L’obiettivo principale per il debitore è duplice: da un lato liquidare i beni per distribuire il ricavato ai creditori; dall’altro, ottenere la liberazione dai debiti residui (esdebitazione), ossia l’impossibilità per i creditori di pretendere in futuro quanto non è stato pagato nella procedura. In pratica, è un percorso verso un “fresh start” – una ripartenza – per chi è schiacciato dai debiti, analogo a quanto il “fallimento” (ora liquidazione giudiziale) offre agli imprenditori commerciali maggiori.
La guida che segue, redatta in stile pratico-operativo, fornirà un percorso passo dopo passo attraverso la liquidazione controllata del sovraindebitato. È pensata per imprenditori e piccoli operatori economici che non hanno formazione giuridica, e vuole spiegare in modo chiaro e accessibile come funziona la procedura, quali soggetti sono coinvolti, quali documenti servono, quali effetti comporta e quali sono i possibili vantaggi e conseguenze. Troverai esempi concreti, casi pratici, riferimenti a norme aggiornate e alla giurisprudenza più recente, nonché fac-simile di atti utili (come il ricorso iniziale, la relazione dell’OCC, il piano di liquidazione e l’istanza di chiusura). Infine, confronteremo la liquidazione controllata con le altre possibili soluzioni alla crisi da sovraindebitamento – come il piano del consumatore e il concordato minore – per capire quando conviene scegliere l’una o l’altra strada.
Nota: I riferimenti normativi indicati (es. “art. 268 CCII”) si riferiscono agli articoli del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza vigente. I riferimenti in corsivo a “vecchia legge 3/2012” indicano la disciplina previgente ormai sostituita, utile per comprendere l’evoluzione normativa. I casi pratici citati sono di fantasia o ispirati a vicende reali ma semplificati, con nomi di fantasia, per illustrare il funzionamento della procedura.
Passiamo ora ad analizzare chi può accedere alla liquidazione controllata e in quali condizioni.
Chi può accedere alla liquidazione controllata? (Presupposti e requisiti)
Per accedere alla liquidazione controllata occorre trovarsi in stato di sovraindebitamento. Il Codice della crisi (CCII) all’art. 2, comma 1, lett. c) definisce il sovraindebitamento come:
“lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012 n. 179 (…), e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dalla legge in caso di crisi o insolvenza”.
In parole semplici, possono accedere alla procedura di liquidazione controllata:
- Consumatori (persone fisiche che hanno debiti privati, non derivanti da attività d’impresa).
- Professionisti (es. lavoratori autonomi, liberi professionisti con debiti legati alla propria attività).
- Imprenditori minori – cioè i piccoli imprenditori commerciali sotto le soglie di fallibilità. Il CCII li identifica come coloro che, nei tre esercizi precedenti la domanda (o dall’inizio attività se inferiore a tre anni), non hanno superato congiuntamente tre parametri:
- Attivo patrimoniale annuo ≤ €300.000,
- Ricavi annui ≤ €200.000,
- Debiti totali ≤ €500.000.
(Queste soglie definiscono la categoria degli “imprenditori minori” non soggetti a fallimento ordinario.)
- Imprenditori agricoli (che per legge non sono sottoposti a fallimento, indipendentemente dalle dimensioni).
- Start-up innovative registrate come tali (anch’esse escluse dal fallimento ordinario per legge speciale).
- Qualsiasi altro debitore non fallibile per legge: ad esempio enti non commerciali, associazioni non riconosciute con debiti, ecc., purché non esistano altre procedure specifiche previste per la loro crisi.
In sintesi, rientrano tutti i debitori “non fallibili”. Storicamente, erano definiti “soggetti non assoggettabili al fallimento”: piccoli imprenditori, persone fisiche, categorie protette dalla legge fallimentare, ecc.. Con la riforma, questi soggetti confluiscono nell’alveo del sovraindebitamento.
Condizioni oggettive: occorre che il debitore versi in uno stato di crisi o insolvenza. Ciò significa che o prevede di non riuscire a pagare regolarmente i debiti futuri (“stato di crisi”, difficoltà prospettica), oppure già non sta pagando regolarmente i propri debiti perché mancano i fondi (“stato di insolvenza” conclamata). Non è necessario essere completamente nullatenenti: basta che il carico debitorio sia tale da non poter essere sostenuto con regolarità. Ad esempio, un imprenditore individuale che abbia accumulato debiti molto superiori al valore dei suoi beni e ai suoi incassi futuri si trova in sovraindebitamento anche se possiede ancora qualche bene.
Esempio: Mario è titolare di una piccola impresa edile. Negli ultimi anni il fatturato è crollato e Mario ha accumulato debiti: €50.000 con fornitori, €30.000 con la banca e €20.000 con il fisco. Ha venduto i macchinari per pagare parte dei debiti, ma ora gli restano pochi attrezzi e un furgone. Il suo patrimonio attuale vale forse €20.000 e non ha entrate sufficienti. Mario è sovraindebitato perché, pur non essendo formalmente fallibile (i suoi ricavi erano sotto la soglia), è insolvente: non riuscirà mai a pagare i €100.000 dovuti con i soli €20.000 di beni e i magri utili futuri. Può quindi ricorrere alle procedure di sovraindebitamento, tra cui la liquidazione controllata.
Pregresso e comportamenti rilevanti: la legge richiede anche alcuni requisiti di condotta, specialmente in vista dell’esdebitazione finale (li vedremo in dettaglio più avanti). Ad esempio, non bisogna aver abusato di queste procedure: se il debitore ha già beneficiato di un’esdebitazione meno di 5 anni prima, non può ottenerne un’altra immediatamente. Inoltre, non può averne più di due in totale nella vita. Bisogna inoltre non aver aggravato dolosamente la propria situazione (ad esempio con spese folli sapendo di non poterle pagare, frodi ai creditori, distrazione di beni) pena l’esclusione dal beneficio finale. Questi aspetti però non impediscono di presentare la domanda di liquidazione – cioè la procedura si può aprire comunque – ma potranno eventualmente impedire l’esdebitazione (cioè la cancellazione dei debiti) alla fine. In altre parole, anche un debitore “colpevole” può accedere alla liquidazione controllata per liquidare il suo patrimonio, ma rischia di non ottenere poi la cancellazione dei debiti residui se ha avuto comportamenti gravemente scorretti.
Esclusioni: sono esclusi da queste procedure solo i debitori per cui esistono procedure di insolvenza dedicate. Ad esempio, una grande impresa in crisi deve utilizzare il concordato preventivo o la liquidazione giudiziale (fallimento) ordinaria, non il sovraindebitamento. Oppure enti pubblici, banche o assicurazioni hanno procedure speciali e quindi non rientrano nel sovraindebitamento. Ma queste eccezioni riguardano soggetti molto diversi dagli imprenditori minori.
Riassumendo, può chiedere la liquidazione controllata chiunque abbia debiti insostenibili e non possa essere dichiarato fallito secondo la legge. Se invece il debitore rientra tra i soggetti “fallibili” (es. una S.p.A. o un imprenditore sopra soglia), in caso di insolvenza dovrà affrontare la liquidazione giudiziale (l’ex fallimento).
Come si avvia la procedura: la domanda di liquidazione controllata
La liquidazione controllata può essere attivata sia volontariamente dal debitore, sia “forzatamente” dai creditori o dal Pubblico Ministero in certi casi. Esaminiamo separatamente le diverse modalità di avvio:
1. Ricorso presentato dal debitore (domanda volontaria)
La via più comune è quella del ricorso volontario del debitore sovraindebitato. Chi ha compreso di trovarsi in una situazione debitoria insostenibile e vuole cercare sollievo tramite la procedura, può presentare un’apposita domanda al tribunale competente. Ecco i passi operativi:
- Scelta dell’OCC e primo contatto: La legge prevede che il debitore che vuole accedere alla liquidazione controllata debba rivolgersi a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) competente per territorio. L’OCC è un organismo (spesso istituito presso le Camere di Commercio, gli Ordini dei dottori commercialisti o degli avvocati, o enti pubblici convenzionati) autorizzato a gestire le procedure di sovraindebitamento. Presso l’OCC verrà nominato un gestore della crisi (un professionista abilitato) che assisterà il debitore nella predisposizione della domanda. Non è obbligatorio nominare un avvocato difensore per il ricorso del debitore – infatti, la norma esonera dall’assistenza legale in questo caso, proprio perché c’è la supervisione dell’OCC. Tuttavia, il debitore è libero di farsi assistere anche da un proprio consulente o legale di fiducia se lo desidera, ma ciò non è strettamente necessario per legge.
- Preparazione della domanda e documentazione: Il debitore, con l’aiuto del gestore/OCC, deve raccogliere una serie di documenti che fotografino la sua situazione economica e patrimoniale. Tipicamente serviranno:
- L’elenco completo di tutti i creditori con l’indicazione degli importi dovuti e delle eventuali scadenze o titoli (es: prestito bancario X di €…, fornitore Y €…, Equitalia imposte €…, ecc.).
- L’elenco dettagliato di tutti i beni di proprietà del debitore, indicando per ciascuno il valore e se sono gravati da ipoteche o altri vincoli. Vanno inclusi beni immobili (case, terreni), beni mobili registrati (auto, moto), conti correnti, partecipazioni societarie, beni mobili di valore (macchinari, attrezzature, gioielli, ecc.). In pratica è un inventario del patrimonio.
- La documentazione dei redditi e bilanci: per le persone fisiche le ultime dichiarazioni dei redditi (es. Modello Unico o 730 degli ultimi 3 anni) e buste paga se lavoratore dipendente, estratti conto bancari recenti; per un imprenditore, gli ultimi bilanci o rendiconti dell’attività, la situazione contabile aggiornata, ecc.
- Un’attestazione sulla propria situazione familiare (stato di famiglia) e su eventuali procedimenti in corso: ad esempio, se è un consumatore, un certificato dei carichi pendenti penali, una visura di eventuali protesti, per dimostrare di non avere pendenze ostative.
- Eventuali ulteriori documenti richiesti dall’OCC locale secondo le prassi (alcuni OCC forniscono un elenco di documenti da produrre, come ad esempio una relazione dettagliata sulle cause dell’indebitamento, o dichiarazioni sostitutive su assenza di altre procedure negli ultimi 5 anni, ecc.).
- Relazione dell’OCC: Una volta raccolta tutta la documentazione, il gestore nominato dall’OCC redige una “relazione particolareggiata” da allegare al ricorso. Questa relazione è un elemento fondamentale: in essa l’OCC deve dare una valutazione sulla completezza e attendibilità della documentazione fornita e deve esporre la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore. In pratica, l’OCC verifica che il debitore abbia elencato tutti i debiti e tutti i beni senza nascondere nulla, e descrive come si è generato il sovraindebitamento (cause della crisi) e qual è lo stato attuale (quanti debiti, quali beni disponibili, quale reddito, ecc.). L’OCC non esprime ancora un giudizio di “meritevolezza” (quello sarà valutato più avanti per l’esdebitazione), ma deve segnalare se la documentazione è completa e veritiera. Questa relazione aiuterà il giudice a capire la vicenda e a decidere se ammettere la procedura.
- Ricorso al Tribunale: Predisposto il fascicolo (ricorso + allegati + relazione OCC), si deposita la domanda di liquidazione controllata presso il Tribunale competente. La competenza territoriale in genere è il tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza o sede principale degli affari (il cosiddetto COMI – centro degli interessi principali). Nel ricorso il debitore dovrà indicare: i propri dati anagrafici, la descrizione sommaria dello stato di sovraindebitamento, l’assenza di altre procedure concorsuali applicabili, l’indicazione dell’OCC che trasmette la domanda, e infine la richiesta al Tribunale di apertura della procedura di liquidazione controllata ex art. 268 CCII.
- Forma del ricorso: Non esiste un modulo standard unico nazionale, ma esistono modelli orientativi. Ad esempio, il portale “Piano Debiti” (un’iniziativa di consulenza) ha pubblicato un fac-simile che include:
- Intestazione al Tribunale competente (es: “Tribunale di [X], Sezione Fallimentare/Crisi d’impresa”),Oggetto: “Ricorso per l’ammissione alla liquidazione controllata del sovraindebitato ex artt. 268 ss. CCII”,Esposizione dei fatti: il ricorrente descrive la propria attività (se imprenditore), il numero di dipendenti (se rilevante), il fatturato calato, gli eventi che hanno portato all’insolvenza (es. crisi del settore, pandemia, perdita di un cliente importante, spese impreviste, ecc.), l’elenco dei debiti e creditori, e dichiara di trovarsi in stato di sovraindebitamento ai sensi di legge,Diritto: si richiama l’art. 268 CCII che consente al debitore sovraindebitato di domandare la liquidazione dei beni, e si evidenzia che il debitore rientra tra i soggetti previsti (consumatore/professionista/imprenditore minore, ecc.) e che non sussistono cause di inammissibilità (ad es. nessuna procedura avviata negli ultimi 5 anni, nessuna domanda pendente di piano del consumatore o concordato minore concorrente, ecc.),Documenti allegati: si elenca la documentazione e in particolare la relazione dell’OCC (spesso indicando la data di deposito di quest’ultima),Istanza: formalmente il ricorrente chiede al Tribunale di dichiarare aperta la procedura di liquidazione controllata dei propri beni e di nominare un giudice delegato e un liquidatore (indicando che il liquidatore potrebbe essere individuato nel gestore dell’OCC già designato, come da art. 270 CCII); inoltre di disporre le pubblicazioni di legge (registro imprese se imprenditore, etc.) e ogni conseguente provvedimento.Data e firma del ricorrente (e dell’eventuale avvocato se presente, o del gestore OCC se funge da ausilio nella redazione).
“Il Sig. Mario Rossi, nato a … il …, residente in … (codice fiscale …), titolare della ditta individuale Rossi Costruzioni (P.IVA …), rappresentato dall’Organismo di Composizione della Crisi OCC XYZ con sede in …, espone quanto segue.
… omissis (descrizione della situazione debitoria) …
Ciò premesso, il ricorrente, trovandosi in stato di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, co.1, lett. c) CCII, intende accedere alla procedura di liquidazione controllata ex art. 268 CCII.
Diritto. L’art. 268 CCII consente al debitore in stato di sovraindebitamento di domandare l’apertura di una procedura di liquidazione controllata dei propri beni. Nel caso di specie ricorrono i presupposti di legge: il Sig. Rossi è imprenditore minore non assoggettabile a liquidazione giudiziale, versa in stato di insolvenza, e non ha fatto ricorso ad altre procedure nei cinque anni precedenti (dichiarazione allegata).
Documenti allegati: 1) relazione particolareggiata dell’OCC datata …; 2) elenco completo creditori; 3) inventario beni e attestazione valori; 4) ultime dichiarazioni fiscali; 5) certificato di stato di famiglia e residenza; 6) dichiarazione sostitutiva ex art… (assenza procedure ultimi 5 anni); …
Tutto ciò premesso, il Sig. Rossi, come sopra rappresentato, chiede che l’Ill.mo Tribunale voglia ai sensi dell’art. 270 CCII:
a) dichiarare l’apertura della procedura di liquidazione controllata del sovraindebitato Mario Rossi;
b) nominare il Giudice Delegato e il Liquidatore, preferibilmente nella persona del Gestore della Crisi designato dall’OCC procedente;
c) disporre la pubblicazione della sentenza di apertura nel Registro delle Imprese competente e la trascrizione presso i registri immobiliari relativi ai beni del debitore;
d) nominare l’OCC procedente quale custode e amministratore provvisorio dei beni sino all’immissione in possesso del Liquidatore nominando;
e) provvedere ad ogni ulteriore determinazione conseguente.
…”
- Forma del ricorso: Non esiste un modulo standard unico nazionale, ma esistono modelli orientativi. Ad esempio, il portale “Piano Debiti” (un’iniziativa di consulenza) ha pubblicato un fac-simile che include:
- Deposito e iter iniziale: Una volta depositata la domanda in tribunale (spesso telematicamente via PEC tramite l’OCC stesso), il fascicolo viene assegnato ad un giudice. Il tribunale potrebbe fissare un’udienza per sentire il debitore, oppure decidere in camera di consiglio sulla base degli atti. In genere, essendo un ricorso volontario e completo di relazione OCC, molti tribunali decidono abbastanza rapidamente se aprire la procedura, a meno che non manchi qualche documento o servano chiarimenti. Importante: In alcune prassi, se la documentazione avesse carenze, il giudice può chiedere integrazioni all’OCC invece di respingere subito la domanda. Questo approccio collaborativo evita rigetti formali e dà al debitore la chance di correggere eventuali errori (es. un creditore dimenticato, un documento mancante). È quindi essenziale presentare una domanda il più completa e accurata possibile sin dall’inizio, con l’aiuto dell’OCC.
2. Ricorso presentato da un creditore o dal Pubblico Ministero (azione “forzata”)
Una novità introdotta dal Codice della crisi rispetto alla vecchia legge è la possibilità che siano i creditori o, in certi casi, il Pubblico Ministero (PM) a chiedere l’apertura di una liquidazione controllata, anche contro la volontà del debitore. Ciò rende la procedura più simile, per certi versi, a un fallimento “in miniatura” dove i creditori possono provocare la liquidazione dei beni del debitore non fallibile.
- Iniziativa del creditore: Un creditore (o più creditori) insoddisfatto può presentare un ricorso al tribunale per far dichiarare il debitore in liquidazione controllata, purché il debitore si trovi in stato di insolvenza conclamata. Ad esempio, se un piccolo imprenditore ha smesso di pagare i debiti e un fornitore ritiene che sia insolvente, quel fornitore può chiedere la liquidazione controllata. Il creditore dovrà dimostrare:
- la qualifica del debitore come soggetto sovraindebitabile (es. che è un imprenditore sotto soglia, o un privato, ecc., e non invece fallibile),
- lo stato di insolvenza: tipicamente provando mancati pagamenti gravi o altre evidenze (assegni protestati, pignoramenti infruttuosi, ecc.),
- l’entità del credito e il titolo (ad es. fatture non pagate, decreto ingiuntivo divenuto esecutivo, sentenza, ecc.). Il procedimento seguirà una logica simile a quella di un’istanza di fallimento: il tribunale comunicherà l’udienza al debitore, il quale potrà comparire e opporsi o prospettare soluzioni alternative. Se il debitore nel frattempo vuole evitare la liquidazione forzata, potrebbe cercare di presentare egli stesso un piano del consumatore o un concordato minore, ma deve essere tempestivo (se la situazione è recuperabile).
OCC e difesa: In caso di ricorso del creditore, non è obbligatorio il passaggio tramite OCC per presentare l’istanza. Anzi, l’OCC non è coinvolto in questa fase: il creditore deve farsi assistere da un avvocato (qui sì richiesto) e presentare il ricorso come atto di procedura concorsuale. Il debitore, ricevuta la notifica, farebbe bene a nominare un avvocato per difendersi o quantomeno presentarsi in udienza. In udienza il giudice sentirà le parti: se emerge che il debitore è effettivamente insolvente e non ha proposto altri rimedi, il tribunale potrà aprire la liquidazione controllata d’ufficio.
- Iniziativa del Pubblico Ministero: Il PM può attivarsi solo se l’insolvenza riguarda un imprenditore (quindi non per un consumatore puro) e ricorrono particolari condizioni. In pratica, ciò avviene in casi di rilevante interesse pubblico, ad esempio:
- quando emergono situazioni gravissime di insolvenza nell’ambito di procedimenti penali (es. un imprenditore minore indagato per truffa, dove le vittime sono tanti creditori insoluti),
- o in caso di morte/irreperibilità dell’imprenditore con debiti ingenti non pagati,
analogamente a come il PM può chiedere il fallimento per interesse pubblico. Il PM deposita un’istanza al tribunale allegando le informazioni sull’insolvenza. Anche qui, l’OCC non interviene nella fase iniziale, e il debitore (o i suoi eredi) verrà citato in giudizio.
Effetti della domanda forzata: Se il tribunale riceve un’istanza da creditore o PM, può:
- rigettarla (se non ci sono i presupposti, ad esempio debito sotto soglia, o non c’è insolvenza reale),
- oppure, se i requisiti ci sono, emettere la sentenza che apre la liquidazione controllata, anche senza il consenso del debitore.
Va sottolineato che, in caso di istanza di parte terza, non c’è all’inizio alcuna relazione OCC. Il tribunale, se decide di aprire la procedura, nominerà direttamente un liquidatore (che potrà essere un professionista nominato ad hoc, spesso scelto dall’albo dei gestori della crisi o dei curatori fallimentari locali). Spetterà poi al liquidatore stesso ricostruire la situazione patrimoniale del debitore post-apertura.
Dal punto di vista del debitore, subire un’apertura di liquidazione su iniziativa altrui è ovviamente traumatico: significa perdere il controllo dei propri beni senza aver attivato lui la procedura e senza magari aver potuto scegliere l’OCC o preparare il terreno. È una situazione da evitare, se possibile, attivandosi prima autonomamente.
Consiglio pratico: se sei un imprenditore in grave crisi e un creditore minaccia cause, valuta tu stesso di attivare per tempo una procedura volontaria (come un piano del consumatore o un concordato minore, se percorribili, o la liquidazione controllata volontaria). In questo modo gestisci tu l’iniziativa, magari cercando un OCC di fiducia e predisponendo tutto al meglio, piuttosto che attendere un’azione forzata dei creditori che ti troverebbe impreparato.
Ruoli e soggetti coinvolti: chi fa cosa?
Nella procedura di liquidazione controllata intervengono diversi attori, ciascuno con compiti specifici. È importante per l’imprenditore debitore capire chi fa cosa:
- Il Tribunale e il Giudice Delegato: Il Tribunale (solitamente in composizione monocratica o collegiale a seconda dei casi) emette la sentenza di apertura della liquidazione controllata. Con quella sentenza, nomina un Giudice Delegato (GD) e un Liquidatore. Il Giudice Delegato è il magistrato che seguirà la procedura una volta aperta, prendendo i provvedimenti necessari durante lo svolgimento: ad esempio, esamina lo stato passivo (l’elenco dei debiti), approva il piano di liquidazione, risolve questioni che sorgono (es. autorizza atti del liquidatore, decide sui reclami dei creditori, ecc.). Il Tribunale in senso collegiale potrebbe intervenire nelle fasi iniziale (apertura) e finale (chiusura/esdebitazione) con decreti o sentenze, ma la gestione ordinaria spetta al Giudice Delegato, in modo simile a quanto accade nel fallimento con il giudice delegato.
- L’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e il Gestore: Abbiamo visto che l’OCC entra in gioco principalmente se la domanda è volontaria del debitore. In tale caso, l’OCC:
- Assiste il debitore nella predisposizione del ricorso e raccoglie la documentazione.Redige la relazione particolareggiata iniziale allegata alla domanda).Spesso, viene designato come liquidatore della procedura una volta aperta. Infatti, il Codice prevede che di norma sia nominato liquidatore lo stesso OCC (o il suo gestore) che ha seguito il debitore nella fase di accesso, garantendo continuità. Ciò non toglie che il tribunale potrebbe anche scegliere un diverso liquidatore in casi particolari (ad esempio se emergesse un conflitto di interessi, o se l’OCC non avesse professionalità adeguate per gestire patrimoni complessi).Se nominato liquidatore, l’OCC (o meglio il professionista gestore incaricato) conduce la liquidazione in toto: accumula i beni, li vende, esamina i crediti, redige il piano, ecc., sotto la vigilanza del giudice delegato.Se la procedura è iniziata su istanza di un creditore, l’OCC non è coinvolto all’inizio, ma il tribunale potrebbe comunque scegliere come liquidatore uno degli iscritti agli OCC locali o un professionista con competenze analoghe (es. un commercialista esperto in crisi). In questi casi, l’organismo viene in gioco solo al momento della nomina del liquidatore.
- Il Liquidatore: È la figura centrale che amministra il patrimonio del debitore durante la procedura. Una volta aperta la liquidazione, il liquidatore prende possesso (virtualmente) di tutti i beni del debitore che ne fanno parte e ha il compito di convertirli in denaro per pagare i creditori. I suoi compiti principali includono:
- Inventario dei beni: deve redigere un inventario dettagliato di tutti i beni e i diritti inclusi nella liquidazione (e anche di quelli esclusi, per chiarezza), indicando il presumibile valore di realizzo.Custodia e gestione: assicura che i beni siano custoditi (ad es. se ci sono immobili, può far cambiare le serrature se necessario per garantirne la conservazione; se ci sono beni mobili, può nominarne custode; se l’impresa è ancora attiva, di solito la ferma salvo atti urgenti di conservazione).Apertura del concorso tra creditori: invita i creditori a presentare le proprie domande di credito (insinuazioni) entro un termine. Questo spesso avviene tramite un avviso pubblico e comunicazioni individuali. I creditori dovranno dichiarare quanto gli spetta e su che base, per essere inclusi nel cosiddetto stato passivo.Accertamento del passivo: raccoglie tutte le domande dei creditori e predispone uno stato passivo, ossia l’elenco dei crediti ammessi, classificati per rango (privilegiati, chirografari, ecc.), dopo aver esaminato le richieste e aver eventualmente escluso o contestato quelle non dovute. Il Giudice Delegato tiene un’udienza di verifica dove viene formalizzato lo stato passivo (simile a quanto avviene nel fallimento). Alla fine, c’è un decreto che accerta quali debiti sono ammessi e per quanto.Piano di liquidazione: entro un certo tempo (spesso 60 giorni dall’apertura, se possibile), il liquidatore deve presentare un programma o piano di liquidazione. In esso indica come intende vendere i beni, in quali tempi (notare: per legge dovrebbe concludere le operazioni entro 3 anni), se sono previste azioni particolari (azioni legali per recuperare crediti del debitore, azioni revocatorie per recuperare beni distratti, ecc.), e una previsione di riparto delle somme ai creditori. Il giudice delegato approva questo programma (dopo eventuali osservazioni dei creditori principali, se richieste).Liquidazione (vendita) dei beni: esegue il programma procedendo alla vendita dei beni del debitore. Può organizzare aste giudiziarie (spesso attraverso i canali delle vendite fallimentari), oppure vendere anche tramite trattativa privata se autorizzato e conveniente. Ad esempio, beni mobili di modesto valore possono essere venduti rapidamente anche a trattativa; gli immobili di solito vengono messi all’asta con gli stessi meccanismi delle esecuzioni immobiliari. Il liquidatore può anche cedere eventuali crediti che il debitore vantava verso terzi (per fare cassa subito).Distribuzione del ricavato: incassato il denaro, il liquidatore redige uno o più piani di riparto delle somme, ossia come distribuire i soldi tra i creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione (prima si pagano i creditori con privilegio, ipoteca o pegno, nei limiti del valore dei beni su cui insiste la garanzia, poi quelli chirografari in proporzione). Il piano di riparto è sottoposto al Giudice Delegato per l’approvazione. Una volta approvato, il liquidatore effettua i pagamenti ai creditori.Rendiconto finale e chiusura: esaurite le attività (o trascorso il tempo massimo), il liquidatore presenta il conto finale della gestione e chiede la chiusura della procedura. Su questa base, il Tribunale emette il decreto di chiusura (o sentenza, a seconda delle formalità) e si occupa della fase conclusiva di esdebitazione del debitore.
- I Creditori: I creditori sono i destinatari finali della procedura, nel senso che la liquidazione serve a soddisfarli (per quanto possibile). Tuttavia, individualmente perdono la libertà di agire sul patrimonio del debitore non appena la procedura si apre. Infatti, dall’apertura scattano il divieto di azioni esecutive individuali e il blocco delle procedure esecutive in corso (salvo eccezioni che vedremo dopo, come il caso dei creditori fondiari). I creditori devono quindi:
- Presentare la domanda di insinuazione al passivo entro i termini stabiliti, se vogliono partecipare al concorso e non erano già indicati (anche se il liquidatore li conosce, è buona prassi insinuarsi ufficialmente).
- Possono contestare l’esclusione o il ridimensionamento del proprio credito se il liquidatore non lo ammette integralmente, partecipando all’udienza e, se necessario, proponendo opposizione al decreto che rende esecutivo lo stato passivo.
- Non hanno un comitato dei creditori formale nella liquidazione controllata (la legge non ne parla, riservando il comitato alle procedure maggiori), ma i principali creditori possono comunque interloquire col liquidatore o il giudice (ad esempio presentare osservazioni al piano di liquidazione, o opporsi a certi atti se lesivi).
- Alla fine, ricevono le somme ripartite proporzionalmente. Se un creditore ritiene che il liquidatore abbia gestito male (ad es. venduto sottocosto un bene), può far valere le proprie ragioni con reclami nel corso della procedura o, a procedura chiusa, eventualmente con azioni di responsabilità in casi estremi. Ma in linea di massima, i creditori seguono passivamente l’operato del liquidatore, salvo attivarsi nei momenti previsti (insinuazione, eventuali contestazioni, osservazioni ai piani).
- Il Debitore durante la procedura: Una volta aperta la liquidazione, il ruolo del debitore cambia drasticamente. Perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni inclusi nella procedura (non può più venderli, né gravarli di ipoteche o altro, né incassarne i frutti oltre la parte a lui riservata per mantenersi). Deve collaborare con il liquidatore e il giudice, fornendo tutte le informazioni e documenti richiesti. Non ha un ruolo decisionale: non può opporsi alla vendita dei propri beni (a meno di irregolarità), né pretendere scelte diverse. Tuttavia, il suo comportamento è fondamentale perché:
- Se collabora attivamente e si attiene a tutti gli obblighi (es. consegna documenti, segnala se entrano nuovi redditi, non ostacola le operazioni), questo verrà valutato positivamente ai fini dell’esdebitazione.
- Se ostacola o rallenta la procedura, rifiutando di collaborare, nascondendo informazioni o altro, rischia non solo sanzioni (anche di carattere penale, in caso di condotte fraudolente gravi simili alla bancarotta fraudolenta) ma soprattutto di perdere il beneficio della liberazione dai debiti.
- Può comunque svolgere alcune attività economiche al di fuori della procedura: ad esempio, se ha un reddito da lavoro corrente, continua a percepirlo, ma la parte eccedente il necessario per mantenimento può dover essere versata al liquidatore. Oppure se l’impresa non è cessata, spesso la liquidazione comporta la cessazione, ma se per ipotesi minori ci fossero parti dell’attività che il liquidatore decide di far proseguire temporaneamente (ad es. completare una commessa se aumenta il valore, ma è raro in liquidazione), il debitore potrebbe lavorare sotto indicazioni del liquidatore.
- Patrimonio futuro: La legge prevede un aspetto particolare sulla durata: i beni e redditi che il debitore dovesse acquisire entro i 3 anni successivi all’apertura rientrano comunque nella massa attiva da liquidare. Quindi se, ad esempio, entro 3 anni dall’apertura il debitore riceve un’eredità o vince alla lotteria, dovrà conferirla (salvo le parti impignorabili) ai fini della procedura. Dopo il triennio, invece, ciò che guadagna o riceve è definitivamente suo e non toccabile dai vecchi creditori (anche perché si presume conclusa la procedura con l’esdebitazione ormai accordata). Questa regola incentivante, introdotta per conformarsi alla normativa europea, fa sì che la procedura non si trascini troppo a lungo e che il debitore abbia la prospettiva di ripartire pulito dopo un periodo limitato.
- Altri soggetti: In alcuni casi possono comparire altri soggetti particolari:
- Soci illimitatamente responsabili: se il debitore è, ad esempio, una società di persone (snc o sas) non fallibile, l’apertura della liquidazione controllata per la società si estende di diritto anche ai soci a responsabilità illimitata. In pratica, soci e società saranno coinvolti insieme (analogamente a come in un fallimento di snc falliscono anche i soci). Il tribunale contestualmente nomina la liquidazione controllata anche per i soci persone fisiche. Ciò significa che pure i beni personali dei soci verranno liquidati nella procedura (fatto salvo il minimo vitale e beni impignorabili personali). Questa estensione automatica tutela i creditori societari, che così possono rivalersi anche sul patrimonio personale dei soci, come per legge.
- Eventuale commissario giudiziale o esperto: di regola non c’è una figura di commissario nella liquidazione (a differenza del concordato), il liquidatore fa già tutto. Tuttavia, il tribunale potrebbe nominare un supervisore diverso in casi eccezionali, ma non è la prassi.
- Forze dell’ordine/ufficiali giudiziari: se servono atti di pignoramento o di liberazione di immobili occupati per acquisirli all’attivo, il liquidatore chiederà l’assistenza coattiva di ufficiali giudiziari o forze pubbliche. Ad esempio, se il debitore non consegna spontaneamente un bene, il GD può ordinare un sequestro.
- Esperti stimatori: per vendere alcuni beni (come immobili o oggetti di pregio) spesso il liquidatore si avvale di periti stimatori per ottenere valutazioni aggiornate e procedere a vendite consapevoli.
Riassumendo: il debitore avvia e collabora, l’OCC assiste e spesso gestisce (come liquidatore), il giudice sovraintende, il liquidatore esegue, i creditori partecipano attendendo i riparti.
L’apertura della procedura: dal ricorso alla sentenza di apertura
Una volta presentato il ricorso (volontario o forzoso), ed effettuati i dovuti accertamenti preliminari, il Tribunale emette il provvedimento di apertura della liquidazione controllata. Vediamo come avviene e quali effetti immediati comporta la dichiarazione di apertura.
La sentenza di apertura e i suoi contenuti
Se il tribunale riscontra che ci sono tutti i presupposti di legge (stato di sovraindebitamento/insolvenza, appartenenza del debitore alle categorie ammesse, regolarità formale della domanda, ecc.), emette una sentenza (o decreto) che dichiara aperta la procedura di liquidazione controllata.
Questa pronuncia, secondo l’art. 270 CCII, deve contenere almeno:
- Nomina del Giudice Delegato e del Liquidatore. Come detto, di norma il liquidatore nominato è il medesimo OCC/gestore che ha presentato la domanda per il debitore, se la procedura è volontaria. In caso di istanza di creditore, il liquidatore sarà un professionista nominato ad hoc. La nomina è immediatamente efficace.
- Ordine di pubblicazione: Se il debitore è un imprenditore (anche piccolo), la sentenza va pubblicata nel Registro delle Imprese. Ciò rende pubblica l’esistenza della procedura e ha effetti legali (ad es. opponibilità ai terzi). Se il debitore possiede beni immobili o mobili registrati (es. case, terreni, auto, barche), la sentenza deve essere trascritta nei pubblici registri (Conservatoria dei Registri Immobiliari per gli immobili, PRA per i veicoli, ecc.). Questo per “cristallizzare” la situazione e impedire atti dispositivi fuori procedura.
- Estensione ai soci illimitatamente responsabili: se applicabile (società di persone), la sentenza lo dichiarerà espressamente, aprendo la procedura anche verso i soci.
- Cause di scioglimento societario: Nel caso il debitore fosse una società di capitali o di persone, l’apertura della liquidazione controllata costituisce causa di scioglimento della società (come avverrebbe in un fallimento). Dal 15 luglio 2022, infatti, per legge l’apertura della liquidazione controllata scioglie di diritto le società di capitali e persone. Quindi se Tizio Srl, pur non fallibile, viene ammessa a liquidazione controllata, la società si scioglie e andrà liquidata (nell’ambito della procedura stessa, con il liquidatore nominato).
- Ulteriori disposizioni: il tribunale può assumere provvedimenti urgenti nella sentenza, ad esempio:
- Ordinare al debitore di mettere a disposizione del liquidatore tutti i beni e documenti immediatamente.
- Nominare, se necessario, un custode per i beni prima che il liquidatore entri in funzione (spesso non serve, poiché il liquidatore nominato agisce subito).
- Sospendere eventuali procedure esecutive individuali in corso (anche se ciò avviene già ex lege come vedremo).
- Fissare termini (es. per il deposito dello stato passivo, ecc.).
La sentenza di apertura viene poi notificata o comunicata alle parti (nel caso di istanza di creditore, viene comunicata al ricorrente e al debitore; nel caso volontario, all’OCC e al debitore stesso). Da quel momento la procedura è formalmente iniziata e inscritta con un proprio numero di ruolo (es: “Liquidazione controllata n. XX/2025”).
Un elemento importante è che questa sentenza di apertura produce effetti verso tutti, anche verso i creditori non partecipanti. Significa che, una volta aperta la procedura:
- I creditori anteriori non possono sottrarsi: dovranno far valere le proprie ragioni solo all’interno della procedura.
- Anche se un creditore non era a conoscenza e avvia un pignoramento dopo, questo sarà inefficace se riguarda beni inclusi in liquidazione (perché la notizia è pubblicata nei registri ufficiali).
Effetti immediati dell’apertura sul debitore e sul patrimonio
Con la dichiarazione di apertura, il debitore perde la gestione e la disponibilità del suo patrimonio che rientra nella procedura. In pratica:
- Spossessamento dei beni: Tutti i beni di proprietà del debitore al momento dell’apertura (e quelli che acquisterà nei successivi 3 anni, come visto) diventano vincolati alla procedura. Il debitore non può più compiere atti dispositivi su di essi di propria iniziativa. Se ad esempio aveva in corso la vendita di un immobile, questa non potrà essere perfezionata al di fuori della procedura una volta aperta; sarà il liquidatore a occuparsene. Qualsiasi atto compiuto dal debitore in violazione di ciò (alienazioni, pagamenti, costituzione di garanzie) è inefficace nei confronti dei creditori e può essere revocato.
- Beni esclusi: Alcuni beni però restano fuori dal patrimonio liquidabile, per legge. L’art. 268 comma 3 CCII elenca i beni e crediti impignorabili, che quindi non sono compresi nella liquidazione. In sintesi:
- I crediti a carattere alimentare e di mantenimento (es: pensione minima sociale, assegni di mantenimento ricevuti) e gli stipendi/salari nei limiti necessari al mantenimento del debitore e della famiglia, come stabilito dal giudice. Su questo punto, in pratica, il giudice delegato può fissare una somma mensile o percentuale dello stipendio che il debitore può trattenere per vivere (simile a quanto avviene nel pignoramento di stipendio, dove c’è una quota impignorabile). Quella parte resta al debitore; l’eventuale eccedenza va invece al liquidatore.
- I frutti dell’usufrutto legale sui beni dei figli e i beni del fondo patrimoniale (con i relativi frutti), salvo che i debiti siano legati a bisogni della famiglia (in tal caso, art. 170 c.c. permetterebbe comunque l’aggredibilità). Dunque, se il debitore aveva costituito un fondo patrimoniale con la casa, quella casa tendenzialmente è esclusa se i debiti non riguardano necessità familiari. Attenzione però: se i debiti furono contratti per scopi estranei ai bisogni familiari, il fondo li protegge; se erano per la famiglia, il fondo non protegge. Il liquidatore potrebbe anche agire per far dichiarare inefficace il fondo se costituito in frode (c’è la revocatoria).
- Beni impignorabili per legge: ad esempio, gli oggetti indispensabili al debitore per l’esercizio della professione, entro certi limiti, gli oggetti di stretta utilità domestica, i ricordi di famiglia, le decorazioni al valore, gli animali da compagnia, ecc., come già previsto dall’art. 514 c.p.c. e norme collegate. Questi beni non possono essere toccati né venduti.
- In generale, tutti i crediti impignorabili ex art. 545 c.p.c. (crediti alimentari, sussidi di povertà, ecc.) restano fuori.
- Divieto di pagamenti ai creditori anteriori: il debitore non può più decidere di pagare di testa propria un creditore precedente (sarebbe un pagamento fuori concorso, vietato). Ormai tutti dovranno attendere i riparti ufficiali. Se il debitore facesse un pagamento diretto a uno di essi, rischia la revocatoria o addirittura sanzioni penali (come un atto in frode agli altri creditori).
- Eventuale nomina ad amministratore: In casi di imprese non cessate, a volte il giudice potrebbe nominare lo stesso debitore come amministratore sotto controllo del liquidatore per portare a termine attività pendenti. Ma è una rarità, perché la liquidazione implica di solito la cessazione immediata dell’attività d’impresa (non essendoci la finalità conservativa del concordato). Dunque generalmente l’impresa cessa l’attività al momento dell’apertura e i dipendenti (se ce ne sono) vengono licenziati dal liquidatore, con diritto a insinuare nel passivo le loro spettanze di fine rapporto.
- Documenti e corrispondenza: il debitore deve consegnare al liquidatore i libri contabili (se ne ha), le scritture, la documentazione fiscale, ecc. La sua corrispondenza riguardante il patrimonio può essere deviata al liquidatore (es. il giudice può autorizzare il liquidatore a farsi consegnare la posta indirizzata al debitore relativa a questioni patrimoniali).
In sintesi, dal momento dell’apertura il debitore è sollevato dal peso di gestire i debiti (non può più essere assillato dai creditori, né subire pignoramenti dai singoli), ma perde il controllo dei propri beni, dovendo sottostare alle decisioni del liquidatore e del giudice.
Effetti sui creditori: sospensione delle azioni esecutive e altri effetti
Per i creditori l’apertura della liquidazione controllata comporta essenzialmente l’instaurazione di un “concorso” formale: tutti dovranno soddisfarsi sul patrimonio del debitore secondo le regole della procedura, cessando le iniziative individuali. In particolare:
- Divieto di azioni esecutive individuali e cautelari: Dalla data di pubblicazione della sentenza di apertura, è fatto divieto ai creditori di iniziare o proseguire pignoramenti, sequestri o altre azioni esecutive sui beni del debitore compresi nella liquidazione. Quelle già in corso vengono automaticamente sospese. Ad esempio, se un creditore aveva avviato un pignoramento immobiliare sulla casa del debitore e nel frattempo interviene la liquidazione controllata, l’esecuzione individuale si ferma e dovrà essere il liquidatore a gestire la vendita dell’immobile nell’ambito concorsuale. Questo principio è analogo a quello del fallimento (par condicio creditorum).
- Sospensione del corso degli interessi: Sempre dall’apertura, gli interessi sui debiti chirografari si fermano. Cioè, i debiti senza garanzia non maturano ulteriori interessi durante la procedura (gli interessi si considerano cristallizzati alla data di apertura). Fanno eccezione i crediti garantiti da ipoteca, pegno o privilegio, per i quali gli interessi (nei limiti di legge) possono continuare a maturare entro i limiti di capienza del valore del bene su cui hanno prelazione. (Questo significa che, ad esempio, un mutuo ipotecario sulla casa continua a maturare interessi fino alla vendita della casa, perché tanto tali interessi saranno pagati solo nei limiti del ricavato della casa stessa e secondo le regole degli interessi privilegiati). Ma per i comuni creditori chirografari, l’importo dovuto resta congelato a quella data.
- Chiusura dei conti correnti del debitore: se il debitore aveva conti bancari, il liquidatore li comunicherà alla banca che li bloccherà e li metterà a disposizione per il trasferimento alla massa. I creditori non potranno eseguire trattamenti preferenziali (es. il saldo di conto andrà nella massa, anche se magari la banca avrebbe voluto compensarlo con un proprio credito – la compensazione potrebbe essere vietata a seconda dei tempi in cui è maturata).
- Creditori con diritto di prelazione (ipotecari, pegni, privilegiati): Questi creditori conservano i loro diritti di preferenza sul ricavato dei beni vincolati. Tuttavia, devono anch’essi partecipare alla procedura presentando insinuazione. Non possono eseguire da soli la vendita del bene (salvo il caso particolare dei creditori fondiari, vedi dopo). Ad esempio, la banca con ipoteca sulla casa verrà soddisfatta con precedenza sul prezzo di vendita della casa, ma sarà il liquidatore a venderla e poi a pagare la banca in prededuzione.
- Crediti fiscali e contributivi: Enti come l’Agenzia delle Entrate o l’INPS diventano anch’essi creditori concorrenti. Molte loro pretese godono di privilegi (ad esempio, l’IVA non pagata ha privilegio generale, alcuni contributi hanno privilegio sui mobili, ecc.), quindi saranno trattati come creditori privilegiati. Essi presenteranno domanda alla procedura tramite l’Agente della Riscossione. Non possono attivare nuove cartelle o pignoramenti sui beni del debitore una volta aperta la liquidazione.
- Contratti in corso: la legge specifica meno dettagli sulla sorte dei contratti pendenti (a differenza della disciplina del fallimento). In pratica, se ci sono contratti non ancora completamente eseguiti da entrambe le parti (es: un contratto di fornitura in cui il debitore sovraindebitato doveva ancora consegnare merce e l’altra parte pagare), il liquidatore può valutare se subentrare o sciogliere il contratto. Non c’è nel CCII una norma ad hoc nella parte sovraindebitamento come l’art. 172 LF per il fallimento, ma per analogia si può applicare una disciplina simile: il liquidatore con l’autorizzazione del GD può decidere di sciogliersi dai contratti onerosi non più utili, oppure di adempierli se porta beneficio alla massa (ad esempio, se l’altra parte deve pagare molto di più di ciò che resta da eseguire, potrebbe convenire completare il contratto per incassare). I contratti di lavoro dipendente solitamente vengono risolti (i dipendenti licenziati con pagamento del TFR in privilegio). I contratti di affitto d’azienda, leasing, ecc., vanno valutati singolarmente dal liquidatore.
- Procedimenti giudiziari pendenti: Se il debitore era parte di cause civili, con l’apertura il liquidatore subentra nei giudizi riguardanti beni o diritti inclusi nella procedura. Le cause di recupero crediti dei singoli creditori contro il debitore invece si estinguono o comunque diventano improcedibili perché il credito va fatto valere nella liquidazione. Ad esempio, se c’era una causa di decreto ingiuntivo, questa perderà di oggetto (il creditore deve insinuarsi).
- Caso particolare – Credito Fondiario: Una eccezione importante: nel nostro ordinamento, i crediti fondiari (mutui fondiari, tipicamente i mutui bancari garantiti da ipoteca su immobili, disciplinati dal Testo Unico Bancario) godono di un privilegio processuale speciale. Nel fallimento, la banca fondiaria può proseguire o iniziare l’esecuzione immobiliare sul bene ipotecato anche dopo la dichiarazione di fallimento, pur concorrendo poi in riparto. Questa regola, per come è formulata, si applica anche alla liquidazione controllata, in assenza di deroga espressa. La Cassazione con sentenza n. 22914/2024 ha infatti confermato l’estensione di tale privilegio fondiario alle procedure di sovraindebitamento, compresa la liquidazione controllata. Ciò significa che la banca ipotecaria può procedere separatamente alla vendita dell’immobile ipotecato, nonostante l’apertura della liquidazione controllata, e poi dovrà coordinarsi con la procedura per la distribuzione del ricavato. Questa è una anomalia che molti ritengono “un passo indietro” perché va contro lo spirito di offrire un’unica procedura ordinata. In pratica, però, il debitore sovraindebitato con un mutuo sulla casa potrebbe vedere la banca continuare il pignoramento della casa. Il liquidatore potrà comunque intervenire in quella procedura esecutiva per vigilare e far poi confluire eventuali surplus agli altri creditori. È auspicata una riforma per eliminare questa disparità, ma ad aprile 2025 la situazione è questa. Implicazione pratica: se sei un debitore con un mutuo fondiario, sappi che la banca potrebbe scegliersi la via più rapida per lei (pignoramento) senza aspettare i tempi della liquidazione controllata; per te non cambia l’esito (la casa viene comunque venduta) ma può complicare la gestione coordinata dei debiti.
Riassumendo, l’apertura della liquidazione controllata “congela” tutte le azioni individuali. I creditori devono attendere e partecipare secondo le regole concorsuali. Ciò garantisce un trattamento paritario e una gestione ordinata. Le uniche eccezioni derivano da previsioni di legge esterne (come il credito fondiario) o da casi particolari (contratti in corso, etc., che comunque sono sotto controllo del liquidatore/giudice).
Lo svolgimento della procedura passo dopo passo
Una volta aperta la procedura, inizia la fase operativa vera e propria della liquidazione controllata. Questa fase può durare diversi mesi o qualche anno, a seconda della complessità (numero di beni da vendere, contenziosi, ecc.), ma il Codice e la giurisprudenza spingono perché si concluda entro 3 anni dall’apertura (News) (News), in linea con l’obiettivo di fornire al debitore una seconda opportunità in tempi ragionevoli. Di seguito esaminiamo i passaggi principali:
1. Comunicazioni iniziali e inventario del patrimonio
Subito dopo la nomina, il Liquidatore si attiva per prendere coscienza della situazione:
- Comunicazione al debitore e presa in consegna: Il liquidatore contatta il debitore (se questi non ha già fornito tutto tramite l’OCC) e gli notifica formalmente la sua nomina, chiedendo la consegna di eventuali beni mobili, denaro contante, libretti, titoli, documenti, ecc. Se ci sono beni presso terzi (es: un’auto in un garage, merci in deposito), il liquidatore notifica la sua nomina anche a quei terzi perché riconoscano lui come amministratore dei beni.
- Blocco conti bancari: come accennato, i conti intestati al debitore vengono bloccati. Il liquidatore comunicherà alle banche la procedura aperta (allegando la sentenza) e chiederà di trasferire le giacenze su un conto della procedura (di solito il liquidatore apre un conto corrente intestato “Liquidazione controllata di [nome debitore]” per gestire le entrate/uscite). Alcune somme potrebbero essere lasciate al debitore se erano strettamente personali e impignorabili, ma in genere tutto ciò che non è esente confluisce.
- Inventario e stima beni: Il liquidatore, possibilmente insieme al debitore (che è tenuto a presenziare e collaborare), redige l’inventario dei beni. Ciò significa descrivere e valutare tutti i beni attivi:
- Beni immobili: identificazione catastale, eventuali perizie di stima (potrà incaricare un perito).
- Beni mobili: elenchi di arredi, macchinari, scorte di magazzino, veicoli, con relative stime di valore (spesso basate su valori d’uso o di mercato dell’usato).
- Crediti del debitore verso terzi: es. crediti commerciali o personali esigibili, cause pendenti a favore, crediti fiscali (rimborsi d’imposta) ecc.
- Partecipazioni societarie: se il debitore possiede quote o azioni di società, vengono annotate (il valore dipenderà se hanno mercato).
- Beni esclusi: l’inventario di solito annota anche quali beni sono esclusi (ad esempio, “auto utilitaria XX, necessaria per lavoro, valore 3.000€, lasciata al debitore ai sensi art. 268 co.3, impignorabile”).
- Comunicazione ai creditori: Il liquidatore invia ai creditori noti una comunicazione dell’apertura della procedura e li invita a presentare le loro domande di insinuazione entro un termine. Formalmente, il CCII prevede la comunicazione ai creditori e la pubblicazione sul sito del Ministero della Giustizia (portale procedure concorsuali) e, per imprenditori, anche sul Registro Imprese. Nel comunicato, vengono indicati:
- la data della sentenza di apertura,il nome del giudice delegato e del liquidatore con i recapiti,il termine entro cui i creditori devono presentare le domande di ammissione al passivo e la data dell’udienza di esame (se fissata),modalità pratiche per la presentazione (spesso via PEC al liquidatore o al tribunale con indicazione di numero di procedura).
2. Formazione dello stato passivo (accertamento dei crediti)
Cos’è lo stato passivo: È l’elenco ufficiale di tutti i debiti del debitore ammessi in procedura, con indicazione per ciascuno di quanto spetta e con quale priorità. È fondamentale perché solo i crediti ammessi potranno poi ricevere pagamento nei riparti.
Procedimento:
- Domande di insinuazione: I creditori inviano al liquidatore (o depositano in cancelleria, a seconda delle prassi) la domanda, corredata dai documenti giustificativi. Nella domanda specificano l’importo del credito, la causa (es. fornitura, prestito, risarcimento danni, ecc.), se esiste un titolo esecutivo (sentenza, decreto, ecc.), e se vantano una prelazione (ipoteca, privilegio, pegno) indicando su quali beni o per quale natura.
- Esame delle domande: Il liquidatore esamina ogni pretesa:
- Se la ritiene corretta e fondata, la ammette.
- Se la ritiene parzialmente non dovuta (ad es. interessi richiesti oltre il lecito, o importi gonfiati) la ammette in parte e respinge in parte.
- Se la ritiene infondata o priva di documenti, propone di escluderla (in tutto o in parte).
- Se c’è dubbio su una prelazione, può ammettere il credito ma escludere il privilegio (declassandolo a chirografario).
- Se un creditore non presenta domanda ma il liquidatore sa che esiste quel debito (ad esempio un creditore distratto), il liquidatore può d’ufficio inserirlo lo stesso nello stato passivo (ma non è obbligato farlo se il creditore è negligente; comunque l’obiettivo è censire tutti).
- Predisposizione dell’elenco: Il liquidatore compila l’elenco dei crediti con le proprie conclusioni e lo deposita al Tribunale. A questo punto, il Giudice Delegato tiene l’udienza di verifica (i creditori vengono avvisati). In udienza, il GD esamina eventuali contestazioni:
- Se un creditore è stato escluso o ammesso per meno, può comparire e spiegare perché invece meriterebbe accoglimento.
- Il GD ascolta il liquidatore e il creditore e decide sul punto.
- Decreto di stato passivo: Terminata l’udienza (che in base al numero di creditori può richiedere più sessioni, ma di solito nelle liquidazioni controllate i creditori non sono numerosissimi come in certi fallimenti), il Giudice Delegato emette un decreto che rende esecutivo lo stato passivo. Questo atto elenca in forma definitiva tutti i crediti ammessi, ripartiti in classi:
- Crediti prededucibili: quelli sorti per la procedura stessa (es. compenso OCC, spese di giustizia, ecc.) che verranno pagati prima di tutti.
- Crediti con garanzia reale (ipoteche, pegni): ammessi con indicazione del bene su cui hanno prelazione e dell’eventuale eccedenza chirografaria.
- Crediti privilegiati: secondo le varie categorie (privilegi generali mobiliari come dipendenti, fisco per alcuni tributi, ecc., e privilegi speciali su specifici beni mobili se presenti).
- Crediti chirografari: senza alcuna prelazione.
- Eventuali crediti postergati: (rari nei sovraindebitati, ma ad esempio soci finanziatori che per legge o patti sono postergati a tutti gli altri).
Esempio pratico di stato passivo: Supponiamo una ditta individuale in liquidazione controllata. Potrebbe emergere uno stato passivo così composto:
- Prededuzione: €3.000 spese giustizia + €5.000 compenso liquidatore/OCC (stima). Totale €8.000.
- Privilegiati: €10.000 TFR dipendenti (privilegio generale), €5.000 IVA e €3.000 INPS (privilegio generale), €2.000 fornitore con privilegio artigiano (speciale su macchinari).
- Ipotecari: Mutuo banca €50.000 garantito da ipoteca su capannone (valore stimato capannone €40.000, quindi la banca avrà prelazione solo su quel ricavato, ed eventualmente €10.000 resterebbero scoperti come chirografo).
- Chirografari: €20.000 fornitori vari non privilegiati, €15.000 finanziaria consumo, €… ecc. Questo documento disegna la mappa dei debiti da pagare.
Per il debitore, la formazione dello stato passivo è anche il momento verità: vede riconosciuto l’ammontare totale dei debiti che aveva. Da notare che, una volta chiusa la procedura, solo i crediti ammessi potranno eventualmente essere esdebitati. Un creditore che non si insinua e quindi resta fuori non partecipa ai pagamenti, ma tecnicamente il suo credito dovrebbe estinguersi ugualmente per esdebitazione? Su questo la giurisprudenza è orientata a ritenere che l’esdebitazione copra tutti i debiti anteriori, ammessi o meno, tranne quelli esclusi per legge. Tuttavia è sempre consigliabile che tutti i creditori si insinuino, così da essere coinvolti formalmente.
3. Il piano di liquidazione del Liquidatore
Parallelamente (o subito dopo) l’accertamento del passivo, il Liquidatore predispone il programma di liquidazione dei beni. Questo documento operativo risponde alla domanda: “Come realizzeremo il patrimonio per pagare i creditori?”.
Contenuto tipico di un piano di liquidazione:
- Elenco dei beni da vendere e modalità previste:
- Beni immobili: ad es. “vendita all’asta delegata al professionista (notai) tramite portale delle vendite telematiche, con base €X e ribassi successivi fino a €Y minimo”.
- Beni mobili registrati (auto, ecc.): ad es. “vendita tramite commissionario/istituto vendite giudiziarie, entro 6 mesi”.
- Beni mobili vari: ad es. “lotto unico di attrezzature venduto tramite trattativa privata dopo stima, oppure mediante piattaforma online”.
- Crediti da incassare: ad es. “credito verso Tizio €5.000 derivante da fattura: verrà richiesto il pagamento, in mancanza si valuterà azione legale se conveniente; credito verso Caio €10.000 in causa civile: il liquidatore subentrerà nella causa e valuterà transazione”.
- Eventuali azioni recuperatorie: se il liquidatore ha individuato atti del debitore pregiudizievoli prima della procedura (es. beni regalati a parenti poco prima della liquidazione, pagamenti preferenziali a taluni creditori a ridosso dell’apertura, ecc.), nel piano segnalerà l’intenzione di esercitare le azioni revocatorie opportune. Ad esempio: “Il debitore ha costituito un fondo patrimoniale 1 anno prima della procedura: valuterò azione revocatoria per renderlo inefficace ai creditori” oppure “Il debitore ha pagato interamente il credito dell’amico Mevio appena 2 mesi prima: azione revocatoria di pagamento preferenziale per €…, da promuoversi”.
- Stima dei costi e tempi: il liquidatore indica i costi presunti (ad es. spese aste, compensi per periti, ecc.) e il tempo stimato per chiudere tutto. La legge prevede espressamente che il programma debba prevedere l’ultimazione entro 3 anni dall’apertura (salvo proroghe eccezionali). Questo per ottemperare alla regola generale che la liquidazione controllata non deve durare oltre 3 anni. La Corte Costituzionale ha evidenziato come il termine triennale sia da considerare vincolante per chiudere il procedimento e far scattare l’esdebitazione di diritto. Pertanto il liquidatore cercherà di pianificare vendite e azioni entro tale orizzonte.
- Prospetto di riparto prevedibile: senza impegno, può indicare in base alle stime dei valori quanto potrebbe ricavare e quindi quali percentuali di soddisfacimento potrebbero andare ai creditori (utile per far comprendere l’utilità della procedura). Ad esempio: “previsto realizzo complessivo €50.000, che coprirà integralmente i crediti prededucibili (€8.000) e privilegiati (€20.000), e consentirà una soddisfazione del 30% circa dei crediti chirografari (€22.000 su €70.000)”.
Il piano di liquidazione viene sottoposto al Giudice Delegato per l’approvazione. Il GD può chiedere modifiche o chiarimenti. In alcuni tribunali, il piano viene anche comunicato ai creditori principali per eventuali osservazioni prima di approvarlo. Una volta approvato, diventa la road-map vincolante: il liquidatore dovrà attenersi a quel piano (salvo che circostanze nuove richiedano un aggiornamento in corso d’opera, che però va sempre condiviso col GD).
Nota: in procedura di sovraindebitamento non c’è voto dei creditori sul piano (quello accade nel concordato minore, dove i creditori approvano o meno una proposta). Qui trattandosi di liquidazione, non serve il loro consenso: è un atto gestorio. L’importante è che sia conforme alla legge e adeguato a massimizzare il valore.
4. Liquidazione dei beni (realizzazione dell’attivo)
Questa è la fase “esecutiva” per antonomasia:
- Vendita di immobili: Il liquidatore segue la procedura prevista (generalmente tramite il Tribunale o un notaio delegato). L’immobile viene stimato e messo all’asta. Le aste oggi sono telematiche: si pubblica un avviso sul portale ministeriale, con un prezzo base e eventuali ribassi in caso di asta deserta. Possono esserci più tentativi. Quando si trova un acquirente, il giudice emette decreto di trasferimento. Il ricavato (detratte spese d’asta) va al liquidatore.
- Vendita di beni mobili registrati (auto, moto): Spesso ci si affida all’IVG (Istituto Vendite Giudiziarie) o a piattaforme di vendita online specializzate. Ad esempio, l’auto del debitore verrà venduta magari mediante un portale di aste per veicoli usati, oppure tramite concessionario commissionario.
- Vendita di beni mobili vari: A seconda del valore, o si fa un’asta pubblica (ad esempio per macchinari costosi), oppure si vendono in blocco a un prezzo concordato con un compratore. Se sono beni di modico valore, a volte il liquidatore può anche consentire al debitore di riacquistarli a prezzo di stima (questo in sovraindebitamento è possibile se non lede i creditori – es. il debitore tiene i mobili di casa valutati €500, versando €500 alla massa).
- Cessione d’azienda o ramo d’azienda: Se il debitore era titolare di un’attività avviata, il liquidatore potrebbe cercare di venderla come un tutt’uno (azienda, o singoli rami) per ottenere più di quanto farebbe vendendo asset sparsi. Ad esempio, vendere l’intero negozio con arredi, avviamento, ecc., come continuità. Ciò è fattibile, però la liquidazione non consente l’esercizio provvisorio prolungato come nel fallimento se non in minima parte. Quindi di solito, se c’è un interessato subito, si cede l’azienda “morta”; se invece bisognava tenerla in vita per venderla, è complicato in liquidazione controllata (in quel caso magari si sarebbe preferito un concordato con continuità).
- Incasso dei crediti: Il liquidatore intima i debitori del sovraindebitato a pagare. Se non pagano spontaneamente, può procedere con decreti ingiuntivi e pignoramenti (paradossalmente, il liquidatore ora agisce come creditore verso coloro che dovevano dare soldi al debitore sovraindebitato). Anche qui, valuterà costi/benefici: se un credito è palesemente inesigibile, lo lascerà perdere; se il debitore ha beni, procederà.
- Azioni legali di massa: se previste nel piano, vengono avviate. Ad esempio, revocatoria di atti in frode: il liquidatore cita in giudizio i soggetti che hanno beneficiato di atti a danno dei creditori (es. chi ha ricevuto la donazione di un immobile poco prima del sovraindebitamento) chiedendo di dichiarare inefficace quell’atto. Se vince, quel bene o il suo valore torna aggredibile per i creditori. Queste cause possono durare e rischiano di sforare i 3 anni; c’è quindi da valutare se conviene transare (spesso conviene accordarsi con chi ha ricevuto il bene, tipo: “paga una somma X alla massa e teniti il bene, così chiudiamo subito”).
- Gestione di cause passive: se contro il debitore c’erano cause (es. un risarcimento danni in corso), il liquidatore potrà valutarne la fondatezza. Eventualmente può anche transigere con il creditore-attore e definire l’importo del debito, da mettere nel passivo (così chiude il contenzioso). Oppure, se la causa è meritevole di difesa (es. il debitore era convenuto ma forse non è responsabile), il liquidatore la prosegue difendendosi, perché se vince elimina quel debito.
Man mano che vengono venduti beni e incassati importi, il liquidatore li deposita sul conto della procedura. Non è obbligatorio attendere la fine per pagare i creditori: il liquidatore può fare riparti parziali. Ad esempio, se ha venduto l’immobile principale e incassato molto, può proporre al GD un riparto provvisorio per dare intanto una percentuale ai creditori privilegiati e magari qualcosa ai chirografari, invece di tener ferme le somme. Questo è utile specie se la procedura può durare un po’ (per contenziosi in corso).
Tutto questo si svolge sotto la vigilanza del Giudice Delegato. Alcuni atti del liquidatore richiedono autorizzazione del GD: ad esempio, vendite a trattativa privata senza incanto spesso devono essere autorizzate, transazioni e rinunce ad azioni legali devono essere autorizzate (per evitare che il liquidatore svenda diritti).
5. Conclusione: chiusura della procedura e cancellazione dei debiti (esdebitazione)
Quando il liquidatore ha terminato di liquidare tutto il possibile (o comunque è giunto il termine massimo di durata), si passa alla fase finale.
Cause di chiusura:
- La causa fisiologica è l’esaurimento dell’attivo: non ci sono più beni da vendere né altre attività da svolgere.
- Oppure la condizione temporale: è trascorso il triennio dall’apertura (o il termine prorogato massimo consentito).
- In rari casi la procedura potrebbe chiudersi anticipatamente se, ad esempio, si scopre che non c’erano affatto beni fin dall’inizio (liquidazione c.d. improduttiva, che si chiude subito per mancanza di attivo).
- Anche se i creditori venissero tutti integralmente pagati (caso molto raro), si chiuderebbe perché non c’è più debito.
Il liquidatore deve presentare un rendiconto finale: un documento contabile dove riepiloga tutte le somme incassate e pagate, e la situazione finale (quanto è andato a ciascun creditore). Questo rendiconto viene notificato al debitore e ai creditori, che possono fare osservazioni o contestazioni se qualcosa non torna.
Dopodiché, il liquidatore presenta un’istanza di chiusura al Tribunale, nella quale chiede:
- la chiusura della procedura di liquidazione controllata,
- l’approvazione del rendiconto,
- e (se applicabile) la concessione dell’esdebitazione al debitore ai sensi degli art. 282 e 283 CCII.
Il Tribunale (collegialmente, in genere) emette quindi un decreto di chiusura della liquidazione controllata. Questo decreto:
- constata che tutte le operazioni sono concluse,
- libera il liquidatore dal suo incarico,
- dichiara la procedura chiusa.
L’esdebitazione: il “perdono” dei debiti residui
Contestualmente o immediatamente dopo la chiusura, viene affrontato il tema cruciale per il debitore: l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti rimasti insoddisfatti. Questa è la vera seconda opportunità: il debitore persona fisica (o socio illimitatamente responsabile persona fisica) può ottenere che tutti i suoi debiti concorsuali ancora non pagati vengano cancellati, diventando inesigibili. In altre parole, i creditori non potranno più avanzare pretese per la parte di credito che non hanno recuperato nella liquidazione.
Il Codice della crisi ha introdotto una novità importante: l’esdebitazione “di diritto” dopo 3 anni dall’apertura. In base all’art. 282 CCII, trascorsi tre anni dall’apertura, se ci sono le condizioni, il debitore ottiene di diritto l’esdebitazione. Questo significa che non deve neppure fare formale istanza: è un effetto automatico previsto dalla legge per non prolungare oltremodo l’incertezza. La Corte Costituzionale (pronuncia 19 gennaio 2023) ha confermato che tale norma fissa un termine massimo e garantisce al debitore meritevole la liberazione dai debiti entro quel limite. Tuttavia, in pratica, spesso la chiusura stessa avviene intorno a quel termine, quindi si fonde con esso.
Vediamo le condizioni per ottenere l’esdebitazione (elencate nell’art. 280 CCII):
Il debitore può essere liberato dai debiti a condizione che:
- a) Nessuna condanna per specifici reati gravi: non deve essere stato condannato in via definitiva per bancarotta fraudolenta o altri reati gravi in materia fallimentare o economica (es. reati contro l’economia pubblica, industria e commercio) legati alla sua attività, a meno che non sia stato riabilitato. Se ha procedimenti penali in corso per tali reati o misure di prevenzione applicate, l’esdebitazione può essere sospesa finché non si chiarisce la sua posizione. Questa clausola è per evitare che approfittino della liberazione dai debiti persone che abbiano commesso frodi o crimini finanziari. (Ad esempio, un debitore imputato per bancarotta fraudolenta dovrà prima essere prosciolto o scontare la pena e ottenere riabilitazione, altrimenti niente esdebitazione).
- b) Nessun atto in frode o mala fede nella genesi del debito: il debitore non deve aver distratto beni, simulato debiti, aggravato la situazione con colpa grave o malafede, né fatto ricorso al credito in modo fraudolento. Questa è la valutazione di meritevolezza sostanziale: se ha sperperato attivo, nascosto passività, peggiorato volutamente il dissesto rendendo difficile la ricostruzione del patrimonio, o abusato del credito (ad esempio continuando a fare debiti quando sapeva di essere insolvente cronico), allora non merita la cancellazione dei debiti.
- c) Piena collaborazione durante la procedura: non deve aver ostacolato o rallentato lo svolgimento della procedura, e deve aver fornito tutte le informazioni e documenti richiesti agli organi della procedura. In pratica, chi non collabora (non consegna documenti, non risponde, nasconde un conto, ecc.) perde il beneficio.
- d) Nessuna esdebitazione recente: non deve aver già beneficiato di un’altra esdebitazione nei 5 anni precedenti la fine di questa procedura. Il termine di 5 anni evita l’uso reiterato a breve distanza. Inoltre, la lettera e) aggiunge che non deve aver già avuto esdebitazioni per due volte in totale: quindi al massimo si può essere esdebitati due volte nella vita, la terza no.
- (Implicitamente) che siano trascorsi i termini e soddisfatte le formalità di chiusura.
Queste condizioni vengono valutate dal Tribunale prima di concedere l’esdebitazione. Se tutte sono rispettate, l’esdebitazione viene concessa con decreto.
Se invece risulta che il debitore non soddisfa le condizioni (es: si scopre che ha occultato dei beni, o che aveva fatto atti in frode), il Tribunale nega l’esdebitazione. La negazione deve essere motivata e il debitore può anche opporsi ma se i fatti sono chiari purtroppo perderà il beneficio.
Da notare, rispetto alla vecchia legge 3/2012: prima la valutazione di “meritevolezza” veniva fatta anche prima di aprire un piano del consumatore. Ora, per la liquidazione controllata, la legge esplicitamente dice che la valutazione di questi requisiti avviene dopo la chiusura. Il Tribunale di Ascoli Piceno (sentenza 8.11.2024) ha però ritenuto opportuno talvolta fare un “giudizio prognostico” già in fase iniziale: se vede chiari elementi di mala fede (ad esempio, imprenditore che ha continuato ad indebitarsi con il fisco per anni pur essendo decotto), lo mette a verbale per avvisare che probabilmente l’esdebitazione finale sarà negata. Ma formalmente la procedura viene aperta lo stesso, solo che il debitore è avvertito che potrebbe non avere lo “sconto” finale.
Cosa comporta l’esdebitazione: una volta concessa, tutti i debiti residui anteriori all’apertura sono estinti per il debitore. I creditori non soddisfatti non possono più perseguirlo. Se magari in liquidazione hanno preso il 20% del loro credito, il restante 80% è cancellato: diventa inesigibile. Attenzione: l’esdebitazione non copre eventuali debiti di soggetti coobbligati o garanti. Ad esempio, se il padre del debitore aveva garantito un prestito, la banca può rivalersi sul garante per la parte non pagata (il garante non è protetto dall’esdebitazione altrui). Oppure, se il debitore sovraindebitato era socio illimitato e ottiene l’esdebitazione, questo vale per lui; ma la società in quanto tale, se per assurdo avesse patrimonio residuo o altri soci, comunque la procedura l’ha liquidata, quindi scenario complesso ma in linea generale l’esdebitazione è personale.
Inoltre, alcune tipologie di debito potrebbero non essere coperte dall’esdebitazione se considerate estranee: la norma attuale non menziona… alcune tipologie di debiti. Nello specifico restano esclusi dall’esdebitazione alcuni obblighi personali come, ad esempio, gli assegni di mantenimento e alimentari dovuti per legge e le sanzioni di carattere amministrativo o penale (multe, ammende) che conservano natura punitiva personale. In altre parole, l’esdebitazione libera dai debiti civili e commerciali (prestiti, fatture, mutui, tasse non pagate, ecc.), ma non elimina doveri come il mantenimento familiare né eventuali conseguenze pecuniarie di reati o il risarcimento di danni extracontrattuali causati dal debitore con colpa grave o dolo. Queste ultime obbligazioni restano comunque a carico del debitore anche dopo la chiusura.
Infine, va menzionata una particolare previsione del Codice della crisi in tema di “debitore incapiente”. Se una persona fisica sovraindebitata non possiede alcun bene liquidabile e non ha capacità di offrire ai creditori alcuna utilità immediata, potrebbe non riuscire nemmeno ad accedere alla liquidazione controllata (che presuppone un minimo di patrimonio da liquidare). In tali casi estremi, l’art. 283 CCII, come modificato nel 2022, ha introdotto la possibilità di ottenere comunque l’esdebitazione, presentando una istanza di esdebitazione “a zero”. Il debitore incapiente deve dimostrare la propria buona fede e il fatto di non poter offrire nulla ai creditori, ma si impegna – qualora nei 4 anni successivi dovesse migliorare la sua condizione – a pagare ai creditori almeno il 10% di eventuali nuovi redditi o attivi sopravvenuti. Se trascorrono quattro anni senza novità rilevanti, il beneficio dell’esdebitazione diventa definitivo. Questa misura, utilizzabile una sola volta nella vita, rappresenta il vero fresh start per chi è completamente schiacciato dai debiti senza alcuna risorsa. Tuttavia, non è la liquidazione controllata in senso stretto, bensì un procedimento a parte che va richiesto specificamente e con prudenza (il Tribunale valuta con estremo rigore la meritevolezza in questi casi).
Implicazioni fiscali, patrimoniali e reputazionali della liquidazione controllata
Oltre agli aspetti procedurali, un imprenditore deve considerare anche le conseguenze fiscali, patrimoniali e di reputazione connesse all’accesso alla liquidazione controllata:
- Implicazioni fiscali: A differenza della liquidazione giudiziale (ex fallimento), la liquidazione controllata non ha una disciplina tributaria speciale dettagliata. Nel fallimento, ad esempio, si prevede la chiusura dell’esercizio fiscale alla data di apertura e l’apertura di un “periodo di imposta fallimentare” gestito dalla curatela, con regole proprie. Nella liquidazione controllata, invece, tali previsioni non ci sono. Ciò comporta incertezze operative:
- Le attività eventualmente svolte durante la procedura (ad es. incassi di crediti, vendite di beni) sono tassate secondo le norme ordinarie del TUIR come se le realizzasse ancora il debitore. Non c’è un soggetto giuridico “procedura” distinto dal debitore. Quindi, se il liquidatore vende un immobile a un prezzo superiore al valore fiscale, quella plusvalenza potrebbe essere considerata reddito imponibile per il debitore. Allo stesso modo, i ricavi conseguiti fino alla data di chiusura dell’attività restano imponibili. Questo significa che il liquidatore deve anche gestire gli adempimenti fiscali: ad esempio, presentare la dichiarazione dei redditi per conto del debitore per l’anno in cui avviene la liquidazione e pagare le relative imposte con le somme ricavate (considerando le imposte come debiti prededucibili della procedura). La mancanza di uno “scudo” fiscale rende il lavoro del liquidatore più complesso, perché deve tenere conto delle conseguenze tributarie di ogni vendita.
- Non essendoci un periodo d’imposta ad hoc, non si applica il cosiddetto maxi-periodo d’imposta previsto in caso di fallimento (dove l’anno fiscale del fallimento può durare più di 12 mesi dalla dichiarazione al 31/12). In liquidazione controllata, il debitore prosegue il suo periodo d’imposta normalmente fino al 31 dicembre dell’anno, anche se a gestire i suoi affari è il liquidatore.
- Vi è inoltre disomogeneità nella gestione dell’IVA e delle ritenute: il liquidatore deve subentrare come sostituto d’imposta per eventuali dipendenti licenziati (pagando ritenute IRPEF sulle liquidazioni) e deve eventualmente emettere fatture per vendite assoggettate a IVA (ad esempio cessione di beni strumentali) intestate al debitore ma operate dalla procedura. Non c’è un registro IVA specifico della procedura come per i fallimenti: si usano le partite IVA del debitore. Questo richiede un coordinamento con i professionisti fiscali.
- Le plusvalenze da cessione di beni dell’impresa in liquidazione controllata possono creare obiettiva incertezza: in dottrina ci si chiede se debbano essere tassate in via ordinaria o se possano beneficiare dell’esenzione che talvolta si applica nelle liquidazioni fallimentari. Ad oggi, prevale l’idea che vadano tassate ordinariamente, generando però un debito fiscale ulteriore in capo alla procedura. Il paradosso è che una procedura di sovraindebitamento potrebbe generare nuove pendenze fiscali se non si calcolano bene queste dinamiche. È opportuno dunque che il liquidatore pianifichi le vendite tenendo conto anche delle tasse che si dovranno pagare e le consideri come spese prededucibili, da soddisfare prima di distribuire ai creditori.
- In sintesi, nessuno “sconto fiscale” automatico per la liquidazione controllata: i debiti fiscali pregressi del debitore restano tali (si insinuano come privilegiati se dovuto) e le operazioni compiute durante la procedura seguono le regole fiscali ordinarie. Questa mancanza di coordinamento normativa è stata criticata e si auspica una futura armonizzazione, ma al momento l’OCC e il liquidatore devono prestare attenzione per evitare sorprese (ad esempio, se vendono la casa del debitore con una grossa plusvalenza, calcolare l’IRPEF su quella plusvalenza ed eventualmente accantonarla come prededuzione, per non trovarsi a fine procedura con un debito fiscale non pagato).
- Implicazioni patrimoniali per il debitore: Patrimonialmente, l’impatto è evidente: il debitore vede il proprio patrimonio liquidato. Questo significa perdere la titolarità e disponibilità della gran parte dei propri beni. Se il debitore è un imprenditore, l’azienda viene di fatto smantellata (salvo il caso in cui un terzo la rilevi interamente). Il patrimonio personale (per un imprenditore individuale o un consumatore) viene anch’esso sacrificato: la casa di abitazione può essere venduta (non esiste purtroppo una esenzione specifica per la prima casa, come alcuni auspicavano; solo se l’immobile era gravato da fondo patrimoniale e i debiti erano estranei ai bisogni familiari, si può salvarlo, ma è un caso limite). Ciò comporta che il debitore deve prepararsi ad affrontare un periodo di sacrificio: potenzialmente trovarsi senza casa (dovrà andare in affitto o da parenti), senza veicoli di proprietà, e con il proprio tenore di vita ridimensionato al minimo essenziale per i 3 anni di procedura. È un patrimonio zero in cambio della liberazione dai debiti. D’altro canto, il debitore conserva i beni impignorabili e una quota di reddito per vivere, come visto, quindi non viene azzerato completamente (lo scopo non è punirlo ma liberarlo dal peso debitorio).
- Un aspetto patrimoniale positivo: dopo l’esdebitazione, i nuovi redditi e beni che il debitore acquisirà (oltre il triennio) sono totalmente suoi. Questo incentiva a tornare produttivi. Ad esempio, se un imprenditore fallito non poteva ricominciare subito un’attività a proprio nome per timore di perderne i frutti ai creditori, un sovraindebitato esdebitato può invece tornare in pista sapendo che quel che guadagna dopo è al sicuro dai vecchi creditori. In alcuni casi persone che hanno subito una liquidazione controllata riescono, qualche anno dopo, a ripartire imprenditorialmente sfruttando l’esperienza (e magari evitando gli errori passati).
- Per le società coinvolte (società minori non fallibili): la società viene sciolta e liquidata. Ciò comporta anche la cancellazione della società dal registro imprese a fine procedura. I soci eventualmente illimitatamente responsabili subiscono la procedura sul proprio patrimonio personale come già detto. I soci di capitale, invece, perdono il valore delle loro quote (l’eventuale attivo residuo è destinato ai creditori, non ai soci). Quindi per gli stakeholder dell’impresa c’è la fine dell’investimento e dell’attività societaria.
- Implicazioni reputazionali: Anche se la riforma ha cercato di attenuare lo stigma terminologico (non si parla più di “fallito” ma di “debitore in liquidazione giudiziale/controllata”), l’accesso a una procedura concorsuale di sovraindebitamento comporta inevitabilmente un danno reputazionale. In concreto:
- Il nome del debitore (persona o azienda) comparirà nei registri pubblici relativi alla procedura. Se imprenditore, come detto, l’apertura è iscritta nel Registro delle Imprese, visibile a chiunque faccia una visura. Inoltre, tutte le sentenze di apertura e chiusura sono pubblicate nel registro informatico del Ministero della Giustizia. Questo significa che banche e fornitori potranno facilmente venire a conoscenza della precedente insolvenza.
- L’accesso al credito futuro sarà difficoltoso nel breve termine. Le banche e finanziarie, anche a esdebitazione ottenuta, valuteranno con cautela l’affidare nuovamente chi ha un’insolvenza pregressa. È probabile che per alcuni anni il debitore trovi chiuse le porte a mutui, prestiti, finanziamenti, se non dietro forti garanzie. Ciò detto, paradossalmente, l’esdebitazione lo rende anche libero dai vecchi debiti, quindi potenzialmente con una migliore capacità di indebitarsi nuovamente (non avendo altri pagamenti in corso). Molto dipenderà dalla meritevolezza percepita: un conto è un imprenditore che è fallito/sovraindebitato perché vittima di sfortune, un altro è chi ha dimostrato inaffidabilità o scorrettezza.
- A livello commerciale e professionale, l’evento incide sull’immagine: potrebbe essere più difficile fare affari perché i partner, sapendo della precedente insolvenza, potrebbero esitare. Tuttavia, va detto che la procedura di sovraindebitamento è meno nota al grande pubblico rispetto al fallimento, e spesso circoscritta ad ambienti specifici. Se il debitore è un consumatore, il riflesso reputazionale è limitato al suo circolo di conoscenze (non c’è una pubblicità sui giornali, ad esempio, a differenza di un tempo per i fallimenti). Se è un professionista iscritto ad albi, bisogna verificare se l’insolvenza comporta profili disciplinari: di solito no, a meno che abbia commesso illeciti professionali. Un imprenditore individuale può comunque avviare una nuova ditta dopo l’esdebitazione; se era una società, può aprirne un’altra. Non ci sono interdizioni personali di legge (quelle esistono solo a seguito di condanne penali per bancarotta, ma qui non si parla di fallimento).
- Dal punto di vista emotivo e sociale, affrontare una liquidazione controllata è duro, ma il legislatore ha voluto togliere quella “etichetta di infamia” del passato. Ad esempio, l’art. 279 CCII vieta espressamente che, una volta esdebitato, il debitore venga discriminato per il fatto di aver usufruito dell’esdebitazione: non potrà essergli negato ad esempio un impiego pubblico o un titolo di studio per questo motivo. La seconda chance ha dignità legale. Questo aiuta a ridurre lo stigma e spinge l’economia a reintegrare chi ha fallito.
In definitiva, l’imprenditore che valuta la liquidazione controllata deve essere consapevole che sta intraprendendo una strada di sacrificio patrimoniale e di visibilità pubblica della propria crisi, ma che alla fine offre il vantaggio inestimabile di ripartire da zero senza debiti. Il costo è alto (perdita dei beni, qualche anno di austerità e qualche difficoltà futura nell’accesso al credito), ma spesso è l’unica via per uscire da un tunnel debitorio che altrimenti si trascinerebbe a vita.
Liquidazione controllata, piano del consumatore o concordato minore? – Quando conviene cosa
Le procedure di gestione della crisi da sovraindebitamento oggi disponibili nel Codice della Crisi (Titolo IV e V CCII) sono principalmente tre:
- Ristrutturazione dei debiti del consumatore (il “piano del consumatore” nella vecchia terminologia, artt. 67-73 CCII),
- Concordato minore (equivalente all’accordo di composizione della crisi ex L.3/2012, per debitori non consumatori, artt. 74-83 CCII),
- Liquidazione controllata (artt. 268-277 CCII, più la parte sull’esdebitazione artt. 280-283).
Ognuna ha caratteristiche, requisiti e implicazioni diverse. Quale scegliere? Dipende dalla situazione del debitore e dagli obiettivi perseguibili. Ecco un confronto pratico per capire quando conviene la liquidazione controllata rispetto alle altre opzioni:
- Obiettivo principale:
- Piano del consumatore e concordato minore mirano a trovare un accordo con i creditori o comunque una ristrutturazione dei debiti, spesso con pagamento parziale degli importi dovuti e conservazione di parte del patrimonio. L’idea è: evitare la liquidazione totale, proponendo ai creditori di accontentarsi di una percentuale dei crediti (o di una loro ristrutturazione in termini di scadenze/rate) in cambio di un loro consenso (nel concordato minore) o dell’omologazione giudiziale anche senza consenso unanime (nel piano del consumatore, che non richiede il voto dei creditori ma solo la valutazione positiva del giudice sulla fattibilità e meritevolezza).
- Liquidazione controllata, invece, ha l’obiettivo di liquidare il patrimonio e dare esdebitazione. Non c’è l’idea di salvare i beni del debitore, ma di chiudere i conti vendendo tutto il possibile. Quindi, si sceglierà la liquidazione quando non è realistica una proposta di pagamento parziale che possa soddisfare i creditori, o quando il debitore stesso preferisce liberarsi subito dei beni e puntare all’esdebitazione rapida, anziché impegnarsi per anni a pagare una parte dei debiti.
- Natura del debitore:
- Il piano del consumatore è riservato esclusivamente al consumatore, cioè la persona fisica che ha debiti personali (es. famiglia, credito al consumo, garanzie prestate) non legati ad attività di impresa. Se il debitore è un imprenditore o professionista, questa procedura non è accessibile.
- Il concordato minore è destinato ai debitori non fallibili diversi dal consumatore (imprenditori minori, professionisti, ecc.). Può anche essere utilizzato dal consumatore stesso, ma in pratica per il consumatore è più vantaggioso il piano dedicato, che non richiede il voto dei creditori.
- La liquidazione controllata può essere utilizzata da qualsiasi categoria di sovraindebitato (consumatore o non). Quindi ha un ambito soggettivo più ampio e fungibile. Un consumatore potrebbe scegliere la liquidazione invece del suo piano dedicato, così come un piccolo imprenditore potrebbe optare per la liquidazione invece di un concordato minore.
- Requisiti di accesso e meritevolezza:
- Nel piano del consumatore, il tribunale valuta la meritevolezza del debitore già all’omologa: se il consumatore ha colposamente determinato il sovraindebitamento (ad esempio vivendo sopra le proprie possibilità in modo irresponsabile), può negare l’omologazione del piano, impedendogli di procedere. Serve quindi che il consumatore sia stato almeno in parte “incolpevole” o in buona fede.
- Nel concordato minore, i creditori devono approvare la proposta (serve la maggioranza del 60% dei crediti votanti, salvo integrazioni normative, ma indicativamente è richiesta una larga adesione) e il tribunale verifica alcuni aspetti di legittimità e fattibilità. Non c’è un controllo stretto sulla meritevolezza morale, ma chiaramente se il debitore è screditato, difficilmente otterrà i voti.
- Nella liquidazione controllata, come visto, la valutazione di meritevolezza influisce soprattutto sull’esdebitazione finale, non sull’accesso. Chiunque può accedere (anche il debitore con colpe) ma poi rischia di non essere liberato dai debiti. In pratica, la liquidazione è più “oggettiva”: conta la situazione di insolvenza, punto. Non devi convincere i creditori della bontà del tuo piano né dimostrare subito la meritevolezza (lo farai eventualmente per l’esdebitazione). Dunque conviene la liquidazione se il debitore non è in grado di presentare un piano convincente o teme di non essere considerato meritevole per un piano del consumatore. Ad esempio, un consumatore che ha accumulato debiti per spese voluttuarie potrebbe non vedersi omologare un piano, ma può comunque fare la liquidazione (perderà i beni e forse non sarà esdebitato se le spese erano frutto di grave colpa, ma almeno tenta un reset).
- Convenienza economica per i creditori:
- Nel concordato minore e piano del consumatore, il debitore propone di solito di pagare ai creditori più di quanto otterrebbero in una liquidazione. Questa è la chiave: se ho reddito o beni tali per cui, gestiti con calma e non all’asta forzata, posso dare ad esempio il 40% ai creditori, mentre liquidando frettolosamente i beni si avrebbe solo il 20%, allora conviene a tutti fare un piano/concordato al 40%. I creditori voteranno a favore (nel concordato) perché ottengono di più che in liquidazione, e il giudice omologa (nel piano del consumatore) se vede che la soluzione è migliorativa. Se invece il patrimonio del debitore è ridotto in modo tale che, piano o liquidazione, sempre le briciole andrebbero ai creditori, potrebbe non esserci alcun incentivo a fare un piano. In quel caso, si va in liquidazione direttamente, evitando di prolungare la sofferenza. Ad esempio, se Tizio ha 100.000 € di debiti e solo 10.000 € di beni vendibili, tanto vale liquidare quei 10.000 € e ripartirli (10%) e poi esdebitare il 90%. Proporre in un piano di pagare magari 12.000 € in 5 anni (cioè il 12%) non è detto che interessi ai creditori, e comporta a Tizio 5 anni di sacrifici per poi comunque essere liberato. Spesso in questi casi i creditori preferiscono la liquidazione: incassano subito quel poco (10%) e sanno che il debitore è “pulito” e magari potrà in futuro tornare cliente.
- Va però considerato che nel piano del consumatore il giudice può omologare anche senza consenso dei creditori se ritiene la proposta vantaggiosa e fattibile. Quindi il consumatore potrebbe proporre di pagare solo il 10% comunque, ma magari dilazionato, e il giudice può imporlo ai creditori se pensa che sia il massimo realizzabile e che il consumatore si meriti l’ok. In liquidazione, quei creditori avrebbero avuto subito (forse un po’ meno, al netto dei costi). Quindi la convenienza va misurata caso per caso: piani e concordati funzionano se c’è una prospettiva di realizzo migliore o più efficiente della semplice vendita all’asta dei beni.
- Durata e impegno:
- Un piano del consumatore o concordato minore tipicamente prevede un periodo di esecuzione del piano che va da pochi mesi fino a diversi anni (di solito non oltre 5 anni, ma nulla vieta dilazioni maggiori previo accordo, anche se rare). Durante questo periodo il debitore deve rispettare gli impegni presi: versare ai creditori le somme promesse, magari vendere alcuni beni da solo (se previsto dal piano) o continuare l’attività e destinare utili ai creditori. C’è quindi un impegno di medio termine. Il debitore rimane “sorvegliato” dall’OCC o da un commissario finché non esegue il piano. Solo all’esito positivo avrà l’esdebitazione (che in questi casi è concessa dal giudice al termine dell’esecuzione regolare del piano).
- La liquidazione controllata, invece, dura in media meno (l’orizzonte è 3 anni). E soprattutto, il debitore non deve compiere atti attivi per pagare i creditori – ci pensa il liquidatore vendendo i beni. Il debitore può cercarsi un lavoro e vivere, ma non è obbligato a destinare ai creditori somme ulteriori rispetto a quelle ricavate dalla liquidazione (salvo consegnare l’eventuale surplus di reddito mensile oltre il mantenimento, come visto). Perciò, per un debitore che non vuole o non può impegnarsi a pagare rate per anni, la liquidazione è la via più breve (anche se dolorosa). Ad esempio, un professionista ultra-indebitato ma ancora operativo potrebbe preferire un concordato, impegnandosi a versare ai creditori una parte del suo reddito per 4-5 anni, salvando magari lo studio professionale. Al contrario, un piccolo imprenditore che ha cessato l’attività e non ha prospettive di reddito significative può preferire liquidare tutto e chiuderla lì.
- Salvaguardia di beni specifici:
- Se il debitore ha un bene a cui tiene particolarmente (ad esempio la casa di famiglia) e ha anche un flusso di reddito, potrebbe tentare un piano per conservarlo. Nei piani è possibile prevedere che certi beni non vengano liquidati, a patto di offrire ai creditori il controvalore in altra forma. Ad esempio, evitare la vendita della casa impegnandosi a pagare una rata mensile ai creditori equivalente al ricavato che avrebbero ottenuto vendendola. Se il debitore riesce in questo, salva la casa e paga i creditori dilazionato.
- In liquidazione non c’è scampo: la casa (se non protetta da vincoli legittimi) verrà venduta. Quindi quando l’obiettivo è salvare un asset importante, bisogna tentare un piano/concordato. Naturalmente, questo richiede di avere capacità di pagamento alternative (stipendio, aiuto di familiari, ecc.). Se la casa ha un mutuo ipotecario, un consumatore potrebbe proporre di mantenere la casa continuando a pagare le rate del mutuo e stralciando gli altri debiti: i giudici a volte lo consentono nel piano del consumatore (specie dopo l’intervento della Corte UE sul sovraindebitamento “promiscuo” tra debiti personali e professionali). Quindi c’è flessibilità creativa nei piani.
- Viceversa, se il debitore non ha beni di valore o comunque non gli interessa salvarne alcuno, la liquidazione è spesso la scelta più lineare.
- Coinvolgimento dei creditori e tempi di esdebitazione:
- Il concordato minore richiede un consenso: potrebbe fallire se i creditori votano contro. Quindi c’è un’incertezza intrinseca (anche se il tribunale può convertire un concordato minore non approvato in liquidazione controllata, su istanza del debitore, evitando di dover iniziare da capo con un nuovo ricorso).
- Il piano del consumatore non richiede il voto, ma i creditori possono opporsi e comunque il giudice deve valutarlo attentamente; se rigetta l’omologa, addio piano. Anche qui, però, la legge prevede la conversione in liquidazione controllata su richiesta, se il piano non va a buon fine (per evitare di lasciare il debitore al suo destino).
- La liquidazione controllata non richiede il consenso di nessuno. Si apre e basta, se ci sono i presupposti. Quindi è più certa come avvio. Inoltre l’esdebitazione arriva (di diritto o su domanda) entro 3 anni, mentre in un piano lungo 5 anni, di fatto il debitore ottiene l’esdebitazione solo dopo 5 anni di pagamenti. Certo, in quei 5 anni magari ha tenuto la casa, ma porta con sé il peso del piano. Insomma: liquidazione è breve ma intensa; piano è soft ma prolungato.
- Costi delle procedure:
- Un piano o concordato comporta spese per l’OCC (che redige la relazione iniziale di fattibilità e poi supervisiona l’esecuzione) e per eventuali professionisti (es. un attestatore, se richiesto, o il legale per predisporre gli accordi). Questi costi sono comunque presenti anche in liquidazione (compenso OCC/gestore, spese di giustizia). Tuttavia, nei piani a lungo termine potrebbe esserci la figura di un “commissionario/gestore” durante l’esecuzione che ha diritto a un compenso per diversi anni, mentre la liquidazione paga il liquidatore una tantum sulla base dell’attivo realizzato. In genere, però, la differenza di costi non è enorme: tutte queste procedure hanno costi abbastanza contenuti in rapporto alle procedure fallimentari (spesso i professionisti OCC applicano parametri semplificati). Non dovrebbe quindi essere il costo a far propendere per una o l’altra, se non in casi specifici.
In conclusione, conviene intraprendere la liquidazione controllata quando:
- Il debitore non ha possibilità di offrire ai creditori un piano di pagamento ragionevole, vuoi per mancanza di redditi futuri, vuoi per eccessiva sproporzione tra debiti e attivo.
- Il debitore desidera una soluzione relativamente rapida e definitiva, anche a costo di perdere tutti i suoi beni, perché considera preferibile voltare pagina in 2-3 anni piuttosto che trascinarsi un parziale rimborso per più tempo.
- Ci sono molti creditori e poco da distribuire: tentare di metterli d’accordo sarebbe improbabile, meglio affidarsi a una procedura imparziale.
- Il debitore magari teme azioni dei creditori e vuole un intervento dell’autorità che blocchi tutto (la liquidazione scatta subito e blocca i pignoramenti, mentre un piano ha effetto protettivo solo dal momento del deposito/omologa, sebbene anche per i piani sia prevista una sospensione delle esecuzioni pendenti su domanda).
Viceversa, conviene valutare un piano del consumatore o un concordato minore quando:
- Si dispone di un reddito o supporto finanziario tale da poter offrire ai creditori un pagamento, anche parziale, ma significativo (es. >20-30%) evitando la liquidazione totale del patrimonio.
- C’è interesse a conservare alcuni beni chiave (casa, azienda di famiglia, etc.) e si hanno le risorse per compensare i creditori in altra maniera.
- Il debitore è un consumatore meritevole vittima di eventi sfortunati e con un reddito stabile: il piano del consumatore in tal caso è tagliato su misura, consentendo di ridurre i debiti senza perdere tutto.
- I creditori principali sono banche o finanziarie con cui magari si può trovare un accordo (saldo e stralcio) da formalizzare in un concordato minore: spesso questi creditori preferiscono incassare subito una percentuale concordata piuttosto che attendere la liquidazione.
- L’attività d’impresa del debitore è ancora redditizia in parte e si vuole provare a proseguirla: un concordato minore può prevedere la continuità aziendale (anche se in forma minore) con la quale i creditori vengano soddisfatti col tempo. La liquidazione invece pone fine all’attività.
In ogni caso, la scelta va fatta con l’aiuto dell’OCC o di un consulente esperto, valutando i numeri: di solito si fanno simulazioni. “Se liquido tutto, ai creditori va il X%; se faccio un piano di 5 anni, posso dare Y%. Qual è maggiore? E io debitore cosa preferisco?”. Su questa base si decide.
Molti debitori arrivano alla liquidazione controllata come extrema ratio, magari dopo aver provato invano a ristrutturare il debito bonariamente o tramite piani non andati a buon fine. Ed è importante sapere che la conversione è possibile: se presenti un piano del consumatore e il giudice non lo omologa, puoi chiedere la conversione in liquidazione; se inizi un concordato minore e i creditori lo bocciano, puoi passare a liquidazione. Quindi c’è anche spazio per tentare prima la strada “soft” e poi ripiegare sulla liquidazione. Tuttavia, tentare un piano richiede tempo ed energie, e nel frattempo i creditori possono essere impazienti. Dunque occorre ponderare bene all’inizio quale strada ha più chance di successo.
Per un imprenditore piccolo e sovraindebitato, la domanda da porsi è: “Ho prospettive concrete per pagare almeno una parte significativa dei debiti e voglia di impegnarmi in un piano pluriennale, oppure no?”. Se la risposta è no, la liquidazione controllata probabilmente è la soluzione più adatta e onesta.
In conclusione
Abbiamo visto in dettaglio cos’è e come funziona la liquidazione controllata del sovraindebitato alla luce delle norme vigenti ad aprile 2025. Si tratta di una procedura che, pur comportando sacrifici notevoli per il debitore (liquidazione del patrimonio, perdita dei beni, pubblicità della propria insolvenza), offre una via d’uscita chiara e relativamente rapida da situazioni debitorie altrimenti senza speranza. Per un imprenditore, può significare chiudere con il passato e ripartire senza l’incubo di debiti perpetui.
La liquidazione controllata non è però l’unica opzione: a seconda dei casi, si può valutare un piano di ristrutturazione dei debiti (se c’è la capacità di onorare parzialmente le obbligazioni) o un concordato minore (per imprese e professionisti con possibilità di accordo). La scelta va calibrata sulle specificità della crisi in atto.
Dal punto di vista pratico-operativo, questa guida ha fornito una traccia passo-passo: dalla presentazione del ricorso (anche tramite fac-simile esemplificativo) fino alla chiusura con esdebitazione, toccando il ruolo di OCC, liquidatore e tribunale, nonché gli effetti collaterali in ambito fiscale e reputazionale.
Si allegano di seguito, a mo’ di riepilogo, alcuni schemi di atti e documenti ricorrenti nella procedura:
- Fac-simile di ricorso del debitore per liquidazione controllata, con indicazione dei principali contenuti (come visto nella sezione dedicata).
- Schema di relazione particolareggiata dell’OCC: con punti chiave quali: dati del debitore, elenchi debiti/crediti, cause del dissesto, verifica documentazione, valutazione fattibilità procedura, eventuali note su condotta del debitore.
- Esempio di programma di liquidazione: elenco beni, modalità vendita, tempistiche, previsioni di incasso e spese, ipotesi riparto.
- Fac-simile di istanza di chiusura ed esdebitazione: in cui il liquidatore dichiara compiute le operazioni, presenta il rendiconto e chiede di chiudere la procedura liberando il debitore dai debiti residui ex art. 282 CCII.
Questi modelli vanno sempre adattati al caso concreto, ma possono essere una base di partenza utile.
Intraprendere una liquidazione controllata è una decisione importante, che va presa consapevolmente. Speriamo che questa guida – con il suo linguaggio semplice ma accurato, gli esempi pratici e i riferimenti giurisprudenziali – possa aiutare gli imprenditori e i professionisti sovraindebitati a capire meglio lo strumento e magari a togliere qualche timore infondato. Affrontare la crisi d’impresa con gli strumenti legali giusti è segno di responsabilità e può davvero offrire un nuovo inizio.
Liquidazione Controllata del Sovraindebitato: Perché Affidarsi a Studio Monardo per Affrontarla Correttamente
Quando i debiti sono superiori al valore dei beni e non c’è più alcuna possibilità di rientrare con un piano di pagamento sostenibile, la liquidazione controllata del sovraindebitato diventa l’unica strada percorribile per uscire dalla crisi.
Si tratta di una procedura legale, prevista dalla Legge 3/2012 e oggi regolata dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019), che consente di vendere i beni del debitore sotto il controllo del Tribunale, ottenendo in cambio la possibilità di essere liberato definitivamente dai debiti residui.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa affrontare questa procedura delicata con il supporto di un professionista esperto, abilitato e riconosciuto, che ti guida in ogni fase con chiarezza e competenza.
Che cos’è la liquidazione controllata
La liquidazione controllata è una procedura giudiziale rivolta a:
- ex imprenditori individuali non fallibili
- professionisti
- artigiani
- piccoli commercianti
- consumatori in grave difficoltà economica
Viene attivata quando non è più possibile proporre un piano di ristrutturazione o un accordo con i creditori. Con questa procedura, si mette a disposizione il proprio patrimonio per soddisfare, per quanto possibile, i creditori, sotto la guida di un liquidatore nominato dal Tribunale.
Al termine, se tutte le condizioni previste dalla legge sono rispettate, si può ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti non pagati.
Quando conviene attivarla
La liquidazione controllata è indicata quando:
- il debitore non ha redditi sufficienti per un piano di rientro
- non c’è accordo con i creditori
- vi sono beni vendibili (anche modesti) che possono soddisfare parzialmente i debiti
- si vuole chiudere definitivamente con tutti i debiti, anche tributari o bancari
È una soluzione non punitiva, ma liberatoria, pensata per permettere un nuovo inizio a chi agisce in buona fede.
Cosa fa per te l’Avvocato Monardo
L’Avvocato Giuseppe Monardo è uno dei professionisti italiani più esperti nella gestione delle procedure di sovraindebitamento. Ti assiste in ogni fase della liquidazione controllata:
- analizza la tua situazione patrimoniale e debitoria
- verifica i presupposti per accedere alla procedura
- redige la domanda da presentare al Tribunale, completa di tutti i documenti
- coordina le relazioni con l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- ti affianca durante la nomina del liquidatore e il controllo delle operazioni di vendita
- richiede l’esdebitazione finale, quando prevista, per farti ottenere la cancellazione legale di tutti i debiti residui
Ogni passaggio viene gestito direttamente, con chiarezza, riservatezza e attenzione alle tue esigenze.
Perché scegliere proprio lui
L’Avvocato Monardo è:
- Gestore della Crisi da Sovraindebitamento, iscritto al registro del Ministero della Giustizia
- Fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
- Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, abilitato secondo il D.L. 118/2021
- Coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti specializzati
A differenza di altri consulenti improvvisati, Monardo può attivare e gestire direttamente la tua pratica in tutte le sedi competenti, garantendo professionalità, legalità e risultati concreti.
In conclusione
La liquidazione controllata non è una condanna, ma uno strumento per liberarsi legalmente dai debiti e voltare pagina.
Con l’assistenza dell’Avvocato Giuseppe Monardo, puoi affrontare questa procedura con fiducia, sapendo di essere seguito da un professionista esperto, abilitato e concreto.
Liberarsi dai debiti è possibile, se si sceglie la guida giusta.
Qui tutti i dettagli del nostro Studio Legale specializzato in liquidazione controllata del sovraindebitato: