Ho Casa All’Asta: Cosa Fare E Come Salvare Tutto – La Guida

Hai la casa all’asta e vuoi sapere come salvarla?

Allora leggi con cura la guida di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in procedure per salvare le case dalle aste e dai pignoramenti.

Se poi hai bisogno di una consulenza approfondita, alla fine della guida troverai tutti i nostri contatti:

Questa guida di Studio Monardo intende aiutare in modo approfondito i cittadini italiani che si trovano nella difficile situazione di avere la propria casa all’asta (a seguito di pignoramento immobiliare). Verranno illustrate sia le aspetti tecnico-legali (con riferimenti normativi aggiornati ad aprile 2025) sia le soluzioni pratiche da comprendere e attuare facilmente. Attraverso una trattazione dettagliata, la guida analizza l’intera procedura esecutiva immobiliare, chiarisce i diritti e doveri del debitore esecutato, spiega come funziona un’asta immobiliare e quali sono le sue fasi, esamina i metodi per ottenere una sospensione della procedura (tra cui le opposizioni, l’istanza ex art. 624-bis c.p.c. e la conversione del pignoramento), approfondisce l’istituto del saldo e stralcio immobiliare con esempi pratici, discute la possibilità di acquistare l’immobile all’asta tramite terzi (familiari o altri soggetti), e passa in rassegna gli strumenti alternativi offerti dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (come il concordato minore e le procedure di sovraindebitamento). Inoltre, forniremo consigli su come negoziare con i creditori prima dell’asta, sul ruolo dei professionisti coinvolti (avvocati, consulenti immobiliari, società specializzate), e infine vedremo cosa accade dopo la vendita all’asta (tempi di liberazione dell’immobile, gestione di eventuali debiti residui, possibilità di accordi con l’aggiudicatario, ecc.).

La guida è organizzata in sezioni chiare e ordinate, con intestazioni e sottotitoli per facilitare la consultazione, e rappresenta un vero e proprio manuale pratico per chi vuole capire cosa fare e come cercare di salvare la propria casa messa all’asta.

Buona lettura:

Come Funziona Una Procedura Esecutiva Immobiliare

In Italia, l’espropriazione forzata immobiliare (procedura esecutiva immobiliare) è il procedimento giuridico con cui un creditore munito di titolo esecutivo fa vendere all’asta i beni immobili del debitore, al fine di soddisfarsi sul ricavato. Si tratta di una procedura disciplinata dal Codice di Procedura Civile (artt. 555 e seguenti c.p.c.) e scandita da precise fasi. Prima di addentrarci nelle soluzioni, è importante comprendere come funziona, in generale, il pignoramento di un immobile e la successiva vendita giudiziaria, ovvero quali sono i passi dal momento in cui il debitore riceve gli atti iniziali fino all’assegnazione del ricavato ai creditori.

Di seguito analizziamo i passaggi principali della procedura esecutiva immobiliare in Italia:

  1. Titolo Esecutivo e Precetto: ogni esecuzione forzata si fonda su un titolo esecutivo valido (ad esempio una sentenza passata in giudicato, un mutuo fondiario impagato contenente la clausola esecutiva, un decreto ingiuntivo definitivo, ecc.) e su un atto di precetto. Il precetto è la formale intimazione al debitore di pagare entro un termine (non meno di 10 giorni) sotto pena di esecuzione forzata (art. 480 c.p.c.). Se il debitore non adempie spontaneamente nel termine, il creditore può procedere. In questa fase il debitore viene messo a conoscenza del rischio imminente: ricevere un precetto significa avere ancora un’ultima chance di evitare il pignoramento pagando il dovuto. Se ciò non avviene, trascorsi almeno 10 giorni (salvo casi d’urgenza), si passa all’esecuzione vera e propria.
  2. Pignoramento Immobiliare: il pignoramento è l’atto con cui si vincola formalmente l’immobile del debitore all’esecuzione, sottraendolo alla disponibilità del proprietario. Viene eseguito dall’Ufficiale Giudiziario, su istanza del creditore, notificando al debitore e trascrivendo nei registri immobiliari un atto di pignoramento (art. 555 c.p.c.). Da quel momento l’immobile è “bloccato”: il debitore ne resta proprietario, ma con pesanti limitazioni – ad esempio non può venderlo o ipotecarlo, né deteriorarlo. Come spiega la dottrina, con il pignoramento il bene viene assoggettato all’esecuzione forzata: ha effetto realizzativo (perché finalizzato all’espropriazione e vendita) e conservativo (impone il divieto di disposizione del bene). Contestualmente, il pignoramento immobiliare deve essere iscritto a ruolo presso il tribunale competente: il creditore deposita in tribunale l’atto di pignoramento e i documenti necessari (titolo esecutivo, precetto, nota di trascrizione, etc.), aprendo così il fascicolo dell’esecuzione. Inizia così la fase giudiziaria dell’espropriazione immobiliare.
  3. Nomina del Custode Giudiziario e perizia di stima: il Giudice dell’Esecuzione (G.E.) una volta ricevuti gli atti, adotta i provvedimenti per proseguire l’esecuzione. Tipicamente nomina un Custode giudiziario dell’immobile pignorato (spesso lo stesso debitore può essere nominato custode, per continuare ad abitarvi sotto controllo, oppure un professionista esterno se opportuno). Il custode ha il compito di conservare e amministrare l’immobile durante la procedura, farlo visitare ai potenziali acquirenti, riscuotere eventuali affitti, etc., e informare il debitore sui propri doveri come occupante. Inoltre, il giudice nomina un Esperto stimatore (CTU) per redigere la perizia di stima dell’immobile pignorato, descrivendone le caratteristiche, regolarità edilizia, occupanti, e fornendo una valutazione del valore di mercato. La perizia è importante perché servirà da base per fissare il prezzo base d’asta. Il giudice fissa anche, di norma, l’Udienza per l’esame della documentazione (art. 569 c.p.c.), in cui verificare la regolarità della procedura e decidere sulle modalità della vendita.
  4. Ordinanza di Vendita e Pubblicità: se tutto è regolare e non vi sono sospensioni, il G.E. emette l’ordinanza di vendita, cioè il provvedimento che dispone la messa in vendita all’asta dell’immobile. Nell’ordinanza vengono stabilite le modalità dell’asta (vendita senza incanto – oggi la modalità tipica – o con incanto, ormai in disuso), il prezzo base (di solito corrispondente al valore di stima eventualmente ribassato secondo le indicazioni di legge o prassi), la cauzione che gli offerenti devono versare, i termini per la presentazione delle offerte e la data dell’eventuale gara tra offerenti. L’asta deve essere ampiamente pubblicizzata: viene curata la pubblicità tramite il Portale delle Vendite Pubbliche, siti internet specializzati in aste giudiziarie, avvisi sui quotidiani (se previsto) e affissione presso il tribunale, in modo da garantire la massima partecipazione possibile e la trasparenza della vendita. Da questo momento il debitore sa che la macchina dell’asta è in moto, ma resta ancora formalmente proprietario e possiede l’immobile (salvo casi eccezionali di rilascio anticipato, di cui diremo più avanti).
  5. Vendita all’Asta (Aggiudicazione o Deserta): alla scadenza fissata nell’ordinanza di vendita si procede con la vendita forzata. Nelle vendite senza incanto, gli interessati presentano offerte in busta chiusa entro il termine stabilito; se c’è almeno un’offerta valida non inferiore al prezzo minimo, il giudice (o un professionista delegato) la esamina all’udienza. Se le offerte sono più d’una, si apre una gara tra gli offerenti (rilanci competitivi) ex art. 573 c.p.c. – equivalendo di fatto a una vendita “con incanto” ossia con incanto d’asta. Al termine, il miglior offerente diventa aggiudicatario provvisorio. Se invece non giunge alcuna offerta o le offerte sono inferiori al minimo, l’asta è dichiarata deserta; il giudice potrà disporre un nuovo tentativo abbassando il prezzo base (spesso con un ribasso indicativo del 25%), e così via in successive aste finché l’immobile viene aggiudicato oppure, dopo ripetuti tentativi andati a vuoto, la procedura può chiudersi per infruttuosità. Durante la gara d’asta, il debitore esecutato non può partecipare né fare offerte sul proprio bene – la legge lo vieta espressamente (artt. 571 e 579 c.p.c.). In compenso, possono invece partecipare senza restrizioni familiari, amici o altri soggetti terzi, come vedremo in seguito.
  6. Decreto di Trasferimento e Pagamento del Prezzo: una volta avvenuta l’aggiudicazione (cioè quando qualcuno si è aggiudicato l’immobile all’asta), l’aggiudicatario definitivo deve versare il saldo del prezzo entro il termine fissato (solitamente 60 o 90 giorni). Se l’aggiudicatario non paga nei termini, perderà la cauzione e potrà subire altre conseguenze (la decadenza dall’aggiudicazione e l’obbligo di risarcire eventuali differenze di prezzo in caso di successiva rivendita a minor prezzo – v. art. 587 c.p.c.). Ottenuto il pagamento, il Giudice dell’Esecuzione emette il Decreto di Trasferimento: questo atto trasferisce la proprietà dell’immobile all’aggiudicatario, libero da ipoteche e pignoramenti. Il decreto funge da vero e proprio “atto di vendita” giudiziario, ed è titolo per la trascrizione nei Registri Immobiliari a favore dell’aggiudicatario.
  7. Distribuzione del Ricavato: dopo la vendita e il trasferimento, si passa alla fase della distribuzione delle somme ricavate. Il G.E. o un professionista delegato predispone un piano di distribuzione (ex art. 596 c.p.c. e segg.) in cui il ricavato dell’asta, dedotte le spese di procedura, viene suddiviso tra i creditori secondo l’ordine dei privilegi e delle ipoteche. Ad esempio, si pagherà per primo l’eventuale creditore ipotecario di primo grado (di solito la banca mutuataria), poi gli altri creditori muniti di cause di prelazione in ordine di grado, quindi gli eventuali chirografari (senza garanzie) se avanza qualcosa. Se il prezzo d’asta non è sufficiente a soddisfare tutti i crediti, la procedura si chiude comunque (il bene è stato venduto), ma i creditori rimasti insoddisfatti conservano un credito verso il debitore per la parte non pagata (il debito residuo). Se invece vi è un surplus (caso raro ma possibile: prezzo molto alto rispetto ai debiti), l’eccedenza viene restituita al debitore. In ogni caso, una volta approvato il piano di distribuzione e eseguiti i pagamenti, si dichiara estensa la procedura esecutiva: l’incubo dell’asta per il debitore finisce qui sul piano procedurale, anche se – come detto – potrebbero rimanere strascichi economici (debiti residui) e pratici (dover liberare casa, cercare altra sistemazione, etc.).

Questa è, in estrema sintesi, la “vita” di un pignoramento immobiliare dall’inizio alla fine. Ogni fase offre al debitore esecutato alcune possibilità di intervento o di difesa, che analizzeremo nelle sezioni seguenti. È fondamentale che chi subisce una procedura di questo tipo conosca i propri diritti e doveri, così da poterli esercitare tempestivamente e correttamente: a volte, un’azione tempestiva può cambiare l’esito (ad esempio un’opposizione fondata può bloccare tutto, o un accordo con il creditore può evitare la vendita). Nei paragrafi successivi vedremo quindi quali strumenti legali esistono per sospendere o arrestare l’esecuzione, come eventualmente pagare il debito ed evitare l’asta, oppure come limitare i danni se la vendita è inevitabile, fino a considerare le soluzioni esterne come le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.

Diritti e Doveri del Debitore Esecutato: Quali Sono

Quando la propria casa è pignorata e all’asta, il debitore (detto debitore esecutato) assume una posizione giuridica particolare: da un lato è soggetto a doveri stringenti nei confronti della procedura, dall’altro mantiene alcuni diritti di tutela. Conoscere cosa si è tenuti a fare e quali garanzie spettano è essenziale per navigare la situazione senza aggravare i problemi.

Doveri del debitore esecutato: la legge impone al debitore una serie di obblighi di cooperazione e di correttezza durante l’esecuzione. In particolare, il debitore deve:

  • Collaborare con l’Autorità e con gli Ausiliari del Giudice: ad esempio deve agevolare l’Ufficiale Giudiziario nel compimento degli atti esecutivi (facilitare l’accesso, non ostacolare il pignoramento, consegnare eventuali beni mobili pignorati, etc.) . Allo stesso modo, deve cooperare con il Custode giudiziario, consentendo le visite all’immobile da parte di potenziali acquirenti e rispettando le istruzioni del custode sulla gestione dell’immobile pignorato.
  • Astenersi da atti dispositivi o lesivi sui beni pignorati: dal momento del pignoramento, il debitore non può vendere, donare o gravare di ipoteca l’immobile pignorato (questi atti sarebbero nulli). Inoltre, non deve compiere atti che ne diminuiscano il valore: ad esempio, non può danneggiare la casa o asportare impianti/fissi, né affittarla senza autorizzazione (un nuovo contratto di locazione dopo il pignoramento sarebbe inefficace verso la procedura). Questo divieto è sancito dall’art. 492, co.1 c.p.c..
  • Fornire informazioni veritiere sui propri beni: su richiesta del giudice o dell’ufficiale giudiziario, il debitore deve dichiarare la composizione del proprio patrimonio e la presenza di eventuali altri creditori o pesi sull’immobile. Con le riforme recenti (art. 492-bis c.p.c.), esiste un obbligo di collaborazione attiva: ad esempio comunicare se esistono altre procedure, crediti in corso, etc., per agevolare una soddisfazione integrale dei creditori.
  • Tollerare gli atti di esecuzione anche nella propria sfera domestica: in caso di necessità, il debitore deve accettare che si proceda all’esecuzione forzata anche all’interno della propria abitazione o altri luoghi a lui appartenenti (ad esempio sopportare un accesso dell’Ufficiale Giudiziario, un sopralluogo dell’esperto stimatore, etc.). Ciò può essere umiliante, ma è previsto dalla legge nell’interesse della giustizia.

In sintesi, il debitore pignorato deve comportarsi con buona fede e trasparenza, evitando manovre dilatorie o fraudolente. Violare questi doveri può portare a sanzioni: ad esempio, atti di disposizione sul bene pignorato sono nulli; resistenze eccessive possono indurre il giudice a ordinare la liberazione anticipata dell’immobile; dichiarazioni false possono avere rilevanza penale. Collaborare è spesso nel migliore interesse del debitore stesso, perché un atteggiamento ostile può peggiorare la situazione (meno chance di accordi, maggiori costi, perdita di fiducia da parte del giudice).

Diritti del debitore esecutato: parallelamente, chi subisce l’esecuzione gode di importanti diritti e facoltà di tutela, riconosciuti dall’ordinamento per evitare abusi e garantire che la procedura sia equa. I principali diritti sono:

  • Essere informato dell’avvio e dello svolgimento della procedura: il debitore ha diritto a ricevere tutte le notifiche fondamentali (precetto, atto di pignoramento, avvisi di vendita, ordinanza di vendita, eventuali istanze dei creditori, ecc.). La legge gli garantisce di sapere che c’è un’esecuzione in corso e a che punto si trova. Ciò gli consente, tra l’altro, di esercitare opportunamente le opposizioni e difese. Ad esempio, deve essergli notificato il pignoramento e comunicata la perizia e l’ordinanza di vendita, così che sappia quando sarà l’asta.
  • Opporsi all’esecuzione e agli atti esecutivi irregolari: il debitore può reagire legalmente se ritiene l’esecuzione ingiusta o se vi sono vizi procedurali. In particolare può proporre:
    • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), per contestare il diritto del creditore di procedere (es: il debito è già pagato, il titolo è invalido, il bene è impignorabile, ecc.).
    • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), per denunciare irregolarità formali negli atti della procedura (es: vizi di notifica, errori nell’ordinanza di vendita, ecc.).
    • Opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.), utilizzabile se un terzo rivendica diritti sul bene pignorato (es: un comproprietario estraneo al debito).
      L’opposizione si propone con ricorso al giudice competente e, se accolta, può portare all’annullamento del pignoramento o all’estinzione/ correzione della procedura. Durante l’opposizione, il debitore può chiedere la sospensione dell’esecuzione (art. 624 c.p.c. per opposizione all’esecuzione; art. 624 e 618 c.p.c. per opposizione agli atti), così da “bloccare” temporaneamente l’asta in attesa della decisione. Approfondiremo tra poco queste opposizioni come strumento di difesa.
  • Ottenere la conversione del pignoramento (art. 495 c.p.c.): questo diritto, molto rilevante, consiste nella facoltà di sostituire all’immobile pignorato una somma di denaro equivalente ai crediti in esecuzione, evitando così la vendita all’asta. In sostanza, è la possibilità per il debitore di “riscattare” il bene pignorato pagando quanto dovuto (anche a rate, se concesso). La conversione richiede un’istanza da depositare prima che sia disposta la vendita, accompagnata dal versamento di una cauzione iniziale pari a una frazione del debito (come vedremo dettagliatamente più avanti). Se la conversione viene concessa e il debitore versa l’intera somma stabilita, il pignoramento viene cancellato e la casa non va più all’asta. È uno strumento prezioso per salvare l’immobile, e lo tratteremo in una sezione dedicata.
  • Estinguere il debito ed estinguere la procedura in qualsiasi momento: il debitore conserva sempre la facoltà di pagare spontaneamente quanto dovuto al creditore procedente (comprensivo di interessi e spese) per liberarsi dai vincoli del pignoramento. Può farlo anche dopo che il pignoramento è iniziato, finché la casa non sia aggiudicata: se riesce a trovare le risorse (proprie o di terzi) per soddisfare i creditori, la procedura deve essere chiusa. Ad esempio, può vendere volontariamente un altro bene per ricavare la somma e pagare il creditore, oppure trovare un accordo di saldo e stralcio, o reperire un finanziamento sostitutivo. L’importante è che tutti i creditori coinvolti vengano soddisfatti o consensualmente stralciati: in tal caso il giudice dichiarerà estinto il pignoramento. Anche dopo la vendita, come vedremo, se il ricavato paga tutti i creditori il debitore ha diritto alla liberazione integrale dai debiti e alla restituzione di eventuali eccedenze.
  • Altri diritti di tutela: la legge prevede una serie di garanzie ulteriori per il debitore esecutato, come il diritto alla riservatezza di alcune informazioni, la tutela di beni impignorabili (artt. 514-515 c.p.c. elencano beni che non possono essere pignorati – ad es. oggetti indispensabili alla vita quotidiana, strumenti di lavoro, ecc. – e persino la prima casa è impignorabile per debiti fiscali in certe condizioni). Inoltre, i principi costituzionali di dignità e proporzionalità devono essere rispettati: l’esecuzione non può ridurre il debitore in condizioni contrarie alla dignità umana, e deve esserci proporzione tra misura esecutiva e credito da soddisfare. Questi principi, seppur generali, possono offrire appigli in casi estremi (ad esempio, la Corte Costituzionale ha in passato limitato pignoramenti che violavano diritti fondamentali).

In conclusione, il debitore esecutato ha doveri stringenti (collaborazione, veridicità, non disposizione del bene) ma anche diritti importanti (informazione, opposizione, conversione, pagamento liberatorio) che gli consentono di difendersi e, se possibile, di evitare gli esiti più pregiudizievoli dell’esecuzione. Nel prosieguo di questa guida, vedremo come esercitare concretamente alcuni di questi diritti – ad esempio presentando opposizione o istanza di conversione – e come coordinare i propri doveri con le strategie per salvare la casa.

Come Funziona la Vendita All’Asta: Le Fasi Principali

Abbiamo già delineato nel paragrafo sulla procedura esecutiva le linee generali di come si arriva all’asta immobiliare. Ora concentriamoci più specificamente sulle fasi della vendita all’incanto (o senza incanto) e su cosa comportano per il debitore. Capire come avviene l’asta aiuta anche a identificare i momenti in cui si può agire (prima che l’asta avvenga, o durante se consentito, ecc.) e a sapere cosa aspettarsi.

Riassumiamo dunque le fasi principali di una vendita forzata immobiliare all’asta:

  • Preparazione dell’asta: dopo il pignoramento e la perizia, il giudice fissa le condizioni di vendita (prezzo base, modalità). L’immobile viene pubblicizzato tramite annunci (sul Portale delle Vendite Pubbliche, siti specializzati, ecc.) con indicazione di tutti i dati utili: descrizione del bene, prezzo base, rilancio minimo, termine per offerte (se senza incanto) o data dell’incanto, cauzione da versare, e condizioni di occupazione (ad esempio se l’immobile è venduto libero o occupato dal debitore/inquilini). Il debitore di solito riceve notifica dell’ordinanza di vendita o comunque ne viene informato tramite il custode. Importante: finché l’asta non si tiene, c’è tempo per tentare soluzioni (accordi con creditori, sospensioni, ecc.).
  • Vendita senza incanto (offerte in busta chiusa): questa è la modalità oggi più comune. Entro una certa data, chi vuole partecipare presenta in tribunale (o tramite il portale telematico, se previsto) un’offerta segreta, versando la cauzione richiesta (di solito 10% del prezzo base). Tutte le offerte sono irrevocabili. All’udienza fissata, il giudice (o il professionista delegato) apre le buste: se vi è almeno un’offerta valida, si procede. Se l’offerta migliore è pari o superiore al prezzo base, di norma l’immobile viene aggiudicato a quell’offerente. Se invece le offerte sono inferiori al prezzo base ma ritenute comunque adeguate (almeno il 75% del base, per prassi), il giudice può valutare se aggiudicare ugualmente. In caso di più offerte valide, si indice immediatamente una gara tra gli offerenti presenti, partendo dall’offerta più alta e consentendo rilanci minimi prestabiliti. Al termine, chi ha fatto il rilancio più alto si aggiudica l’asta. Tutte queste operazioni sono pubbliche e trasparenti, per assicurare il miglior realizzo possibile.
  • Vendita con incanto (gara pubblica): è la vecchia modalità di asta tradizionale, oggi residuale. Consiste in un’asta aperta a chiunque presenti una cauzione prima dell’incanto. Durante l’incanto, i partecipanti possono fare offerte ad alta voce (o telematicamente) superandosi a vicenda. Dopo tre minuti dall’ultima offerta senza rilanci, l’asta si chiude. L’aggiudicazione in questo caso inizialmente è provvisoria: entro 10 giorni altri soggetti possono fare un’“offerta successiva” aumentando di 1/5 il prezzo (cosiddetto aumento di quinto), riaprendo così i giochi. Se ciò non accade, l’aggiudicazione diviene definitiva. Questa modalità ormai è stata quasi completamente sostituita dalla vendita senza incanto, più rapida e che evita il periodo di offerte successive.
  • Aggiudicazione: quando un partecipante vince l’asta (sia con incanto che senza incanto), si dice che l’immobile è aggiudicato a quella persona. L’aggiudicazione diventa definitiva trascorsi eventuali termini tecnici (nel senza incanto è di fatto definitiva subito, nel con incanto bisogna attendere 10 giorni per vedere se arrivano rilanci post-asta). A questo punto l’aggiudicatario deve pagare il prezzo entro il termine fissato. Per il debitore, l’aggiudicazione significa che ormai il suo immobile è venduto (anche se il trasferimento formale avverrà col decreto di trasferimento). Da aggiudicazione in poi, è tardi per qualsiasi intervento volto a salvare la proprietà: ci si può concentrare solo su mitigare conseguenze (ad es. più tempo per liberare l’immobile, o eventuale conversione tardiva se possibile – ma generalmente dopo aggiudicazione non è ammessa).
  • Caso di asta deserta: se nessuno partecipa all’asta (nessuna offerta per la vendita senza incanto, o nessuno si presenta al incanto), il giudice dichiara l’asta deserta. In tal caso viene di solito fissato un nuovo tentativo di vendita, abbassando il prezzo base (ad es. del 25%). Il debitore viene informato ed è un ulteriore periodo in cui può tentare di risolvere la situazione (più il prezzo scende, più teoricamente potrebbe essere facile trovare un accordo con un terzo per un saldo e stralcio, ma più aumenta il rischio che l’immobile venga svenduto). Dopo più aste deserte, se il valore diventa troppo basso, i creditori potrebbero valutare soluzioni alternative, oppure in alcuni casi estremi il giudice può chiudere la procedura per mancanza di utile (specie se le spese supererebbero il ricavato potenziale).
  • Divieto per il debitore di partecipare: è bene ribadirlo, perché talvolta il debitore chiede “posso ricomprare la mia casa all’asta?”. La risposta è no: l’art. 571 c.p.c. stabilisce che “ognuno, tranne il debitore, è ammesso a offrire per l’acquisto dell’immobile pignorato”. La ragione è duplice: chi non ha potuto pagare i debiti non si vede perché dovrebbe avere liquidità per ricomprarsi il bene, e inoltre la sua presenza all’asta potrebbe dissuadere altri acquirenti (che temono ritorsioni o situazioni spiacevoli). Dunque il debitore non può né direttamente né tramite interposta persona di comodo partecipare? In realtà, la legge vieta la partecipazione diretta del debitore, ma non impedisce a parenti o terzi di presentarsi (purché agiscano di testa propria e con mezzi propri). Approfondiremo in seguito i pro e contro di far intervenire un familiare come acquirente.

In sintesi, la vendita all’asta è un processo formalizzato che offre garanzie di pubblicità e competitività, ma per il debitore rappresenta l’ultima fase in cui rischia effettivamente di perdere la casa. Idealmente, tutte le strategie di “salvataggio” dovrebbero essere messe in atto prima che l’asta abbia luogo (ad esempio trovando accordi, chiedendo sospensioni, etc.). Tuttavia, se l’asta è inevitabile, il debitore deve prepararsi al meglio: sapere che dopo l’aggiudicazione i tempi saranno rapidi per lasciare l’immobile, e che il ricavato verrà distribuito secondo legge. Nella sezione finale vedremo proprio “cosa succede dopo la vendita”, ma prima analizziamo gli strumenti per sospendere o evitare la vendita: dalle opposizioni all’esecuzione, alla sospensione concordata, alla conversione, fino al saldo e stralcio e altre soluzioni.

Sospensione della Procedura Esecutiva: Opposizioni, Istanza ex art. 624-bis c.p.c. e Conversione

Non tutte le esecuzioni immobiliari vanno necessariamente a compimento: esistono vari modi per sospendere, ritardare o persino estinguere una procedura prima che la casa sia venduta all’asta. In questa sezione esamineremo tre strumenti chiave a disposizione del debitore e, in parte, dei creditori stessi: l’opposizione all’esecuzione (o agli atti esecutivi), la sospensione concordata ex art. 624-bis c.p.c., e la conversione del pignoramento. Ognuno di questi istituti ha presupposti e effetti diversi: vediamoli separatamente in dettaglio.

Opposizione all’Esecuzione (e agli Atti Esecutivi)

L’opposizione è il rimedio giurisdizionale che il debitore (o eventualmente altri interessati) può utilizzare per far valere davanti a un giudice le proprie ragioni contro l’esecuzione forzata. Ci sono due tipi principali di opposizione nel contesto di una espropriazione immobiliare:

  • Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): si tratta di contestare il diritto del creditore di procedere all’esecuzione. In sostanza, il debitore afferma che quella procedura non dovrebbe proprio avere luogo, per motivi sostanziali. Esempi tipici: il titolo esecutivo è invalido o inefficace; il debito è già stato pagato o compensato; il bene pignorato è impignorabile (ad esempio, se fosse prima casa e il creditore è l’Agente della Riscossione in casi protetti dalla legge); il pignoramento presenta vizi radicali; oppure ancora si eccepisce che il creditore procedente non aveva diritto a procedere (mancanza di titolo esecutivo valido, prescrizione del credito, ecc.). L’opposizione all’esecuzione può essere proposta prima che l’esecuzione inizi (ad esempio appena ricevuto un precetto, per prevenire il pignoramento) oppure dopo l’inizio (dopo il pignoramento): nel primo caso si cita il creditore davanti al tribunale competente in via ordinaria; nel secondo caso (a procedura iniziata) si fa ricorso al Giudice dell’Esecuzione presso il tribunale dove pende l’esecuzione. Importante: il debitore che propone opposizione può chiedere al giudice di sospendere l’esecuzione in via cautelare, presentando istanza motivata (art. 624 c.p.c.); il G.E., se ritiene che l’opposizione non sia pretestuosa e sussistano gravi motivi, può sospendere la procedura in attesa dell’esito del giudizio di opposizione. Se l’opposizione viene poi accolta, l’esecuzione verrà estinta (ad esempio: il tribunale accerta che il debito non era dovuto, annulla il precetto e dichiara improcedibile il pignoramento). Se viene rigettata, l’asta prosegue da dove era stata eventualmente sospesa.
  • Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): serve a contestare vizi formali o irregolarità degli atti compiuti nella procedura. Ad esempio, il debitore può opporsi perché la notifica del pignoramento è nulla, oppure perché l’ordinanza di vendita non è stata comunicata come previsto, o ancora perché il delegato ha violato norme procedurali (come nel caso – realmente accaduto – di asta revocata perché l’avviso non conteneva le foto dell’interno dell’immobile, violando la pubblicità prevista. L’opposizione agli atti va proposta entro 20 giorni dalla conoscenza dell’atto viziato (termine di decadenza molto breve!), sempre con ricorso al G.E. se l’atto è successivo all’inizio dell’esecuzione. Anche qui è possibile chiedere la sospensione (art. 618 c.p.c.), ma poiché si tratta di vizi formali, il giudice la concede solo se l’irregolarità è tale da poter incidere seriamente sui diritti (ad esempio un vizio di notifica che abbia leso il diritto di difesa). Se l’opposizione agli atti è accolta, l’atto impugnato viene annullato e, se necessario, si retrocede la procedura alla fase in cui l’atto corretto va compiuto (ad es. si rifarà la notifica, o si annullerà un’asta fissata senza regole e la si riconvocherà correttamente). L’esecuzione però in sé non viene estinta (salvo casi eccezionali in cui il vizio colpisca l’atto iniziale di pignoramento, facendolo venir meno).

Va segnalato che esistono anche opposizioni di terzi (art. 619 c.p.c.) nel caso in cui un terzo sostenga di avere diritti sul bene pignorato (es: Tizio pignora casa ritenendo sia di Caio, ma Sempronio afferma di esserne proprietario lui – allora Sempronio fa opposizione di terzo per far escludere il bene dall’esecuzione). Queste però esulano dal caso tipico in cui il debitore è il proprietario esecutato.

Scopi e limiti delle opposizioni: l’opposizione è uno strumento potentissimo in teoria, perché può bloccare o annullare l’esecuzione. Tuttavia, in pratica, occorre avere motivi solidi e fondati. Un’opposizione pretestuosa, volta solo a guadagnare tempo senza reali ragioni, può essere rigettata rapidamente e il debitore rischia anche di essere condannato a pagare spese legali aggiuntive. Inoltre, le continue riforme hanno cercato di arginare gli abusi: ad esempio, il giudice può revocare in ogni momento la sospensione concessa se vede che l’opposizione non ha basi. Ciò detto, se esistono validi motivi di opposizione, è diritto del debitore farli valere. Spesso si ritiene erroneamente che “se il debito c’è, non c’è nulla da fare”: non è sempre così. Ci sono casi (più frequenti di quanto si creda) in cui errori procedurali dei creditori portano all’estinzione del pignoramento – ad esempio, il mancato rispetto di termini essenziali come il deposito della documentazione ex art. 567 c.p.c. entro 60 giorni dal pignoramento può portare alla chiusura anticipata della procedura. Un avvocato esperto sa individuare queste “frecce al proprio arco” del debitore. Anche dal lato dell’esecuzione, le opposizioni, pur se a volte dilatorie, sono viste come parte del sistema di garanzie: statisticamente solo circa il 9% dei debitori propone opposizione, ma quel 9% ottiene talora risultati importanti (sospensioni lunghe o accordi transattivi nel frattempo).

In sintesi, se il debitore ritiene di avere ragionevoli contestazioni (sostanziali o formali), dovrebbe valutare l’opposizione con l’aiuto di un legale. Un esempio di opposizione all’esecuzione potrebbe essere: la banca procede per un mutuo ma il debitore dimostra che c’è un’assicurazione che avrebbe dovuto pagare il debito, oppure che il contratto di mutuo aveva tassi usurari nulli – in questi casi l’esecuzione potrebbe essere fermata o dichiarata improcedibile. Un esempio di opposizione agli atti: il perito ha sottostimato gravemente il valore e il giudice ha messo un prezzo base irrisorio, il debitore può lamentare che così si lede il suo diritto (questo è più difficile, ma tentabile magari come istanza al G.E. stesso). Dunque, l’opposizione è la via giudiziale per sospendere/fermare l’asta.

Come Funziona La Sospensione Concordata ex art. 624-bis c.p.c.

Oltre alle opposizioni, che spesso contrappongono debitore e creditore in giudizio, esiste uno strumento di natura volontaria e concordata per sospendere temporaneamente la procedura: la sospensione su istanza delle parti, disciplinata dall’art. 624-bis c.p.c. Introdotta nel 2005 e modificata successivamente (da ultimo dalla riforma del 2021/2022), essa consente di “congelare” l’esecuzione per un certo periodo, al fine di favorire trattative e soluzioni concordate. Vediamo come funziona:

Cosa prevede l’art. 624-bis c.p.c.: la norma stabilisce che “Il giudice dell’esecuzione, su istanza di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, può, sentito il debitore, sospendere il processo fino a ventiquattro mesi.” Dunque, se tutti i creditori coinvolti nell’esecuzione (quello procedente e gli eventuali intervenuti, purché abbiano un titolo esecutivo) sono d’accordo, possono chiedere al giudice di sospendere la procedura fino a un massimo di 24 mesi (2 anni). Il giudice prima di decidere deve sentire il parere del debitore, ma se tutti i creditori sono favorevoli, generalmente accoglie la sospensione. Questa istanza va presentata entro certi termini: non è possibile chiederla all’ultimo minuto prima dell’asta; la legge dice che va proposta non oltre 20 giorni prima del termine per le offerte (nelle vendite senza incanto) o 15 giorni prima dell’incanto. Inoltre, la sospensione concordata può essere concessa una sola volta e il provvedimento è revocabile in qualsiasi momento su istanza anche di un solo creditore (che magari cambia idea).

In pratica, la sospensione ex 624-bis viene usata quando c’è una seria trattativa in corso tra debitore e creditori per risolvere la questione senza procedere alla vendita immediata. Ad esempio, la banca e il debitore stanno negoziando un saldo e stralcio: la banca, d’accordo con eventuali altri creditori, può chiedere di sospendere l’asta per dare tempo di finalizzare l’accordo. Oppure, c’è un acquirente privato interessato a comprare l’immobile direttamente dal debitore a un prezzo soddisfacente: creditori e debitore chiedono al giudice di congelare l’esecuzione così da permettere la vendita privata (in questo caso poi la procedura verrebbe estinta per soddisfazione dei crediti).

Condizioni riassunte: i punti chiave della sospensione concordata sono:

  • Devono essere d’accordo tutti i creditori muniti di titolo esecutivo (anche quelli intervenuti). Basta un creditore dissenziente per impedire la sospensione. Ciò significa che se il debitore ha più creditori, occorre negoziare con ciascuno di loro un’intesa.
  • Il debitore viene “sentito” ma non ha potere di iniziativa: non è il debitore che chiede la sospensione, bensì i creditori (di concerto fra loro, ovviamente su sollecitazione del debitore). Se i creditori sono favorevoli, difficilmente il debitore si opporrà, poiché la sospensione è nel suo interesse (lo libera dall’asta per un po’). In rari casi il debitore potrebbe opporsi (es: ritiene di aver interesse a far vendere subito – scenario poco comune).
  • La durata massima è 24 mesi. Il giudice può concedere un periodo inferiore, ma non superiore. È una sospensione temporanea, non definitiva.
  • Una tantum: la sospensione volontaria può essere concessa solo una volta per procedura. Ciò evita che le parti “giochino” a sospendere di continuo. Se ad esempio viene data una sospensione di 12 mesi e alla scadenza non si è concluso l’accordo sperato, difficilmente se ne otterrà un’altra (salvo casi eccezionali, magari legati a norme COVID o simili in passato).
  • Revocabilità: se durante il periodo di sospensione qualcosa va storto (ad esempio l’accordo salta, o uno dei creditori cambia idea), su istanza di un creditore il giudice può revocare la sospensione prima della scadenza, e far ripartire subito l’esecuzione (fissando magari una nuova asta).
  • Riassunzione dopo la sospensione: al termine del periodo (24 mesi o meno), se nel frattempo non è intervenuta un’estinzione, i creditori devono attivarsi per far proseguire l’esecuzione, depositando istanza di fissazione udienza entro 10 giorni dalla scadenza. In mancanza, la procedura potrebbe estinguersi d’ufficio. Questa previsione stimola le parti a non procrastinare inutilmente.

Quando e perché utilizzarla: la sospensione ex 624-bis c.p.c. è pensata per agevolare soluzioni alternative alla vendita forzata. Dal punto di vista del creditore, può convenire attendere (fino a 2 anni) se crede che in quel periodo il debitore realizzerà del denaro o venderà l’immobile a condizioni migliori, cosicché il creditore venga pagato in misura maggiore di quanto forse otterrebbe da un’asta subito. Ad esempio, mercati immobiliari depressi: la banca può preferire sospendere 1-2 anni sperando in una risalita dei prezzi piuttosto che svendere subito. Dal punto di vista del debitore, è prezioso avere tempo – magari per trovare un acquirente privato, o per rinegoziare il mutuo, o per accedere a procedure di sovraindebitamento. Due anni di ossigeno possono fare la differenza tra perdere la casa e riuscire a salvarla tramite altre vie.

Occorre però convincere tutti i creditori. Nella pratica, lo strumento è spesso usato nelle esecuzioni monocreditore (es. solo la banca mutuataria pignora): in tal caso basta accordarsi con quella banca. Nelle esecuzioni con molti creditori, è più difficile allineare tutti gli interessi.

Esempio pratico: il Sig. Rossi ha la casa pignorata dalla banca (credito €100.000) e ci sono altri due creditori intervenuti (Equitalia €20.000 e un privato €10.000). Rossi trova un potenziale compratore disposto a pagare €110.000 per la casa privatamente (più di quanto forse farebbe l’asta). Rossi propone ai creditori: “se sospendete l’esecuzione per 6 mesi, io concludo la vendita privata e vi pago: la banca prende 100k, Equitalia 5k e privato 5k (magari con stralcio parziale)”. Se tutti accettano, chiedono al G.E. la sospensione ex 624-bis per 6 mesi. Il G.E. la concede. Entro 6 mesi Rossi vende la casa al compratore, e con il ricavato paga secondo l’accordo i creditori, i quali poi rinunciano al pignoramento. La procedura si chiude senza asta, grazie alla sospensione che ha dato il tempo necessario. Questo è il caso ideale di utilizzo.

Se invece trascorsi i 6 mesi la vendita non si è conclusa (ad es. il compratore si è tirato indietro), i creditori riattivano l’asta. Rossi avrà comunque guadagnato tempo per magari trovare un nuovo acquirente o prepararsi.

In conclusione, la sospensione concordata è uno strumento di natura negoziale: richiede dialogo tra debitore e creditori. Non è automatico (il giudice non può imporla d’ufficio, né il debitore da solo può ottenerla), ma quando c’è cooperazione è molto utile. Il debitore interessato a questa opzione deve quindi cercare di convincere i creditori con una proposta concreta (ad es. “datemi 6 mesi, perché ho messo in vendita l’immobile e posso saldarvi”) e magari formalizzarla con un accordo di massima. Spesso le banche chiedono un acconto o delle garanzie in cambio del loro consenso alla sospensione. È consigliabile farsi assistere da un avvocato nelle trattative, per mettere tutto nero su bianco (anche perché, pur essendo concordata, la sospensione va comunque chiesta al giudice con un’istanza ben formulata).

La Conversione del Pignoramento (art. 495 c.p.c.)

La conversione del pignoramento è probabilmente lo strumento più diretto e “risolutivo” in mano al debitore per salvare il proprio immobile: consiste nel pagare ai creditori una somma di denaro in sostituzione del bene pignorato, evitando così la vendita. In altre parole, il debitore chiede di sostituire l’oggetto dell’esecuzione (la casa) con una somma di denaro di pari importo, continuando l’esecuzione su quella somma anziché sul bene. Se l’operazione va a buon fine, il pignoramento viene cancellato e l’immobile torna libero.

Vediamo i punti chiave disciplinati dall’art. 495 c.p.c.:

Presupposto: la conversione può essere chiesta dal debitore prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione del bene. Ciò significa che c’è una finestra temporale: dal pignoramento fino al momento in cui il giudice emette l’ordinanza di vendita, il debitore può presentare in tribunale un’istanza di conversione. Se l’asta è già stata fissata, è troppo tardi (a meno che, con la riforma, il termine non sia leggermente diverso: attualmente la legge parla di penco presentare fino all’udienza ex art. 569 prima che il G.E. disponga la vendita). Dunque è importante muoversi presto – idealmente subito dopo il pignoramento.

Cauzione iniziale obbligatoria: insieme all’istanza, a pena di inammissibilità, il debitore deve versare in cancelleria una somma iniziale. La legge (dopo la riforma Cartabia) richiede un importo “non inferiore a un sesto” del totale dei crediti pignorati e intervenuti. In pratica, bisogna calcolare la somma di tutti i debiti iscritti nella procedura (capitale, interessi e spese come da precetto e atti di intervento, al netto di eventuali pagamenti parziali già fatti) e dividere per 6: il risultato (circa il 16,67%) è la cauzione minima. Ad esempio, se il debito totale è €120.000, il debitore deve depositare almeno €20.000 al momento della richiesta di conversione. Questa cauzione serve a dimostrare la serietà dell’istanza (evitare che si chieda conversione solo per perdere tempo) e sarà poi utilizzata per pagare i creditori se la conversione procede. Nota: la cauzione è un acconto: il debitore dovrà poi pagare il restante importo, ma intanto deve trovarne subito almeno 1/6 per poter accedere alla conversione. (In passato la frazione era 1/5, quindi 20%, ma la legge l’ha resa un po’ più accessibile riducendo a 1/6).

Determinazione della somma da sostituire: depositata l’istanza e la cauzione, il giudice fissa un’udienza entro 30 giorni per sentire le parti. Quindi emette un’ordinanza in cui determina l’importo totale che il debitore deve versare per “convertire” il pignoramento. Questa somma comprende il capitale, interessi fino a quel momento e spese di procedura (saranno incluse anche le spese future presumibili?). In sostanza è il totale aggiornato del debito in sede esecutiva. Se la cauzione versata copre già parte di questa somma, il residuo sarà quello ancora da pagare. Ad esempio: debito totale stimato €120.000, cauzione già depositata €20.000 => il giudice nell’ordinanza dirà che vanno versati altri €100.000 (oltre eventuali interessi maturandi).

Possibilità di rateizzazione: ecco un punto cruciale e spesso poco noto. L’art. 495 c.p.c. consente al giudice, “se ricorrono giustificati motivi”, di concedere al debitore di pagare il residuo a rate mensili fino a un massimo di 48 mesi (4 anni). Questa rateizzazione è discrezionale: significa che il debitore, nell’istanza, può chiedere di essere autorizzato a pagare a rate spiegando i motivi (di solito: importo elevato, necessità di reperire liquidità gradualmente, etc.). Il giudice valuterà caso per caso. Se la concede, emanerà un’ordinanza di conversione stabilendo il piano: ad esempio “il debitore versa la somma di €100.000 in 24 rate mensili da €4.166 ciascuna, oltre interessi al tasso legale, con scadenza prima rata il…”. Attenzione: il giudice fissa anche che ogni sei mesi le somme versate vengano distribuite ai creditori, cosicché anch’essi vedano un progressivo soddisfacimento.

  • In passato, la durata massima delle rateazioni era inferiore (prima 18 mesi, poi 36, ora 48 dopo la Riforma Cartabia). Quindi oggi c’è più spazio per rate lunghe, il che è un vantaggio per il debitore, ma comunque bisogna poter sostenere le rate.

Decadenza e conseguenze: se la conversione viene ammessa, il pignoramento resta sospeso in attesa del pagamento integrale. Tuttavia, se il debitore salta un pagamento o ritarda di oltre 30 giorni anche una sola rata, oppure non versa tutto entro il termine massimo fissato, cosa succede? La legge è severa: le somme già versate restano vincolate nell’esecuzione (non vengono restituite al debitore) e il giudice, su richiesta del creditore, dichiara la decadenza dalla conversione e dispone immediatamente la vendita del bene. In pratica il debitore perderebbe sia la casa (che torna all’asta) sia le somme già pagate (che andranno comunque ai creditori). Dunque, la conversione va intrapresa solo se si ha la ragionevole certezza di poter completare i pagamenti. Non è ammessa una seconda istanza di conversione se la prima è fallita per inadempimento del debitore (salvo rarissime eccezioni).

Effetti della conversione completata: se invece il debitore riesce a pagare tutto l’importo stabilito (nei termini, rate o unica soluzione), l’esecuzione viene dichiarata estensa: il denaro sostituisce il bene, i creditori vengono soddisfatti con quelle somme (secondo graduatorie, ecc.), e il pignoramento sull’immobile viene cancellato. L’immobile torna nella piena disponibilità del debitore, libero da quella procedura (restano però eventuali ipoteche se non sono state soddisfatte integralmente? In teoria, per liberare ipoteca il credito dev’essere pagato integralmente: quindi se la conversione ha comportato il pagamento integrale del creditore ipotecario, l’ipoteca sarà purgata; se c’erano creditori chirografari insoddisfatti, non avevano gravami sull’immobile quindi irrilevante). Di fatto, la conversione è come se il debitore riscattasse all’asta la propria casa pagando lui stesso il prezzo – con la differenza che non c’è un trasferimento di proprietà perché era già sua.

Quando conviene la conversione?: è indicata soprattutto se:

  • Il debito complessivo non è enorme rispetto al valore del bene, tale per cui il debitore (o la sua famiglia) può realisticamente reperire i fondi in un piano di rientro. Ad esempio, se la casa vale 200.000 euro e il debito è 50.000 euro, ha sicuramente senso tentare la conversione per non perdere un bene di valore quattro volte superiore al debito.
  • Il bene ha per il debitore un valore affettivo o personale insostituibile (la casa di famiglia) e quindi è disposto a grandi sacrifici pur di salvarla. In tal caso la conversione è l’unica via concreta per mantenere la proprietà.
  • Ci sono fondi disponibili: magari parenti disposti a prestare soldi, oppure la possibilità di accendere un nuovo finanziamento (non semplice con un pignoramento in corso, ma forse un prestito privato). A volte i debitori ottengono un mutuo di sostituzione, pagando i creditori e poi restituendo la nuova finanza – ma servono garanzie.
  • L’asta imminente porterebbe a una svendita (spesso nelle aste il prezzo ricavato è più basso del mercato). Quindi con la conversione il debitore evita la “svendita” e può magari successivamente vendere lui stesso l’immobile a valore pieno se vuole liquidarlo, traendone il surplus. Proprio per questo il legislatore incoraggia la conversione: perché evita costi e tempi dell’asta e potenziali svendite.

Iter pratico: consigliabile farsi assistere da un avvocato. Servirà:

  • Calcolare bene l’importo dei crediti;
  • Depositare l’istanza con la ricevuta del versamento della cauzione (oggi spesso tramite assegno circolare non trasferibile intestato alla procedura, depositato in cancelleria);
  • Comparire all’udienza, concordare eventualmente con i creditori un piano di rate (se tutti sono d’accordo su una rateizzazione, di solito il giudice è più propenso a concederla);
  • Poi rispettare rigorosamente il piano di pagamento. Ogni pagamento va fatto di solito tramite versamento sul libretto della procedura, come indicato nell’ordinanza.

In conclusione, la conversione è lo strumento principe per “salvare tutto” se il debitore ha possibilità finanziarie: di fatto la procedura viene deviata in un pagamento dilazionato e la casa è salva. Tuttavia, molti debitori in pignoramento non dispongono della liquidità necessaria neanche per la cauzione iniziale: questo a volte rende la conversione irrealizzabile per chi ne avrebbe più bisogno. In tali casi, occorre valutare altri strumenti (accordi a saldo e stralcio, coinvolgere terzi acquirenti, o procedure di sovraindebitamento, di cui diremo in seguito).

Come Funziona Il Saldo e Stralcio Immobiliare: Definizione, Procedura ed Esempi Pratici

Uno dei termini che spesso si sentono in situazioni di case all’asta è “saldo e stralcio”. Ma cosa significa esattamente? Saldo e stralcio in ambito immobiliare indica un accordo transattivo tra debitore e creditori in cui i debiti vengono definiti (saldati) attraverso il pagamento di una somma inferiore al totale dovuto, a fronte della quale i creditori accettano di rinunciare all’esecuzione (stralciando, cioè cancellando, il pignoramento e considerandosi soddisfatti). In pratica è una trattativa per chiudere la posizione debitoria “a saldo” di un certo importo ridotto, anziché procedere con l’asta.

Nel contesto di una procedura esecutiva immobiliare, per attuare un saldo e stralcio di solito si percorre questa strada: un terzo acquirente si rende disponibile a comprare l’immobile pignorato direttamente dal debitore ad un prezzo concordato, a condizione che i creditori accettino quella somma come soddisfacimento dei loro crediti (anche se è minore dell’importo nominale del debito). Il ricavato di questa vendita privata va dunque ai creditori secondo gli accordi e contestualmente essi rinunciano all’esecuzione, facendo chiudere il pignoramento prima che si arrivi all’asta. Il debitore, pur perdendo la proprietà dell’immobile (perché lo vende al terzo), ottiene il vantaggio di liberarsi dal debito residuo che altrimenti lo avrebbe perseguitato anche dopo l’asta. In più, evita l’asta e i suoi esiti incerti.

Formalmente, come avviene: debitore e acquirente stipulano un contratto di compravendita dell’immobile (generalmente con l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, essendo il bene pignorato; spesso si fa ricorso alla procedura prevista dall’art. 586-bis c.p.c., introdotto nel 2021, che consente la vendita dell’immobile pignorato al di fuori dell’asta se c’è accordo di tutte le parti, ma questa è un’evoluzione tecnica). L’acquirente paga il prezzo convenuto, il quale viene distribuito ai creditori secondo un accordo di riparto che tutti hanno accettato. Il creditore procedente deposita un’istanza di rinuncia al pignoramento, indicando che è stato soddisfatto. Il giudice, verificato il pagamento e i consensi, dichiara estinta la procedura. Il pignoramento viene cancellato. Fine dell’asta: la casa è stata venduta sì, ma non tramite incanto bensì tramite una trattativa privata.

Perché i creditori dovrebbero accettare meno soldi? Questa è la domanda cruciale. La risposta è che spesso, nei fatti, la vendita all’asta porta ai creditori una somma ancora inferiore, dopo tempi lunghi e costi elevati. Quindi, soprattutto la banca (creditore ipotecario principale) potrebbe preferire una perdita moderata ma immediata piuttosto che il rischio di una perdita maggiore dopo anni. Ad esempio, se il debitore deve €150.000, ma l’immobile probabilmente all’asta ne frutterà solo €100.000, la banca potrebbe accordarsi per ricevere adesso €110.000 e chiudere la pratica, risparmiando tempo, spese e magari evitando di dover rincorrere il debitore per altri 40k che probabilmente non recupererebbe. Il debitore dal canto suo preferisce perdere la casa vendendola lui e liberandosi del debito piuttosto che perderla all’asta e rimanere ancora debitore per la differenza. L’acquirente infine ottiene un immobile a prezzo di solito conveniente (perché ha pagato 110k per un bene che ne valeva magari 150k di mercato).

Definizione in parole semplici: come scrive un avvocato esperto, “l’acquisto a saldo e stralcio è quell’acquisto tramite il quale un terzo acquirente acquista dal debitore esecutato l’immobile pignorato, pagando il prezzo, o parte del prezzo, della vendita direttamente nelle mani del creditore procedente affinché questi rinunci al pignoramento”. In questo modo “il debitore perde la proprietà della casa ma guadagna la liberazione dal debito (…). L’acquirente guadagna la proprietà dell’immobile senza passare dall’asta (azzerando il rischio di rilanci)”. Questa citazione fotografa bene i vantaggi per ciascuno.

Procedura pratica del saldo e stralcio:

  1. Valutazione iniziale: occorre stimare quanto potrebbe ricavarsi dall’asta (scenario peggiore per il creditore) e qual è il minimo accettabile per il creditore. Spesso ci si rivolge a professionisti (avvocati specializzati in stralci, società di consulenza immobiliare nel campo degli NPL – Non Performing Loans) per fare i conti. Si considerano: valore di mercato del bene, valore di perizia (spesso più basso), spese già maturate, tempi previsti. Ad esempio: casa valore di mercato 150k, perizia tribunale 120k, prezzo base d’asta attuale 100k, probabile aggiudicazione attorno a 100k se va bene, di cui la banca ipotecaria (che vanta 130k di credito) incasserebbe forse 90k netti. Capito ciò, si stabilisce una proposta di saldo: ad esempio offrire alla banca 105k subito.
  2. Individuazione di un acquirente terzo: può essere un investitore, oppure un conoscente del debitore, o anche un familiare (non c’è divieto che l’acquirente del saldo e stralcio sia una persona vicina al debitore, anzi capita spesso che sia un parente che “salva la casa” intestandosela lui). L’acquirente deve avere la capacità finanziaria di pagare quella somma concordata. Talvolta è lo stesso professionista specializzato a trovare un investitore (in cambio di una provvigione) oppure la società specializzata acquista direttamente (per poi rivendere).
  3. Trattativa con i creditori: qui sta il fulcro. Bisogna negoziare con tutti i creditori significativi. Se c’è solo la banca, sarà quella. Se ci sono più creditori, va trovata un’intesa globale. In genere si parte dal creditore ipotecario principale, perché è quello senza il cui consenso nulla si muove (avendo prelazione sul bene). Si presenta la proposta: “abbiamo un acquirente disposto a pagare X euro, voi banca prendereste X (meno quota ad altri se necessario) subito e chiudiamo tutto”. La banca valuterà. Spesso richiede di vedere prove dell’offerta d’acquisto, l’identità dell’acquirente, magari la perizia dell’immobile. Se concorda sull’importo, occorre anche includere eventuali altri: es. l’Agenzia Entrate Riscossione per i debiti fiscali potrebbe accettare una piccola percentuale, un creditore chirografario pure. Di solito ciascuno “taglia” qualcosa delle proprie pretese per rientrare nei soldi disponibili. Il debitore deve cercare di accontentare tutti quel tanto che basta da ottenere il consenso scritto di ciascuno a estinguere l’esecuzione a fronte del pagamento concordato.
  4. Formalizzazione dell’accordo: idealmente si redige un accordo transattivo scritto, firmato da creditori e debitore (e anche dall’eventuale acquirente per presa d’atto). In esso si dice: Tizio (debitore) venderà l’immobile X a Caio (acquirente) per €Y; i creditori Alfa, Beta, Gamma dichiarano che ricevendo le seguenti somme (Alfa €A, Beta €B, Gamma €C, tali che A+B+C = Y) si riterranno integralmente soddisfatti e rinunceranno alla procedura esecutiva. Questo documento tutela tutti: il debitore ha la certezza che pagando Y si libera dai debiti, il creditore ha la certezza che incassa A, B, C subito.
  5. Autorizzazione del tribunale (se necessaria): poiché c’è un pignoramento, il debitore formalmente non può vendere liberamente la casa (il pignoramento impedisce la vendita senza ok del giudice). Quindi bisogna ottenere un provvedimento dal G.E. che consenta la vendita attesa la volontà concorde delle parti. O attraverso l’iter di cui all’art. 590 c.p.c. (offerta privata al giudice) o oggi, più efficacemente, con l’art. (nuovo) 190-bis disp.att.c.p.c. (introdotto dalla riforma 2021, c.d. “decreto di trasferimento a istanza del debitore” o vendita concordata) che consente al debitore di presentare un acquirente e, con l’accordo di tutti, far autorizzare la vendita. In alternativa, alcuni praticano anche la via di far fissare un’asta con offerta già concordata: l’acquirente fa l’offerta all’asta pari a quell’importo e nessun altro partecipa perché magari la base è quella, ecc. Ma la via preferibile è la vendita concordata fuori asta per trasparenza.
  6. Rogito e pagamento: una volta autorizzata, si stipula dal notaio la vendita tra debitore e acquirente. Nel rogito viene menzionata l’esistenza del pignoramento e l’autorizzazione del giudice. L’acquirente di solito paga direttamente ai creditori secondo gli importi pattuiti (ad es. assegni circolari intestati a ciascun creditore), oppure versa su un conto dedicato della procedura. L’importante è che i creditori ricevano le somme.
  7. Rinuncia al pignoramento e chiusura: incassato il denaro, i creditori (almeno il procedente, ma solitamente tutti) presentano in tribunale un atto di rinuncia agli atti dell’esecuzione ex art. 629 c.p.c. e il G.E. dichiara estinta la procedura per cessazione della materia del contendere. Il decreto di trasferimento non serve perché c’è stato atto notarile; il pignoramento viene cancellato nei registri immobiliari contestualmente (il notaio stesso di solito cura la cancellazione facendo riferimento al provvedimento di estinzione e alle quietanze dei creditori).

Esempio concreto: riprendendo l’esempio di prima, casa che vale 150k, debito verso banca 130k. All’asta probabilmente banca prenderebbe 100k. Si trova un investitore che offre 115k privati. La banca accetta di chiudere a 115k (perde 15k rispetto al credito nominale, ma guadagna 15k rispetto allo scenario asta). Si firma accordo. Il tribunale autorizza la vendita. L’investitore compra a 115k. La banca riceve 115k (meno eventuali altre spese) e rilascia quietanza totale. Il debitore non ha più debito residuo verso banca (viene stralciato). L’investitore ora proprietario ha speso 115k per un immobile che vale 150k: ottimo affare. Potrà rivenderlo magari a 140-150 ricavando profitto, oppure affittarlo, ecc. Tutti hanno ottenuto qualcosa: il debitore ha perso la casa ma “ci avrebbe comunque rimesso”, almeno ora non deve più nulla e ha evitato un’asta e relativo stigma; la banca ha incassato subito una buona percentuale; l’investitore ha un margine.

Saldo e stralcio non sempre facile: bisogna essere consapevoli che orchestrare un saldo e stralcio richiede tempo, competenza e collaborazione. Non tutti i creditori sono propensi: ad esempio, l’Agenzia delle Entrate Riscossione per legge non può accettare meno del dovuto se non dentro specifiche procedure (ma per fortuna se l’immobile è prima casa e unico immobile, Equitalia nemmeno potrebbe averlo pignorato per legge, altrimenti in uno stralcio deve applicare normative proprie). Inoltre, c’è sempre il rischio di intoppi: se l’acquirente si ritira all’ultimo, si perde tempo prezioso e magari il giudice non aspetterà oltre. Per questo di solito finché l’accordo non è molto avanzato, l’asta in tribunale viene solo rinviata o sospesa ex 624-bis per un periodo.

Spesso il saldo e stralcio viene associato a società o investitori specializzati che cercano immobili pignorati da acquistare a sconto. Questo è di per sé lecito, ma il debitore deve stare attento a rivolgersi a professionisti affidabili: pur di concludere, alcuni potrebbero non tutelare adeguatamente l’interesse del debitore (ad esempio, cercando un eccessivo guadagno a suo discapito). Un esperto indipendente (un avvocato di fiducia del debitore) può aiutare a valutare se l’offerta è equa. In ogni caso, come sottolineano gli esperti, “ogni debitore esecutato ha il diritto di sapere come stanno le cose prima di affidarsi a qualcuno per vendere il suo immobile a saldo e stralcio”, quindi trasparenza è d’obbligo.

Vantaggi riassunti per il debitore:

  • Debito residuo azzerato (esdebitazione di fatto, fuori dal giudizio): non resterà nulla o solo piccole somme da pagare.
  • Stop immediato all’asta e alle azioni esecutive: si evita l’incertezza dell’incanto.
  • Minor danno al creditizio: a volte il debitore, chiudendo la posizione, può farsi cancellare dalle banche dati dei “cattivi pagatori” più velocemente.
  • Possibilità di negoziare condizioni: a volte il debitore può anche strappare un piccolo extra per sé, se il prezzo di acquisto è leggermente superiore ai debiti – non è comune, ma se c’è margine può succedere che rimanga qualcosa per lui dopo aver pagato tutti (specie se ha debiti solo parziali).

Svantaggi o rischi:

  • Perde comunque la proprietà della casa.
  • Deve lasciare l’immobile (anche se talvolta qualcuno riesce a rimanere come conduttore pagando affitto al nuovo proprietario, se quest’ultimo è d’accordo – ma è tutto da vedere).
  • Se qualcosa va storto nell’accordo, si rischia di ritardare e finire comunque all’asta magari a condizioni peggiori.
  • Bisogna spesso pagare spese professionali a chi organizza l’operazione (società o mediatori chiedono compensi, attenzione a concordarli chiaramente e farli eventualmente includere nell’accordo economico totale).

Esempio reale (di fantasia) per comprendere: Mario ha debiti per 300.000€ (mutuo residuo e altro), casa periziata 250.000€. L’asta difficilmente coprirà tutto, e Mario rimarrebbe debitore magari di 100k. Un investitore offre 250.000 per la casa, a patto di chiudere i debiti con 250.000 totali. I creditori (banca 200k, altri 100k) accettano di prendere la banca 200k (perdendo 0, è soddisfatta al 100%), gli altri due creditori 25k ciascuno a fronte di crediti da 50k (quindi perdono il 50%, ma temevano di non prendere nulla). Mario vende, tutti prendono i loro soldi ridotti ma subito, Mario è libero da 300k di debiti, l’investitore ha speso 250k per un bene che magari rivenderà a 270k ricavando profitto. Un classico win-win multiplo, reso possibile dal sacrificio di Mario che rinuncia alla casa ma salva la sua situazione economica futura.

In conclusione, il saldo e stralcio immobiliare è un’ottima soluzione quando realizzabile: consente di salvare il salvabile e spesso è la via più efficiente per chiudere la faccenda. È di fatto un’alternativa privata all’asta giudiziaria, con più controllo da parte del debitore. Va però pianificata e gestita con attenzione, preferibilmente con assistenza professionale. Nelle fasi che precedono l’asta, il debitore dovrebbe attivarsi per sondare questa possibilità: spesso negoziare con i creditori prima dell’asta porta proprio a uno scenario di saldo e stralcio, come vedremo nel prossimo paragrafo.

Come Funziona L’Acquisto dell’Immobile all’Asta tramite Terzi (Parenti o Soggetti Terzi)

Un’altra strategia di cui si parla frequentemente per “salvare” la casa consiste nel far sì che un parente o una persona vicina al debitore partecipi all’asta e si aggiudichi l’immobile, così da mantenere la proprietà “in famiglia” o comunque in mani amiche. Poiché, come abbiamo visto, il debitore in prima persona non può partecipare all’asta (è vietato dagli artt. 571 e 579 c.p.c.), l’idea è che lo faccia un prestanome “buono”, di fiducia del debitore. Ad esempio, il padre, il fratello, un amico stretto, o persino una società costituita ad hoc da conoscenti.

Vediamo i pro e contro e le cautele di questa opzione:

È lecito far partecipare un parente? – Sì, la legge non vieta ai parenti del debitore di fare offerte all’asta. Il divieto colpisce solo il debitore in quanto tale. Dunque il figlio, la moglie, il fratello, ecc., sono liberissimi di concorrere come qualsiasi altro offerente. Non c’è un controllo di “familiarità” nell’asta. Quindi, formalmente, non c’è nulla di irregolare se un parente compra la casa all’asta. Anzi, succede spesso: per valore affettivo, o per aiutare il congiunto a non perdere totalmente l’immobile.

Attenzione alle apparenze: se è palese che l’offerente è legato al debitore (es. stesso cognome, stesso indirizzo), può succedere che altri partecipanti all’asta lo intuiscano. Ciò potrebbe farli desistere dal rilanciare, temendo magari che “ci siano accordi” o solo per scrupolo (anche se legalmente non ci sarebbe motivo). Questa possibilità di turbativa psicologica è un motivo per cui il legislatore tiene fuori il debitore (la sua presenza potrebbe intimidire i concorrenti), ma non può certo impedire che il figlio partecipi. Quindi in teoria un parente presente all’asta potrebbe scoraggiare un po’ la concorrenza – il che a dire del debitore non sarebbe male perché abbassa il prezzo di aggiudicazione – ma attenzione: qualsiasi azione attiva di turbativa (minacce o accordi collusivi per non rilanciare) sarebbe reato. Qui parliamo solo di un possibile effetto psicologico.

Il problema del finanziamento (mutuo): uno dei maggiori ostacoli pratici che i parenti del debitore incontrano è ottenere i fondi per pagare l’asta. Se non dispongono di liquidità, spesso devono chiedere un mutuo per acquistare. E qui sorge un fatto poco noto: le banche sono riluttanti a concedere mutui ai familiari di un debitore esecutato per comprare la casa all’asta. Perché? Lo vedono come un escamotage del debitore: temono che in fondo il debitore stesso resti a godere dell’immobile e che il tutto sia una manovra per ridurre il debito (non del tutto scorretto, in effetti è così). Spesso, se il cognome coincide o risultano parentele evidenti, la banca rifiuta il mutuo all’offerente, pur se questi individualmente avrebbe reddito e requisiti. Questa è una “politica aziendale” riferita da molti: la banca creditrice, o in generale le banche, non vogliono finanziare acquisti di quel tipo per non incentivare i debitori a farsi “ricomprare” la casa. In fin dei conti, come notano ironicamente alcuni, se ciò fosse facile, a un debitore potrebbe convenire non pagare il mutuo, farsi pignorare e poi ricomprare tramite terzi la casa all’asta a prezzo ribassato, risparmiando decine di migliaia di euro. Le banche vogliono evitare di fornire la pistola per spararsi sui piedi. Quindi il rischio concreto è: il figlio si aggiudica la casa, poi la banca non gli eroga il mutuo promesso perché scopre che è figlio del debitore, e lui non riesce a pagare il saldo prezzo. A quel punto perde la cauzione e l’aggiudicazione viene revocata, con notevoli problemi (nuova asta, ecc.). Pertanto, chi intende far partecipare un parente con mutuo, deve assicurarsi anticipatamente con la banca erogante che la parentela non sia un problema (magari rivolgendosi a banche diverse dal creditore procedente, se possibile, e spiegando bene la situazione).

Cosa succede se l’aggiudicatario parente non paga il saldo? – In generale, per qualunque aggiudicatario inadempiente valgono le norme (art. 587-588 c.p.c.): decadenza dall’aggiudicazione, perdita della cauzione e responsabilità per la differenza se la successiva asta produce un prezzo minore. Esempio: Tizio (figlio) si aggiudica per 100k ma non paga; perde i 10k di cauzione e se al nuovo tentativo l’immobile va via a 80k, potrebbe essergli chiesto di coprire i 10k di differenza oltre a spese. Insomma, un disastro. Quindi mai fare offerte senza la sicurezza di poterle onorare!

Vantaggi della soluzione “parente all’asta”: se tutto fila liscio, il vantaggio è che la casa rimane nell’orbita familiare. Il debitore spesso può continuare a viverci, magari pagando una sorta di affitto al parente o semplicemente beneficiando della benevolenza di quest’ultimo. In pratica, evita lo sradicamento totale: formalmente perde la proprietà, ma in concreto potrebbe cambiare poco nella sua vita quotidiana (continua ad abitare lì, ma come ospite o affittuario del parente). Inoltre, se il parente l’ha comprata a un prezzo basso, in futuro potrà anche pensare di rivenderla al debitore quando questi si sarà rimesso in sesto (non c’è nulla che lo vieti: ad asta conclusa e debiti sistemati, il vecchio proprietario potrebbe riacquistare dal parente la casa, magari accendendo un nuovo mutuo, ecc.).

Svantaggi e rischi:

  • Come detto, difficoltà di ottenere finanziamenti.
  • Il parente deve comunque esporsi economicamente: investe del denaro (spesso di tasca propria o con propri beni a garanzia).
  • Se ci sono altri eredi o familiari non coinvolti, potrebbero sorgere attriti (es: “perché la casa l’ha presa mio fratello e non io?” – situazioni delicate).
  • Fiscalmente non c’è un divieto ma se l’operazione fosse troppo platealmente un prestanome, l’Agenzia Entrate potrebbe eventualmente scrutinare (tuttavia, essendo asta pubblica, non c’è vendita sottoprezzo simulata, è un prezzo stabilito dal mercato in quel contesto).
  • Il debitore comunque perde la proprietà, con tutto ciò che ne consegue (es: se più avanti il parente volesse vendere a terzi, potrebbe farlo e il debitore non avrebbe più voce).

Quando è sensato usare questa via: generalmente quando non si riesce ad attuare un saldo e stralcio prima, e il nucleo familiare del debitore ha risorse per intervenire. Ad esempio, genitori che non hanno debiti ipotecano la loro casa per prendere un mutuo e far riacquistare la casa del figlio all’asta – sono scelte difficili, ma talvolta la famiglia fa quadrato. Oppure quando l’affezione per l’immobile è altissima (casa avita, ecc.) e c’è un parente benestante disposto a comprarla e magari restituirla in futuro.

Differenza con conversione: si noti che questa strada – far pagare a un parente – potrebbe essere percorsa anche prima tramite la conversione: se i parenti hanno i soldi, perché non darli al debitore per far lui la conversione? A volte però i parenti preferiscono investire diventando proprietari loro, piuttosto che regalare soldi al congiunto per pagare i creditori. È comprensibile: se mettono 100k, preferiscono ritrovarsi proprietari di un bene del valore corrispondente, invece di spendere 100k e non avere nulla in mano (se pagano i debiti del congiunto, la casa resta a quest’ultimo). Dunque, spesso la motivazione è: i familiari aiutano, ma vogliono cautelarsi intestandosi l’immobile.

Aspetti legali da curare:

  • Non esiste un diritto di prelazione per i familiari: devono partecipare all’asta in competizione con tutti. Non possono acquisire l’immobile direttamente senza gara (a meno di accordi di saldo stralcio come prima). Quindi è comunque possibile che altri offrano di più e si aggiudichino – il parente deve essere pronto a rilanciare entro i limiti di convenienza.
  • Non c’è garanzia che il parente poi “ridia” la casa: qui entra la fiducia. Il debitore deve fidarsi del parente acquirente. Per evitare futuri malintesi, se l’intesa familiare è che la casa resterà al debitore in usufrutto o che gliela rivenderanno, sarebbe bene mettere per iscritto qualche accordo (benché non vincolante sulla proprietà, almeno moralmente). Ma spesso si rimanda alla buona fede.

Caso reale tipico: la casa dei genitori è ipotecata per un debito del figlio. Va all’asta. Un altro figlio (fratello del debitore) la compra all’asta, così i genitori possono continuarci a vivere e il figlio debitore risolve la sua esposizione verso i genitori. Oppure: il figlio compra la casa pignorata dei genitori per evitare che estranei la prendano e sfrattino magari i genitori anziani.

In sintesi, far acquistare l’immobile all’asta da un parente può salvare “in extremis” la situazione affettiva, sebbene non eviti la perdita formale del bene. È un piano B nel caso non si sia riusciti a evitare l’asta. Bisogna però pianificarlo bene: assicurarsi dei fondi, calcolare fino a quanto rilanciare, e preparare anche moralmente il parente a gestire la nuova proprietà. Legalmente, non c’è nulla di illecito in questo, salvo ricordare di non orchestrare frodi o turbative. La cosa migliore è che il parente partecipi come qualsiasi investitore farebbe, senza pretendere trattamenti diversi.

Nel prossimo paragrafo, vedremo altri strumenti più “istituzionali” per affrontare la crisi debitoria complessiva, ossia quelli previsti dal Codice della Crisi e dell’Insolvenza, che possono talora includere la ristrutturazione di debiti con vendita dell’immobile o altre soluzioni coordinate.

Concordato Minore e Altri Strumenti del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza Per Gestire Il Problema Della Casa All’Asta

Dal 15 luglio 2022 è entrato in vigore in Italia il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII), D.Lgs. 14/2019, che ha riformato profondamente le procedure di gestione della situazione di sovraindebitamento per i soggetti “non fallibili” (piccoli imprenditori, professionisti, privati e consumatori). In particolare, il nuovo Codice ha previsto tre procedure principali per le persone sovraindebitate:

  • la Ristrutturazione dei debiti del consumatore,
  • il Concordato minore,
  • la Liquidazione controllata del sovraindebitato.

Lo scopo di queste procedure è permettere a chi si trova in una situazione di crisi o insolvenza (cioè non riesce più a pagare regolarmente i debiti) di trovare una soluzione ordinata e, in caso di adempimento della procedura, di ottenere l’esdebitazione, ossia la liberazione dai debiti residui non pagati. In passato (prima della legge 3/2012 sul sovraindebitamento e ora il CCII) un privato cittadino poteva restare inseguito dai creditori potenzialmente per sempre, senza mai avere la possibilità di ripartire pulito. Oggi, invece, se anche dopo aver perso la casa all’asta rimangono debiti, esistono percorsi per arrivare a uno “zero debiti” finale, a patto di mettere a disposizione tutto il proprio patrimonio e reddito disponibile secondo le regole.

Vediamo in breve come queste procedure possono interagire con il caso della casa all’asta e offrire strumenti di salvezza o quantomeno di limitazione del danno:

La Ristrutturazione dei Debiti del Consumatore

Questa procedura (che riprende e aggiorna il vecchio “piano del consumatore” della legge 3/2012) è riservata ai debitori persone fisiche che hanno contratto debiti come privati, non nell’esercizio di attività d’impresa (cioè i consumatori). Se chi ha la casa pignorata è un consumatore sovraindebitato, può presentare al tribunale un piano di ristrutturazione dei debiti con l’ausilio di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC). In tale piano, il debitore propone come intende pagare i debiti (anche parzialmente) entro un certo periodo, sulla base delle sue risorse.

Caratteristiche salienti:

  • Nessun voto dei creditori: a differenza del concordato (minore o preventivo), qui i creditori non votano. Il piano viene sottoposto direttamente al giudice, il quale lo omologa se ritiene che il debitore meriti l’esdebitazione (non abbia colpe gravi nel sovraindebitamento) e che il piano assicuri ai creditori un trattamento non inferiore a quello che otterrebbero altrimenti (ad esempio, vendendo la casa all’asta). Quindi, i creditori possono opporsi ma il giudice può anche imporre il piano nonostante il loro dissenso, se ritiene i criteri rispettati.
  • Include anche debiti con garanzie reali: nel piano si possono inserire anche debiti ipotecari, prevedendo ad esempio che il creditore ipotecario venga soddisfatto non integralmente ma almeno in misura pari al valore di realizzo dell’immobile. Questo è fondamentale: consente, ad esempio, di proporre che la banca ipotecaria prenda l’80% del suo credito (perché tanto è quello che otterrebbe vendendo la casa) e rinunci al resto.
  • Sospensione delle azioni esecutive: dalla data di presentazione della domanda di ristrutturazione, il debitore può chiedere misure protettive che sospendono le esecuzioni in corso (quindi bloccano temporaneamente l’asta) in attesa della decisione sul piano. Ciò dà respiro e ferma le aste nel frattempo.
  • Possibile mantenere la casa?: dipende. Spesso il piano prevede la vendita dell’immobile in maniera ordinata (magari con affidamento a un liquidatore o vendita privata) per pagare i creditori. Ma in certi casi il debitore potrebbe proporre di mantenere la casa, ad esempio se riesce a pagare diversamente i creditori (con stipendi futuri, ecc.) – più raro, specie se c’è un’ipoteca forte sulla casa. In genere, se la casa è l’unico attivo rilevante, verrà destinata ai creditori, ma con la differenza che la vendita potrà essere gestita diversamente dall’asta giudiziaria per massimizzare il prezzo (es: vendita sul libero mercato con l’aiuto di un OCC).
  • Durata e impegni: il piano di solito ha una durata pluriennale (es. 4-5 anni) durante la quale il debitore deve rispettare le obbligazioni assunte (pagare le rate ai creditori secondo piano, cedere eventuali beni indicati).
  • Esdebitazione finale: se il piano viene eseguito, il giudice dichiara l’esdebitazione e il debitore viene liberato dai debiti residui non pagati dal piano. Ad esempio, se il piano prevedeva di pagare 60% a tutti i creditori e così avviene, il restante 40% viene cancellato definitivamente.

Nel contesto “casa all’asta”: se c’è il tempo (bisogna attivarsi prima che la casa sia aggiudicata!), il debitore-consumatore può chiedere una sospensione ex art. 54 CCII e presentare un piano dove magari propone di vendere la casa lui stesso entro tot tempo e di pagare i creditori con il ricavato parziale, facendosi poi liberare dei restanti debiti. Questo potrebbe portare a realizzare un prezzo migliore e a chiudere la faccenda con la cancellazione di ogni residuo. È una strada che richiede l’assistenza di un OCC e di un legale specializzato, ma andrebbe valutata quando i debiti complessivi superano di molto il valore della casa (così da perseguire l’esdebitazione). Se invece la casa coprirebbe quasi tutti i debiti, forse conviene il saldo stralcio fuori oppure la conversione.

Il Concordato Minore

Il Concordato minore è la procedura analoga alla ristrutturazione dei debiti del consumatore, ma destinata ai debitori sovraindebitati che non sono consumatori. Vi accedono ad esempio i piccoli imprenditori sotto soglia di fallibilità, i professionisti con debiti di studio, le start-up o ex imprenditori, etc. In generale, se una parte rilevante dei debiti è “di impresa” (iva, fornitori, leasing aziendale) il soggetto non è consumatore e deve usare concordato minore. Il consumatore puro non può accedere al concordato minore, viceversa un soggetto non consumatore non può fare la ristrutturazione del consumatore.

Il concordato minore funziona in modo simile a un concordato preventivo semplificato: il debitore propone un piano ai creditori e questi votano. Serve l’approvazione della maggioranza dei crediti (maggioranza semplice in valore). Se i creditori approvano e il tribunale omologa, il piano diventa vincolante per tutti, compresi i dissenzienti. Se i creditori bocciano, il tribunale non può omologare (a differenza del piano del consumatore).

Riguardo la casa all’asta: nel concordato minore spesso si prevede la liquidazione di alcuni beni e la continuità su altri. Si potrebbe proporre un concordato minore in cui il debitore vende la casa pignorata (magari già ipotecata) e con quel ricavato paga in parte i creditori ipotecari, mentre per i chirografari offre una percentuale. Anche qui c’è la possibilità di cram down dei privilegiati: il CCII consente di pagare i creditori con garanzia reale non integralmente purché non prendano meno di quanto otterrebbero dalla liquidazione del bene. Quindi, come per il piano consumatore, anche nel concordato minore si può “tagliare” un debito ipotecario fino al presumibile valore di realizzo del bene.

Di nuovo, presentare una domanda di concordato minore comporta la sospensione delle aste in corso e dei pignoramenti (le misure protettive, analoghe a quelle del consumatore). Ciò può dare tempo e gestire la vendita in un contesto concorsuale più controllato. Ad esempio, il liquidatore nominato nel concordato minore potrebbe vendere la casa all’asta o fuori asta ottenendo magari un prezzo congruo, oppure l’azienda del debitore potrebbe essere salvata vendendo l’immobile ipotecato separatamente.

Il concordato minore richiede comunque l’intervento di un OCC e di professionisti per redigere il piano e raccogliere i voti. È più complesso del piano del consumatore per via del voto dei creditori, ma è l’unica via se il debitore non è consumatore.

La Liquidazione Controllata del Sovraindebitato

Questa è l’equivalente del “fallimento” per chi non può fallire (privati e piccole imprese) ed è anche l’erede della “liquidazione del patrimonio” della legge 3/2012. In pratica, il debitore mette tutto il suo patrimonio a disposizione di un liquidatore nominato dal tribunale, il quale provvede a liquidarlo (vende i beni, riscuote crediti, ecc.) e a distribuire il ricavato ai creditori. Al termine, il debitore persona fisica può chiedere l’esdebitazione dei debiti che sono rimasti insoddisfatti.

Nella situazione della casa pignorata, la liquidazione controllata potrebbe essere un’opzione se:

  • il debitore non ha fattivamente modo di pagare nulla di significativo ai creditori ma vuole comunque arrivare a una pulizia dei debiti;
  • la casa è già all’asta, e si preferisce spostare la vendita sotto l’egida di una procedura concorsuale per poi ottenere l’esdebitazione.

Se il debitore apre la liquidazione controllata (deve farlo tramite ricorso al tribunale, con l’aiuto di un OCC), succede che tutte le esecuzioni in corso vengono sospese e poi cessano (perché subentra la procedura concorsuale unica). La casa pignorata entrerà nella massa attiva della liquidazione. Sarà venduta dal liquidatore nominato dal giudice (che può decidere di proseguire l’asta già iniziata oppure fare una nuova stima e vendere diversamente). I creditori concorreranno sul ricavato secondo le regole (ipotecari in prelazione, etc.). Di fatto, per i creditori non cambia molto sul realizzo della casa, ma la differenza fondamentale è che dopo la liquidazione il debitore può essere esdebitato, cioè liberato dai debiti residui.

L’esdebitazione nella liquidazione controllata non è automatica: va richiesta e concessa se il debitore ha cooperato e non ha frodato. Ma normalmente viene concessa se c’è buona fede. Inoltre, il CCII ha introdotto anche un’esdebitazione del debitore incapiente (art. 283 CCII e seguenti): in casi di particolare meritevolezza, anche chi non ha nulla da liquidare può chiedere di essere liberato dai debiti, una sorta di provvedimento “di grazia” economica per dare una seconda chance. È molto restrittiva (bisogna dimostrare di non aver nulla e di non aver colpa), ma segnaliamo che esiste.

In sintesi per questa sezione: le procedure del Codice della Crisi rappresentano un “piano C” quando le soluzioni individuali non bastano. Attivarle richiede una scelta ponderata: spesso l’ideale sarebbe farlo prima che la casa sia venduta, così da includerla nel piano concordatario o nella liquidazione con benefit di esdebitazione. Se però la casa è già stata venduta e rimangono debiti, il debitore può ancora ricorrere alla liquidazione controllata postuma per farsi cancellare i debiti residui.

Va ricordato che queste procedure comportano costi (bisogna pagare l’OCC e altre spese di tribunale) e sono abbastanza complesse: vanno seguite da professionisti specializzati in crisi da sovraindebitamento. D’altra parte, rappresentano la soluzione legale strutturata per chiudere definitivamente le pendenze. In un percorso di questa guida dal “salvare la casa” al “salvare almeno se stessi dai debiti”, le procedure del CCII sono l’ultimo stadio: magari la casa non si salva (spesso viene liquidata), ma si salva la persona dal debito infinito.

Come Negoziare con i Creditori Prima dell’Asta

Un filo conduttore di molte soluzioni esposte (sospensione volontaria, saldo e stralcio, accordi nella crisi da sovraindebitamento) è la trattativa con i creditori. Spesso, la chiave per evitare il peggio è dialogare con chi vanta il credito e trovare un compromesso. Ma negoziare con banche o altri creditori istituzionali non è semplice; vediamo quindi alcuni consigli e strategie su come approcciare i creditori prima che si tenga l’asta.

1. Tempestività e proattività: non bisogna aspettare l’ultimo momento utile. Appena ci si rende conto che non si riuscirà a risolvere pagando integralmente, conviene contattare i creditori principali. Se la casa è già pignorata, il creditore sa che procederà con l’asta, quindi è forse più disposto a valutare alternative solo se proposte per tempo. Molte banche, ad esempio, non trattano più quando l’asta è troppo vicina o se hanno già subito troppe dilazioni.

2. Prepararsi con un piano credibile: presentarsi alla banca o ad altro creditore con proposte vaghe (“aspettate, vedrò di trovare soldi”) difficilmente produce risultati. Occorre avere in mente uno scenario concreto: ad es., “Ho un acquirente per l’immobile che offrirebbe X euro, che consentirebbe a voi di incassare Y subito. Vi propongo di accettare Y a saldo del vostro credito di Z (minore di Z).” Oppure: “Posso reperire questa somma in 3 mesi e pagarvi, se congelate l’asta.” In pratica, mostrare come e quando il creditore incasserà se accetta di attendere o di ridurre la sua pretesa. Idealmente, supportare con documenti: una bozza di contratto di compravendita, una delibera di mutuo (se si cerca nuova finanza), valutazioni di mercato dell’immobile, ecc., per dare credibilità alla proposta.

3. Conoscere la strategia del creditore: una banca che ha ipotecato la casa spesso preferisce evitare l’asta, ma dipende dalla situazione. Alcune banche hanno politiche attive di “NPL management” e possono vendere il credito a terzi (fondo investimenti) se non trovano accordo. Capire se il creditore è più interessato a incassare subito (anche meno) o a insistere, aiuta a modulare l’offerta. Ad esempio, le banche spesso hanno bilanci e pressioni regolamentari: chiudere una posizione deteriorata (come un mutuo in sofferenza) con un incasso immediato migliora i loro parametri di bilancio. Pertanto, sono spesso disponibili a sconti significativi pur di incassare entro l’anno o entro il trimestre. Se parlate con la banca a fine anno e offrite pagamento immediato, potreste ottenere condizioni migliori.

4. Coinvolgere tutti i creditori rilevanti: se c’è un solo creditore (es. la banca), ci si concentra su quello. Ma se ce ne sono molti, serve un approccio globale. Non serve a molto accordarsi con la banca se poi un altro creditore con ipoteca di grado inferiore non è d’accordo e continua l’esecuzione. In queste situazioni, può essere utile organizzare un tavolo con tutti (magari tramite un professionista mediatore). Spiegare che una soluzione concordata dà qualcosa a tutti, mentre l’asta magari lascerà qualcuno a bocca asciutta. A volte anche creditori tra loro litigarebbero su chi prende cosa: fargli capire che forse conviene spartirsi un po’ prima, invece di fare a pugni dopo sul ricavato misero.

5. Utilizzare l’art. 624-bis c.p.c. come cornice: se i creditori sono disponibili ma dicono “vediamo se succede X”, formalizzare la cosa chiedendo la sospensione concordata ex art. 624-bis c.p.c. Ad esempio, la banca dice: “Se entro 6 mesi vendi la casa a tot, accettiamo.” Ebbene, si può mettere tutto nero su bianco e chiedere al giudice una sospensione di 6 mesi per trattativa. Questo impegno formale spinge tutti a comportarsi in linea con l’accordo (il debitore a cercare di vendere, la banca a non cambiare idea all’improvviso). Senza un provvedimento del giudice, la banca potrebbe, poniamo, dire “aspettiamo” ma intanto far tenere l’asta – non sarebbe coerente ma capita di comunicazioni non allineate tra ufficio legale e ufficio NPL della banca.

6. Offrire qualcosa in più del valore d’asta atteso: come regola, se vuoi convincere un creditore a rinunciare all’asta, devi fargli intravedere un guadagno. O in più soldi, o in minor rischio, o in tempo risparmiato. Se sai che all’asta probabilmente prenderebbe 100, offrigli 110. Se pensi che all’asta prenderebbe anche 110 ma in 2 anni, offrigli 100 ma subito la settimana prossima. Devi far emergere il vantaggio. Ad esempio, “accetta 70% ora, perché se prosegui forse prenderai 50% dopo un anno”. Questo ragionamento, specie con interlocutori razionali come le banche, funziona: loro fanno i conti.

7. Comunicazione chiara e documentata: conviene trattare per iscritto o confermare per iscritto gli esiti di telefonate e incontri. Ad esempio, inviare email riassuntiva: “Come da accordi, confermo la nostra proposta: pagamento di €XX entro il tal giorno in cambio di rinuncia all’esecuzione…”. Questo per evitare malintesi e avere traccia. In caso di negoziazioni più formali, può essere utile inviare una PEC con la proposta al creditore o al suo legale, in modo che resti agli atti. Ove possibile, far intervenire un conciliatore (la normativa prevede la mediazione obbligatoria in materia bancaria prima di agire in giudizio: si potrebbe attivare una mediazione civile con la banca per discutere la ristrutturazione del debito e nel verbale di accordo includere il tutto).

8. Considerare incentivi alternativi: a volte il creditore potrebbe voler evitare costi o rogne: ad esempio, per convincere la banca a sospendere l’asta, il debitore può offrirsi di pagare intanto le spese legali sostenute, o un piccolo acconto come earnest money (caparra di impegno). Oppure offrire una garanzia aggiuntiva: “mi firmo cambiali, ve le garantisce un parente”. Ogni elemento che riduca il rischio percepito dal creditore aumenta le probabilità di accordo.

9. Negoziare con l’Agente della Riscossione: se tra i creditori c’è anche l’ex Equitalia (Agenzia Entrate Riscossione), ricordiamo che su di essa vigono regole particolari: la “prima casa” non è pignorabile (se si tratta dell’unico immobile non di lusso in cui il debitore risiede) per cartelle esattoriali, ai sensi del DL 69/2013. Se per caso Equitalia ha comunque un’ipoteca o pignoramento (perché non era prima casa o importo oltre soglia), si può trattare attraverso le procedure di rateizzazione o definizioni agevolate (rottamazione delle cartelle) se aperte. In alcuni casi, se la casa è all’asta per altri creditori, l’ente pubblico potrebbe acconsentire a prendere una parte del ricavato e chiudere posizione. Tuttavia, spesso l’ente pubblico segue le regole standard e non fa accordi stragiudiziali veri e propri (a meno di rientrare nel sovraindebitamento formalizzato).

10. Essere pronti al “no” e avere un piano B: non tutte le trattative vanno a buon fine. Bisogna essere pragmatici. Se un creditore rifiuta ogni compromesso, non resta che puntare sulle vie giudiziali (opposizioni se ci sono motivi) o concorsuali (procedura sovraindebitamento) o organizzare l’acquisto del terzo all’asta. L’importante è non mentire a se stessi: se la banca dice “no, voglio andare all’asta”, il debitore deve prenderne atto e non cullarsi in false speranze. In quel caso, ad esempio, converrà concentrarsi magari sul contattare possibili acquirenti esterni per far salire il prezzo d’asta ed evitare debiti residui (può sembrare paradossale, ma se l’accordo non è possibile, al debitore conviene che l’asta renda il più possibile, magari pubblicizzando lui stesso l’asta per trovare compratori interessati – così almeno azzera il debito).

Esempio di negoziazione riuscita: proprietario con mutuo in sofferenza €200k, casa valutata €150k. Banca poco incline, procedura avviata. Il debitore trova un investitore a 140k. La banca inizialmente vuole 180k e non sente ragioni. Il debitore fa notare che all’asta probabilmente ricaverebbe intorno a 100-120, considerando ribassi. Presenta perizia indipendente che stima 140 valore mercato, e lettera di interesse dell’investitore a 140k. Dopo qualche settimana e un incontro, la banca accetta 140k. Si mette per iscritto: sospensione asta, vendita privata concordata. Investitore paga 140k, banca chiude posizione (perdendo 60k nominali, ma probabilmente risparmiandone rispetto a 100k scarsi all’asta). Il debitore perde casa ma senza debito residuo. Questo scenario è tipico di una negoziazione pre-asta combinata con saldo e stralcio, ed è spesso la soluzione migliore se si riesce a convincere il creditore.

Ricordiamoci che per un creditore procedente l’asta è sempre un’incognita: tempi medi di una procedura immobiliare possono essere di 2-3 anni, con costi di perizia, custodia, etc., e rischio di ribassi notevoli. Usare questo come leva nella trattativa è importante. In effetti, come nota un articolo legale in materia, “perché il creditore dovrebbe accettare meno? Perché spesso all’asta incasserebbe ancora meno e continuerebbe ad inseguire un debitore insolvente”. Mostrategli dunque che anche per lui la vostra proposta è meglio dell’alternativa.

Salvare La Casa All’Asta: Il Ruolo degli Avvocati, dei Consulenti Immobiliari e delle Società Specializzate

Affrontare una procedura esecutiva immobiliare e tentare di salvare la propria casa (o quantomeno limitare i danni) è un compito complesso, che richiede competenze legali, finanziarie e immobiliari. È quindi altamente consigliabile non procedere in solitudine, ma farsi affiancare da professionisti qualificati. In particolare, tre categorie di figure possono intervenire: avvocati, consulenti/mediatori immobiliari ed eventualmente società specializzate nel salvataggio immobiliare (talora chiamate “società di stralcio” o “investitori NPL”). Vediamo quale è il contributo di ciascuno, come sceglierli e coordinarli.

L’Avvocato

Il primo referente naturale è l’avvocato esperto in esecuzioni immobiliari e diritto civile. Il suo ruolo è multiplo:

  • Consulenza legale strategica: analizza la situazione debitoria, verifica gli atti della procedura (pignoramento, ipoteche, decreti) e individua possibili vizi o opportunità legali (ad es. proponibilità di opposizioni, termini non rispettati dai creditori, etc.). Può dare un parere sulla fattibilità di soluzioni come la conversione o la sovraindebitamento.
  • Attivazione di rimedi giudiziari: se si decide per un’opposizione all’esecuzione o agli atti, l’avvocato la redige e la porta avanti in tribunale, cercando di ottenere una sospensione o la vittoria sul merito. Questo richiede competenze tecniche: per esempio, elaborare memorie su questioni di diritto bancario (usura, anatocismo), eccepire nullità di notifiche, etc. Non tutti gli avvocati civilisti hanno esperienza specifica in esecuzioni: è bene sceglierne uno che abbia già trattato casi simili, perché le esecuzioni hanno regole particolari.
  • Negoziazione legale con i creditori: spesso l’avvocato funge anche da mediatore col creditore o il suo legale. Una proposta proveniente da un avvocato con argomenti giuridici (ad es. “il mio cliente potrebbe fare opposizione su questo punto, però preferiremmo una soluzione transattiva: proponiamo tot…”) può stimolare la controparte a intavolare trattative. Il legale può redigere gli accordi di saldo e stralcio, curare la formalizzazione delle rinunce al pignoramento e simili. Inoltre, può rappresentare il debitore in eventuali procedure di mediazione obbligatoria (ad esempio con la banca).
  • Assistenza in procedure concorsuali da sovraindebitamento: se si opta per un concordato minore o piano del consumatore, è necessario avere un legale che presenti il ricorso e gestisca l’iter in tribunale, interfacciandosi con l’OCC. Sono procedure nuove e tecniche: qui serve uno specialista di crisi da sovraindebitamento, possibilmente.
  • Tutela post-vendita: dopo l’asta, l’avvocato aiuta a capire cosa fare per liberare l’immobile, i termini esatti (spesso il giudice ordina la liberazione contestualmente al decreto di trasferimento) e può assistere il debitore se l’aggiudicatario dovesse agire esecutivamente per il rilascio. Anche per eventuali questioni sul riparto (ad es. contestare spese non dovute, o chiedere assegnazione di un surplus) serve il legale.

In pratica, un buon avvocato è il regista legale di tutte le possibili mosse. È importante però che il cliente comunichi all’avvocato tutti i dettagli e non prenda iniziative unilaterali senza consultarlo. Ad esempio, se il debitore parla con la banca e promette qualcosa, deve subito riferirlo al suo avvocato, per coordinare le azioni.

Scegliere l’avvocato giusto: data la delicatezza, meglio un professionista con esperienza in esecuzioni immobiliari e magari con conoscenze anche di diritto bancario e procedure concorsuali. Non guasta se ha dimestichezza con il tribunale specifico dove pende la procedura (conosce prassi del giudice, ecc.). Chiedere referenze o casi simili seguiti. Diffidare di chi offre soluzioni miracolose o garantite – un vero professionista presenta i pro e contro con onestà (ad esempio, se l’opposizione ha poche chance, lo dirà e magari consiglierà di trattare, anziché far perdere tempo in cause inutili).

Costi: l’avvocato va pagato per la sua attività. Molti lavorano con parcelle forfettarie o a fase (x per opposizione, y per saldo stralcio concluso). Concordare chiaramente il compenso e capire cosa copre. Alcuni avvocati accettano parzialmente compensi a successo (es. un bonus se riescono a bloccare l’asta o ridurre il debito), ma l’Ordine richiede sempre un compenso minimo a prescindere dall’esito. In ogni caso, considerare la spesa legale come un investimento per tentare di risparmiare ben di più (la casa, o decine di migliaia di euro di debito).

Il Consulente o Mediatore Immobiliare

Parallelamente agli aspetti legali, ci sono quelli immobiliari e finanziari. Un consulente immobiliare specializzato in esecuzioni può dare un apporto fondamentale:

  • Valutazione di mercato realistica dell’immobile: spesso la perizia d’ufficio è conservativa o datata. Un buon agente immobiliare può stimare il reale prezzo vendibile sul mercato libero, aiutando a tarare eventuali offerte di stralcio. Se emerge che sul mercato libero si può ottenere più di quanto l’asta darebbe, questo supporta la tesi da presentare ai creditori.
  • Ricerca di acquirenti privati (per vendere prima dell’asta): il consulente può attivamente cercare compratori interessati all’immobile pignorato. Ciò è delicato – va spiegato che c’è una procedura in corso – ma tanti investitori o anche famiglie sarebbero disposte ad acquistare, ad esempio, con la formula del saldo e stralcio. Un professionista con network di investitori (ad esempio società che comprano immobili pignorati per mestiere) può mettervi in contatto. Oppure può pubblicizzare la vendita “in pre-asta”. Ad esempio, alcune agenzie fanno annunci “immobile in vendita con procedura giudiziaria in corso, ottimo prezzo se conclusa entro…”. Attenzione: bisogna farlo in accordo con gli avvocati e creditori, per non sconfinare in vendite non autorizzate. Ma se c’è margine di tempo prima dell’asta, spesso il giudice stesso autorizza il debitore a cercare privatamente acquirenti.
  • Supporto nelle aste e nelle visite all’immobile: il custode giudiziario normalmente organizza visite all’immobile per i potenziali offerenti. Il debitore-custode ovviamente deve far vedere casa altrui, cosa che può essere emotivamente difficile. Un consulente immobiliare può offrire assistenza nel presentare la casa al meglio durante queste visite, fornendo documentazione, evidenziando pregi (anche se paradossale, meglio che l’immobile spunti un prezzo alto se non vi sono altre soluzioni – per ridurre il debito residuo). Addirittura, se il debitore teme che all’asta l’immobile venga svenduto per difetti rimediabili (disordine, piccoli guasti), il consulente può suggerire di migliorare l’appeal dell’immobile (pulire, riordinare, piccole manutenzioni) per evitare ribassi esagerati. Anche se come debitore si è arrabbiati e demotivati, lasciar degradare la casa è un autogol perché abbassa il prezzo d’asta.
  • Consulenza su mutui e aspetti finanziari: un mediatore creditizio può valutare se è possibile rifinanziare il debito in altro modo (ad esempio un parente che fa un mutuo come già visto, oppure un’ipoteca di secondo grado su altro bene, ecc.). Oppure se l’acquirente individuato ha bisogno di un mutuo, il consulente può aiutarlo a ottenerlo (salvo il tema parenti come visto).

In pratica, il consulente immobiliare agisce come un “advisor” sul bene” – cercando di massimizzare il valore estratto dall’immobile, che sia vendendolo lui sul libero mercato o assicurandosi che in asta vada dignitosamente. Tutto ciò torna a beneficio del debitore (meno debiti residui) e anche dei creditori.

Scegliere il consulente giusto: esistono agenzie immobiliari specializzate in esecuzioni (spesso collaborano con i tribunali come mandatari per le vendite delegate). Possono conoscere investitori e dinamiche. È utile che abbiano dimestichezza con le procedure giudiziarie (capiscano cos’è un pignoramento, i tempi tecnici, etc.). Devono anche sapersi coordinare con l’avvocato: lavorare in squadra per il cliente. Diffidare di chi promette acquirenti miracolosi senza prove, o chiede commissioni esagerate upfront. Normalmente l’agenzia prende una provvigione se la vendita privata va a buon fine.

Società Specializzate e Investitori in NPL / Aste

Negli ultimi anni sono proliferate società e professionisti che si pubblicizzano per aiutare chi ha la casa pignorata, spesso con slogan tipo “Salva la tua casa” o “Fermo asta”. Alcune di queste sono composte da avvocati e consulenti (quindi equivalenti a quanto già detto, ma organizzati in team multidisciplinare); altre sono di fatto investitori che cercano affari nei pignoramenti ma che si presentano come salvatori del debitore.

Il ruolo di tali società può essere duplice:

  • Intermediari/facilitatori di saldo e stralcio: molte si propongono di gestire loro la trattativa con la banca e di trovare un investitore per rilevare l’immobile. In tal caso offrono un servizio chiavi in mano al debitore: si fanno dare un mandato a trattare coi creditori, ad esempio ottenendo la sospensione dell’asta, poi coinvolgono un loro investitore partner che acquista l’immobile a un certo prezzo, chiudendo i debiti. Il loro guadagno può provenire o da una commissione pagata dal debitore (tipo consulenza) o da uno sconto realizzato nell’operazione (es: l’investitore amico compra a 100 e rivende a 130, e loro partecipano al guadagno).
  • Acquirenti diretti “etici”: alcune società comprano direttamente la casa pignorata con l’intesa di farci rimanere il debitore come inquilino o dargli possibilità di riacquisto futura. Ad esempio esistono formule di sale & lease-back immobiliare: la società acquista in saldo e stralcio, e stipula col debitore un contratto di locazione con opzione di riacquisto entro tot anni, così il debitore può in prospettiva riprendersi la casa se la sua situazione migliora. Queste operazioni però vanno lette con cautela: spesso le rate d’affitto poi non vengono pagate (perché se era in difficoltà prima, può esserlo anche dopo) e il debitore perde definitivamente il bene e i soldi versati in affitto.

Vantaggi di coinvolgere tali società/investitori:

  • Hanno esperienza e contatti: se sono seri, sanno già come parlaredelle banche, conoscono i funzionari NPL, e hanno pronti capitali per comprare velocemente.
  • Il debitore può trovarsi sollevato dall’onere di gestire la trattativa e la vendita: delega tutto a questi specialisti.
  • In alcuni casi offrono soluzioni creative come quella di riottenere la casa in affitto, che un privato da solo non riuscirebbe a realizzare.

Attenzione ai rischi:

  • Opacità: assicurarsi di capire come guadagnano. Un professionista serio lo esplicita: “La nostra società compra la casa a X, dopodiché la rivenderà: tu non paghi nulla ma ovviamente noi cercheremo un margine nella rivendita.” Oppure: “Ti facciamo da consulenti per X euro e troviamo investitore”. Se non è chiaro, chiedere. C’è il pericolo di affidarsi a qualcuno che potrebbe non avere come priorità l’interesse del debitore ma solo l’affare.
  • Perdere controllo: se si firma un mandato in esclusiva a una società poco trasparente, potrebbe succedere che questa mira a far andare deserta qualche asta in più per abbassare il prezzo e comprare ancor più a sconto, ma intanto il debitore accumula ritardi. Oppure che tratti condizioni non ottimali pur di chiudere presto.
  • Costi esorbitanti: ci sono stati casi di debitori vulnerabili che hanno pagato grosse somme a sedicenti consulenti che poi non hanno risolto nulla. Mai pagare anticipi sproporzionati. Qualche spesa iniziale ci sta (ad es. per perizie, visure, ecc.) ma diffidare di chi chiede migliaia di euro solo per iniziare.
  • Verificare le credenziali: controllare se la società è nota, se i professionisti sono iscritti ad albi (avvocati, commercialisti). Oggi ci sono anche influencer dell’immobiliare che vendono corsi su come fare stralci; alcuni saranno bravi, altri improvvisati. Per un debitore, meglio rivolgersi a realtà consolidate, magari consigliate dal proprio legale di fiducia.

Il ruolo dell’OCC (Organismo Composizione Crisi): da non dimenticare, anche l’OCC è un ente specializzato (di natura pubblicistica, di solito presso gli ordini professionali o le Camere di Commercio) che aiuta le persone sovraindebitate a imbastire le procedure di cui sopra. Se si intraprende quella strada, l’OCC nomina un professionista (es. un commercialista) che redige la proposta di piano o concordato e attesta la fattibilità. Non è direttamente un negoziatore coi creditori (il suo ruolo è più neutrale e di ausilio tecnico), però di fatto coopera a trovare un punto di equilibrio. Il costo dell’OCC è stabilito da tariffari approvati dal Ministero (spesso percentuale sui debiti o sull’attivo).

In sintesi, è opportuno costruire un team: l’avvocato per gli aspetti legali, il consulente immobiliare per il mercato, e se serve un professionista OCC per eventuali procedure concorsuali. Le società di “salvataggio” a volte mettono insieme queste figure sotto un unico tetto, il che può essere efficiente – ma sempre vigilando sulla trasparenza.

Un debitore ben assistito ha molte più probabilità di arrivare a un esito sopportabile. C’è da dire che affrontare la situazione da soli è stressante e complesso: poter delegare alcune attività a professionisti di fiducia permette anche di vivere con un po’ meno ansia il percorso. Naturalmente la decisione ultima spetta sempre al debitore (accettare un accordo, vendere la casa, ecc.), ma avere i consigli giusti consente scelte informate.

Cosa Succede Dopo la Vendita Della Casa All’Asta: Liberazione dell’Immobile, Debiti Residui e Rapporti con l’Aggiudicatario

Poniamo che, nonostante tutti gli sforzi, la casa sia stata venduta all’asta. Cosa attende il debitore in seguito? Questa fase conclusiva è cruciale per organizzare la propria vita dopo la perdita dell’immobile e capire se restano pendenze economiche. Vediamo i vari aspetti:

Tempi e Modalità di Liberazione dell’Immobile

Una volta emesso il Decreto di Trasferimento dal giudice a favore dell’aggiudicatario, il debitore (se ancora occupa l’immobile) dovrà rilasciarlo, ovvero lasciarlo libero e consegnare il possesso al nuovo proprietario. Le norme sul punto sono state modificate dalla riforma Cartabia (D.Lgs. 149/2022):

  • In generale, se l’immobile è abitato dal debitore e dai suoi familiari conviventi, essi hanno diritto di rimanervi fino alla pronuncia del decreto di trasferimento. Ciò significa che durante lo svolgimento dell’asta e fino a quando l’aggiudicatario non ottiene il decreto, il debitore non può essere sloggiato (a meno che abbia compiuto gravi inadempienze, come vedremo tra poco). Questo principio tutela il diritto all’abitazione durante la procedura.
  • Contestualmente al decreto di trasferimento, il giudice dell’esecuzione ordina la liberazione dell’immobile occupato dal debitore. Nel decreto stesso spesso si legge una frase tipo: “ordina il rilascio dell’immobile esecutato da parte del debitore e di ogni occupante privo di titolo opponibile, da eseguirsi a cura del Custode giudiziario decorsi XX giorni…”. Dunque, la regola è che dopo la vendita, lo sgombero va eseguito.
  • La legge ora prevede che l’esecuzione del rilascio sia curata direttamente dal Custode giudiziario senza bisogno di un formale sfratto tramite ufficiale giudiziario. Il custode, seguendo le disposizioni del giudice, può attuare l’ordine di liberazione, anche avvalendosi della forza pubblica se necessario. Viene data al debitore (ora ex proprietario) un’intimazione con un termine (minimo 30 giorni) per asportare i propri beni mobili dall’immobile. Se non lo fa, quei beni saranno considerati abbandonati e il custode potrà smaltirli o distruggerli. Questo aspetto è importante: significa che il debitore deve velocemente organizzare il trasloco di effetti personali, mobili, etc., altrimenti li perde.
  • Termini pratici: spesso i giudici concedono 30, 60 o 90 giorni dal decreto per liberare, a seconda del caso. Ad esempio, se in casa vivono anche minori o persone fragili, talvolta si tende a dare qualche settimana in più (ma non è garantito, dipende dalla sensibilità del tribunale). In altri casi il giudice può disporre l’immediata liberazione contestuale al decreto, ma il custode comunque deve dare quell’intimazione di 30 giorni per i mobili, quindi di fatto un mese circa c’è. Il debitore dovrebbe utilizzare questo tempo per trovare un’altra sistemazione e sgomberare l’alloggio.
  • Liberazione anticipata (prima del decreto): può avvenire solo in casi particolari: se il debitore ostacola gravemente la procedura mentre è custode (ad esempio impedisce le visite, deturpa l’immobile, viola gli obblighi). In tal caso, il giudice può, su istanza del custode, emettere un ordine di liberazione anche prima della vendita. Inoltre, se l’immobile era occupato da terzi senza titolo (abusivi) o con titolo non opponibile, il giudice poteva già aver ordinato di liberarli prima dell’asta. Ma se il debitore si è comportato correttamente, rimane dentro fino all’aggiudicazione.
  • Casi di protrazione concordata: talvolta l’aggiudicatario e l’ex proprietario possono accordarsi per una permanenza temporanea oltre i termini. Ad esempio, l’aggiudicatario potrebbe offrire all’occupante qualche settimana extra in cambio di un affitto o più spesso di un’indennità che viene detratta dal saldo prezzo (o pagata a parte). Questo è frutto di accordo privato: legalmente, dopo il decreto, l’aggiudicatario ha diritto al possesso immediato, quindi è una sua gentile concessione. Accade a volte quando l’occupante chiede tempo per traslocare o per esigenze familiari particolari. Consiglio: comunicare educatamente con l’aggiudicatario può portare a intese di buon senso – molti acquirenti preferiscono evitare un intervento forzoso della forza pubblica e se il debitore chiede ad esempio “posso restare fino a fine anno scolastico per i figli?”, potrebbero acconsentire se vedono collaborazione.
  • Se il debitore non se ne va spontaneamente: allo scadere dei termini, il custode (con forze dell’ordine se occorre) interverrà. È meglio non arrivare a questo: comporta stress e possibile addebito di spese a carico dell’ex debitore. Infatti, i costi della liberazione (ditta di traslochi per sgombero, serrature cambiate, ecc.) in teoria gravano sulla procedura e quindi sul ricavato, ma se eccessivi potrebbero poi essere richiesti al debitore come danni (soprattutto se questi ha resistito senza motivo).

In conclusione: dopo la vendita, prepararsi a lasciare l’immobile celermente. Cercare per tempo una nuova sistemazione (affitto, appoggiarsi a parenti, ecc.). Può essere traumatico, ma prolungare l’agonia spesso peggiora le cose. Meglio consegnare le chiavi spontaneamente al custode o all’aggiudicatario, magari dopo aver pattuito quei giorni necessari e aver portato via tutto.

Venduta la casa all’asta, se il ricavato non copre tutti i debiti, che succede?

Una grossa domanda: “Venduta la casa, se il ricavato non copre tutti i debiti, che succede al resto?” Purtroppo, la vendita all’asta non cancella automaticamente i debiti residui del debitore, a meno che non si tratti di procedure concorsuali specifiche (come il sovraindebitamento con esdebitazione). Nel caso standard:

  • Il credito ipotecario della banca viene soddisfatto fino all’importo ricavato. Se l’incasso è minore del credito, la parte non soddisfatta diventa un debito chirografario residuo del debitore. La banca potrebbe in teoria agire ancora (pignorare altri beni o redditi, ad esempio stipendio, conto corrente) per recuperare la differenza. Spesso però, dopo l’asta, se rimane molto scoperto, le banche tendono a cedere il credito residuo a società di recupero oppure, se il debitore è nullatenente, possono anche valutare di rinunciare (soprattutto se persona fisica senza salario attaccabile). Ma non c’è certezza: giuridicamente il debitore resta obbligato.
  • Altri creditori eventuali anch’essi se restano insoddisfatti in tutto o in parte, mantengono il diritto di perseguire il debitore (pignorare stipendio, auto, conto, ecc.). Quindi l’incubo può non finire finché non si trova un componimento.
  • Spese di procedura: le spese della procedura (compenso custode, perito, pubblicità, ecc.) in genere vengono prelevate dal ricavato dell’asta prima di pagare i creditori. Se però il ricavato fosse addirittura insufficiente a coprire le spese (cosa rara, di solito l’asta non si farebbe se le spese superano il prezzo), il creditore procedente è responsabile delle spese mancanti. Il debitore di norma non deve integrare spese di procedura (a parte casi di dolo suo).
  • Interessi e sanzioni: dopo la chiusura dell’esecuzione, sui debiti residui possono continuare a maturare interessi. Ad esempio, se restano 50k verso la banca, quelli continueranno a produrre interessi moratori fino a pagamento o transazione.
  • Debiti verso condominio o fornitori relative alla casa: l’aggiudicatario per legge risponde di alcune spese condominiali arretrate (quelle dell’anno in corso e dell’anno precedente alla vendita, ex art. 63 disp.att. c.c.). Se il debitore le aveva lasciate insolute, l’amministratore può chiederle in parte al nuovo proprietario. Il resto rimane a carico del debitore (ma se questi è insolvibile, difficilmente il condominio li recupererà). Bollette non pagate: in genere le utenze vengono disattivate; il debitore le dovrà pagare se vuole evitare segnalazioni, altrimenti la compagnia fornitrici inseguirà il debitore (non certo il nuovo proprietario che attiverà contratti nuovi).
  • Tasse sulla vendita: fortunatamente, il debitore esecutato non deve pagare tasse come una plusvalenza o imposta di registro – quelle spettano all’aggiudicatario. Se però con il ricavato vengono pagate ad esempio imposte arretrate (es. IMU non pagata, o tasse) quelle erano debiti del debitore quindi sostanzialmente li ha pagati con la vendita. Possibile anche che il Comune chieda al debitore eventuali differenze di IMU non coperte.
  • Se dopo la vendita rimangono debiti e il debitore ha ancora altri beni o redditi, i creditori potrebbero attaccarli. Ad esempio, spesso dopo l’asta si passa a pignorare lo stipendio del debitore per prendere il resto.

Che fare con i debiti residui? Ecco perché abbiamo parlato di procedure di esdebitazione: in assenza di accordi transattivi, l’unica via legale per cancellare quei debiti è passare attraverso un concordato minore (se non ancora fatto prima) o la liquidazione controllata con esdebitazione. Se il debitore è rimasto senza la casa ed è ancora pieno di debiti che non può pagare (spesso succede se c’erano fideiussioni, coobbligati etc.), vale la pena valutare la liquidazione controllata post vendita: di fatto si dichiara di non avere più nulla da dare e dopo l’iter si chiede l’esdebitazione di quanto rimane. Questo è un percorso aggiuntivo, ma gli articoli 278 e seguenti del CCII permettono di ottenere esdebitazione anche dopo l’esecuzione individuale, presentando la domanda entro 1 anno dalla chiusura di questa.

Se invece i debiti residui sono di entità modesta e il debitore ha reddito, può negoziare un piano di rientro con i creditori su quella parte (es. la banca rimasta con 20k può accettare un pagamento rateale su 5 anni). Tanti creditori a volte chiudono a stralcio dopo l’asta: sanno che spremere oltre potrebbe essere infruttuoso, quindi se il debitore offre ad esempio un saldo del 10-20% sul residuo, potrebbero accettare e liberarlo.

In caso di surplus (ricavato d’asta che supera i debiti), come detto, il residuo viene restituito al debitore. Questo è l’ideale ovviamente. Va però segnalato che il debitore potrebbe avere altri debiti non noti: se c’è un eccedenza, si apre una procedura di distribuzione dove eventualmente altri creditori del debitore possono farsi avanti finché il giudice non approva il piano finale. Se c’è residuo e il debitore ha ad esempio debiti fiscali non inseriti, l’Erario potrebbe presentare un intervento tardivo per attingere a quell’eccedenza.

Rapporti con l’Aggiudicatario e Possibilità di Accordi

Dopo l’asta, l’aggiudicatario è il nuovo proprietario. Quali rapporti restano con l’ex proprietario (debitore)? Dal punto di vista giuridico, nessuno: sono due soggetti distinti, e uno era parte del processo esecutivo mentre l’altro è un estraneo subentrato come acquirente. Tuttavia, nella realtà, un dialogo tra di loro può avvenire e a volte portare ad accordi pratici:

  • Consegna bonaria e tempistiche: come già detto, il debitore può chiedere all’aggiudicatario più tempo per andare via. Molti aggiudicatari apprezzano quando il debitore si mostra collaborativo e rispettoso (purtroppo capita anche il contrario: case vandalizzate per ripicca). Un atteggiamento civile può spingerli a concedere un po’ di flessibilità. Qualcuno può anche offrire un piccolo incentivo economico al debitore perché lasci l’immobile velocemente e in buono stato (la cosiddetta “cash for keys”, formula usata negli USA e anche qui qualche volta: ti do 1000-2000 euro, tu vai via entro 1 mese senza fare danni e pulito).
  • Ri-acquisto dell’immobile dal nuovo proprietario: ipotesi: il debitore trova entro poco tempo i soldi (un parente decide di aiutarlo tardivamente, o vince alla lotteria…): potrebbe proporre all’aggiudicatario di rivendergli la casa magari ad un prezzo maggiore. L’aggiudicatario non è obbligato, ma potrebbe farlo per profitto (in pratica fare un flip veloce). Esempio: casa aggiudicata a 100k, l’ex proprietario propone 120k entro 3 mesi per riaverla – l’aggiudicatario potrebbe dire sì, guadagna 20k. Tuttavia, attenzione: se sembra che l’aggiudicatario sin dall’inizio fosse d’accordo col debitore per fargli riavere la casa, la vendita potrebbe subire indagini per eventuale frode ai creditori (perché avrebbero potuto farlo prima). Ma se è una cosa nata spontaneamente dopo, non c’è divieto. Questa situazione è rara ma non impossibile. Il debitore deve chiaramente avere accesso a fondi consistenti, il che in genere non è il caso subito dopo l’esecuzione, ma magari in futuro potrebbe capitare (un’eredità, ecc.). Nulla vieta di tenere i contatti in modo amichevole.
  • Rimanere come affittuario: se l’aggiudicatario è un investitore che intende mettere a reddito l’immobile, potrebbe valutare di affittarlo proprio all’ex proprietario (che già lo abita e lo conosce). Ciò a patto che quest…fittuario**: se l’aggiudicatario è un investitore interessato a mettere a reddito l’immobile, potrebbe considerare di lasciare nell’immobile l’ex proprietario come inquilino, stipulando un regolare contratto di locazione. Questa soluzione può essere vantaggiosa per entrambi: il nuovo proprietario ha un inquilino immediatamente disponibile e conoscitore della casa; l’ex debitore non deve traslocare e può continuare a vivere nella sua casa, sebbene perdendone la proprietà. Tuttavia, ciò richiede che l’ex debitore dia sufficienti garanzie di solvibilità nel pagamento dell’affitto (paradossalmente, chi non riusciva a pagare il mutuo dovrà dimostrare di poter pagare puntualmente un canone) e soprattutto dipende dalla volontà dell’aggiudicatario. Non è un diritto del debitore restare in affitto, ma una possibilità contrattuale da negoziare. In alcuni casi, questa soluzione transitoria è stata adottata, magari con l’idea che l’ex proprietario nel frattempo migliori la propria situazione e in futuro possa tentare di riacquistare l’immobile (ma ciò è puramente rimesso alla libera contrattazione tra le parti, fuori dalla procedura esecutiva).

Conclusione: trovarsi con la casa all’asta è senza dubbio una delle esperienze più difficili e stressanti che si possano affrontare. Tuttavia, come abbiamo illustrato in questa guida, esistono numerosi strumenti per provare a salvare l’immobile o quantomeno per salvare se stessi da un tracollo economico definitivo. Dall’analisi accurata della procedura e dei propri diritti, all’utilizzo tempestivo di opposizioni e istanze di sospensione, passando per soluzioni negoziali come il saldo e stralcio (in cui la casa viene venduta evitando l’asta) o la conversione del pignoramento (pagando il dovuto a rate per bloccare l’esecuzione), fino ad arrivare ai più complessi ma risolutivi piani di sovraindebitamento del Codice della Crisi, ogni situazione può essere affrontata con un ventaglio di opzioni.

È fondamentale non cedere alla rassegnazione: anche quando sembra “non esserci più nulla da fare”, spesso qualcosa da fare c’è. Certo, non sempre sarà possibile conservare la proprietà della casa – dipende dalla gravità della situazione – ma si può comunque agire per ridurre al minimo le perdite, evitare eccessivi sacrifici e magari ripartire senza debiti residui.

Questa guida, strutturata come un manuale pratico, ha lo scopo di fornire conoscenze aggiornate al 2025 e riferimenti normativi precisi per orientare chi si trova in questa difficile condizione. Ogni caso concreto, tuttavia, ha le sue particolarità: per questo, l’ultimo consiglio è di affidarsi a professionisti esperti di fiducia, pianificando con loro una strategia integrata (legale, finanziaria, immobiliare). Con la giusta assistenza, si potrà affrontare con maggiore lucidità la procedura, sfruttare ogni possibilità di legge a proprio favore e, nel peggiore dei casi, prepararsi al dopo-asta limitando l’impatto sulla propria vita.

In sintesi, “Ho casa all’asta: cosa fare e come salvare tutto” significa anzitutto conoscere i propri diritti, attuare i doveri di collaborazione in maniera intelligente, ed essere pronti a utilizzare tutti gli strumenti – dalla sospensione dell’asta grazie a un accordo, alla sostituzione del bene col denaro, alla vendita in extremis a un familiare, o alla protezione offerta dalle nuove norme sul sovraindebitamento – per uscire dalla situazione nel miglior modo possibile. Anche se la casa dovesse essere perduta, ciò non implica che la propria stabilità futura lo sia: le leggi attuali offrono mezzi per risollevarsi dai debiti e ricominciare. Questa guida vuole essere un compagno in questo percorso, indicando le strade percorribili. Starà poi al debitore, con tenacia e con il sostegno di consulenti capaci, imboccare la via più adatta alla propria situazione concreta, nella speranza – per nulla vana – di poter dire alla fine “sono riuscito a salvare il salvabile e a voltare pagina”.

Perché Affidarsi all’Avvocato Monardo per Salvare la Casa All’Asta

Quando la tua casa finisce all’asta a causa di debiti bancari o tributari, non tutto è perduto: esistono soluzioni concrete per bloccare la vendita e salvare l’immobile.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere accanto un esperto nella difesa della casa, capace di progettare la strategia migliore per fermare l’asta, ristrutturare il debito o trovare soluzioni alternative.

Un Esperto in Esecuzioni Immobiliari e Sovraindebitamento

L’Avvocato Monardo, coordinatore di avvocati e commercialisti specializzati a livello nazionale in diritto bancario, tributario ed esecutivo, ha una lunga esperienza nella gestione di:

  • Sospensioni di aste immobiliari
  • Opposizioni all’esecuzione e contestazioni di crediti
  • Ristrutturazioni del debito per salvare la prima casa
  • Accesso a procedure di sovraindebitamento per bloccare le vendite forzate

Con Monardo, hai al tuo fianco un vero specialista della difesa della casa.

Come Ti Aiuta Davvero a Salvare la Casa All’Asta

Affidandoti all’Avvocato Monardo puoi:

  • Bloccare la vendita all’asta attraverso ricorsi o opposizioni mirate
  • Sospendere la procedura esecutiva grazie a piani di ristrutturazione o accordi con i creditori
  • Accedere al sovraindebitamento, con un piano di pagamento sostenibile omologato dal Tribunale
  • Trattare la ristrutturazione del debito direttamente con banche o Agenzia delle Entrate
  • Difendere la casa anche nei casi più gravi, come quando il pignoramento è già avanzato

Monardo analizza ogni dettaglio della tua situazione e sceglie la strategia più efficace per fermare l’asta.

Gestore della Crisi da Sovraindebitamento e OCC

Se la tua situazione lo consente, Monardo può attivare la procedura di sovraindebitamento, che ti permette di:

  • Bloccare l’asta in modo legale
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  • Proteggere la casa come bene essenziale (nei limiti previsti dalla legge)

Essendo Gestore della Crisi da Sovraindebitamento iscritto al Ministero della Giustizia e fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC), Monardo gestisce direttamente la pratica, senza intermediari e con la massima efficienza.

Anche Se L’Asta È Vicina

Anche a pochi giorni dall’asta, Monardo può:

  • Chiedere al Giudice la sospensione della vendita
  • Negoziare un accordo urgente con il creditore
  • Presentare rapidamente una domanda di sovraindebitamento che blocca la procedura

Ogni giorno è prezioso, ma non è mai troppo tardi per tentare di salvare la casa.

In conclusione

La casa è molto più di un bene: è la tua sicurezza, il tuo futuro, la tua famiglia.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un difensore esperto e determinato, capace di bloccare l’asta, difendere il tuo diritto alla casa e costruirti una via concreta per ripartire senza il peso dei debiti.
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Informazioni importanti: Studio Monardo e avvocaticartellesattoriali.com operano su tutto il territorio italiano attraverso due modalità.

  1. Consulenza digitale: si svolge esclusivamente tramite contatti telefonici e successiva comunicazione digitale via e-mail o posta elettronica certificata. La prima valutazione, interamente digitale (telefonica), è gratuita, ha una durata di circa 15 minuti e viene effettuata entro un massimo di 72 ore. Consulenze di durata superiore sono a pagamento, calcolate in base alla tariffa oraria di categoria.
  2. Consulenza fisica: è sempre a pagamento, incluso il primo consulto, il cui costo parte da 500€ + IVA, da saldare anticipatamente. Questo tipo di consulenza si svolge tramite appuntamento presso sedi fisiche specifiche in Italia dedicate alla consulenza iniziale o successiva (quali azienda del cliente, ufficio del cliente, domicilio del cliente, studi locali in partnership, uffici temporanei). Anche in questo caso, sono previste comunicazioni successive tramite e-mail o posta elettronica certificata.

La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

Disclaimer: Le opinioni espresse in questo articolo rappresentano il punto di vista personale degli Autori, basato sulla loro esperienza professionale. Non devono essere intese come consulenza tecnica o legale. Per approfondimenti specifici o ulteriori dettagli, si consiglia di contattare direttamente il nostro studio. Si ricorda che l’articolo fa riferimento al quadro normativo vigente al momento della sua redazione, poiché leggi e interpretazioni giuridiche possono subire modifiche nel tempo. Decliniamo ogni responsabilità per un uso improprio delle informazioni contenute in queste pagine.
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