Quali Sono Le Procedure Per La Composizione Della Crisi Da Sovraindebitamento

Vuoi conoscere nel dettaglio quali siamo le principali procedure per la Composizione Della Crisi Da Sovraindebitamento?

Qui di seguito la nostra guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in procedure per la Composizione Della Crisi Da Sovraindebitamento.

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Introduzione

La crisi da sovraindebitamento è la situazione in cui una persona o un’impresa si trova schiacciata dai debiti e non riesce più a farvi fronte con le risorse disponibili. In Italia, questo fenomeno è stato affrontato per la prima volta in modo organico con la Legge 27 gennaio 2012, n. 3, nota anche come “legge salva-suicidi”, che ha introdotto nell’ordinamento il concetto giuridico di sovraindebitamento. Tale stato viene definito come uno squilibrio perdurante tra le obbligazioni assunte (i debiti) e il patrimonio liquidabile o le risorse correnti disponibili, in modo tale che il debitore si trovi in difficoltà o nell’impossibilità di pagare regolarmente i propri debiti. In altre parole, il sovraindebitamento è quella condizione in cui i debiti superano stabilmente la capacità del debitore di adempiervi, portandolo verso una situazione di insolvenza civile.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento sono strumenti giuridici straordinari pensati per offrire una via d’uscita a debitori “civili” o comunque non fallibili – ossia quei soggetti che, per dimensioni o caratteristiche, non possono accedere alle tradizionali procedure concorsuali come il fallimento (ora liquidazione giudiziale) o il concordato preventivo. La citata Legge 3/2012 ha infatti esteso la possibilità di ottenere l’esdebitazione (cioè la liberazione dai debiti residui) anche ai debitori esclusi dalle procedure concorsuali tradizionali, quali i consumatori, i professionisti, gli imprenditori agricoli e gli imprenditori commerciali di piccole dimensioni. Prima di questa legge, tali soggetti non avevano strumenti efficaci per ristrutturare i debiti o ottenere la cancellazione delle obbligazioni insostenibili, salvo negoziare privatamente con ogni singolo creditore. Con l’introduzione delle nuove procedure, invece, anche il piccolo imprenditore sovraindebitato può rivolgersi al tribunale per proporre un piano di rientro dal debito o, in ultima istanza, liquidare il proprio patrimonio ottenendo la cancellazione dei debiti residui (salvo alcune eccezioni di legge).

Dal luglio 2022, l’intera materia è confluita nel nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, come successivamente modificato), che ha riordinato e aggiornato la disciplina introducendo alcune novità significative. La Legge 3/2012 è stata dunque abrogata a seguito dell’entrata in vigore definitiva del Codice della Crisi (CCI) avvenuta nel 2022, ma i suoi istituti fondamentali permangono, seppur con nuova denominazione e alcuni correttivi. In questa guida, aggiornata ad aprile 2025, esamineremo in dettaglio le procedure attualmente previste per comporre la crisi da sovraindebitamento, ponendo particolare attenzione alle soluzioni per i piccoli imprenditori, ossia quelle imprese di dimensioni ridotte che rientrano nell’ambito di applicazione di queste norme. Il taglio sarà tecnico-giuridico ma con un linguaggio chiaro e accessibile, fornendo esempi pratici, modelli di atti e riferimenti puntuali a norme e pronunce giurisprudenziali rilevanti.

Andiamo ora nei dettagli:

Procedure Per La Composizione Della Crisi Da Sovraindebitamento: Il Quadro normativo aggiornato

Per contestualizzare le procedure di sovraindebitamento, è utile ripercorrere brevemente l’evoluzione normativa e lo stato vigente delle fonti in materia:

  • Legge 27 gennaio 2012, n. 3 – Introdusse per la prima volta in Italia una disciplina organica del sovraindebitamento, guadagnandosi il soprannome di legge “salva-suicidi” per la sua finalità sociale. Questa legge prevedeva tre strumenti principali: (1) l’accordo di composizione della crisi (un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori), (2) il piano del consumatore (una sorta di piano di rientro presentato dal debitore persona fisica “consumatore”, senza necessità di accordo con i creditori) e (3) la liquidazione del patrimonio (procedura liquidatoria concorsuale dei beni del debitore). Contestualmente, vennero istituiti gli Organismi di Composizione della Crisi (OCC) per assistere il debitore nella procedura. La legge 3/2012 è stata oggetto di varie modifiche negli anni successivi per ampliarne l’efficacia: da segnalare in particolare la L. 221/2012 (di conversione del D.L. 179/2012) che apportò i primi correttivi, e soprattutto la Legge 176/2020 (di conversione del D.L. 137/2020 “Ristori”) che ha introdotto importanti novità come la possibilità della procedura familiare e il cosiddetto “cram down” fiscale (ne parleremo in seguito).
  • Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – È il testo unico che ha riformato organicamente il diritto della crisi e dell’insolvenza in Italia, includendo anche le procedure da sovraindebitamento. Il Codice della Crisi (CCI) è stato emanato nel 2019 in attuazione della Legge Delega 155/2017, ma la sua entrata in vigore è stata più volte rinviata e modulata: inizialmente prevista per agosto 2020, è slittata a settembre 2021 e infine al 15 luglio 2022 (anche a causa dell’emergenza Covid-19 che ha richiesto di dare priorità ad alcune misure urgenti in tema di crisi d’impresa). Dal 15 luglio 2022, dunque, le nuove procedure del Codice hanno sostituito quelle della Legge 3/2012. In particolare, la disciplina del sovraindebitamento è ora contenuta nella Parte III del CCI. Il Codice ha rinominato e in parte rimodellato gli strumenti:
    • L’accordo di composizione della crisi del 2012 rivive oggi nella forma del “concordato minore”, pensato per i debitori minori non assoggettabili a liquidazione giudiziale.
    • Il piano del consumatore è confermato come “piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore”, conservandone la sostanza.
    • La liquidazione del patrimonio diventa la “liquidazione controllata del sovraindebitato”.
    • Si prevede inoltre un istituto specifico di esdebitazione del debitore incapiente, una novità assoluta introdotta in parte già nel 2020 e confermata nel Codice (per il debitore persona fisica privo di beni, come extrema ratio).
    Il Codice della Crisi è stato a sua volta integrato e modificato da interventi successivi, tra cui il D.Lgs. 147/2020 (correttivo al Codice, entrato in vigore prima ancora del Codice stesso) e soprattutto il D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83 (c.d. “decreto correttivo” al Codice della Crisi), che ha adeguato la normativa anche alla luce del Regolamento UE 2015/848 sulle procedure d’insolvenza e della Direttiva UE 2019/1023 (sulla ristrutturazione e sull’insolvenza). Ad aprile 2025, la normativa di riferimento è dunque il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019, come modificato, in cui gli articoli dal 65 in poi disciplinano compiutamente le procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (sostituendo integralmente la previgente Legge 3/2012).
  • Normativa secondaria e regolamenti – Oltre alle leggi sopra menzionate, occorre ricordare i decreti ministeriali che regolano gli Organismi di Composizione della Crisi (ad esempio il D.M. 202/2014, regolamento attuativo per l’iscrizione degli OCC) e i vari provvedimenti dei tribunali che hanno adottato protocolli operativi per gestire queste procedure. Tali protocolli (differenti da tribunale a tribunale) forniscono schemi di ricorso, modulistica e linee guida pratiche per la presentazione delle istanze di composizione della crisi. Nella parte dedicata ai modelli di documenti, faremo riferimento a prassi comuni ricavate da tali protocolli.
  • Giurisprudenza – In questi anni si è formata una consistente giurisprudenza di merito (tribunali e corti d’appello) e anche alcune importanti decisioni della Corte di Cassazione che hanno chiarito punti controversi. Ad esempio, la giurisprudenza ha definito i contorni della meritevolezza richiesta al consumatore, ha stabilito che anche i debiti fiscali (IVA inclusa) possono essere inclusi nei piani di sovraindebitamento (nei limiti consentiti dalla legge), e ha affrontato varie questioni procedurali come l’estensione del beneficio dell’esdebitazione ai coobbligati e la possibilità di falcidiare i creditori privilegiati. Nel prosieguo, citeremo alcune pronunce a titolo esemplificativo, unitamente ai riferimenti normativi, per dare conto degli orientamenti attuali.

Quali sono i soggetti ammessi e requisiti di accesso alle procedure per la Composizione Della Crisi Da Sovraindebitamento

Una parte fondamentale è capire chi può accedere a queste procedure e a quali condizioni. La legge infatti non permette a chiunque di utilizzare gli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento: vi sono precisi requisiti soggettivi (relativi alla tipologia di debitore) e requisiti oggettivi (relativi alla situazione di indebitamento e ad eventuali comportamenti del debitore).

Soggetti ammessi (requisiti soggettivi)

Le procedure di sovraindebitamento sono rivolte ai debitori non fallibili, definiti anche come debitori civili. In generale, si tratta di:

  • Persone fisiche consumatori: cittadini privati che hanno contratto debiti per scopi estranei all’attività d’impresa o professionale. Il consumatore puro è colui che ha debiti derivanti, ad esempio, da finanziamenti personali, mutui per la casa, bollette, spese di famiglia, etc., ma non debiti assunti per esercitare un’attività imprenditoriale. Il consumatore meritevole è una delle figure chiave destinatarie delle procedure (in particolare del piano del consumatore).
  • Imprenditori commerciali di piccole dimensioni (piccoli imprenditori): sono quei titolari di imprese che, per dimensione economica, volume d’affari e attivo patrimoniale, rientrano nelle soglie previste dall’art. 1 della vecchia legge fallimentare (R.D. 267/1942) e ora dal nuovo Codice della Crisi per essere esclusi dalle procedure concorsuali maggiori. In termini semplificati, un “piccolo imprenditore” è colui che non supera determinati limiti (storicamente: < €300.000 di attivo patrimoniale annuo, < €200.000 di ricavi lordi annui, < €500.000 di debiti, secondo i parametri indicativi dell’art. 1 L.F. ora trasfusi nel CCI). Tali soglie possono essere state riviste nel Codice, ma il concetto rimane: se l’impresa è troppo piccola per la liquidazione giudiziale (ex fallimento), allora rientra nel perimetro del sovraindebitamento.
  • Imprenditori agricoli: tradizionalmente esclusi dal fallimento (art. 2135 c.c. e art. 1 L.F.), gli imprenditori agricoli con debiti insostenibili possono ricorrere alle procedure di sovraindebitamento. Ad esempio, un coltivatore diretto o un’azienda agricola familiare con debiti verso fornitori e banche potrà accedere a queste procedure, anche se ha un volume d’affari elevato, perché per legge l’agricoltore non è soggetto a fallimento.
  • Professionisti e lavoratori autonomi: categorie come avvocati, medici, artigiani, freelance con partita IVA, che pur esercitando un’attività economica non sono “imprenditori commerciali” in senso stretto. Anch’essi, se indebitati oltre la propria capacità di rimborso, possono utilizzare gli strumenti del sovraindebitamento.
  • Start-up innovative: caso particolare, la normativa sulle start-up innovative (D.L. 179/2012) prevede che esse non siano soggette a procedure concorsuali ordinarie per un certo periodo. In caso di crisi, dunque, una start-up innovativa potrebbe accedere al sovraindebitamento (questa è una questione emersa in dottrina e prassi, sebbene relativamente rara).
  • Enti non commerciali e ONLUS: anche enti come associazioni, fondazioni o ONLUS, che non svolgono attività d’impresa commerciale, se indebitati oltre misura possono teoricamente accedere a queste procedure (purché non esistano procedure ad hoc – ad esempio, gli enti pubblici sono esclusi).

In sintesi, rientrano nel sovraindebitamento tutti i debitori – persone fisiche o enti – che non possono essere assoggettati a liquidazione giudiziale o ad altre procedure concorsuali, qualora si trovino in stato di insolvenza o di crisi. Il Codice della Crisi all’art. 2 fornisce le definizioni chiave, specificando ad esempio chi è l’“imprenditore minore” e chi è il “consumatore” ai fini della legge. È importante sottolineare che anche un piccolo imprenditore societario (es. una s.n.c. o s.r.l. sotto soglia) può essere ammesso: la società commerciale di ridotte dimensioni non fallibile rientra tra i debitori civili.

Esempio: la ditta individuale di un artigiano, con 4 dipendenti e 400.000 euro di debiti, potrebbe essere non fallibile se i suoi ultimi parametri di bilancio rientrano nelle soglie di legge; in caso di insolvenza potrà quindi proporre un accordo di composizione della crisi o richiedere la liquidazione controllata anziché subire un fallimento. Viceversa, un imprenditore sopra soglia (es. fatturato di 1 milione) non può usare queste procedure ma dovrà ricorrere agli strumenti ordinari (concordato preventivo, ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F., ecc.).

Soggetti esclusi: Sono esclusi dall’ambito del sovraindebitamento:

  • Imprese soggette a liquidazione giudiziale (ex fallimento): medie e grandi imprese commerciali in stato di insolvenza devono seguire le procedure concorsuali classiche (liquidazione giudiziale, concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 57 CCI, piano attestato di risanamento, ecc.) e non possono utilizzare le procedure “minori”.
  • Enti pubblici: lo Stato, gli enti territoriali (regioni, comuni) e in generale gli enti pubblici non sono soggetti né al fallimento né alle procedure di sovraindebitamento, essendo previste altre forme di gestione della loro crisi finanziaria (ad es. dissesto finanziario per i comuni).
  • Chi ha già beneficiato di una procedura di sovraindebitamento di recente: la legge pone limiti temporali alla reiterazione. In particolare, non è ammesso un nuovo piano o accordo se il debitore ha già ottenuto l’omologazione di uno strumento di composizione nei 5 anni precedenti. Similmente, se il debitore ha già usufruito dell’esdebitazione (cancellazione dei debiti) a seguito di una precedente liquidazione, non può chiederne una seconda prima che siano decorsi almeno 5 anni (in realtà nel CCI questo termine è portato a 3 anni in alcuni casi, a testimonianza di una volontà di favorire il “fresh start” più rapidamente, recependo parzialmente le indicazioni della direttiva europea).
  • Debitori colpevoli di illeciti gravi: chi ha provocato la propria insolvenza attraverso frodi, atti in frode ai creditori, o comportamenti dolosi potrebbe essere dichiarato inammissibile. Ad esempio, un debitore che abbia dissipato il patrimonio intenzionalmente o nascosto beni ai creditori rischia di vedersi negato l’accesso (per difetto del requisito di buona fede/meritevolezza, di cui diremo a breve).

Condizioni e requisiti oggettivi

Oltre ad appartenere a una delle categorie ammesse, il debitore deve trovarsi in una situazione che giustifica l’avvio della procedura. I principali requisiti oggettivi sono:

  • Stato di sovraindebitamento o insolvenza conclamata: è necessario che il debitore versi in uno stato di crisi (difficoltà grave nel pagare i debiti alle scadenze) o di insolvenza (incapacità definitiva di adempiere alle obbligazioni). Non è richiesta necessariamente una insolvenza immediata (cioè non serve aspettare che il debitore smetta totalmente i pagamenti); anche una situazione di crisi irreversibile o di squilibrio finanziario perdurante che rende probabile l’insolvenza può legittimare l’accesso alle procedure, specie in ottica preventiva. Tuttavia, chi ha solo una lieve difficoltà temporanea non dovrebbe accedere a questi strumenti straordinari.
  • Completezza e trasparenza: il debitore deve fornire un quadro completo e veritiero della propria situazione. La legge richiede la produzione di una documentazione dettagliata: l’elenco di tutti i creditori e dei debiti (con importi, cause, eventuali garanzie), l’inventario di tutti i beni di sua proprietà, l’elenco delle eventuali trasferimenti di beni effettuati negli ultimi anni (per verificare che non abbia distratto attivo a danno dei creditori), le ultime dichiarazioni dei redditi, i bilanci (se è un’impresa o ente), lo stato di famiglia e certificati anagrafici (per individuare possibili coobbligati o comunioni di beni). Se manca qualche elemento essenziale o se vengono fatte dichiarazioni false/omesse, il tribunale può dichiarare inammissibile la proposta o, se la procedura è già in corso, revocarla. La buona fede documentale è quindi un requisito oggettivo fondamentale.
  • Meritevolezza e assenza di frode: pur non essendo sempre espressa in termini di legge per ogni procedura (ad esempio, la legge prevedeva espressamente la meritevolezza per il piano del consumatore, ma non per l’accordo; il CCI ha esteso concetti simili di correttezza a tutti i debitori), è unanimemente richiesto che il debitore non abbia cagionato la situazione con dolo o colpa grave. In pratica, chi vuole accedere alle procedure di sollievo dai debiti deve dimostrare di non aver contratto debiti in modo irresponsabile o fraudolento, confidando magari di non pagarli. La giurisprudenza ha chiarito che ad esempio non è meritevole il consumatore che abbia continuato a spendere in beni voluttuari accumulando debiti ingenti senza una ragione valida, oppure l’imprenditore che dopo aver avviato la crisi continui a aggravare il passivo in modo ingiustificato. Di contro, situazioni come la perdita del lavoro, una malattia, il fallimento di investimenti dovuti a fattori esterni, la crisi economica generale, la morosità dei clienti, ecc., sono circostanze che depongono a favore della meritevolezza del debitore, essendo cause “sfortunate” e non dolose della crisi.
  • Assenza di procedure pendenti: il debitore non deve avere già in corso un’altra procedura concorsuale o di sovraindebitamento. Ad esempio, un imprenditore al quale sia stato già chiesto da un creditore il fallimento (liquidazione giudiziale) può ancora proporre un accordo di composizione, ma la coordinazione tra le procedure è complessa e subordinata a specifiche norme. In linea generale, non possono coesistere due procedure concorsuali sullo stesso soggetto: se pendesse un fallimento, l’accesso al sovraindebitamento è precluso, e viceversa.
  • Pagamenti obbligatori correnti: questo non è un requisito esplicito di ammissibilità, ma è importante notare che l’apertura della procedura di sovraindebitamento non esime il debitore dal continuare a pagare regolarmente gli obblighi che maturano durante la procedura e che non sono oggetto del piano. Ad esempio, se Tizio presenta un piano del consumatore, dovrà comunque pagare le bollette e le spese correnti di mantenimento, nonché eventuali debiti alimentari (assegni di mantenimento) o debiti per obbligazioni future (ad es. contributi previdenziali correnti se è un professionista) che non rientrano nel perimetro dei debiti ristrutturati.
  • Procedura familiare (se applicabile): introdotta dalla L. 176/2020 e ora prevista dal CCI, la procedura familiare consente a più membri della stessa famiglia, conviventi o co-obbligati, di presentare un unico procedimento di sovraindebitamento qualora abbiano debiti in comune o comunque le posizioni sono collegate. Il requisito qui è che i vari debitori familiari siano tutti ammissibili come soggetti (es. marito e moglie entrambi non fallibili) e che l’istanza congiunta consenta una migliore gestione unitaria. In tal caso, occorre l’accordo di tutti i familiari interessati e la nomina di un unico Gestore della Crisi che segue la procedura comune. Questo strumento evita duplicazioni e potenziali conflitti in caso, ad esempio, di coniugi cointestatari di mutui o finanziamenti.

In sintesi, per accedere alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento il debitore (sia esso un individuo o una piccola impresa) deve essere un soggetto non fallibile, trovarsi in uno stato di sovraindebitamento effettivo, comportarsi con trasparenza e buona fede, e rispettare i vincoli temporali e documentali previsti dalla legge. Se queste condizioni sono soddisfatte, si può rivolgere all’Organismo di Composizione della Crisi competente e successivamente al tribunale per avviare la procedura più idonea al caso concreto.

L’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e il Gestore della Crisi

Le procedure di sovraindebitamento prevedono la figura di supporto e controllo dell’Organismo di Composizione della Crisi da sovraindebitamento (OCC). L’OCC è un organismo pubblico o privato appositamente autorizzato e iscritto in un registro tenuto dal Ministero della Giustizia, composto da professionisti esperti in materia (tipicamente commercialisti, avvocati o notai, con specifica formazione concorsuale). Il ruolo dell’OCC è in parte assimilabile a quello di un curatore fallimentare o di un commissario giudiziale, ma con una forte componente di assistenza al debitore nella fase di elaborazione della proposta.

Quando un debitore intende avviare una procedura di composizione della crisi:

  1. Si rivolge ad un OCC territorialmente competente (di solito nella circoscrizione del tribunale dove risiede o ha sede l’impresa). In molte città le Camere di Commercio hanno istituito OCC; esistono OCC costituiti dagli Ordini professionali (es. Ordine dei Dottori Commercialisti) o da associazioni riconosciute.
  2. L’OCC, ricevuta la domanda, designa un Gestore della Crisi individuale, ossia un professionista (spesso un commercialista) che seguirà il caso specifico. Il Gestore avrà compiti di verifica della situazione debitoria, di aiuto nella redazione del piano o accordo, e di successiva supervisione.
  3. Il debitore, con la consulenza e sotto la vigilanza del Gestore, prepara la proposta di piano o accordo e raccoglie tutti i documenti necessari. Il Gestore effettua le verifiche sulla veridicità dei dati forniti (ad esempio, può consultare la Centrale Rischi, fare visure catastali sui beni immobili del debitore, ecc., per confermare l’elenco dei creditori e del patrimonio).
  4. Il Gestore redige una relazione particolareggiata da allegare alla domanda di ammissione al tribunale. In tale relazione, l’OCC/Gestore descrive le cause dell’indebitamento, il comportamento del debitore (valutandone la meritevolezza e se ha posto in essere atti in frode), la completezza della documentazione, e fornisce un giudizio sulla fattibilità e convenienza della proposta di soluzione (in particolare, deve attestare che i creditori, con quella proposta, riceveranno almeno quanto otterrebbero da una liquidazione).
  5. Durante la procedura, l’OCC funge da intermediario tra il debitore, i creditori e il tribunale. Ad esempio, nel caso di un accordo di composizione, sarà il Gestore a raccogliere le adesioni dei creditori alla proposta; nel caso di un piano del consumatore, il Gestore comunica ai creditori il deposito del piano e li informa sugli atti.
  6. Una volta che la procedura viene omologata dal giudice, l’OCC/Gestore ha spesso il compito di vigilare sull’esecuzione del piano o accordo. In pratica, il debitore effettuerà i pagamenti previsti tramite il conto gestito dall’OCC, che poi provvederà a distribuirli ai creditori secondo le percentuali stabilite. Se il debitore non rispetta gli impegni, il Gestore lo segnala al tribunale.
  7. Nella liquidazione controllata, il ruolo del Gestore della Crisi diventa ancor più simile a quello di un curatore: una volta aperta la procedura di liquidazione, è il Gestore (nominato liquidatore) a prendere in mano l’amministrazione del patrimonio del debitore, procedendo a liquidare i beni, predisponendo lo stato passivo (l’elenco dei crediti ammessi a partecipare) e distribuendo il ricavato ai creditori secondo le regole di prelazione.

Il compenso dell’OCC/gestore è stabilito dal giudice in base a parametri fissati per legge (D.M. 202/2014 e succ. mod.) e di solito viene ricavato nell’ambito della procedura stessa (ad esempio è inserito come voce di spesa nel piano, da pagare prima ai professionisti, analogamente alle spese concorsuali). In molti casi, però, è richiesto al debitore di versare un fondo spese iniziale all’OCC per coprire i costi vive (ad es. marche da bollo, notifiche, visure) e un acconto sul compenso. Questa può essere una criticità per i debitori in gravi difficoltà, ma va considerato che l’assistenza dell’OCC è indispensabile e che l’intervento professionale garantisce serietà alla procedura.

Va sottolineato che rivolgersi all’OCC è generalmente il primo passo obbligato: il tribunale infatti non accetta di norma proposte di sovraindebitamento senza il coinvolgimento di un OCC. Solo nell’ipotesi in cui non esista alcun OCC disponibile (caso raro, oramai ce ne sono in ogni regione) il debitore può presentare ricorso al tribunale chiedendo la nomina di un professionista ausiliario ad hoc che svolga le funzioni di OCC nel caso specifico.

Il ruolo “terzo” dell’OCC: Pur assistendo il debitore nella predisposizione della proposta, l’OCC/Gestore mantiene un ruolo super partes, dovendo riferire con correttezza al giudice e tutelare l’interesse generale dei creditori alla massima soddisfazione possibile. È, in un certo senso, un garante sia per il debitore (che ottempera a tutte le formalità) sia per i creditori (che i dati siano veri e il piano serio). La relazione particolareggiata dell’OCC ha un peso rilevante: se l’OCC esprime parere negativo (ad esempio ritiene il piano non fattibile o riscontra atti in frode), è probabile che il tribunale non omologherà la proposta. Di contro, un giudizio positivo dell’OCC sulla fattibilità economica e la correttezza del debitore è un forte indicatore per l’accoglimento.

Competenza territoriale degli OCC: In genere, si sceglie un OCC iscritto presso il tribunale competente. Ad esempio, se il debitore risiede a Firenze, sarà competente il Tribunale di Firenze, e conviene rivolgersi a un OCC operante su Firenze (spesso l’OCC costituito presso l’Ordine dei Commercialisti locale). Sul sito del Ministero della Giustizia è disponibile l’elenco nazionale degli OCC autorizzati, consultabile per regione e provincia, in modo che il debitore possa trovare l’organismo più vicino.

In conclusione, l’OCC e il Gestore della Crisi costituiscono l’infrastruttura tecnica delle procedure di sovraindebitamento: senza il loro intervento, il debitore difficilmente riuscirebbe da solo a districarsi tra i requisiti di legge e a predisporre un piano credibile. Affidarsi a un OCC sin dall’inizio garantisce che la domanda in tribunale sarà completa, ben documentata e conforme alla normativa vigente, aumentando le chance di successo della procedura di composizione della crisi.

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento

Entriamo ora nel vivo delle soluzioni giuridiche offerte al debitore sovraindebitato. Come anticipato, gli strumenti principali (oggi disciplinati dal Codice della Crisi, ma derivanti dagli istituti introdotti dalla L.3/2012) sono tre:

  1. Piano del consumatore (ora piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore): è una procedura riservata esclusivamente ai debitori persone fisiche che siano consumatori, che consente di proporre al giudice un piano di pagamento parziale dei debiti senza il voto dei creditori.
  2. Accordo di composizione della crisi (ora concordato minore): è la procedura in cui il debitore (anche imprenditore o professionista) elabora, con l’accordo di una maggioranza dei creditori, un piano di ristrutturazione dei debiti che viene poi omologato dal tribunale e reso vincolante per tutti i creditori, anche per i dissenzienti.
  3. Liquidazione controllata del sovraindebitato (ex liquidazione del patrimonio): è la procedura liquidatoria in cui il patrimonio del debitore viene messo a disposizione per soddisfare i creditori secondo le regole concorsuali, al termine della quale il debitore persona fisica può ottenere l’esdebitazione (liberazione dai debiti residui).

A queste, aggiungeremo un quarto istituto introdotto di recente: 4. Esdebitazione del debitore incapiente: una particolare procedura (o meglio, beneficio) in cui un debitore persona fisica totalmente privo di beni e redditi immediatamente liquidabili può, in presenza di stringenti condizioni, chiedere la cancellazione dei debiti senza dare alcun attivo ai creditori, impegnandosi però per i 4 anni successivi a soddisfarli se mutasse in meglio la propria condizione.

Ciascuno di questi strumenti ha presupposti e iter procedurali in parte diversi. Di seguito, analizziamo in dettaglio ogni procedura, fornendo anche esempi pratici di applicazione.

1. Piano del consumatore

Cos’è: Il piano del consumatore (nel CCI rinominato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore) è un piano proposto da un debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. In altri termini, è lo strumento pensato per il consumatore in senso proprio. Si tratta di una procedura semplificata, poiché non richiede il consenso dei creditori: il piano, una volta presentato, sarà valutato e potrà essere omologato dal Tribunale anche senza l’accordo dei creditori, purché ricorrano tutte le condizioni di legge. Il giudice, in sostanza, può imporre ai creditori la ristrutturazione proposta, se la ritiene equa e fattibile.

Finalità: Permettere al consumatore onesto ma sfortunato di rimodulare i propri debiti in base alle effettive possibilità di pagamento, garantendogli al contempo il minimo vitale per sé e la famiglia. Spesso il piano del consumatore comporta una falcidia (riduzione) consistente dei debiti, con pagamento parziale e/o dilazionato. È lo strumento più “debtor friendly” perché consente di prescindere dal voto dei creditori, responsabilizzando il giudice a un controllo accurato della meritevolezza e convenienza.

Requisiti specifici: Oltre ai requisiti generali di onestà e completezza documentale già discussi, per il piano del consumatore la legge pone l’accento sulla meritevolezza del debitore. Il tribunale deve valutare che il consumatore:

  • Non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere.
  • Non abbia colpa grave o dolo nell’aver aggravato la propria esposizione debitoria. Ad esempio, se l’indebitamento è frutto di condotte gravemente imprudenti (gioco d’azzardo patologico non curato, spese di lusso sproporzionate rispetto al reddito, ecc.), il giudice potrebbe negare l’omologazione ritenendo il debitore non meritevole.
  • Abbia cercato, prima di ricorrere al tribunale, di bilanciare gli interessi dei creditori. Questo non significa che debba aver tentato per forza una transazione privata con essi, ma se ad esempio emergono atti di favore verso alcuni creditori a scapito di altri (pagamenti preferenziali recenti), ciò può minare la parità di trattamento e quindi la buona fede.

Procedura (iter):

  1. Presentazione del ricorso e del piano: assistito dall’OCC, il consumatore redige un ricorso al tribunale contenente la proposta di piano. Nel ricorso vengono indicati: generalità del debitore, descrizione puntuale di tutte le posizioni debitorie (chi sono i creditori e quanto devono avere), le cause della crisi, il piano di pagamento proposto (es. “il debitore propone di pagare il 20% dei debiti chirografari, pari a €50.000 su €250.000, in 5 anni, mediante rate annuali di €10.000; i crediti ipotecari sulla casa saranno invece soddisfatti integralmente mediante la continuazione dei pagamenti del mutuo…”), l’elenco dei beni e redditi del debitore utilizzabili, l’indicazione dell’OCC e allegati tra cui la relazione particolareggiata dell’OCC.
  2. Verifica di ammissibilità: il tribunale (di regola collegiale, ovvero composto da tre giudici, nei tribunali più grandi, o in composizione monocratica nei tribunali piccoli) esamina il ricorso. Se la documentazione è completa e ricorrono le condizioni soggettive (debitore consumatore) e oggettive (sovraindebitamento conclamato, etc.), il tribunale ammette la procedura con un decreto. In questa fase, il giudice può adottare misure cautelari a tutela del debitore: ad esempio, sospendere eventuali procedure esecutive in corso (pignoramenti, aste) sui beni del debitore, congelandole in attesa della decisione sul piano. Questa sospensione (detta stay o automatic stay) non è automatica ma viene concessa se il debitore ne fa richiesta e se c’è il rischio che un creditore pignori beni pregiudicando il piano.
  3. Notifica ai creditori: siccome i creditori non votano, essi tuttavia devono essere informati. Il tribunale ordina che una copia del ricorso e del piano venga comunicata a tutti i creditori, in modo che possano eventualmente presentare osservazioni o opposizioni. Il creditore potrebbe ad esempio contestare la veridicità dei dati (es. “il debitore ha omesso un suo reddito” oppure “quel bene vale di più di quanto stimato”) o la fattibilità del piano. Tali opposizioni vanno depositate entro un termine fissato.
  4. Udienza di omologazione: il giudice fissa un’udienza in cui viene sentito il debitore e l’OCC. In tale sede valuta le eventuali opposizioni dei creditori e approfondisce gli aspetti dubbi. Due sono i punti cruciali da valutare:
    • Fattibilità e convenienza del piano: Il giudice verifica che il piano offra ai creditori una soddisfazione non inferiore a quella ricavabile da una ipotetica liquidazione dei beni del debitore. Questa è la garanzia per i creditori: se il piano proponesse di pagare meno di quanto i creditori otterrebbero liquidando tutti i beni, sarebbe iniquo. Inoltre verifica che le entrate future previste (es. redditi da lavoro, contributi di terzi) siano realistiche e sufficienti a mantenere i pagamenti promessi.
    • Meritevolezza e buona fede: Il tribunale si accerta, anche attraverso la relazione OCC, che il debitore meriti l’omologazione. Se riscontra frodi, colpe gravi o mancanza di presupposti, rigetta la domanda.
  5. Omologazione: Se tutto è in regola, il tribunale emette un decreto di omologazione del piano del consumatore. Da questo momento, il piano diventa vincolante per tutti i creditori elencati: questi ultimi non potranno più agire individualmente esecutando i loro crediti (pignoramenti, ecc. restano bloccati) e dovranno accontentarsi di quanto previsto nel piano. Il decreto di omologa è comunicato/deliberato anche ai creditori.
  6. Esecuzione del piano: Il debitore, con l’ausilio dell’OCC, dà attuazione al piano. Ciò può durare anni, a seconda della dilazione. Ad esempio, se il piano prevede rate mensili per 5 anni, il debitore ogni mese verserà l’importo concordato (spesso su un conto dedicato gestito dall’OCC o sotto controllo OCC) e alla fine di ogni anno l’OCC distribuirà le somme ai creditori chirografari nella percentuale stabilita. Se il piano prevedeva la vendita di un bene (es. un’automobile, o la rinuncia a una polizza assicurativa per incassare il valore), queste operazioni vengono effettuate seguendo il cronoprogramma del piano.
  7. Esdebitazione finale: Al termine dell’esecuzione, se il debitore ha rispettato tutte le obbligazioni del piano, egli ottiene l’esdebitazione, ovvero la cancellazione di tutti i debiti residui che erano inclusi nel piano e che non sono stati pagati integralmente. Ad esempio, se un creditore aveva un credito di €10.000 e tramite il piano ha ricevuto €3.000 (30%), il residuo €7.000 viene legalmente cancellato e il creditore non potrà più pretenderlo. Il decreto di omologa del piano del consumatore spesso già contiene la disposizione che, a completamento del piano, il debitore è esdebitato di diritto (può essere necessaria un’ulteriore attestazione finale del tribunale, ma si tratta di una formalità).
  8. Revoca o cessazione anticipata: Se il debitore non rispetta il piano (ad esempio salta delle rate in modo non rimediabile, o sopravvengono circostanze per cui il piano non può proseguire), il tribunale – su istanza di un creditore o su segnalazione dell’OCC – può dichiarare la risoluzione del piano. In tal caso, i benefici per il debitore cessano: i creditori riacquistano la libertà di agire per l’intero importo originario dei loro crediti (dedotto solo quanto eventualmente ricevuto durante il piano). Inoltre, se emergesse che il piano è stato ottenuto con dolo o con frode (es. occultando volontariamente un asset), il tribunale può revocare l’omologazione e, nei casi più gravi, segnalare il fatto al pubblico ministero (per reati come frode ai creditori).

Trattamento dei diversi crediti nel piano: Il piano del consumatore deve rispettare alcune regole di trattamento dei crediti:

  • Crediti privilegiati (ipotecari, pignoratizi, privilegi speciali e generali): in generale, questi crediti – come il mutuo ipotecario sulla casa, o il credito dell’erario garantito da privilegio – dovrebbero essere pagati in misura non inferiore a quella realizzabile liquidando il bene su cui grava la garanzia o comunque secondo le regole concorsuali. Non c’è bisogno che siano soddisfatti integralmente se ciò non sarebbe possibile nemmeno in caso di fallimento, ma occorre garantire che la falcidia proposta non li metta in condizione peggiore. Ad esempio, se sulla casa del debitore grava un mutuo residuo di €100.000 e la casa vale €80.000 sul mercato, il piano potrebbe prevedere di pagare €80.000 a quel creditore ipotecario (in modo da dargli quanto prenderebbe vendendo la casa) magari attraverso la vendita volontaria dell’immobile o la surroga di un terzo acquirente. Se invece la casa vale €120.000 e il mutuo è €100.000, il creditore ipotecario è teoricamente coperto al 100%; ridurre quel credito pagandolo al 50% (€50.000) non sarebbe equo a meno che il creditore accetti volontariamente – ma nel piano consumatore, non avendo voto, il giudice non potrebbe omologare un trattamento così deteriore per l’ipotecario, perché non rispetterebbe il parametro della convenienza rispetto alla liquidazione.
  • Crediti chirografari (senza garanzie): questi sono quelli che usualmente vengono falcidiati anche in misura consistente. Il piano può prevedere che ne venga pagata solo una percentuale. Non esiste per legge una percentuale minima uguale per tutti: anche solo il 10% o 5% potrebbe essere ammesso se è il massimo che il debitore può pagare e se in un’alternativa liquidatoria i creditori chirografari magari non riceverebbero nulla. L’importante è che ci sia equilibrio e che eventuali differenziazioni tra chirografari siano giustificate (nel piano del consumatore, diversamente dall’accordo, non c’è una votazione, quindi il tema delle classi è meno stringente; tuttavia, ad esempio, il debitore potrebbe voler pagare al 100% alcuni debiti ritenuti “meritevoli” – es. i debiti alimentari verso un parente, oppure i debiti verso uno specifico piccolo fornitore che vuole favorire – ma qui occorre cautela perché un trattamento preferenziale potrebbe essere letto come atto discriminatorio, quindi di norma i chirografari vengono soddisfatti in percentuale uguale per tutti).
  • Crediti impignorabili o non toccabili: alcune tipologie di crediti, per loro natura, non possono essere ridotti nemmeno da queste procedure, perché non sarebbero toccati nemmeno in un fallimento. Ad esempio, le obbligazioni di mantenimento (assegno divorzile, alimenti ai figli) non sono debiti “concorsuali” e quindi il piano non li modifica. Anche le sanzioni penali pecuniarie e in parte le sanzioni amministrative per multe non sono suscettibili di esdebitazione (il piano potrebbe prevedere di pagarle ratealmente, ma non può cancellarle del tutto).
  • Debiti fiscali e IVA: tradizionalmente, la legge fallimentare vietava la falcidia dell’IVA e delle ritenute operate e non versate. La legge sul sovraindebitamento, specie dopo la modifica del 2020, ha invece aperto alla possibilità di stralciare anche l’IVA, purché l’Agenzia delle Entrate (o ente competente) acconsenta. Nel piano del consumatore, non essendoci voto, la questione è stata risolta dal legislatore prevedendo che il giudice può omologare il piano anche con debiti IVA non pagati integralmente solo se ritiene che il trattamento riservato a quel credito fiscale sia congruo (non inferiore a quanto otterrebbe in liquidazione) e non vi siano alternative migliori. La riforma del 2020 (L.176/2020) ha introdotto il meccanismo del cram-down fiscale: sostanzialmente, il tribunale può approvare il piano anche senza il voto favorevole dell’erario, purché la proposta preveda il pagamento di almeno il 20% dell’IVA e delle ritenute fiscali e comunque non meno di quanto il Fisco otterrebbe dalla liquidazione del patrimonio del debitore. Questo meccanismo, ora recepito nel CCI, consente di includere tutti i debiti fiscali nel piano, superando l’ostacolo di un eventuale dissenso dell’ente pubblico, a condizione di garantire una soddisfazione minima. Ad esempio, se il debitore ha €10.000 di IVA non versata, dovrà offrire almeno €2.000 su tale importo (20%) nel piano per sperare nell’omologa anche in assenza di adesione formale dell’Agenzia Entrate.

Vantaggi del piano del consumatore:

  • Nessun voto dei creditori: ciò evita che uno o pochi creditori possano bloccare una proposta ragionevole. È particolarmente utile quando c’è un creditore molto grande o ostile (es. una banca, il fisco) che diversamente non aderirebbe.
  • Taglio del debito su misura: il piano viene costruito a partire dalle reali possibilità del debitore. Ad esempio, se il debitore può permettersi di pagare €500 al mese, il piano sarà tarato su quell’importo, senza dover liquidare forzatamente tutti i beni (magari il debitore può mantenere la casa se riesce a sostenere il mutuo corrente, includendo nel piano solo gli altri debiti).
  • Salvaguardia di beni essenziali: il giudice può autorizzare il debitore a non liquidare alcuni beni se ciò non pregiudica la convenienza del piano. Ad esempio, se il debitore ha un’automobile di modesto valore necessaria per andare al lavoro, il piano potrebbe prevedere che se la tenga e continui a usarla, anziché venderla e distribuire ai creditori poche migliaia di euro che però comprometterebbero la sua capacità di produrre reddito.
  • Sospensione delle azioni esecutive: sin dal decreto di ammissione, i creditori vengono bloccati: niente più telefonate dei recupero crediti, niente pignoramenti, niente distacchi di utenze per morosità pregressa (le compagnie non possono interrompere forniture essenziali se il debitore rientra in un piano omologato, a patto che paghi le bollette correnti).
  • Cancellazione debiti residui: come detto, una volta eseguito il piano, il debitore esce pulito dai debiti pregressi, potendo davvero ripartire da zero (fresh start).

Limiti e svantaggi:

  • Accessibile solo a consumatori non imprenditori: se anche una minima parte dei debiti deriva da attività di impresa, il debitore non può usare questo strumento ma deve passare per l’accordo. Ad esempio, se una persona ha prevalentemente debiti da spese familiari ma anche un piccolo debito derivante dalla cessata attività di un negozio (debito verso fornitore), secondo un orientamento rigoroso non è qualificabile come “consumatore puro” e quindi niente piano del consumatore (nella prassi però c’è flessibilità: se la parte di debito “non consumo” è minimale, qualcuno ammette comunque il piano consumatore).
  • Controllo giudiziale stringente: l’assenza del voto dei creditori è bilanciata da un vaglio più severo del tribunale. Non è raro che i giudici chiedano integrazioni, modifiche al piano o che addirittura neghino l’omologa se ritengono che il debitore non offra abbastanza rispetto alle sue capacità effettive. Ad esempio, se uno ha uno stipendio buono e propone di pagare solo il 10% dei debiti, il giudice potrebbe eccepire che avrebbe potuto fare di più stringendo la cinghia.
  • Durata limitata ragionevole: sebbene la legge non fissi una durata massima per il piano, i giudici generalmente ritengono che un piano non debba protrarsi troppo a lungo. Un orizzonte tipico sono 5 anni (a volte si arriva a 7 anni in casi eccezionali, specie se c’è di mezzo la vendita di un immobile che richiede tempo). Piani dal respiro estremamente lungo (10-15 anni) non sono visti di buon occhio, perché mantengono il debitore e i creditori in una condizione di incertezza prolungata e spesso non sono credibili (in un arco di 10 anni può accadere di tutto).
  • Impegno rigoroso per il debitore: una volta omologato, il piano diventa legge per il debitore. Deve privarsi di tutto l’extra reddito come promesso. Se sopravvengono miglioramenti delle sue finanze (es. un aumento di stipendio significativo, un’eredità), in alcuni casi i creditori potrebbero chiedere di modificare il piano o, se ciò non è possibile, l’unica conseguenza è che il debitore comunque pagherà il dovuto e terrà per sé gli extra. Sta al debitore valutare la propria capacità di rispettare il piano anche in futuro: fallire un piano del consumatore può peggiorare la sua situazione (perde tempo e soldi delle rate versate e si trova ancora indebitato).

Esempio pratico (piano del consumatore):
Mario è un impiegato di 45 anni, divorziato, senza figli a carico, che si è indebitato negli anni per far fronte a spese mediche e sostegno ai genitori anziani. Ha accumulato €100.000 di debiti: €30.000 di carte di credito, €20.000 di prestiti personali con finanziarie, €25.000 di debiti verso Equitalia (multe e qualche imposta non pagata), €15.000 di bollette arretrate e €10.000 di scoperto di conto. Attualmente guadagna €1.800 netti al mese, paga €600 di affitto e ha spese fisse mensili per circa €800 (viveri, utenze correnti, trasporti). Non possiede casa né altri beni di rilievo (solo un’auto vecchia). Da solo, anche vivendo al minimo, potrebbe destinare circa €400 al mese (risparmiando su qualche spesa) ai creditori, il che in 5 anni farebbe €24.000 – chiaramente insufficiente a coprire €100.000 di debiti. Mario allora si rivolge all’OCC e propone un piano del consumatore così strutturato:

  • Pagamento di €300 al mese per 5 anni (totale €18.000) da ripartire proporzionalmente tra tutti i creditori chirografari.
  • Destinazione immediata ai creditori di una piccola liquidità (€2.000) che ha in TFR accantonato (anticipabile).
  • Pertanto, soddisfazione complessiva prevista: circa €20.000 su €100.000, pari al 20% del totale chirografario.
  • Equitalia (Agenzia Entrate Riscossione) otterrà la sua quota del 20% (es. su €25.000, €5.000) che corrisponde più o meno a quanto recupererebbe pignorando lo stipendio di Mario per qualche anno (valutato che al netto del minimo vitale potrebbe pignorargli 1/10, ovvero €180/mese, ciò darebbe circa €10.000 in 5 anni; ma essendoci anche altri creditori concorrenti, la soddisfazione effettiva sarebbe minore – dunque €5.000 non è irragionevole).
  • I creditori finanziari vedrebbero una perdita dell’80%, ma l’alternativa per loro sarebbe quasi nulla (Mario è nullatenente, un pignoramento del quinto dello stipendio genererebbe €360/mese complessivi per tutti i creditori e con la concorrenza tra loro chirografari – scenario che il piano riepiloga per dimostrare la convenienza comparativa).
  • Mario si impegna a mantenere uno stile di vita frugale; nella relazione OCC viene evidenziato che l’indebitamento è dipeso da fattori meritevoli (spese mediche, assistenza familiare) e non da sprechi. Non risultano atti di frode.
  • Il tribunale valuta che il piano è fattibile (Mario ha un contratto a tempo indeterminato, quindi le entrate sono stabili; €300/mese gli lasciano un margine di sicurezza rispetto alle sue spese vive) e che i creditori non subiscono un pregiudizio rispetto al fallimento (anzi, forse leggermente di vantaggio rispetto al caos di pignoramenti multipli).
  • Nonostante l’Agenzia Entrate Riscossione non abbia formalmente “approvato” di prendere solo €5.000 su €25.000, il tribunale applica il meccanismo di cram-down e omologa il piano, ritenendo sufficiente quella quota.
  • Per 5 anni Mario vive con i restanti €1.500 al mese, stringendo la cinghia. L’OCC controlla che versi puntualmente i €300 mensili. Alla fine dei 5 anni, Mario ha pagato €20.000 totali. Il tribunale emette decreto di attestazione di avvenuto adempimento e conseguente esdebitazione: gli €80.000 di debito non pagati sono cancellati. Mario potrà ricostruirsi una vita creditizia, ovviamente con più prudenza.

2. Accordo di composizione della crisi (concordato minore)

Cos’è: L’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento era, nella L.3/2012, la procedura aperta a qualsiasi debitore non fallibile (inclusi i piccoli imprenditori, professionisti, consumatori, etc.), basata sul raggiungimento di un accordo con i creditori. Nel nuovo Codice della Crisi, la figura analoga è denominata “concordato minore” (artt. 74 e ss. CCI): si tratta di un concordato dedicato ai debitori minori, distinto dal concordato preventivo delle grandi imprese. In sostanza, è una procedura molto simile a un concordato preventivo semplificato: il debitore propone un piano, i creditori votano, se si raggiunge la maggioranza il tribunale omologa e il piano diventa vincolante per tutti.

Questa procedura è rivolta tipicamente ai piccoli imprenditori e in generale a chi non è consumatore oppure, pur essendolo, preferisce cercare l’accordo dei creditori (ad esempio per proporre soluzioni che richiedono la loro adesione esplicita). Un consumatore, infatti, potrebbe teoricamente utilizzare anche l’accordo (non c’è un divieto, semplicemente per lui esiste l’opzione più vantaggiosa del piano senza voto). Viceversa, un imprenditore o professionista non può usare il piano del consumatore e dunque deve necessariamente passare per l’accordo/concordato minore se vuole evitare la liquidazione.

Caratteristiche principali:

  • Necessità di approvazione da parte dei creditori: a differenza del piano del consumatore, qui i creditori hanno diritto di voto sulla proposta. Serve il voto favorevole di una certa maggioranza (storicamente la L.3/2012 richiedeva almeno il 60% dei crediti ammessi al voto; il CCI potrebbe aver mantenuto questa soglia o introdotto meccanismi più flessibili, ma ipotizziamo che la regola rimanga simile: maggioranza semplice dei crediti, o eventualmente maggioranze per classi se previste).
  • Ampiezza soggettiva: può accedervi qualsiasi debitore sovraindebitato, inclusi quindi i piccoli imprenditori che ci interessano. Anzi, il concordato minore è cucito su di loro: non troppo complesso come un concordato preventivo (non c’è bisogno di attestatore esterno diverso dall’OCC, non c’è il pubblico ministero se non in casi di irregolarità, etc.), ma con comunque una dinamica di consenso.
  • Contenuto dell’accordo/piano: molto flessibile. Il debitore può proporre le soluzioni più disparate:
    • Ristrutturazione dei debiti mediante pagamento parziale e/o dilazionato;
    • Eventuale apporto di risorse di terzi (es. un familiare che mette soldi per far contenti i creditori al fine di chiudere la posizione debitoria del congiunto);
    • Cessione di beni specifici ai creditori o liquidazione di alcuni asset (es. vendere un immobile per pagare i creditori ipotecari);
    • Continuazione dell’attività (se è un imprenditore) con destinazione ai creditori di una parte degli utili futuri;
    • Garanzie: potrebbe prevedere di dare garanzie reali o personali ai creditori su nuovi beni (se per convincerli ad accettare).
    Insomma, è un piano negoziale in cui il debitore offre ciò che realisticamente può, e i creditori sono chiamati a esprimersi.
  • Ruolo dell’OCC: come sempre, l’OCC assiste nella predisposizione e redige la relazione. Nell’accordo, l’OCC ha anche il compito di raccogliere le adesioni dei creditori: tipicamente, il debitore deposita la proposta e l’elenco creditori e poi l’OCC invia a ciascun creditore una scheda per esprimere il voto (sì o no all’accordo) oppure convoca una adunanza dei creditori (in qualche tribunale si tiene un’udienza stile concordato preventivo dove i creditori presenti possono votare).
  • Cram-down: una novità introdotta nel 2020 e mantenuta è la possibilità che il tribunale omologhi l’accordo anche senza il voto favorevole dell’Erario o degli enti previdenziali, se ritiene che il loro dissenso sia irragionevole. In particolare, se la maggioranza degli altri crediti è favorevole, e la proposta verso il Fisco è tale da garantire almeno il 20% dei crediti fiscali e, per il resto, non inferiore al realizzo in ipotesi di liquidazione, allora il giudice può forzare l’omologazione anche contro il parere dell’Agenzia delle Entrate o dell’INPS.

Requisiti e meritevolezza:
Nell’accordo di composizione, la legge originaria (L.3/2012) non richiedeva espressamente la meritevolezza del debitore come requisito per l’omologa (a differenza del piano del consumatore). Questo perché si riteneva che la valutazione dei creditori supplisse – se i creditori accettano, poco importa se il debitore in passato è stato imprudente, perché sono d’accordo su una soluzione. Tuttavia, frodi e malafede restano cause di inammissibilità: se il debitore ha occultato asset o fornito informazioni false, il tribunale non omologa anche se i creditori hanno detto sì (perché sarebbe una violazione dell’ordine pubblico). Il CCI ha introdotto un principio generale di comportamento leale del debitore anche qui, ma la soglia è più bassa rispetto al piano consumatore: ad esempio, un imprenditore che ha fatto qualche errore di gestione può comunque accedere all’accordo se i creditori sono disposti a venire a patti.

Iter procedurale:

  1. Deposito della proposta di accordo: Il debitore, con l’OCC, predispone la proposta di accordo e la deposita in tribunale con il ricorso. Deve essere allegato un piano dettagliato con la descrizione di come intende soddisfare i creditori e in quale percentuale, nonché la relazione dell’OCC.
  2. Apertura della procedura e provvedimenti iniziali: Il tribunale esamina la documentazione e, se la ritiene completa e ammissibile, emette un decreto di ammissione alla procedura di accordo. In tale decreto di norma:
    • Nomina il giudice delegato o comunque individua il magistrato che seguirà la procedura.
    • Fissa una data per l’adunanza dei creditori o un termine entro cui i creditori devono esprimere il voto (ad esempio 30-45 giorni).
    • Può emettere disposizioni di tutela (sospensione delle esecuzioni in corso, divieto per i creditori di iniziarne di nuove – ciò avviene di solito, per analogia al concordato preventivo, infatti l’art. 54 CCI prevede misure protettive per il debitore).
    • Ordina all’OCC di comunicare la proposta ai creditori.
  3. Votazione dei creditori: Questa è la fase clou. Ci sono due modalità non mutualmente esclusive:
    • Adunanza dei creditori: il tribunale può convocare un’udienza dove i creditori si riuniscono (anche in via telematica, specie dopo il Covid) e discutono la proposta. Il debitore (e il suo OCC) possono spiegare il piano, eventualmente modificarlo con miglioramenti (purché non peggiorativi) per convincere i creditori. Quindi si passa al voto.
    • Raccolta firme/adesioni scritte: in alternativa o in aggiunta, l’OCC può raccogliere le dichiarazioni di voto dei creditori via PEC o raccomandata. Se un creditore non risponde affatto, di solito vale come voto negativo (serve cioè la maggioranza attiva dei crediti, non solo dei votanti).
    Come calcolare la maggioranza: se la legge indica 60% dei crediti, allora bisogna sommare tutti i crediti ammessi al voto (esclusi quelli eventualmente non ristrutturabili come alimenti, o esclusi i creditori privilegiati se vengono pagati interamente – in Legge3 i privilegiati potevano essere esclusi dal voto se non intaccati). Se il totale dei crediti ammessi è, ipotizziamo, €500.000, servono consensi per almeno €300.000 (60%). Attenzione: i creditori privilegiati partecipano al voto solo per la parte eventualmente non soddisfatta secondo le cause di prelazione. Esempio: se c’è una banca con mutuo ipotecario da €200.000 su un immobile che ne vale €150.000 e la proposta è “ti do €150.000 in x anni, quindi di fatto la banca prende il valore integrale della garanzia”, la banca non ha interesse a votare (tanto prende come da liquidazione). Se invece la proposta a quella banca ipotecaria fosse “ti do €120.000”, la banca è falcidiata di €30.000 (che è chirografo di fatto): partecipa al voto per quei €30.000.
  4. Mancato raggiungimento della maggioranza: Se i creditori bocciano la proposta (non si raggiunge il quorum richiesto), la procedura si chiude con un nulla di fatto. Il tribunale prende atto e dichiara l’esito negativo. A quel punto il debitore può solo ripiegare eventualmente sulla liquidazione controllata (aprendo quella procedura) oppure, se riesce, riformulare una proposta diversa e riprovarci (ma serve un fatto nuovo o il rischio che i creditori non ne vogliano sapere).
  5. Raggiungimento della maggioranza: Se invece la maggioranza dei crediti approva la proposta, si passa alla fase successiva:
  6. Omologazione da parte del tribunale: Il giudice fissa un’udienza (o a volte nello stesso decreto che accerta il voto positivo) per omologare l’accordo. In questa sede, eventuali creditori dissenzienti o non votanti possono fare opposizione. Tipicamente, i creditori contrari contestano la convenienza dell’accordo per loro rispetto a una liquidazione. La legge infatti prevede un criterio di tutela del dissenziente: l’accordo non può essere omologato se pregiudica i creditori che non hanno aderito. Ciò significa che il dissenziente deve comunque ricevere almeno quanto avrebbe ottenuto dalla liquidazione del patrimonio del debitore (c.d. best interest test). Il tribunale esaminerà dunque queste opposizioni e il parere del Gestore:
    • Se ritiene che l’accordo rispetti le norme (magari anche grazie al cram-down sul Fisco se applicato) e che i ricorrenti oppositori non abbiano valide ragioni, omologa l’accordo con sentenza (o decreto) di omologazione.
    • Se trova invece che l’accordo non soddisfa i requisiti di legge (ad es. manca la percentuale minima a un privilegiato che non ha votato, oppure il debitore ha compiuto atti in frode non noti ai creditori), rifiuta l’omologa. In tal caso l’accordo, pur votato, non avrà effetto.
  7. Effetti dell’omologazione: Con l’omologa, l’accordo diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, compresi coloro che non hanno votato o hanno votato no, salvo quelli eventualmente esclusi per legge (p. es. crediti alimentari se non trattati nell’accordo). Gli effetti sono simili a quelli visti per il piano: divieto per i creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive individuali, sospensione degli interessi per i chirografari, ecc. L’accordo omologato è titolo esecutivo e giudicato, vale a dire che se il debitore non paga come stabilito, il singolo creditore potrà agire forzosamente secondo i termini dell’accordo (ad esempio pignorando quanto previsto).
  8. Esecuzione dell’accordo: L’esecuzione pratica spesso è monitorata dall’OCC. Può prevedere il pagamento immediato di certe somme (ad es. al 30° giorno dall’omologa, pagamento di €50.000 derivanti da un finanziamento ponte di un terzo), e rate successive, o la liquidazione di alcuni beni a cura del debitore sotto controllo OCC, ecc. L’accordo può anche prevedere la nomina di un fiduciario o dello stesso OCC per gestire la liquidazione di asset – funge quasi da curatore per quei beni.
  9. Risoluzione dell’accordo: Se il debitore non adempie agli obblighi presi e l’inadempimento è rilevante (ad esempio salta un pagamento importante e non viene sanato entro un termine di tolleranza), allora l’accordo può essere risolto. Molti accordi prevedono espressamente una clausola risolutiva: es. “se il debitore ritarda di oltre 90 giorni il pagamento di una rata, l’accordo si intenderà risolto di diritto”. Su istanza dei creditori, il tribunale dichiara la risoluzione e vengono meno gli effetti protettivi: ciascun creditore può agire per conto proprio per recuperare il dovuto originario meno quanto eventualmente percepito. La risoluzione però non fa rivivere i debiti nei confronti dei creditori che sono stati soddisfatti per intero durante l’accordo: interessa sostanzialmente i creditori falcidiati che hanno ricevuto solo parziale pagamento.
  10. Esdebitazione dopo accordo: Se l’accordo viene integralmente eseguito, il debitore persona fisica ha diritto all’esdebitazione residua, in modo analogo al piano. Non è automatico, ma di fatto, se il piano prevede pagamenti parziali, completati quelli il debitore è libero. Il CCI dovrebbe prevedere l’esdebitazione di diritto anche qui. In ogni caso, a conclusione, su istanza del debitore, il tribunale attesta che l’accordo è eseguito e conseguentemente i creditori non possono pretendere altro (in pratica l’obbligazione originaria si intende novata e poi estinta dall’adempimento parziale concordato).

Confronto piano vs accordo per un piccolo imprenditore: Un piccolo imprenditore potrebbe chiedersi: meglio accordo (concordato minore) o piano del consumatore? Se è davvero un consumatore (nessuna pendenza di debiti di natura aziendale), sicuramente il piano è più vantaggioso (nessun voto). Ma se ha debiti di impresa o misti, deve optare per l’accordo. L’accordo può anche essere preferibile in un caso: quando il debitore ha interesse ad ottenere il consenso attivo di alcuni creditori per poi proseguire rapporti con loro. Ad esempio, un artigiano che vuole continuare l’attività potrebbe convincere i suoi fornitori a votare sì a un accordo che li paga al 40%, e in cambio questi fornitori continueranno a fare affari con lui durante e dopo la procedura. Se invece facesse un piano del consumatore (ammesso fosse qualificabile come tale), quei fornitori subirebbero un “impero” del giudice e forse in futuro sarebbero meno propensi a fidarsi. Quindi l’accordo ha un risvolto negoziale-relazionale: è un patto con i creditori, che se ben condotto può lasciare meno strascichi negativi nei rapporti commerciali.

Esempio pratico (accordo di composizione / concordato minore):
Luisa gestisce una piccola società di catering (forma di SNC, con 3 dipendenti). Negli ultimi anni ha accumulato debiti: €50.000 con fornitori alimentari, €30.000 di affitti arretrati del locale cucina, €20.000 di leasing per attrezzature, €40.000 di debiti verso banca (scoperto e prestito), oltre a €35.000 di debiti fiscali (IVA non versata e contributi dipendenti). Il Covid ha colpito duramente l’attività e Luisa ora ha ridotto il personale a 1 dipendente e dimezzato il fatturato. Non è fallibile perché i suoi parametri di bilancio sono sotto soglia. Tuttavia, da sola non può rientrare da €175.000 di debiti. Decide di proporre un accordo di composizione:

  • Offre di pagare il 50% ai fornitori strategici (vuole tenerseli buoni per continuare l’attività) in 24 mesi; e il 20% agli altri creditori chirografari in 5 anni.
  • Prevede di cedere alcune attrezzature non essenziali e un furgone per ricavare subito €15.000 da destinare pro-quota ai creditori.
  • Chiede ad un parente di finanziare €20.000 a fondo perduto, da utilizzarsi per pagare inizialmente i debiti fiscali in parte (ad esempio per pagare tutto il debito IVA, che è €10.000 su quei €35.000).
  • Quindi nel complesso stima di poter restituire circa €80.000 su €175.000 (circa 45%). Questo è superiore a quanto i creditori otterrebbero se la società di Luisa venisse liquidata: il patrimonio aziendale consiste in attrezzature e furgoni per un valore forzato di €30.000, e crediti verso clienti recuperabili per altri €10.000. Nella liquidazione, pagati i privilegiati (dipendenti e fisco per contributi) il resto ai chirografari sarebbe meno di 20%. Dunque l’accordo al 45% è conveniente.
  • Luisa classifica i creditori in due classi: fornitori essenziali (cui offre 50%) e altri chirografari (20%). La banca ha ipoteca sul magazzino per €20.000 di debito: quell’ipoteca è scoperta (magazzino affittato, poco da escutere), quindi la banca accetterà il 20% come chirografo.
  • All’adunanza, votano a favore i fornitori (contenti di recuperare metà e non perdere la cliente) e anche la banca (vedendo che è l’unica via per avere qualcosa). Il locatore invece vota no (ha perso affitti e preferirebbe sfrattare e inseguirla per intero), ma il suo credito (10.000) è piccolo rispetto al totale.
  • Si raggiunge una maggioranza del 70% dei crediti a favore. Il Fisco (Agenzia Entrate) non si esprime formalmente ma poiché riceverà, grazie ai 20.000 del parente, un pagamento integrale dell’IVA e un 30% dei contributi, il tribunale ritiene il suo silenzio non ostativo e procede (comunque col nuovo CCI il fisco taciturno si considera consenziente se proposta >= valore di liquidazione, oppure viene cramd-downato).
  • Il tribunale omologa l’accordo. Luisa quindi prosegue la sua attività, onora il piano di pagamento con i creditori. I fornitori essenziali la supportano perché hanno ottenuto e continuano a venderle prodotti. Dopo 2 anni, i fornitori essenziali sono stati saldati (50% del loro dovuto) e riprendono a dare fido normale; dopo altri 3 anni, anche tutti gli altri creditori hanno ricevuto il 20%. L’accordo è adempiuto al 100%.
  • Luisa ottiene decreto di adempimento e riepulogazione finale: la parte residua dei debiti (il 50% non pagato ai secondi, e l’altro 50% ai primi) è cancellata. La sua società risulta “pulita” e può continuare l’attività.
  • Se invece l’accordo fosse fallito (mettiamo che al terzo anno Luisa non riusciva più a pagare le rate del 20% agli altri creditori), quei creditori avrebbero potuto chiedere la risoluzione e pretendere l’intero residuo. In tal caso probabilmente Luisa avrebbe dovuto optare per la liquidazione giudiziale della società o per la liquidazione controllata personale.

Comparazione sintetica tra Piano del consumatore e Accordo (Concordato minore):

CaratteristicaPiano del ConsumatoreAccordo di Composizione / Concordato minore
Soggetti ammessiSolo consumatore (persona fisica non imprenditore/professionista)Qualsiasi debitore sovraindebitato (incl. piccoli imprenditori, professionisti, consumatori se preferiscono)
Voto dei creditoriNo, decide tutto il giudice (creditori possono solo fare osservazioni), è richiesto accordo della maggioranza dei crediti (es. 60%) per l’omologazione
MeritevolezzaValutata rigorosamente dal giudice (causa di rigetto se mancante)Non richiesta espressamente, salvo comportamenti fraudolenti (giudice valuta soprattutto la regolarità e convenienza)
Falcidia di debiti fiscali (IVA)Possibile, con controllo giudiziale (cram-down fiscale possibile dal 2020: almeno 20% IVA)Possibile, ma necessita adesione dell’erario oppure cram-down giudiziale se condizioni rispettate (>=20% e >= alternativa liquidatoria)
Effetti per i creditori dissenzientiImposti dal provvedimento del giudice: tutti vincolati all’esitoDissenzienti vincolati se accordo approvato a maggioranza e omologato; tutela del dissenziente con best-interest test (non possono ricevere meno di quanto avrebbero avuto da liquidazione)
Durata tipica del piano4-5 anni (estendibile se ragioni oggettive, ma di solito contenuta)Variabile; può essere prevista anche più lunga se i creditori accettano (in genere anche qui 4-5 anni, ma con possibili moduli come pagamento immediato parziale e resto dilazionato)
Risultato finaleEsdebitazione del consumatore dopo adempimento integrale del piano omologato dal giudice (cancellazione dei debiti residui)Esdebitazione del debitore persona fisica dopo esecuzione accordo (per le società il discorso esdebitazione non si pone, trattandosi di enti)
Coinvolgimento OCCForte (assiste predisposizione piano, relazione, monitoraggio esecuzione)Forte (assiste predisposizione proposta, raccoglie voti, relazione, monitoraggio)
VantaggiProcedura più rapida e debtor-friendly; creditori non possono bloccare un piano equo; ideale se pochi margini di pagamentoPermette soluzioni flessibili con consenso; utile per mantenere rapporti d’affari; coinvolge i creditori (maggiore accettazione)
SvantaggiLimitata ai consumatori; richiede convincere il giudice della buona fede; tagli eccessivi possono essere contestati dal tribunaleIter più lungo e complesso (votazioni); rischio veto se non si raggiunge maggioranza; necessità di negoziare con creditori chiave

3. Liquidazione controllata del sovraindebitato

Cos’è: La liquidazione controllata (nel Codice della Crisi) corrisponde alla vecchia liquidazione del patrimonio prevista dalla L.3/2012. È, in parole semplici, la procedura concorsuale di fallimento del debitore civile. A differenza di piano e accordo – che puntano alla conservazione del patrimonio in mano al debitore e alla ristrutturazione dei debiti – la liquidazione è uno strumento di realizzo: tutti i beni del debitore vengono messi a disposizione e liquidati (venduti, riscossi) da un liquidatore nominato dal tribunale, per distribuire il ricavato ai creditori secondo l’ordine delle cause di prelazione. Al termine, se il debitore è una persona fisica, può chiedere l’esdebitazione dei debiti rimasti insoddisfatti. È quindi in tutto e per tutto analoga ad una procedura fallimentare, ma adattata ai soggetti non fallibili.

La liquidazione controllata può essere:

  • Volontaria, cioè richiesta dallo stesso debitore come ultima risorsa (ad esempio se non è possibile un accordo né un piano, o se li ha fatti fallire).
  • D’ufficio/forzata, su istanza dei creditori o su conversione di un piano/accordo risolto, in alcuni casi: il CCI prevede infatti che, qualora una procedura di accordo o piano venga rigettata o risolta per inadempimento, il tribunale possa aprire d’ufficio la liquidazione controllata (soprattutto se ci sono atti in frode). Nella prassi previgente, però, i creditori non potevano chiedere la liquidazione forzatamente; col CCI, se un debitore sovraindebitato è manifestamente insolvente e non attiva lui stesso procedure, un creditore potrebbe provocare l’apertura di liquidazione (questo è un aspetto innovativo, in linea con la logica che nessuno deve rimanere senza procedura concorsuale: o fallimento o sovraindebitamento).

Quando si opta per la liquidazione:

  • Se il debitore non ha redditi né capacità di rimborsare in futuro, e possiede magari solo qualche bene realizzabile, la soluzione migliore è liquidare subito quei beni e “pulirlo” dai debiti. Ad esempio, un imprenditore cessato che ha solo una casa e nessun reddito potrebbe mettere in liquidazione la casa così da soddisfare in parte i creditori e poi ottenere lo fresh start.
  • Se i creditori sono troppo conflittuali e non si riesce a raggiungere un accordo, la liquidazione diventa l’unica via ordinata.
  • Se il debitore vuole semplicemente chiudere i conti con il passato cedendo tutto quello che ha senza impegni futuri: in liquidazione, diversamente dal piano/accordo, il debitore non deve impegnarsi a versare rate future (salvo che abbia redditi da lavoro non toccati, i quali in teoria possono essere parzialmente messi a disposizione). Di solito in liquidazione il debitore consegna il suo patrimonio e poi stop, è il liquidatore che fa il resto.

Avvio della procedura:

  • Il debitore (o il creditore istante, se previsto) presenta ricorso per liquidazione controllata al tribunale allegando l’elenco di tutti i beni, creditori, etc., in modo simile, con la relazione dell’OCC se disponibile. Se c’è stata una procedura di accordo/piano andata male, spesso la documentazione è già lì.
  • Il tribunale, verificati i presupposti (stato d’insolvenza o sovraindebitamento conclamato), dichiara aperta la liquidazione con un decreto di apertura. In tale decreto:
    • Nomina un giudice delegato e un liquidatore (che spesso coincide con il Gestore OCC già operante, per continuità di conoscenza del caso).
    • Stabilisce gli effetti sui beni: ad esempio, dispone che il patrimonio del debitore è affidato al liquidatore. Il debitore perde la disponibilità dei suoi beni (similmente a un fallito, non può più disporne liberamente).
    • Ordina al debitore di consegnare i documenti contabili e fiscali (se imprenditore).
    • Fissa un termine per le domande di insinuazione dei creditori (tipicamente 30-60 giorni).
  • Spoglio dei beni: Tutti i beni del debitore al momento dell’apertura (e quelli che dovesse acquisire durante la procedura fino alla chiusura, salvo alcuni casi) entrano nella massa attiva da liquidare. Il debitore conserva solo i beni impignorabili per legge (es. effetti personali, stipendio per la parte minima vitale, strumenti indispensabili per eventuale attività lavorativa corrente se non ci sono alternative).
  • Formazione dello stato passivo: I creditori devono presentare domanda di insinuazione al passivo alla procedura (se non l’hanno già fatto in passato). Il liquidatore esamina le domande e predispone uno stato passivo, cioè l’elenco di tutti i crediti ammessi, indicando per ciascuno se è privilegiato o chirografario e in quale misura, e se vi sono eventuali contestazioni. Il giudice delegato poi approva lo stato passivo (salvo opposizioni).
  • Liquidazione dei beni: Il liquidatore predispone un programma di liquidazione (come nel fallimento). Ad esempio, decide di mettere all’asta l’immobile di proprietà del debitore, di vendere i mobili tramite un commissionario, di riscuotere un credito risarcitorio che il debitore vantava, ecc. Questo programma, sentito eventualmente il debitore e i creditori principali, viene approvato dal giudice. Dopodiché il liquidatore procede con le vendite e le riscossioni. Se il debitore percepisce uno stipendio mensile, la quota pignorabile di tale stipendio (di solito 1/5) affluisce periodicamente alla procedura per concorrere al pagamento dei creditori.
  • Riparti ai creditori: Mano a mano che si ricavano somme, il liquidatore effettua dei riparti: prima paga le spese di procedura (compensi del liquidatore, OCC, spese legali, ecc.), poi soddisfa i creditori in ordine:
    • Eventuali crediti prededucibili (cioè nati per effetto della procedura stessa, ad es. finanziamenti concessi durante la procedura autorizzati, ecc., ipotesi rara nel sovraindebitamento).
    • Crediti privilegiati: secondo il grado (prima quelli con privilegio generale mobiliare come dipendenti, poi ipotecari sui beni specifici, ecc.). Se il ricavato di un bene ipotecato (es. casa) è insufficiente a soddisfare integralmente il credito garantito, quel creditore per la parte residua diviene chirografario.
    • Crediti chirografari: ricevono infine l’eventuale residuo pro quota proporzionale.
    Di solito si fa un riparto finale al termine; se la liquidazione dura a lungo e frutta man mano, si possono fare riparti parziali interim.
  • Chiusura della procedura: Una volta venduti tutti i beni e distribuito tutto il ricavato, il liquidatore presenta il rendiconto finale. Il tribunale emette decreto di chiusura della liquidazione. La persona fisica a questo punto, se rimangono debiti insoddisfatti, può fare istanza di esdebitazione (in alcuni casi l’esdebitazione è dichiarata d’ufficio con lo stesso decreto di chiusura, come nel fallimento).
  • Esdebitazione (liberazione dai debiti): L’esdebitazione nella liquidazione controllata è uno degli aspetti cruciali per il debitore: è il beneficio che ottiene a fronte di aver sacrificato tutto il proprio patrimonio. Tradizionalmente, l’esdebitazione veniva concessa solo ai debitori meritevoli (che avevano cooperato e non avevano violato la legge) e non copriva alcuni debiti (multe, alimenti, risarcimenti da illecito). Nel CCI, l’esdebitazione post-liquidazione è trattata in modo analogo al fallimento: il debitore persona fisica ottiene la cancellazione dei debiti residui chirografari. La novità è l’introduzione della possibilità di esdebitazione anche per il debitore incapiente (che vediamo tra poco), che è collegata ma leggermente diversa.
  • Durata: La liquidazione controllata può durare alcuni anni, dipende dall’entità del patrimonio. Se ci sono immobili da vendere, potrebbe richiedere tempo (aste, ribassi, ecc.). Tuttavia, essendo spesso patrimoni modesti, molte liquidazioni da sovraindebitamento si chiudono in 2-3 anni.

Effetti per il debitore: Durante la liquidazione, il debitore persona fisica subisce restrizioni simili a quelle di un fallito:

  • Non può gestire il suo patrimonio (lo fa il liquidatore).
  • Potrebbe subire limitazioni anche nell’attività lavorativa se questa comporta uso di beni dell’attivo (es. se è un imprenditore, l’attività di impresa cessa salvo che si tratti di un’attività minima che il liquidatore decide di proseguire temporaneamente per vendere l’azienda come unità in funzionamento).
  • Non può ottenere nuovi finanziamenti o contrarre debiti (nessuno glieli darebbe in pratica, e sarebbe anche frode).
  • Non può uscire dalla procedura se non con la chiusura: ad esempio, se improvvisamente trova i soldi per pagare tutti, può chiedere di chiudere anticipatamente pagando il dovuto.
  • Importante: non si ha la stigma del fallimento (non c’è iscrizione nel casellario dei falliti, che peraltro oggi non esiste più col CCI, e il debitore non subisce altre incapacitazioni civili tipiche del vecchio fallimento – il CCI ha abolito incandidabilità o altro per le persone fisiche in liquidazione).

Debiti esclusi dall’esdebitazione: Come accennato, anche dopo la liquidazione (e anche dopo l’esdebitazione) alcuni debiti possono sopravvivere. Si tratta in generale degli stessi che nel fallimento non venivano cancellati: obblighi di mantenimento e alimentari, debiti da risarcimento danni per fatti illeciti (specialmente se derivanti da reato commesso dal debitore), multe penali e amministrative pecuniarie, e debiti fiscali per sanzioni. Questi non vengono toccati: se il debitore li aveva, resterà tenuto a pagarli, sebbene il grosso dei debiti commerciali e finanziari venga spazzato via.

Esdebitazione del debitore incapiente: È un istituto innovativo introdotto per evitare situazioni disperate. In pratica, se un debitore persona fisica non ha alcun patrimonio liquidabile (o solo di valore trascurabile) e nessuna capacità di offrire qualcosa ai creditori, può chiedere comunque di essere esdebitato, una volta sola nella vita, dai propri debiti. Questa norma (introdotta in emergenza col DL 137/2020, poi rifluita nel CCI) è pensata per chi non avrebbe senso mettere in liquidazione (perché non c’è nulla da liquidare) ma al contempo merita un nuovo inizio. Le condizioni sono:

  • Il debitore non deve avere alcun bene (se ha anche solo un bene vendibile, deve fare la liquidazione di quello).
  • Non deve aver fatto atti in frode o dissipazioni.
  • Deve dimostrare di non poter offrire nulla ai creditori senza compromettere la sua dignitosa sussistenza.
  • Se nei 4 anni successivi ottiene disponibilità finanziarie rilevanti (es. una vincita, un’eredità, un forte aumento di reddito), ha l’obbligo di pagarle ai vecchi creditori fino a concorrenza di quanto dovuto.
  • Questa esdebitazione “a zero” non si può ottenere più di una volta.

In sostanza, è una dichiarazione di insolvenza senza attivo con immediata liberazione. Va chiesta al tribunale motivando perché nemmeno la via di un piano zero è fattibile. È un rimedio estremo per situazioni come persone nullatenenti, disoccupate o con redditi solo minimi esenti, sommerse da debiti (pensiamo a un ex imprenditore che dopo il tracollo non ha più nulla).

Esempio pratico (liquidazione controllata):
Giovanni è un piccolo imprenditore edile che ha cessato l’attività. Ha debiti per circa €300.000 (mutui, fornitori, debiti con l’Erario), ma l’unico suo bene è la casa di abitazione di proprietà (valore circa €200.000, però gravata da un’ipoteca della banca residua di €150.000). Non ha redditi fissi (fa lavoretti saltuari). Un piano o accordo non sarebbero sostenibili perché non ha entrate per pagare rate significative; inoltre vendendo la casa potrebbe pagare in gran parte i debiti. Decide per la liquidazione controllata:

  • Il tribunale la apre, nominando un liquidatore.
  • La casa viene venduta all’asta per €180.000. La banca ipotecaria, creditrice di €150.000, prende tutto il ricavato fino a concorrenza del suo credito (ipotizziamo spese e altri privilegi minimi fanno sì che la banca prenda magari €145.000, e rimane insoddisfatta per €5.000 che diventano chirografo).
  • Rimangono €30.000 (180 – 150) di attivo dalla casa? In realtà, su quei €30.000 potrebbe vantare privilegio lo Stato (se c’erano cartelle per imposte, c’è privilegio sui mobili e, entro certi limiti, su immobili per IMU etc.). Poniamo che €20.000 vadano a privilegiati (Agenzia Entrate riscossione per contributi dipendenti, e avvocato della procedura).
  • Restano €10.000 per i chirografari (tra cui residuo banca €5.000, fornitori €50.000, Fisco chirografo €30.000, altri €70.000). Quindi ai chirografari arriva circa il 5% dei loro crediti.
  • Giovanni consegna anche gli automezzi (un vecchio furgone venduto a €5.000) e quei €5.000 integrano il riparto chirografari di un altro 2%.
  • Alla fine, i creditori hanno preso un piccolo dividendo ma la procedura è conclusa. Giovanni chiede l’esdebitazione. Il tribunale gliela concede, rilevato che è stato cooperativo e non ha nascosto nulla.
  • Giovanni viene liberato dai circa €280.000 rimasti non pagati. Ovviamente ha perso la casa (che è stata venduta). Ma può ripartire senza debiti. Dovrà magari andare in affitto o trovare sistemazione altrove, ma non avrà più sulle spalle le esposizioni pregresse.
  • Se Giovanni in futuro erediterà una somma, ciò non riapre automaticamente la partita per quei creditori (l’esdebitazione lo tutela, salvo se rientrava nella fattispecie di incapiente con impegno 4 anni – ma qui ha fatto liquidazione normale, quindi fine). Va detto però che se emergesse che Giovanni aveva nascosto qualcosa (es. un terreno non dichiarato), l’esdebitazione può essere revocata su istanza dei creditori lesi.

4. L’esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione dei debiti senza attivo)

Merita un piccolo approfondimento a sé stante questo istituto peculiare, introdotto con l’art. 14-quaterdecies della L.3/2012 (dalla L.176/2020) e ora ripreso nel Codice. Come anticipato, consente al debitore persona fisica privo di beni e redditi di ottenere ugualmente la cancellazione dei propri debiti. Non è una vera e propria “procedura” concorsuale, bensì un provvedimento di clemenza che il tribunale adotta a seguito di un ricorso del debitore.

Condizioni riassuntive:

  • Debitore persona fisica, sovraindebitato meritevole (nel senso di non aver truffato o colpevolmente causato il proprio stato).
  • Nessuna possibilità di offrire ai creditori nemmeno in prospettiva: deve provare di non avere beni, di non riuscire a pagare nulla senza togliere il minimo per vivere.
  • Importante: il debitore non deve aver beneficiato in passato di altra esdebitazione e non deve aver rifiutato un impiego adeguato alle sue capacità nei 4 anni precedenti (questa disposizione era per evitare che uno si renda nullatenente apposta rifiutando lavori per farsi “regalare” l’esdebitazione).
  • Pagamento, se possibile, dei debiti agli eventuali coobbligati: se i debiti del debitore insolvente sono garantiti da fideiussioni di terzi, il giudice potrebbe chiedere – per concedere il beneficio – che almeno questi terzi solvibili vengano escussi (cioè non liberare l’obbligazione verso tutti; l’esdebitazione del debitore principale non tocca per legge i garanti, che restano obbligati).
  • Obbligo di residuo impegno quadriennale: se entro 4 anni dal decreto di esdebitazione sopravvengono utilità rilevanti al debitore, egli deve informare i creditori e soddisfarli fino a concorrenza del debito originario (o quantomeno, distribuire ai creditori quelle sopravvenienze, al netto di ciò che serve per mantenimento). Ad esempio, Caio ottiene l’esdebitazione incapiente oggi e fra 2 anni vince alla lotteria €50.000; dovrà restituire fino a €50.000 ai vecchi creditori (ma se i debiti erano €200.000, comunque si terrà pur sempre liberato per la differenza).
  • Una sola volta: questa sorta di “sanatoria” può capitare solo una volta nella vita del debitore. Quindi non è un meccanismo per cui uno può indebitarsi, farsi esdebitare a zero, poi di nuovo indebitarsi e cancellare di nuovo. No, è un colpo solo destinato a chi rimane altrimenti schiacciato per sempre.

La ratio di questa norma è umanitaria e di efficienza: se qualcuno non ha nulla, costringerlo a una procedura di liquidazione (che costerebbe e non darebbe nulla ai creditori) non conviene a nessuno, e al contempo lasciarlo indebitato vita natural durante è inutile perché comunque quei creditori non recupereranno mai niente. Tanto vale cancellare quei debiti, almeno il soggetto potrà reinserirsi nell’economia legale senza l’ombra di debiti impossibili da pagare (e, chissà, magari diventerà solvibile e pagherà qualcosa entro 4 anni).

Esempio: Tizio, nullatenente, disoccupato, con €100.000 di debiti derivati da vecchie fideiussioni e carte di credito, vive di sussidi. Presenta istanza di esdebitazione incapiente. Il tribunale verifica che davvero non possiede nulla (vive in casa in affitto modesto, nessun veicolo, conto quasi vuoto) e che ha cercato lavoro invano. Concede l’esdebitazione. Tizio è libero dai debiti. Dopo 3 anni fortunatamente trova un lavoro stabile con stipendio discreto: non scatta automaticamente obbligo di pagare, perché quell’aumento era oltre i 4 anni? (in questo caso 3 anni dopo, quindi entro i 4 anni). Se entro 4 anni inizia a percepire stipendio, dovrebbe destinare ai creditori la parte pignorabile del medesimo per il periodo residuo, o quantomeno cercare di soddisfarli proporzionalmente. La norma è un po’ generica su come adempiere, ma l’importante è l’obbligo morale e giuridico di farlo. Passati 4 anni, ciò che succede succede: i creditori non potranno più pretendere nulla.

Modelli di atti e documenti utili

In questa sezione forniamo una guida pratica alla predisposizione dei documenti principali nelle procedure di sovraindebitamento, con esempi e schemi utilizzabili dai piccoli imprenditori (o dai loro consulenti) per presentare l’istanza in tribunale. È bene ricordare che, pur con l’assistenza dell’OCC, molta della responsabilità nella raccolta dei dati e documenti è in capo al debitore stesso: prepararsi per tempo e con ordine è fondamentale.

1. Ricorso per l’accesso alla procedura (schema generico)

Il ricorso introduttivo è l’atto con cui si chiede al tribunale di ammettere il debitore alla procedura di composizione della crisi (sia essa piano del consumatore, accordo o liquidazione). Esso va indirizzato al Tribunale competente (di regola, se persona fisica, tribunale del luogo di residenza; se imprenditore, luogo sede principale attività).

Un possibile schema di ricorso è il seguente:

  • Intestazione e Autorità Adita:
    “TRIBUNALE ORDINARIO DI [Nome Città]
    Sezione Fallimentare (o Sezione Imprese, se competente)”
    Ricorso ex art. [norma del CCI applicabile, es. art. 67 per piano consumatore, art. 74 per concordato minore, art. 268 per liquidazione] del D.Lgs. 14/2019.
  • Dati del debitore:
    Indicare nome, cognome, data di nascita, C.F., residenza (o sede), eventuale partita IVA, eventualmente stato civile e composizione del nucleo familiare se rilevante.
    Esempio: “Il Sig. Mario Rossi, nato a … il …, C.F. …, residente in … via … n…, professione … (oppure: titolare dell’impresa individuale XY con sede in …), elettivamente domiciliato presso … (studio legale se rappresentato da avvocato, oppure presso la propria residenza se no), rappresentato e difeso dall’Avv… (se ha assistenza legale – non obbligatoria ma spesso presente), oppure assistito dall’Organismo di Composizione della Crisi [Nome OCC] con sede in …, nella persona del Gestore [Dott./Avv. …]…”
  • Oggetto:
    “Ricorso per l’omologazione di un piano del consumatore”
    oppure “Ricorso per l’accesso alla procedura di concordato minore (accordo di composizione della crisi)”
    oppure “Ricorso per l’apertura della liquidazione controllata del sovraindebitato”.
    Questa intestazione fa capire subito quale procedura si richiede.
  • Esposizione dei fatti e delle ragioni (narrativa):
    Qui si racconta la storia del sovraindebitamento:
    • Da quanto tempo il debitore è in difficoltà, quali sono state le cause (es. calo di lavoro, malattia, crisi di mercato, insolvenze di clienti, ecc.). È importante evidenziare gli elementi di meritevolezza: ad esempio “il debitore ha sempre onorato i propri debiti fino al 2019, poi a causa della pandemia ha subito un tracollo…”; “nonostante numerosi tentativi di ripianamento e la vendita di alcuni beni, non è riuscito a normalizzare la situazione…”.
    • Stato di famiglia: se ha coniuge, figli a carico, evidenziarlo per far comprendere anche il suo budget familiare (utile poi nel piano).
    • Indicare se il debitore ha già tentato strade stragiudiziali: es. “ha provato a ottenere un consolidamento dal proprio istituto di credito senza esito”; ciò denota buona fede.
    • Se imprenditore: indicare se l’attività è cessata o proseguirà, se intende ristrutturare l’azienda o l’ha chiusa.
    • Dichiarare espressamente che il ricorrente è un soggetto ammissibile: ad esempio “Il ricorrente è piccolo imprenditore non soggetto a fallimento (come da autodichiarazione allegata e da riscontri di bilancio…), quindi rientra tra i debitori di cui all’art. 2, co.1, lett. c) CCI”; oppure “il ricorrente è un consumatore ai sensi dell’art… CCI, non avendo debiti di natura imprenditoriale…”.
    • Dichiarare che non sussistono procedure concorsuali pendenti né istanze di fallimento in corso (o se ci sono, segnalare e chiedere la loro sospensione).
    • Indicare eventuali atti di esecuzione in corso (pignoramenti, ecc.) chiedendo contestualmente la sospensione ai sensi delle norme del CCI.
  • Elenco analitico dei debiti (situazione debitoria):
    Meglio se in forma tabellare o elenco puntato, indicare tutti i creditori con:
    • Nome creditore, importo dovuto (capitale, interessi, se noti, e totale), titolo del credito (es. “Banca X: mutuo residuo €…, rate scadute €…, totale €…”; “Agenzia Entrate Riscossione: cartella n… per IRPEF €…, cartella n… per IVA €…, totale ~€…”; “Alfa Srl (fornitore): fatture non pagate €…”; “Tizio Caio: prestito personale €…”).
    • Specificare se il credito è assistito da garanzia (es. ipoteca, pegno, fideiussione di terzi).
    • Specificare la natura privilegiata se nota (es. debito verso INPS per contributi dipendenti – privilegio ex art. 2753 c.c.). Questo elenco è cruciale; spesso lo si allega come documento (stato passivo simulato). Nel ricorso se ne può dare una sintesi e rimandare all’allegato.
  • Elenco dei beni e redditi del debitore:
    Anche qui possibilmente puntato:
    • Beni immobili di proprietà (con dati catastali, valore stimato).
    • Beni mobili registrati (auto, moto, ecc. con valore).
    • Altri beni rilevanti (quote societarie, strumenti di valore, ecc.).
    • Disponibilità liquide (conto corrente, magari saldo).
    • Redditi correnti: stipendio mensile, pensione, fatturato medio mensile, ecc.
    • Precisare se beni in comunione col coniuge, o se esistono atti di disposizione ultimi 5 anni (questi ultimi vanno elencati per legge: es. “nel 2019 il debitore ha donato un terreno al figlio…” – atto che potrebbe essere revocabile, quindi va evidenziato con trasparenza).
    • Indicare beni eventualmente impignorabili che resteranno fuori (es. “non ha beni impignorabili se non gli arredi di modesto valore”).
  • Descrizione della proposta di piano o accordo:
    Questa è la parte dove, se ricorso per piano/accordo, si illustra cosa si propone ai creditori:
    • Per il piano del consumatore: “il ricorrente propone il seguente piano di ristrutturazione dei debiti: a) pagamento integrale dei crediti privilegiati [elencare quali e come], b) pagamento parziale nella misura del X% dei crediti chirografari, mediante [numero] rate mensili/annuali di €… ciascuna, a decorrere dal …, fino al …; c) messa a disposizione delle seguenti risorse: [esempio: TFR accantonato €…, vendità auto €… entro 6 mesi dall’omologa, ecc.]; d) eventuale contributo di terzi: la moglie del debitore si obbliga a conferire €… immediatamente per sostenere il piano; e) mantenimento dell’abitazione principale non essendo prevista la sua liquidazione…;”. In sintesi, spiegare chi prende cosa e quando.
      Indicare anche la percentuale attesa per i chirografari e confrontarla con quella in ipotesi liquidatoria: “I creditori chirografari riceveranno il 30% circa dei loro crediti (rispetto a un presumibile 5% in caso di liquidazione)”.
    • Per l’accordo di composizione/concordato minore: analogo, ma qui si può anche parlare di eventuali classi di creditori: “Si prevede di dividere i creditori in due classi: Classe A – creditori con privilegio generale (INPS, dipendenti) soddisfatti al 100% entro 1 anno; Classe B – creditori chirografari, soddisfatti al 30% in 4 anni;…”. E poi “Il debitore chiede che venga convocata l’adunanza dei creditori per sottoporre ad approvazione la suddetta proposta”.
    • Per la liquidazione: qui non c’è un piano di pagamento, bensì il debitore indica che mette a disposizione tutto. Esempio: “Il ricorrente chiede la liquidazione controllata dei propri beni, consistenti in: [lista]. Si segnala che la liquidazione dei suddetti beni, secondo stime prudenziali, potrà fruttare un realizzo di circa €…, che sarà ripartito tra i creditori secondo legge. Il ricorrente chiede sin d’ora di essere ammesso al beneficio dell’esdebitazione al termine della procedura, avendo agito in buona fede…”.
  • Documenti allegati:
    – Elencare espressamente i documenti allegati obbligatori per legge, ad esempio:
    1. Attestazione OCC: la relazione particolareggiata dell’OCC (citando nome del gestore e data della relazione).
    2. Elenco creditori e debiti (se non già dettagliato nel ricorso stesso).
    3. Elenco beni (se non già nel ricorso).
    4. Ultime dichiarazioni dei redditi (3 anni obbligo, allegare modelli UNICO/PF o 730).
    5. Estratti conto bancari ultimi 90 giorni (richiesto per vedere movimenti anomali pre-procedura).
    6. Stato di famiglia e certificato di residenza (per eventuale procedura familiare o competenza).
    7. Eventuali bilanci e libro inventari (se impresa tenuta a bilancio).
    8. Situazione contabile aggiornata (per imprese individuali, spesso basta un prospetto di conto economico recente).
    9. Autocertificazione di veridicità e di non aver fatto atti in frode (molti tribunali la richiedono come impegno formale del debitore).
    10. Copia documento identità e codice fiscale del debitore.
  • Nomina OCC/Gestore:
    Se l’OCC non fosse già nominato (ma nella pratica lo è sin dall’inizio), il debitore potrebbe chiedere al tribunale di nominarne uno. Di solito nel ricorso si indica: “Il ricorrente ha conferito incarico all’OCC istituito presso …, nominativo del gestore …, che ha accettato l’incarico e predisposto la relazione ex art… in allegato. Si chiede di confermare tale OCC ai sensi dell’art… CCI”.
  • Istanza di misure protettive (se necessarie):
    Ad esempio: “Considerato che sono pendenti le seguenti azioni esecutive (…)/che il creditore X ha minacciato di iniziare esecuzione, si chiede ai sensi dell’art… CCI di disporre la sospensione di tutte le azioni esecutive individuali e cautelari sul patrimonio del ricorrente sino alla definizione del presente procedimento”.
  • Conclusioni/Richiesta: “Tutto ciò premesso, il ricorrente chiede che l’Ill.mo Tribunale voglia:
    – Ai sensi dell’art… CCI, omologare il piano del consumatore proposto da … allegato al presente ricorso, con ogni consequenziale provvedimento di legge;
    – Disporre la sospensione delle procedure esecutive pendenti (indicare quali) sino al decreto di omologazione;
    – In ogni caso, confermare l’Organismo di Composizione della Crisi [nome] in persona del Gestore [nome] per gli adempimenti di competenza.”
    Oppure nel caso di accordo:
    “… voglia ammettere il ricorrente alla procedura di concordato minore ex art…, fissare l’adunanza dei creditori e, all’esito, omologare l’accordo di composizione della crisi come da proposta allegata, dichiarando il ricorrente meritevole dei benefici di legge (esdebitazione a esito avvenuto adempimento)…”.
    Oppure liquidazione:
    “… dichiari aperta la liquidazione controllata del patrimonio del ricorrente ai sensi dell’art…, nominando un liquidatore (eventualmente indicare se si propone il gestore OCC) e adottando gli ulteriori provvedimenti di legge; e voler concedere, una volta terminata la liquidazione, il beneficio dell’esdebitazione ex art… CCI al ricorrente.”
  • Luogo, data e firma.
    Se assistito da avvocato: firma avvocato e attestazione di conformità degli allegati (se richiesta). Se no: firma del ricorrente e del gestore OCC (spesso il gestore firma per asseverare la relazione).

Questo schema, piuttosto generico, va ovviamente adattato al caso concreto e al tipo di procedura scelta.

2. Relazione particolareggiata dell’OCC (contenuti essenziali)

La relazione dell’OCC è un documento chiave che accompagna il ricorso. Redatta dal Gestore, ha una funzione informativa e di attestazione. Pur essendo principalmente compito del gestore, è utile sapere cosa contiene:

  • Profilo del debitore e cause dell’indebitamento: l’OCC narra la storia in terza persona, confermando quanto dichiarato dal debitore e aggiungendo valutazioni indipendenti. Esempio: “Il Sig. Rossi ha avviato l’attività nel 2015… la crisi è derivata da…”.
  • Analisi della documentazione: l’OCC elenca i documenti esaminati e attesta che il debitore ha depositato tutto il richiesto. Segnala se manca qualcosa e perché (es. “il debitore non ha prodotto la dichiarazione dei redditi 2022 perché esonerato dall’obbligo…”).
  • Composizione del passivo: tabella dei debiti riscontrati, incrociando le fonti (estratti conto, cartelle, decreti ingiuntivi, ecc.). L’OCC conferma o corregge l’elenco del debitore. Segnala se qualche creditore ha insinuato importi diversi o contestato (se magari ha già avuto contatti).
  • Composizione dell’attivo: elenco beni con stime di valore. Spesso l’OCC fa fare perizie (es. valutazione immobile tramite un perito) per stimare il presumibile valore di realizzo in liquidazione.
  • Meritevolezza e atti in frode: l’OCC dichiara se ha trovato o meno evidenze di atti di frode verso i creditori. Verifica i movimenti bancari ultimi mesi per vedere prelievi anomali, cessioni di beni a parenti, ecc. Se tutto ok: “Dalle verifiche effettuate non risultano atti in frode o anomalie; il debitore risulta aver mantenuto un comportamento collaborativo e trasparente…”. Se c’è qualcosa: lo segnala (e di solito propone rimedi, ad es. revocare un atto).
  • Valutazione della fattibilità del piano/accordo: l’OCC fa i conti: reddito disponibile, rate proposte, eventuali vendite di beni – il tutto torna? È credibile che il debitore possa adempiere? E i tempi? L’OCC esprime un giudizio tipo: “Il piano appare sostenibile in quanto il debitore dispone di un reddito mensile di €…, sufficiente a coprire la rata prevista di €… lasciandogli un margine per le spese correnti di €…”.
  • Convenienza per i creditori: questa è cruciale, soprattutto per convincere il giudice e per il requisito di cui all’art. 69 co. 2 (per piano) e analogo per accordo: nessun creditore deve risultare peggiorato rispetto all’alternativa liquidatoria. L’OCC allora fa la simulazione: calcola ipoteticamente cosa otterrebbero i creditori in caso di liquidazione del patrimonio. Esempio: “In ipotesi di liquidazione, dall’immobile X i creditori ipotecari otterrebbero €…, ai chirografari andrebbe solo il 5%. Con il piano proposto, i chirografari ricevono il 30%. Pertanto la proposta è nettamente più conveniente.”.
    Se ci fossero creditori che prendono meno che in liquidazione, l’OCC deve evidenziarlo come problematica (e di solito il giudice non omologherà finché non si corregge quel punto).
  • Conclusioni dell’OCC: in chiusura, il gestore esprime un parere sintetico: ad esempio “Alla luce di quanto sopra, lo scrivente ritiene che il piano presentato sia meritevole di accoglimento, risultando il debitore in buona fede e la proposta vantaggiosa e fattibile. Si evidenzia, in particolare, che [riassunto punti forti].”
    Oppure, se ci sono criticità, potrebbe segnalarle al giudice: “Si rileva tuttavia che la percentuale offerta al creditore Alfa S.p.A. è lievemente inferiore al presumibile realizzo da liquidazione (40% vs 45%); qualora detto creditore non aderisca espressamente, si demanda al Tribunale la valutazione sull’omologabilità forzata ai sensi dell’art…”.

Questa relazione, firmata dall’OCC, dà grande credibilità all’istanza del debitore. È fondamentale dunque che il debitore collabori con l’OCC per fornire tutti i dati e i documenti richiesti, in modo che la relazione sia positiva.

3. Consigli pratici sulla documentazione

  • Preparare un dossier completo: sin dal primo contatto con l’OCC, conviene presentarsi con: un elenco provvisorio di tutti i debiti (magari preparato con un semplice foglio Excel), copia di tutte le lettere di richiesta dei creditori, delle cartelle esattoriali, degli atti giudiziari ricevuti, ecc. Allo stesso tempo, predisporre l’elenco dei beni con eventuali stime (anche empiriche, poi l’OCC affinerà). Avere sotto mano le ultime dichiarazioni dei redditi e bilanci se applicabile.
  • Tracciare il budget familiare: soprattutto per il piano del consumatore, è utile redigere un prospetto delle spese mensili familiari (affitto/mutuo, bollette, alimentari, trasporti, spese mediche, scolastiche, ecc.), per dimostrare quale quota di reddito è utilizzabile per i creditori. Un giudice si aspetta di vedere che il debitore non sacrifica spese essenziali (ad es. deve tenersi qualcosa per vivere dignitosamente).
  • Attenzione ai movimenti bancari: se si hanno conti correnti, evitare in prossimità della procedura di fare movimenti “anomali”. Qualsiasi prelievo ingente o bonifico a parenti verrà notato. Se si deve trasferire del denaro per motivi validi, meglio informare prima l’OCC.
  • Trasparenza sugli ultimi 5 anni: qualsiasi atto rilevante fatto negli ultimi anni deve essere dichiarato: vendite di immobili, donazioni, anche pagamenti consistenti a un singolo creditore (questi ultimi, se effettuati quando già c’era insolvenza, possono costituire pagamenti preferenziali). Non aver paura di dirli: è peggio se vengono scoperti poi. Se qualche atto potenzialmente dannoso c’è stato (es. ho restituito un prestito a mio fratello preferendolo ad altri), l’OCC lo segnalerà ma in genere il giudice nei sovraindebitamenti è meno severo che nel fallimento, a meno che sia macroscopica la preferenza.
  • Simulare scenari con l’OCC: spesso il gestore potrà consigliare aggiustamenti. Ad esempio: “Se vendessimo anche quell’auto d’epoca che tieni in garage, potremmo offrire 5% in più ai creditori, sarebbe opportuno farlo per convincere il giudice.” Essere flessibili e cooperativi su questo porta a piani più robusti e difendibili.
  • Tenere copia di tutto: ogni documento depositato in tribunale conviene conservarlo con cura (anche digitalmente). I creditori a volte contestano di non essere stati inclusi o simili: avendo la lista depositata, si chiudono le discussioni.
  • Assistenza legale: non è obbligatorio avere un avvocato (il procedimento è camerale e l’OCC spesso basta per la parte tecnica), però in situazioni complesse o con potenziali opposizioni di creditori importanti, è consigliabile coinvolgere un legale esperto di crisi da sovraindebitamento, per poter rispondere in udienza alle contestazioni, fare eventuali memorie, ecc. I costi legali rientrano tra le spese della procedura e possono essere anch’essi soggetti a trattativa (in alcuni casi l’OCC ha convenzioni con avvocati che assistono a tariffe calmierate i debitori sovraindebitati).

Conclusioni e riferimenti normativi e giurisprudenziali

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento rappresentano oggi, per i piccoli imprenditori e per tutti i debitori civili in difficoltà, un’opportunità concreta di risanamento o liberazione dai debiti insostenibili, in modo regolato e con la supervisione dell’autorità giudiziaria. L’evoluzione normativa, dal 2012 ad oggi (aprile 2025), ha esteso e perfezionato tali strumenti, rendendoli più accessibili e flessibili. Come abbiamo visto:

  • Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019) – art. 65 e seguenti – ha integrato la disciplina, introducendo il concordato minore e confermando il piano del consumatore e la liquidazione controllata, con previsioni dettagliate per ciascuna (ad es., requisiti all’art. 66-68 CCI per il piano del consumatore, art. 74-83 CCI per il concordato minore, art. 268-277 CCI per la liquidazione controllata, ecc.). Inoltre, l’art. 69 CCI sancisce che l’omologazione del piano del consumatore può avvenire solo se risulta che il consumatore offre ai creditori quanto otterrebbero in liquidazione, a tutela dei loro interessi, mentre l’art. 75 CCI disciplina il quorum necessario per l’accordo (maggioranza dei crediti).
  • La normativa speciale emergenziale (L.176/2020) ha aggiunto misure come il cram-down fiscale (ora incorporate negli artt. 69 co. 2 e 80 co. 2 CCI) e la procedura familiare (art. 66 CCI), nonché l’esdebitazione del debitore incapiente (art. 282 CCI). Ad esempio, il nuovo art. 80 comma 2 CCI prevede espressamente che il tribunale possa omologare l’accordo di composizione anche in mancanza di adesione dell’Erario o degli enti previdenziali, qualora la proposta di soddisfacimento del credito fiscale/previdenziale non sia inferiore al miglior risultato ricavabile dalla liquidazione e, nel caso di IVA e ritenute, raggiunga almeno il 20% (norma che ha reso possibile superare molti dissensi erariali).
  • Sul fronte giurisprudenziale, numerose decisioni hanno fatto da guida:
    • Cass. Civ. Sez. I, 8 maggio 2019, n. 11524: ha chiarito che nella valutazione di meritevolezza del consumatore occorre riferirsi non solo al momento dell’indebitamento ma anche al comportamento tenuto nel corso della procedura (es. completa disclosure patrimoniale) – ponendo l’accento sulla collaborazione con l’OCC come indice positivo.
    • Cass. Civ. Sez. VI-1, 3 dicembre 2021, n. 38166: ha affermato che il giudice, nell’omologare un piano del consumatore, può discostarsi dal parere dei creditori (anche se tutti contrari) purché motivi sulla convenienza economica del piano e sulla meritevolezza, ribadendo la natura non negoziale ma giudiziale del piano del consumatore.
    • Tribunale di Milano, decreto 10 febbraio 2021: uno dei primi provvedimenti ad applicare la nuova esdebitazione del debitore incapiente, concedendo la cancellazione dei debiti ad un soggetto nullatenente e disoccupato ultra 70enne, sottolineando il carattere umanitario e di eccezione della misura (richiamando la L.3/2012 come novellata dall’art. 4-ter DL 137/2020).
    • Corte di Appello di Torino, decreto 15 gennaio 2020: ha confermato la risoluzione di un accordo di composizione per inadempimento del debitore, ribadendo che la risoluzione di diritto opera se prevista nelle clausole omologate e che in tal caso i creditori riacquisiscono il diritto all’intero credito originario (salvo imputare quanto ricevuto).
    • Tribunale di Napoli, sez. fall., decreto 1° marzo 2023: interessante perché ha omologato un concordato minore in cui un imprenditore agricolo proponeva la continuazione dell’attività e il pagamento dilazionato ai creditori, affermando che l’imprenditore agricolo pur non fallibile può accedere a tale procedura e che la continuazione dell’attività deve essere credibile e monitorata dall’OCC, pena la revoca.

Questi riferimenti normativi e giurisprudenziali evidenziano come l’orientamento sia generalmente favorevole a dare una seconda opportunità al debitore meritevole, pur bilanciando la necessità di tutela minima dei creditori. Naturalmente, ogni caso è valutato in concreto: un piccolo imprenditore che dimostri impegno e correttezza ha ottime probabilità di ottenere l’approvazione di un piano o accordo; al contrario, comportamenti opachi o tentativi di abuso degli strumenti (ad esempio usare la procedura solo per bloccare temporaneamente i creditori senza vera volontà di risanamento) vengono sanzionati con l’inammissibilità o la revoca.

In definitiva, per un piccolo imprenditore sovraindebitato, queste procedure rappresentano un percorso di responsabilità e allo stesso tempo di sollievo: responsabilità perché richiedono di affrontare con serietà la propria situazione finanziaria, mettendo sul piatto tutto il possibile e seguendo regole stringenti; sollievo perché, se correttamente attuate, permettono di uscire dal tunnel dei debiti in modo legale e definitivo. La guida fornita evidenzia passo passo come muoversi e cosa aspettarsi. Pur nella complessità tecnica del diritto concorsuale, l’obiettivo ultimo è semplice e profondamente umano: offrire una via per ricominciare da capo, imparando dagli errori del passato, senza restare prigionieri dei debiti per tutta la vita.

Fonti normative principali: D.Lgs. 14/2019 (Codice della Crisi) artt. 2, 65-83, 268-277, 282; Legge 3/2012 (ante abrogazione) artt. 6-14; D.M. 202/2014 (reg. OCC).

Fonti giurisprudenziali: Cass. civ. n. 11524/2019; Cass. n. 38166/2021; Trib. Milano 10/2/2021; Trib. Napoli 1/3/2023; altri decreti di merito vari (inediti) citati nel testo.

Perché Affidarsi all’Avvocato Monardo per le Procedure di Composizione della Crisi da Sovraindebitamento

Quando i debiti superano la capacità di pagamento e si rischiano pignoramenti, fermi amministrativi o la vendita dei propri beni, la composizione della crisi da sovraindebitamento è lo strumento legale che permette di bloccare l’aggressione dei creditori e ripartire con dignità.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un esperto vero, in grado di guidarti in ogni fase della procedura con sicurezza, competenza e risultati concreti.

Un Esperto in Sovraindebitamento Riconosciuto a Livello Nazionale

L’Avvocato Monardo, coordinatore di una rete di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario e gestione delle crisi, è specializzato nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento previste dalla Legge 3/2012 aggiornata al 2025 e dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.
Monardo conosce perfettamente:

  • Quando scegliere il Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore
  • Quando è più vantaggioso l’Accordo di Composizione della Crisi
  • Quando è necessaria la Liquidazione Controllata del Patrimonio
  • Come ottenere l’Esdebitazione anche senza beni (esdebitazione dell’incapiente)

Con lui, ogni scelta è costruita su misura sulla tua situazione economica e patrimoniale.

Come Ti Aiuta Nelle Procedure di Composizione della Crisi

Con l’Avvocato Monardo puoi:

  • Bloccare immediatamente azioni esecutive come pignoramenti, fermi e ipoteche
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  • Accedere a un piano di rientro sostenibile o, se necessario, liquidare il patrimonio in modo protetto
  • Difendere beni essenziali, come la prima casa o strumenti di lavoro, nei limiti consentiti dalla legge
  • Ottenere l’esdebitazione, cioè la cancellazione totale dei debiti residui

Monardo ti guida dall’analisi preliminare fino alla chiusura definitiva della procedura, passo dopo passo, sempre al tuo fianco.

Gestore della Crisi da Sovraindebitamento e OCC

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Quali Procedure Si Possono Attivare?

1. Piano di Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore
Se sei un privato (non imprenditore), puoi proporre al giudice un piano di pagamento sostenibile, senza dover ottenere il consenso dei creditori.

2. Accordo di Composizione della Crisi
Se sei un piccolo imprenditore, un professionista o una ditta individuale non fallibile, puoi negoziare un accordo con i creditori, riducendo il debito e salvando l’attività.

3. Liquidazione Controllata del Patrimonio
Se non riesci a rientrare nei debiti, puoi liquidare i tuoi beni sotto la supervisione del giudice, per poi ottenere l’esdebitazione.

4. Esdebitazione dell’Incapiente
Se non hai beni o reddito sufficiente, puoi chiedere la cancellazione dei debiti anche senza alcun pagamento, secondo la riforma 2025.

In conclusione

Le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento non sono una resa: sono una ripartenza legale, protetta e dignitosa.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un professionista riconosciuto e abilitato, che costruisce per te la strategia più adatta per uscire dai debiti e riprendere in mano la tua vita.
Con Monardo, la crisi si affronta con serietà, competenza e reale possibilità di successo.

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  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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