Sovraindebitamento Privati: Come Funziona La Procedura (Guida Pratica 2025)

Sovraindebitamento Privati: Come Funziona La Procedura (Guida Pratica 2025)

Vuoi cancellare tutti i tuoi debiti personali e per questo desideri conoscere nel dettaglio come funziona la procedura di sovraindebitamento per privati?

Qui di seguito troverai la guida approfondita di Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione dei debiti e procedure di sovraindebitamento.

Buona lettura e se desideri ridurre o cancellare i tuoi debiti, in fondo alla guida trovi tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato:

Indice

  1. Introduzione
    • 1.1. Che cos’è il sovraindebitamento?
    • 1.2. Obiettivi della legge “salva suicidi” e contesto normativo
  2. Quadro Normativo Aggiornato ad Aprile 2025
    • 2.1. La Legge 3/2012 e le sue finalità originarie
    • 2.2. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)
    • 2.3. Principali novità introdotte nel 2022 (riforma del sovraindebitamento)
  3. Chi Può Accedere alla Procedura di Sovraindebitamento
    • 3.1. I soggetti “non fallibili” ammessi (privati, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.)
    • 3.2. Requisiti di meritevolezza e buona fede del debitore
    • 3.3. Debiti ammessi ed esclusi dalla procedura (tipologie di obbligazioni)
    • 3.4. Soglie di fallibilità: quando un imprenditore è troppo grande per la Legge 3/2012
  4. Le Procedure Disponibili per la Composizione della Crisi
    • 4.1. Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti per privati)
    • 4.2. Accordo con i Creditori (concordato minore per imprese e partite IVA)
    • 4.3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (liquidazione del patrimonio)
    • 4.4. Esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione debiti senza risorse)
  5. La Procedura Passo per Passo
    • 5.1. Preparazione: documenti necessari e Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
    • 5.2. Presentazione della domanda in Tribunale
    • 5.3. Ruolo del Gestore della Crisi e rapporto con i creditori
    • 5.4. L’udienza e l’omologazione del piano/accordo
    • 5.5. Esecuzione del piano o della liquidazione dei beni
    • 5.6. Chiusura della procedura ed esdebitazione finale
    • 5.7. Cosa succede se la procedura non va a buon fine?
  6. Durata e Costi della Procedura
    • 6.1. Tempistiche tipiche (dal deposito all’omologa e oltre)
    • 6.2. Costi: compenso dell’OCC, spese legali e contributo unificato
    • 6.3. Agevolazioni e dilazioni nei pagamenti delle spese
  7. Vantaggi e Svantaggi del Sovraindebitamento
    • 7.1. Vantaggi: protezione dai creditori, riduzione del debito, “fresh start”
    • 7.2. Svantaggi: requisiti stringenti, costi, impatto su patrimonio e credito
    • 7.3. Rischi in caso di inadempimento del piano
  8. Esempi Pratici
    • 8.1. Il caso di Maria (debiti da privato e piano del consumatore)
    • 8.2. Il caso di Luigi (debiti d’impresa e accordo con i creditori)
    • 8.3. Il caso di Giulia e Marco (procedura familiare con debiti comuni)
    • 8.4. Il caso di un debitore incapiente (esdebitazione senza utilità)
  9. Documenti e Modelli Utili
    • 9.1. Fac-simile di domanda di accesso alla procedura
    • 9.2. Esempio di piano di rientro dei debiti
    • 9.3. Altri documenti chiave (relazione OCC, attestazioni, ecc.)
  10. Conclusione
  11. Perché Affidarsi all’Avvocato Monardo per il Sovraindebitamento Privato

1. Introduzione

1.1. Che cos’è il sovraindebitamento?

Il termine sovraindebitamento indica la situazione in cui una persona (o una famiglia, o un piccolo imprenditore) non riesce più a far fronte ai propri debiti in modo regolare. In altre parole, le uscite superano stabilmente le entrate e il debitore si trova nell’impossibilità di pagare i creditori alle scadenze previste. Questa condizione di squilibrio finanziario può derivare da molte cause: improvvisa perdita del lavoro, spese mediche elevate, crisi economiche, chiusura di un’attività, separazioni familiari o altri eventi imprevisti. Spesso chi è sovraindebitato si trova sommerso da rate insolute, bollette arretrate, cartelle esattoriali, mutui o finanziamenti che non riesce più a onorare.

Trovarsi in sovraindebitamento può capitare a chiunque – dal comune cittadino al piccolo imprenditore – in seguito a circostanze sfortunate o fuori dal proprio controllo. Per anni, in Italia non esisteva una via d’uscita legale per i debiti personali: chi non poteva pagare restava esposto a pignoramenti, interessi di mora crescenti e, in casi estremi, poteva cadere nella disperazione. Proprio per affrontare queste situazioni drammatiche, il legislatore ha introdotto una normativa specifica sul sovraindebitamento, spesso chiamata anche “legge salva suicidi” per il suo intento di dare sollievo a chi è oppresso dai debiti.

1.2. Obiettivi della legge “salva suicidi” e contesto normativo

L’obiettivo principale della legge sul sovraindebitamento è offrire al debitore onesto la possibilità di un “nuovo inizio”, cancellando i debiti che non è oggettivamente in grado di pagare, pur garantendo ai creditori di ottenere quanto meno un soddisfacimento proporzionato alle effettive possibilità del debitore. Si tratta quindi di trovare un equilibrio: da un lato permettere a chi è sommerso dai debiti di tornare a vivere dignitosamente, dall’altro assicurare che paghi quanto può in base al proprio reddito e patrimonio, evitando abusi.

Questa procedura non è un condono generalizzato: non significa che chiunque possa liberarsi dei debiti a cuor leggero. Al contrario, la legge prevede criteri rigorosi di ammissione (come vedremo) per assicurare che a beneficiarne siano solo i debitori meritevoli (in buona fede e in difficoltà reale, non furbi che vogliono approfittarne). Inoltre, il debitore deve comunque destinare ai creditori tutto ciò che ragionevolmente può permettersi di pagare – sia immediatamente, sia attraverso piani di rientro pluriennali – prima di poter ottenere la cancellazione del debito restante (chiamata esdebitazione).

La disciplina del sovraindebitamento è stata introdotta nell’ordinamento italiano con la Legge 3/2012 (Legge 27 gennaio 2012 n.3, “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”). Questa legge – entrata in vigore nel 2012 – ha rappresentato una novità importante, creando per la prima volta una procedura concorsuale su misura per privati e piccoli imprenditori in difficoltà, diversa dal fallimento riservato alle imprese più grandi. Negli anni successivi, la legge 3/2012 è stata oggetto di modifiche e miglioramenti, fino a essere integrata nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza entrato in vigore nel 2022. In questa guida aggiornata ad aprile 2025 esamineremo sia i meccanismi originari sia le ultime riforme normative, per fornire un quadro completo e attuale della procedura.

2. Quadro Normativo Aggiornato ad Aprile 2025

2.1. La Legge 3/2012 e le sue finalità originarie

La Legge 3/2012, ribattezzata dai media “legge salva suicidi”, è stata pensata per dare una risposta all’emergenza di tante famiglie e piccoli imprenditori schiacciati dai debiti. Prima della sua approvazione, infatti, chi non era soggetto alle norme sul fallimento (ad esempio un comune cittadino, un artigiano o un professionista) non aveva strumenti per ristrutturare i propri debiti in modo organico: poteva solo tentare accordi informali con ciascun creditore o subire pignoramenti. La Legge 3/2012 ha introdotto una procedura giudiziale unificata in cui convogliare tutti i debiti e trovare una soluzione equilibrata, sotto il controllo del tribunale.

In sintesi, la legge del 2012 prevedeva tre possibili strumenti: il piano del consumatore, riservato alle persone fisiche con debiti personali; l’accordo di ristrutturazione con i creditori, per imprenditori e soggetti non consumatori; e la liquidazione del patrimonio, simile a un piccolo fallimento personale con successiva esdebitazione. Approfondiremo più avanti le caratteristiche di ciascuno. In ogni caso, già la legge originaria richiedeva che il debitore fosse meritevole, cioè che non avesse colpe gravi nell’aver causato il proprio dissesto e che non avesse frodato i creditori. Inoltre, l’accesso era (ed è tuttora) riservato ai soggetti non fallibili, ossia coloro che per legge non possono essere dichiarati falliti (ad esempio perché non esercitano attività d’impresa o perché, se imprenditori, sono sotto determinate soglie dimensionali).

Negli anni, la Legge 3/2012 ha aiutato molte persone a uscire dal tunnel dei debiti, ma inizialmente è stata poco conosciuta e applicata. Solo col tempo, grazie anche alla diffusione di informazioni e all’esperienza maturata nei tribunali, sempre più debitori in difficoltà hanno iniziato a farvi ricorso. Nel 2020, a seguito della crisi economica aggravata dalla pandemia, il legislatore è intervenuto per snellire e rendere ancor più accessibile la procedura: con il Decreto Legge 28 ottobre 2020 n.137 (conv. in L. 18 dicembre 2020 n.176) sono state introdotte alcune modifiche migliorative. Ad esempio, già nel 2020 si è prevista in anticipo la possibilità di esdebitazione per il debitore incapiente (di cui parleremo), che è poi divenuta stabile col nuovo codice.

2.2. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)

La riforma organica delle procedure concorsuali in Italia è culminata nell’emanazione del D.Lgs. 14/2019, noto come Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Questo nuovo codice ha riordinato in un unico testo sia le procedure tradizionali (fallimento, concordato preventivo, ecc.) sia quelle da sovraindebitamento. Dopo alcuni rinvii, il Codice della Crisi è entrato in vigore il 15 luglio 2022. Da quella data, le disposizioni della vecchia legge 3/2012 sono state in buona parte assorbite e aggiornate nel nuovo contesto normativo. In pratica, oggi si dovrebbe parlare di “procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento” secondo il Codice della Crisi, ma per semplicità e abitudine molti continuano a riferirsi a “legge 3/2012” intendendo l’insieme della disciplina sul sovraindebitamento.

Le innovazioni apportate dal Codice della Crisi mirano a rendere le procedure più efficaci e fruibili. Innanzitutto, sono state rinominate le procedure: ad esempio, il piano del consumatore viene ora definito “procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore”, mentre l’accordo con i creditori per i piccoli imprenditori è ricompreso nel “concordato minore”. È stata confermata la liquidazione del patrimonio sotto il nuovo nome di “liquidazione controllata del sovraindebitato”. Oltre alle nuove denominazioni, il Codice ha introdotto strumenti e principi inediti, che vedremo nel prossimo paragrafo, come la procedura familiare e l’esdebitazione dell’incapiente.

Va sottolineato che, pur essendo ora inserite nel Codice della Crisi, le procedure per il sovraindebitamento mantengono la loro natura speciale: restano riservate ai soggetti non fallibili e hanno regole proprie, diverse da quelle delle imprese di grandi dimensioni. In altre parole, un artigiano indebitato continuerà a seguire la “strada” tracciata dalla ex Legge 3/2012, anche se i riferimenti normativi aggiornati si trovano negli articoli del nuovo Codice. Questa guida farà riferimento sia ai termini originali che a quelli nuovi, per chiarezza.

2.3. Principali novità introdotte nel 2022 (riforma del sovraindebitamento)

La riforma del 2022 ha portato diverse novità positive per il debitore sovraindebitato. Riassumiamo le più importanti introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:

  • Procedure familiari congiunte: è ora possibile per più membri della stessa famiglia presentare un’unica procedura di sovraindebitamento, se conviventi e se la crisi ha origine comune. Ad esempio, marito e moglie indebitati per lo stesso mutuo possono fare un’unica domanda invece di due separate. Questo riduce costi e tempi, evitando duplicazioni (i requisiti specifici: bisogna essere conviventi e i debiti devono derivare dallo stesso evento o causa).
  • Concetto di “meritevolezza” esplicitato: il Codice richiede espressamente che il debitore non abbia causato la propria situazione con dolo o colpa grave, né abbia commesso atti in frode ai creditori. Già la legge 3/2012 lo prevedeva di fatto, ma ora è sancito chiaramente. In pratica, chi ha dissipato patrimonio volontariamente o contratto debiti sapendo di non poterli pagare, oppure ha sottratto beni ai creditori, non può accedere ai benefici della procedura.
  • Responsabilità degli istituti di credito (merito creditizio): per la prima volta si pone attenzione anche al comportamento di banche e finanziarie. Il Codice prevede possibili sanzioni o penalizzazioni per quegli enti che hanno concesso credito in modo irresponsabile a soggetti già pesantemente indebitati. Ciò introduce il principio del merito creditizio: se una banca ha erogato prestiti sapendo che il cliente era incapiente, potrebbe vedersi limitare il diritto di voto o subire decurtazioni nel piano, scoraggiando così il fenomeno del sovraindebitamento causato da credito facile.
  • Esdebitazione automatica: mentre prima il debitore doveva fare apposita istanza per ottenere la cancellazione dei debiti residui dopo la liquidazione, ora questa avviene in automatico al termine della procedura, senza bisogno di un’ulteriore domanda. Se non emergono fatti ostativi, il giudice contestualmente alla chiusura della liquidazione libera il debitore dai debiti non soddisfatti. Questo snellisce e dà certezza al fresh start finale.
  • Durata ridotta della liquidazione: collegato al punto sopra, il Codice fissa a 3 anni la durata massima della procedura di liquidazione controllata (salvo proroghe per realizzo di beni complessi). In precedenza spesso si consideravano 4 anni di “pegno” sui redditi futuri del debitore; ora il periodo standard è 3 anni, trascorso il quale scatta l’esdebitazione (sempreché il debitore abbia collaborato e rispettato le regole).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: è l’innovazione forse più rilevante e di impatto sociale. Si tratta di una procedura speciale pensata per chi non ha davvero nulla da offrire ai creditori, nemmeno in futuro. Approfondiremo più avanti, ma in sostanza un debitore persona fisica “incapiente” e meritevole può ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza doverli pagare, neanche in parte. È un beneficio utilizzabile solo una volta in vita e con l’obbligo, per i 4 anni successivi, di comunicare ai creditori eventuali sopravvenienze (entrate) che permettano di pagare almeno il 10% di quanto dovuto.

Queste modifiche mirano a rendere la gestione delle crisi da sovraindebitamento più efficiente e accessibile, bilanciando meglio gli interessi in gioco. In particolare, l’introduzione della procedura familiare facilita le famiglie indebitate; l’esdebitazione dell’incapiente offre una via d’uscita estrema ai casi umani più gravi; e la maggiore responsabilizzazione degli enti finanziatori agisce da deterrente contro l’eccesso di credito a chi non può permetterselo.

3. Chi Può Accedere alla Procedura di Sovraindebitamento

3.1. I soggetti “non fallibili” ammessi (privati, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.)

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, cioè a quelle categorie di debitori che non possono essere assoggettate alle normali procedure fallimentari (oggi liquidazione giudiziale) per le imprese. In pratica, rientrano in questa definizione:

  • Privati cittadini consumatori: persone fisiche che hanno debiti personali e non esercitano attività d’impresa. Ad esempio impiegati, pensionati, casalinghe, studenti o disoccupati indebitati per prestiti, mutui, bollette, spese di famiglia, ecc. Rientrano anche ex lavoratori che hanno perso l’occupazione. Sono tipici beneficiari del piano del consumatore. Questa categoria è centrale: la legge 3/2012 offre a queste persone una soluzione sostenibile per riorganizzare i debiti e proteggere i beni essenziali, evitando di rovinare completamente la loro vita.
  • Piccoli imprenditori commerciali: coloro che gestiscono un’attività d’impresa al di sotto delle soglie previste dalla legge fallimentare (art. 1 L.Fall., ora Codice della Crisi). In particolare, se negli ultimi tre esercizi l’imprenditore non ha superato due dei seguenti limiti: 300.000 € di attivo patrimoniale, 200.000 € di ricavi lordi annui, 500.000 € di debiti totali. Questi piccoli imprenditori (ad esempio il proprietario di un negozio o di una micro-impresa familiare) sono esclusi dal fallimento e possono accedere alle procedure di sovraindebitamento. Per loro è pensato soprattutto l’accordo con i creditori (ora concordato minore), che consente di negoziare un rientro del debito mantenendo in vita l’attività.
  • Imprenditori agricoli: per legge gli agricoltori non sono soggetti a fallimento, indipendentemente dalle dimensioni. Dunque qualsiasi imprenditore agricolo indebitato (coltivatore diretto, azienda agricola) può utilizzare la legge 3/2012 per risolvere la propria crisi.
  • Lavoratori autonomi e liberi professionisti: categorie come artigiani, commercianti sotto soglia, professionisti iscritti a ordini (avvocati, medici, architetti, ecc.), che spesso non rientrano nelle procedure concorsuali tradizionali. Prima della legge 3/2012, un professionista sommerso dai debiti (magari per mancati pagamenti dei clienti o crisi dello studio) non poteva fallire e non aveva tutele; ora invece può proporre un piano o un accordo ai sensi di questa normativa. Anche gli artigiani e le partite IVA individuali hanno accesso (se sotto soglia di fallibilità), così come le start-up innovative e le entità no-profit (ONLUS, associazioni) che abbiano debiti.
  • Enti non commerciali e fideiussori: la legge include anche enti non profit e le persone che hanno prestato garanzie personali. Ad esempio, un fideiussore che abbia garantito il debito di un amico o parente può ritrovarsi a dover pagare quel debito: se non ce la fa, può ricorrere alla procedura per sovraindebitamento (purché la garanzia riguardasse debiti non da grande impresa).
  • Soci di società di persone a responsabilità illimitata: i soci di S.n.c. o accomandatari di S.a.s., essendo illimitatamente responsabili, possono essere chiamati a rispondere dei debiti sociali con il proprio patrimonio. Se la società è piccola e non fallisce, i soci che restano con debiti personali possono utilizzare la procedura di sovraindebitamento. Anche un ex socio illimitatamente responsabile (uscito da oltre un anno) è ammesso.

In sintesi, tutti coloro che non possono accedere al fallimento (ora liquidazione giudiziale) perché non ne hanno i requisiti, ma si trovano in condizioni di insolvenza o grave difficoltà finanziaria, possono valutare la procedura di sovraindebitamento. Questo copre uno spettro amplissimo di soggetti: dal singolo consumatore fino alla piccola azienda familiare. È importante notare che il debito complessivo può anche essere elevato (non c’è un minimo né un massimo legale per l’ammontare dei debiti in queste procedure – la soglia di 500.000 € citata sopra serve solo a definire il “piccolo imprenditore non fallibile”, ma un privato consumatore potrebbe avere debiti ben superiori e comunque accedere). Ci sono stati casi di persone fisiche con debiti di milioni di euro che hanno avviato una liquidazione del patrimonio con successo.

3.2. Requisiti di meritevolezza e buona fede del debitore

L’accesso ai benefici della legge sul sovraindebitamento non è automatico: il debitore deve dimostrare di essere meritevole. Questo principio, fondamentale sin dal 2012, è stato rafforzato dal Codice della Crisi. In concreto, i principali requisiti soggettivi di meritevolezza e buona fede sono:

  • Assenza di atti in frode ai creditori: il debitore non deve aver sottratto o simulato il proprio patrimonio per danneggiare i creditori. Ad esempio, non deve aver venduto beni poco prima di chiedere la procedura per nascondere il ricavato all’estero, o fatto donazioni di immobili per evitare che vengano pignorati. Simili comportamenti precludono la possibilità di accedere alla legge.
  • Nessun sovraindebitamento doloso o “scellerato”: se il debitore ha creato la situazione di insolvenza con dolo o colpa grave, potrebbe essere giudicato non meritevole. Ciò significa che non deve aver contratto debiti in modo irresponsabile o fraudolento, ad esempio facendo spese folli sapendo di non poterle pagare, o accumulando prestiti per gioco d’azzardo (ludopatia) senza tentare di curarsi. Va detto che la giurisprudenza ha riconosciuto in certi casi come non colpevole il debitore affetto da ludopatia patologica, assimilabile a una malattia che compromette la volontà. Ogni caso è valutato a sé, ma in generale deve emergere che l’indebitamento è conseguenza di eventi sfortunati o necessità (es. spese mediche impreviste) e non di malafede.
  • Veridicità e completezza delle informazioni fornite: il debitore deve presentare un elenco completo di tutti i propri creditori, l’inventario dei beni, l’elenco delle spese correnti e dei redditi, in modo trasparente. Dichiarazioni false o omissioni rilevanti (ad esempio, omettere di dichiarare un immobile di proprietà) fanno decadere la procedura e possono avere conseguenze penali. La collaborazione sincera con l’OCC e con il giudice è fondamentale per mantenere la fiducia.
  • Non aver già beneficiato di esdebitazione recente: la legge prevede che l’esdebitazione (cioè la cancellazione dei debiti residui) sia concessa normalmente una sola volta. In particolare, l’esdebitazione dell’incapiente è utilizzabile solo una volta in assoluto nella vita. Chi ha già ottenuto la cancellazione dei debiti con una procedura precedente difficilmente potrà accedere di nuovo a breve termine (la normativa precedente fissava un intervallo di alcuni anni). Questo per evitare un uso reiterato dello strumento.

Oltre a questi requisiti di condotta, c’è il requisito oggettivo di trovarsi effettivamente in stato di sovraindebitamento. Ciò significa che il debitore non deve avere semplicemente difficoltà temporanee, ma una vera incapacità strutturale di pagare i debiti. Spesso si dimostra con il fatto che vi sono rate scadute da tempo, decreti ingiuntivi, pignoramenti in corso o altre manifestazioni dell’insolvenza. In mancanza di questo stato di crisi conclamata, il tribunale potrebbe respingere l’istanza perché prematura.

Riassumendo, la legge vuole aiutare il debitore sfortunato ma onesto, non certo il furbo o chi ha agito illegalmente. Durante l’iter, il giudice e l’OCC verificheranno attentamente il profilo del richiedente. Ad esempio, se emergono prelievi ingenti di denaro poco prima del ricorso, o una sproporzione tra redditi ufficiali e stile di vita, potrebbero sorgere dubbi sulla meritevolezza. È cruciale dunque presentarsi con carte in regola, consapevoli che la trasparenza è un obbligo: un segno di buona fede apprezzato è proprio l’allegare tutta la documentazione possibile sulla propria situazione economica, anche ciò che può sembrare sfavorevole, spiegando le circostanze.

3.3. Debiti ammessi ed esclusi dalla procedura (tipologie di obbligazioni)

Uno dei vantaggi della procedura da sovraindebitamento è la sua ampia portata: praticamente ogni tipo di debito può essere incluso nel piano o accordo, ad eccezione di poche categorie particolari. Elenchiamo le principali tipologie di debiti che rientrano nella procedura:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui ipotecari, prestiti personali, finanziamenti rateali, scoperti di conto, carte di credito revolving, cessioni del quinto dello stipendio, leasing. Tutti i crediti vantati da banche, finanziarie e società di leasing possono essere trattati nel piano. Anche le cessioni del quinto (prestiti con trattenuta stipendiale) sono ricomprese e durante la procedura la trattenuta viene sospesa, permettendo al debitore di recuperare quella quota di stipendio.
  • Debiti verso fornitori o privati: ad esempio fatture non pagate a fornitori (per un imprenditore), prestiti ricevuti da amici o parenti, debiti condominiali, canoni di affitto arretrati, bollette e utenze insolute, ecc. Tutti questi creditori privati possono far parte dell’accordo/piano.
  • Debiti fiscali e verso l’erario: le cartelle esattoriali per tasse statali, contributi previdenziali, tributi locali (IMU, TARI), multe stradali e sanzioni amministrative pecuniarie rientrano nella massa debitoria. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) e gli enti pubblici creditori partecipano alla procedura come qualsiasi altro creditore. È possibile quindi includere debiti IVA, IRPEF, INPS, ecc., proponendo anche falcidie (riduzioni) e dilazioni, nei limiti consentiti (alcune leggi speciali pongono restrizioni sulla falcidia di certi tributi, ma in generale anche il Fisco può accettare stralci nelle procedure da sovraindebitamento).
  • Multe e sanzioni amministrative: ad esempio contravvenzioni stradali non pagate, sanzioni per violazioni amministrative. Rientrano anch’esse nel perimetro dei debiti trattabili. Va precisato che eventuali sanzioni penali (ammende) o somme dovute per reati potrebbero avere un trattamento diverso, ma per la stragrande maggioranza delle sanzioni comuni vale la regola generale.

In pratica, il totale dei debiti che il soggetto ha verso qualsiasi creditore viene cristallizzato nella procedura. Dal momento in cui si presenta la domanda, si “fotografa” la situazione debitoria complessiva, su cui poi si costruirà il piano di rientro o la liquidazione.

Ci sono però alcuni debiti esclusi o meglio obbligazioni che non possono essere cancellate nemmeno con l’esdebitazione finale. Un esempio esplicito previsto è quello degli obblighi di mantenimento e alimentari: se il debitore ha arretrati nell’assegno di mantenimento a coniuge separato o ai figli, non potrà liberarsene tramite questa procedura. Quegli obblighi nascono da doveri di famiglia e restano in piedi. Analogamente, debiti da risarcimento di danni provocati da illecito con sentenza penale potrebbero non essere esdebitabili, sebbene la legge 3/2012 non lo esplicitasse chiaramente come fa, ad esempio, la legge fallimentare per certi debiti: su questo punto potrebbe intervenire l’interpretazione giurisprudenziale caso per caso. In generale, comunque, tutti i debiti “ordinari” sono coperti e l’elenco delle eccezioni è limitato (principalmente appunto gli alimenti).

Va ricordato che in costanza di procedura sono sospesi anche gli interessi maturandi sui debiti chirografari (non garantiti). Il piano infatti prevede quanto il debitore pagherà e di norma congelare gli interessi successivi serve a far sì che la situazione non peggiori ulteriormente durante l’iter. Gli interessi dei crediti privilegiati (es. ipotecari) possono continuare a maturare nei limiti della garanzia, ma questo è un dettaglio tecnico.

3.4. Soglie di fallibilità: quando un imprenditore è troppo grande per la Legge 3/2012

Abbiamo accennato che gli imprenditori possono accedere alle procedure di sovraindebitamento solo se di piccole dimensioni. È importante capire dove sta il confine tra “piccolo non fallibile” e impresa “fallibile”. La normativa attuale riprende sostanzialmente i parametri della vecchia legge fallimentare, ossia le soglie di cui all’art. 1 L.Fall., che sono le seguenti:

  • Totale dell’attivo patrimoniale (totale degli asset a bilancio) non superiore a 300.000 euro negli ultimi 3 esercizi;
  • Ricavi lordi annui (fatturato) non superiori a 200.000 euro negli ultimi 3 esercizi;
  • Debiti totali (anche non scaduti) non superiori a 500.000 euro.

Se un imprenditore supera anche solo uno di questi parametri per oltre tre anni consecutivi, diventa soggetto al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e non può utilizzare la procedura di sovraindebitamento. Per essere considerato “non fallibile” deve rimanere sotto tutti i limiti (o almeno due su tre, secondo la giurisprudenza che richiedeva di superarne più d’uno per essere considerato fallibile).

Esempio: un imprenditore con 800.000 euro di debiti totali non potrà accedere alla legge 3/2012, anche se i suoi ricavi e attivi sono piccoli, perché supera la soglia dei 500.000. Oppure un’azienda con 400.000 euro di fatturato annuo negli ultimi anni è fuori parametro anche se i debiti sono meno di 500.000.

In pratica, le procedure da sovraindebitamento coprono le micro-imprese e le imprese minori, mentre quelle di dimensione maggiore ricadono nelle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Da notare però che le persone fisiche consumatrici non hanno limiti di importo: un privato cittadino anche con 1 milione di debiti (pensiamo a una fideiussione escussa di grande importo, o a un ex imprenditore che però agisce come consumatore per debiti personali) può accedere, purché sia persona fisica e non imprenditore in attività di quella portata.

Inoltre, start-up innovative e imprese agricole come detto non sono soggette a fallimento per disposizioni speciali, quindi rientrano comunque nel sovraindebitamento a prescindere dalle dimensioni.

Riassumendo: quando si valuta chi può accedere, occorre verificare la natura del soggetto (persona fisica, impresa, ente) e in caso di impresa i dati dimensionali. Superata questa verifica, conta poi la meritevolezza individuale. Se entrambe le condizioni (soggettiva e oggettiva) sono soddisfatte, il soggetto è un candidato ammissibile alla procedura.

4. Le Procedure Disponibili per la Composizione della Crisi

La legge prevede diverse modalità per risolvere il sovraindebitamento, adattabili ai vari tipi di debitore e situazioni. Gli strumenti fondamentali sono quattro:

  • Piano del consumatore (oggi chiamato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore): un piano di pagamento rivolto ai debitori civili (non imprenditori) approvato dal giudice, senza bisogno del consenso dei creditori.
  • Accordo di composizione con i creditori (ora parte del concordato minore): un accordo che vincola tutti i creditori se approvato dalla maggioranza di essi e omologato dal giudice.
  • Liquidazione controllata del patrimonio (ex liquidazione del patrimonio): la vendita di tutti i beni del debitore per pagare i creditori, con successiva esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: la cancellazione dei debiti senza alcun pagamento, riservata a casi eccezionali.

Vediamo in dettaglio ciascuna procedura, i suoi meccanismi e a chi è destinata.

4.1. Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti per privati)

Il piano del consumatore è lo strumento pensato per le persone fisiche debitrici “consumatrici”, ovvero per chi ha contratto debiti estranei ad un’attività d’impresa. Esempi tipici: debiti familiari, mutui sulla prima casa, finanziamenti per acquisti personali, scoperti di conto, debiti di gioco o medici, ecc. Anche un ex imprenditore può accedere al piano del consumatore per i debiti rimasti personali (non legati all’impresa).

Caratteristica peculiare di questo piano è che non richiede l’approvazione dei creditori: il debitore propone un progetto di rientro del debito e sarà il giudice a valutarlo ed eventualmente omologarlo, rendendolo vincolante per tutti. Ciò significa che, anche se ai creditori l’offerta non piace, se il giudice la ritiene equa e fattibile, può imporla. Questa è una differenza sostanziale rispetto a ogni altra procedura concorsuale (dove di solito serve il voto dei creditori).

Il piano del consumatore permette al debitore di pagare in base alla propria reale capacità economica, che viene attentamente analizzata. Può prevedere:

  • Dilazione dei pagamenti (spalmare il debito su più anni con rate sostenibili).
  • Falcidia (riduzione) di una parte del debito, se emerge che il debitore non potrà mai pagarla. Ad esempio, pagare il 50% del dovuto e stralciare il restante 50%. La riduzione deve essere giustificata dalla situazione finanziaria: il debitore offre il massimo che realisticamente può dare.
  • Differenziazione dei creditori: ad esempio, potrebbe prevedere di pagare integralmente quelli garantiti da ipoteca (fino al valore dell’immobile) e parzialmente i chirografari (senza garanzie), come avviene nei concordati. Il tutto, però, senza ingiustificate sperequazioni e sotto controllo del giudice.
  • Eventuale liquidazione di qualche bene non essenziale: il debitore consumatore potrebbe includere nel piano la vendita di un immobile secondario, di un’auto di lusso o altro, per aumentare la somma da distribuire. Ma di norma il piano del consumatore non richiede di liquidare tutti i beni, a differenza della procedura di liquidazione. Si cerca anzi di salvaguardare i beni essenziali (la prima casa di abitazione, se possibile, mantenendo il mutuo con rate sostenibili rinegoziate nel piano).

Iter di approvazione: Il debitore deposita il piano e la documentazione; l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o il professionista nominato certifica che i dati sono corretti e che il piano è sostenibile; il giudice verifica anche la meritevolezza del debitore (nel piano del consumatore questo giudizio è cruciale). Se riscontra che il debitore ha agito con dolo o colpa grave, respinge la domanda. Altrimenti fissa un’udienza, convoca i creditori (che possono far pervenire osservazioni, pur senza voto) e infine decide sull’omologa. Una volta omologato dal tribunale, il piano diventa efficace e:

  • Tutte le azioni esecutive (pignoramenti, ecc.) contro il debitore sono sospese o cessano.
  • I creditori dovranno accontentarsi di quanto previsto nel piano, nei tempi stabiliti.
  • Il debitore dovrà rispettare rigorosamente le scadenze di pagamento concordate.

Un vantaggio immediato del piano del consumatore è proprio il “respiro” che dà al debitore: cessano gli assedi dei creditori, le telefonate di recupero crediti, i pignoramenti dello stipendio in corso vengono bloccati. Ad esempio, se al sig. Rossi stavano pignorando un quinto dello stipendio, con l’omologa del piano quella trattenuta viene sospesa e sostituita eventualmente dalla rata prevista dal piano (che potrebbe essere inferiore al quinto se il giudice ha valutato che Rossi deve mantenere la famiglia con quel reddito).

Esempio pratico: Maria è una pensionata indebitata per 30.000 euro di un prestito personale. Con un piano del consumatore propone di rimborsare 15.000 euro in 5 anni, rateizzando 250 euro al mese, e chiede lo stralcio del restante 50% del debito. Il giudice, verificato che Maria può permettersi 250 euro mensili lasciandole il minimo vitale per vivere, omologa il piano. Così Maria evita il pignoramento della pensione (che i creditori stavano minacciando) e ottiene una riduzione significativa del debito complessivo. In cambio, si impegna a pagare puntualmente le rate per 5 anni: al termine, sarà libera dai debiti residui e la sua pensione sarà intangibile per quei vecchi crediti.

Il piano del consumatore è dunque lo strumento ideale per i privati che hanno una fonte di reddito (stipendio, pensione, affitto, ecc.) sufficiente a pagare qualcosa ogni mese, ma non abbastanza da coprire l’intero debito accumulato. Permette di salvare il necessario per vivere e pagare solo ciò che rientra nelle proprie possibilità. Va ricordato che il debitore deve essere rigoroso: un volta approvato, il piano va rispettato alla lettera, altrimenti può decadere (vedremo più avanti i rischi in caso di inadempimento).

4.2. Accordo con i Creditori (concordato minore per imprese e partite IVA)

L’accordo di composizione con i creditori era l’altro strumento originario della legge 3/2012, pensato principalmente per imprenditori e professionisti. Nel Codice della Crisi, la figura equivalente rientra nel concordato minore, riservato ai soggetti non fallibili diversi dal consumatore puro. In sostanza, l’accordo è molto simile a un piccolo concordato preventivo: il debitore elabora un piano di ristrutturazione dei debiti, ma affinché sia omologato occorre il consenso di una maggioranza dei creditori.

Caratteristiche principali:

  • Può accedervi qualsiasi debitore “non fallibile” (anche un consumatore volendo, ma normalmente il consumatore opta per il piano senza voto). È tipico per chi ha un’attività economica da salvare o da cessare ordinatamente.
  • Richiede che i creditori votino il piano: serve il sì di almeno il 60% dei crediti secondo la legge 3/2012. Il Codice della Crisi parrebbe aver semplificato a oltre il 50% (maggioranza semplice), ma su questo bisogna verificare la norma applicabile nel 2022. Supponiamo che oggi basti la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata per ammontare.
  • Se la maggioranza approva, il tribunale omologa l’accordo rendendolo vincolante anche per le minoranze dissenzienti. Se invece non si raggiunge la maggioranza necessaria, l’accordo non può essere omologato (ma il debitore, come ultima spiaggia, potrebbe chiedere a quel punto la liquidazione del patrimonio).

Cosa può prevedere un accordo? Molto simile al piano del consumatore, ma qui c’è margine di trattativa diretta con i principali creditori prima del voto. Il debitore potrà negoziare con banche e fornitori delle proposte di saldo e stralcio o dilazione, cercando di renderle appetibili. Ad esempio: pagare il 40% ai chirografari in 5 anni e il 100% + interessi ridotti ai creditori ipotecari in 10 anni, vendendo magari qualche cespite non indispensabile. Spesso si studiano soluzioni per mantenere in vita l’impresa, ad esempio prevedendo che l’attività prosegua e generi utili da destinare ai creditori secondo il piano (si parla infatti di possibile continuità aziendale nel concordato minore).

L’accordo con i creditori consente maggiore flessibilità contrattuale: il debitore può cercare l’intesa coinvolgendo i creditori chiave. Il ruolo dell’OCC è di mediatore e di verifica. Una volta depositata la proposta, il giudice ordina che sia comunicata ai creditori e convoca l’adunanza per il voto (o dispone voto scritto). Se i creditori approvano nelle percentuali richieste, si passa all’omologa.

Vantaggi per il debitore: innanzitutto, anche qui c’è la tutela dalle azioni esecutive una volta avviata la procedura e soprattutto dopo il deposito del piano con fissazione dell’udienza (il giudice può disporre la sospensione dei pignoramenti pendenti in attesa del voto). L’accordo, se approvato, evita soluzioni peggiori come la liquidazione giudiziale o il fallimento dell’attività: consente di preservare la continuità aziendale (l’impresa continua a lavorare) e di salvaguardare beni magari dati in garanzia, che diversamente verrebbero aggrediti. Inoltre, consente di rinegoziare i debiti con tagli e allungamenti, con il supporto legale della procedura (ad esempio congelando interessi, riducendo importi).

Vantaggi per i creditori: perché dovrebbero accettare? Spesso perché capiscono che è meglio incassare il X% in comode rate piuttosto che rischiare di non vedere nulla dalla chiusura dell’attività del debitore. Un accordo ben congegnato offre più valore rispetto a un’ipotetica esecuzione forzata (dove magari l’azienda fallirebbe e i creditori ricaverebbero pochissimo). Inoltre, l’accordo evita lungaggini e spese di una procedura fallimentare.

Esempio pratico: un piccolo imprenditore ha debiti per 200.000 euro tra banche e fornitori, a causa di un calo di fatturato. Presenta un accordo proponendo di pagare 120.000 euro in 5 anni, quindi circa il 60% del dovuto, con rate trimestrali. I creditori, valutato che l’alternativa (pignorare i pochi beni) frutterebbe forse il 30%, approvano a maggioranza. Il tribunale omologa. L’imprenditore così evita di chiudere: può continuare l’attività, pagare i dipendenti, e al contempo soddisfa i creditori in modo ordinato. I posti di lavoro sono salvi e l’azienda ha una seconda chance, seppur ridimensionata.

Da notare che l’accordo con i creditori può essere utilizzato anche da professionisti o lavoratori autonomi non consumatori. Per esempio, un avvocato con uno studio indebitato può proporre ai creditori un accordo spalmando i debiti professionali su più anni. Anche i soci illimitatamente responsabili possono proporre un accordo per i debiti sociali di cui rispondono (se la società non è fallita).

4.3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (liquidazione del patrimonio)

La liquidazione controllata – chiamata nella legge 3/2012 semplicemente liquidazione del patrimonio – è la procedura più “drastica” ma a volte inevitabile. Qui il debitore chiede al tribunale di liquidare tutti i suoi beni per soddisfare i creditori, ottenendo in cambio la liberazione dai debiti residui. È paragonabile a un fallimento personale: il patrimonio del debitore viene gestito da un liquidatore nominato dal giudice (spesso lo stesso gestore della crisi designato dall’OCC) il quale vende i beni, riscuote i crediti, e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni.

Questa soluzione si adotta in genere quando il debitore non ha la possibilità di proporre un piano sostenibile né di ottenere un accordo: ad esempio, i debiti sono troppo alti rispetto al reddito, oppure i creditori non si fidano di un piano e preferiscono escutere i beni. Si può anche arrivare alla liquidazione se il piano o l’accordo falliscono (non omologati) – a quel punto il debitore, per non tornare alla mercé dei creditori, può “ripiegare” offrendo la liquidazione volontaria del suo patrimonio.

Come funziona: Il debitore deposita un’istanza di liquidazione allegando l’elenco di tutti i beni (mobili, immobili, denaro, crediti verso terzi). Il tribunale, verificati i presupposti, dichiara aperta la liquidazione e nomina un liquidatore (spesso un professionista OCC). Da quel momento:

  • I beni di proprietà del debitore diventano parte di un “fondo” da liquidare. Se ha case, queste verranno vendute (di solito tramite procedure competitive). Se ha conti correnti o auto, verranno acquisiti e venduti.
  • Il debitore deve collaborare ma perde la disponibilità dei beni non necessari. Ha però diritto a mantenere quelli impignorabili per legge (es. stipendio minimo vitale, mobilio essenziale di casa, eventuali beni di uso quotidiano).
  • Tutte le azioni esecutive cessano e i creditori possono far valere le proprie ragioni solo nella liquidazione presentando domanda di ammissione (come in un fallimento). Non serve il loro consenso per liquidare: è il tribunale che dispone d’ufficio.
  • La procedura ha durata limitata: attualmente, massimo 3 anni per liquidare tutto e destinare il ricavato ai creditori (prorogabile se ci sono beni di difficile realizzo, ma l’obiettivo è contenere i tempi). Durante questi anni, se il debitore ha un reddito da lavoro, gli potrà essere richiesto di versarne la parte eccedente il necessario per il mantenimento suo e della famiglia, incrementando l’attivo liquidabile. Ad esempio, un professionista potrebbe continuare a lavorare e consegnare al liquidatore il surplus dei guadagni rispetto a una soglia decorosa, anno per anno.

Al termine, il giudice chiude la liquidazione e dichiara l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti rimasti non pagati. Grazie alla riforma, questa esdebitazione è concessa in automatico nel decreto di chiusura (salvo revoche per irregolarità), liberando il debitore da ogni obbligazione precedente.

Vantaggi della liquidazione controllata:

  • Non richiede di convincere i creditori: è una procedura unilaterale, utile quando nessun accordo è possibile.
  • Permette di chiudere definitivamente la posizione debitoria in tempi relativamente brevi (3-4 anni), dopodiché il debitore riparte pulito.
  • Anche se i creditori vengono soddisfatti solo parzialmente, quel che non ricevono viene annullato con l’esdebitazione finale, consentendo al debitore di non restare perseguitato a vita.
  • Durante la liquidazione, il debitore mantiene comunque i mezzi per condurre una vita dignitosa (non gli si toglie tutto: ad esempio, spesso gli viene lasciata l’abitazione principale per un certo periodo o un alloggio, e un budget di mantenimento mensile).

Svantaggi e costi per il debitore:

  • Evidentemente, perde la proprietà dei suoi beni liquidabili. Se aveva una casa, verrà verosimilmente venduta (salvo accordi per tenerla pagando i creditori in altro modo). Se aveva un’auto, pure, a meno che sia indispensabile per il lavoro e di modesto valore.
  • È una procedura comunque pubblica e complessa, simile a un piccolo fallimento: i creditori vengono avvisati, c’è un bando per la vendita dei beni, ecc., il che può portare stress e senso di stigma, anche se non ci sono le interdizioni personali tipiche del fallimento (il debitore sovraindebitato non viene sottoposto a misure come la perdita della capacità di esercitare imprese, tranne eventuali casi di dolo conclamato che emergessero).

Esempio pratico: Un professionista ha 100.000 € di debiti ma nessuna possibilità di accordo, e il suo reddito basta appena alle spese di vita. Decide di liquidare il patrimonio: possiede un piccolo appartamento ereditato, che viene venduto ricavando 50.000 € netti per i creditori; inoltre per 3 anni versa al liquidatore 200 € al mese (risparmiati rinunciando a spese non essenziali), aggiungendo altri ~7.000 €. Complessivamente i creditori ricevono circa il 57% del dovuto. Terminati i 3 anni, il tribunale esdebità il professionista dai circa 43.000 € mancanti: quei debiti vengono cancellati e lui può ricostruirsi la vita. Nel frattempo ha dovuto abitare in affitto (perdendo la casa di proprietà), ma è uscito dalla spirale debitoria e può ripartire senza arretrati pendenti.

Un aspetto importante: liquidazione volontaria vs. fallimento coatto – Nel sistema italiano, i creditori non possono costringere un soggetto non fallibile a liquidare i propri beni tramite tribunale (non esiste una “istanza di fallimento” contro un consumatore, per dire). Quindi la liquidazione controllata ex L.3/2012 avviene su richiesta del debitore. È dunque una scelta di quest’ultimo per risolvere globalmente la situazione, invece di subire decine di pignoramenti scoordinati. Ciò conferisce una certa dignità: è il debitore che prende in mano la situazione e dice “vendo tutto quel che ho, ve lo do, e poi chiudiamo i conti”.

4.4. Esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione debiti senza risorse)

L’esdebitazione del debitore incapiente – chiamata anche esdebitazione senza utilità – è, come già accennato, una misura speciale introdotta per i casi estremi. Si rivolge al debitore persona fisica che:

  • Si trova in stato di sovraindebitamento grave;
  • Non possiede alcun patrimonio liquidabile né reddito aggredibile da offrire ai creditori (in pratica è nullatenente o i beni sono talmente modesti da non avere mercato);
  • È comunque meritevole (quindi non ha truffato i creditori o sperperato i beni volontariamente).

In queste condizioni, qualunque piano o accordo sarebbe improponibile (non c’è nulla da pagare) e la liquidazione sarebbe inutile (non c’è niente da liquidare). Prima della riforma 2020-2022, un debitore così era condannato a restare per sempre coi debiti a carico, senza possibilità di soluzione se non il decorso della prescrizione di singoli crediti (processo lungo e incerto). Ora, invece, può chiedere direttamente al giudice l’esdebitazione totale, cioè di essere liberato dai suoi debiti senza pagamento, una volta per tutte.

Come avviene? Il debitore presenta una domanda motivata al tribunale, preferibilmente con l’ausilio di un OCC o avvocato vista la delicatezza (non è obbligatorio per legge avere un difensore, ma altamente consigliato). Deve allegare tutta la documentazione attestante la propria situazione di indigenza: ad esempio estratti conto a zero, proprietà assenti (certificati catastali negativi), ISEE molto basso, stato di disoccupazione o pensione minima, ecc. Inoltre deve spiegare le cause del sovraindebitamento e perché sono indipendenti dalla sua volontà (es. “ho fatto da garante per un’azienda poi fallita”, oppure “ho avuto una grave malattia che mi ha impedito di lavorare e ho accumulato debiti medici”). Il tribunale notifica la richiesta ai creditori, che possono opporsi se ritengono che il debitore stia mentendo o abbia in realtà dei cespiti nascosti. Si svolge un’udienza; se il giudice ritiene fondata la richiesta, emette un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti del richiedente.

Questa esdebitazione straordinaria ha tuttavia delle condizioni postume: se nei 4 anni successivi al provvedimento il debitore incapiente “miracolosamente” riceve delle risorse (ad esempio un’eredità, una vincita, o torna a guadagnare bene) tali da permettergli di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, allora deve informare i creditori e il tribunale. In tal caso, potenzialmente, i creditori potrebbero riaprire la partita e pretendere quel 10%. Se il debitore tace e viene scoperto, rischia sanzioni gravi e la revoca dell’esdebitazione.

Inoltre, l’esdebitazione senza utilità può essere concessa una volta sola nella vita del debitore. Quindi è davvero il “colpo di spugna” definitivo per chi non ha altra via d’uscita.

Esempio pratico: Paolo è un ex piccolo imprenditore che ha chiuso l’attività ed è rimasto con 80.000 € di debiti tra banca e fisco. Non ha casa (vive in affitto), non ha auto, il conto in banca è quasi vuoto. Ha 60 anni, problemi di salute e nessuna prospettiva di reddito significativo. In questo scenario, Paolo può rivolgersi all’OCC per presentare istanza di esdebitazione incapiente, spiegando che la sua insolvenza deriva dalla crisi della sua ditta e che ora vive solo con una modesta pensione sociale. Il tribunale, accertata l’assenza di beni aggredibili e l’onestà di Paolo (che non ha fatto atti in frode), cancella i suoi debiti residui. Paolo non dovrà più nulla ai creditori, anche se questi purtroppo non hanno potuto recuperare niente. Per i 4 anni seguenti, Paolo dovrà comunicare ogni eventuale entrata straordinaria. Se ad esempio dopo due anni ricevesse un lascito di 20.000 €, dovrebbe destinarne almeno 8.000 (il 10% di 80.000) ai vecchi creditori.

L’esdebitazione per l’incapiente è concepita per motivi umanitari: ci sono situazioni di miseria in cui inseguire un debitore è inutile e crudele, e tanto i creditori non recupererebbero comunque nulla. Allora lo Stato preferisce “dare pace” al debitore, permettendogli almeno di non vivere nell’angoscia dei debiti arretrati. D’altro canto, è una misura eccezionale perché dal punto di vista dei creditori è la più gravosa (non ricevono niente). Ecco perché è limitata ai casi di indigenza conclamata e di condotta virtuosa del debitore non colpevole.

Va segnalato che già prima di questa norma alcuni tribunali, in via interpretativa, quando un debitore in liquidazione non aveva davvero nulla, chiudevano la procedura anche senza soddisfare i creditori e concedevano l’esdebitazione. Ma ora c’è una base legale più forte e uniforme.

5. La Procedura Passo per Passo

In questa sezione descriviamo in termini pratici come si svolge l’intero iter di una procedura di sovraindebitamento, dalla fase iniziale di preparazione fino alla conclusione con l’esdebitazione. Ogni caso può avere le sue particolarità, ma generalmente le tappe sono simili sia che si tratti di piano, accordo o liquidazione (con le differenze proprie di ciascuna modalità, già viste).

5.1. Preparazione: documenti necessari e Organismo di Composizione della Crisi (OCC)

Primo passo: il debitore riconosce di trovarsi in una situazione insostenibile e decide di attivarsi. È altamente consigliabile rivolgersi subito a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista esperto (avvocato, commercialista) che possa assisterlo. Gli OCC sono enti autorizzati (spesso istituiti presso gli ordini professionali, le camere di commercio o enti pubblici) con il compito di aiutare i debitori nella gestione della crisi da sovraindebitamento. L’elenco degli OCC è pubblico (tenuto dal Ministero della Giustizia) e ogni tribunale ha competenza per le procedure del suo territorio.

Il debitore dovrà raccogliere un’ampia serie di documenti che fotografino la sua situazione economica e patrimoniale:

  • Documenti anagrafici: carta d’identità, codice fiscale, stato di famiglia (per attestare il nucleo familiare a carico).
  • Documentazione dei redditi: buste paga recenti, CUD/Certificazione Unica, dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, cedolino pensione, eventuali contratti di locazione attivi (per redditi da affitto), ecc.
  • Elenco dettagliato di tutti i debiti: estratti conto mutui e finanziamenti, contratto di mutuo, lettera di decadimento del beneficio del termine se c’è stata, cartelle esattoriali, avvisi di accertamento, ingiunzioni, bollette non pagate, ratei condominiali arretrati, insomma ogni credito verso il debitore dev’essere elencato con importo, creditore, causale. Può essere utile fare una visura Centrale Rischi e CRIF per non dimenticare nulla.
  • Elenco dei beni di proprietà: immobili (visure catastali per verificarne intestazione e gravami), veicoli (visura Pra), conti correnti e depositi (ultimi estratti conto, saldo attuale), eventuali partecipazioni societarie, polizze assicurative con valore di riscatto, oggetti di valore (quadri, gioielli, ecc.). Su ogni bene indicare se gravato da pegno, ipoteca o se è già pignorato.
  • Elenco delle spese mensili necessarie: affitto o mutuo prima casa, utenze, spese mediche, spesa alimentare, scuolabus figli, ecc., per dimostrare qual è il fabbisogno di mantenimento.
  • Atti di proprietà o di famiglia: ad esempio, estratto per riassunto dell’atto di matrimonio (utile se ci sono regime patrimoniale e obblighi alimentari), eventuali separazioni legali, ecc.
  • Eventuali procedure in corso: se ci sono pignoramenti attivi, aste fissate, cause pendenti, indicarne gli estremi.

Questa fase di raccolta è laboriosa ma fondamentale: un dossier completo permetterà all’OCC e poi al giudice di avere chiara la situazione. L’OCC effettuerà una verifica preliminare per valutare se il debitore possiede i requisiti (meritevolezza, non fallibilità) e se la procedura di sovraindebitamento è effettivamente la soluzione appropriata. In alcuni casi, infatti, potrebbe suggerire soluzioni alternative: ad esempio, se i debiti non sono eccessivi e c’è patrimonio sufficiente, magari conviene cercare un accordo stragiudiziale o vendere un bene per pagare i creditori senza attivare la procedura (evitando costi). Oppure potrebbe consigliare un consolidamento del debito tramite nuova finanza (anche se chi arriva a questo punto di solito ha esaurito le opzioni creditizie).

Supponendo che la via del sovraindebitamento sia confermata, il debitore formalizza l’incarico all’OCC e versa un primo acconto sulle spese (vedremo nella sezione costi). A questo punto verrà nominato un gestore della crisi, cioè un professionista (interno all’OCC o esterno convenzionato) che seguirà operativamente il caso. Il gestore studierà i documenti e inizierà a predisporre la relazione particolareggiata che dovrà poi presentare al giudice: una sorta di relazione di fattibilità e meritevolezza, in cui attesta l’esatto ammontare dei debiti, il patrimonio disponibile, le cause dell’insolvenza e la completezza dei dati forniti.

Parallelamente, insieme al debitore, il gestore e l’eventuale avvocato lavorano alla proposta di risoluzione: piano, accordo o liquidazione a seconda dei casi. Si valuterà quale strumento è più adatto:

  • Se il debitore è un consumatore con reddito regolare -> probabile piano del consumatore.
  • Se è un imprenditore con vari creditori -> accordo con i creditori (cercando di ottenere il consenso di almeno i maggiori).
  • Se non ha reddito sufficiente -> forse conviene la liquidazione del patrimonio.
  • Se non ha nulla per davvero -> ipotesi esdebitazione incapiente.

In molti casi si preparano anche piani alternativi nel caso uno fallisca: ad esempio si prova l’accordo, ma si tiene pronta la liquidazione come piano B.

Durante la preparazione, può essere utile (ma non obbligatorio) che l’OCC prenda contatti informali con i principali creditori. Questo soprattutto in caso di accordo: sondare la disponibilità delle banche o del fisco ad accettare un certo stralcio. Questo dialogo precoce può far risparmiare tempo ed evitare di presentare proposte destinate al rifiuto. Tuttavia, formalmente i creditori si esprimeranno solo dopo il deposito ufficiale.

5.2. Presentazione della domanda in Tribunale

Una volta che il piano o la proposta di accordo è pronta (o si è deciso per la liquidazione), si procede a depositare il ricorso in tribunale. La competenza territoriale è del Tribunale dove il debitore ha la residenza o sede principale. Il ricorso è un atto introduttivo, di solito redatto dall’avvocato del debitore con l’ausilio dell’OCC, che contiene:

  • Le generalità del debitore e l’indicazione della procedura scelta (piano, accordo o liquidazione) ai sensi della legge 3/2012 (o del Codice della Crisi pertinente).
  • L’esposizione delle cause dell’indebitamento e dello stato d’insolvenza.
  • L’elenco completo dei creditori con i rispettivi crediti.
  • L’indicazione dei beni e redditi del debitore.
  • La descrizione della proposta di soluzione: importi offerti, modalità e tempistiche, eventuali garanzie, ecc.
  • In caso di piano del consumatore, la richiesta al giudice di omologazione senza voto creditori e l’argomentazione sulla meritevolezza del debitore.
  • In caso di accordo, la richiesta di convocare i creditori per l’espressione del voto sulla proposta allegata.
  • In caso di liquidazione, la richiesta di apertura della liquidazione patrimoniale ex art. 14-ter L.3/2012 (vecchia numerazione) con nomina di un liquidatore.

Al ricorso si allegano in genere:

  • La relazione particolareggiata dell’OCC (che include l’attestazione della veridicità dei dati e una valutazione sulla fattibilità del piano o accordo).
  • Tutti i documenti probatori elencati prima (situazione reddituale, debiti, ecc.).
  • L’elenco creditori e l’elenco beni firmati dal debitore.
  • Una relazione sulla fattibilità economica: un vero e proprio piano di pagamenti con simulazioni, se è un piano/accordo.
  • Eventuali attestazioni aggiuntive: ad esempio, se si propone di pagare debiti fiscali in parte, spesso si allega la norma che lo consente o eventuali risposte avute dagli enti.

Deposito e iscrizione a ruolo: Si presenta tutto in cancelleria (ormai via PEC o portale telematico) e si paga il contributo unificato dovuto. La legge prevede un contributo unificato ridotto per queste procedure (pari a quello delle cause di volontaria giurisdizione di valore indeterminato, quindi poche decine di euro; tuttavia se il debitore è consumatore vi può essere un importo diverso da se è imprenditore – su questo la normativa è stata altalenante. In aggiunta, molti tribunali chiedono un fondo spese o marca da bollo per le notifiche.

Effetti immediati del deposito: Diversamente dal fallimento, qui non c’è automatico spossessamento (a meno che si sia chiesta la liquidazione). Però di prassi, contestualmente al deposito, l’avvocato del debitore può chiedere al tribunale l’adozione di misure provvisorie urgenti per tutelare il patrimonio. Ad esempio, sospendere eventuali procedure esecutive in corso (pignoramenti, vendite all’asta) fino all’omologazione. Il giudice, valutata fumus boni iuris (cioè che il piano non sia manifestamente inammissibile) e periculum (il rischio che senza sospensione i creditori aggrediscano i beni compromettendo la procedura), può emettere decreto di sospensione delle aste o di blocco dei pignoramenti stipendiali in corso.

In ogni caso, tutti i creditori vengono informati. Nel piano del consumatore il tribunale fissa l’udienza di omologazione e dispone che il ricorso sia notificato ai creditori. Nell’accordo, convoca i creditori per il voto (o apre le votazioni scritte). Nella liquidazione, dichiara aperta la procedura e comunica ai creditori di insinuaresi.

Da questo momento in poi, il debitore è protetto dal cosiddetto automatic stay: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni individuali esecutive sul patrimonio senza autorizzazione del giudice della procedura. In pratica, i debiti sono congelati in attesa dell’esito. I creditori dovranno far valere le loro ragioni all’interno della procedura presentando osservazioni o votando, ma non potranno ottenere pignoramenti autonomi (pena nullità o improcedibilità degli stessi se iniziati dopo). Questo scudo, sebbene non esplicitato in un’unica norma, è derivato dal sistema complessivo: l’omologazione poi coprirà tutti i debiti anteriori.

5.3. Ruolo del Gestore della Crisi e rapporto con i creditori

Il gestore della crisi nominato dall’OCC (o l’OCC stesso se opera collegialmente) svolge un ruolo chiave dall’inizio alla fine:

  • Ha già preparato la relazione iniziale e continua a fare da filtro tra il debitore e il tribunale.
  • Comunica con i creditori. Formalmente, l’OCC invia a tutti i creditori la proposta depositata e li informa sulle modalità per partecipare (ad esempio, data dell’udienza o istruzioni per votare). Spesso, il gestore risponde anche a eventuali richieste di chiarimenti dei creditori.
  • Raccoglie le adesioni dei creditori se si tratta di un accordo: i creditori possono inviare il proprio voto (favorevole o contrario) e l’OCC conteggia le percentuali.
  • Redige verbali e relazioni intermedie: ad esempio il verbale dell’adunanza dei creditori (se fatta) o un supplemento di relazione se emergono fatti nuovi.

Durante questa fase, i creditori hanno la possibilità di interagire:

  • Nel piano del consumatore: i creditori non votano, ma possono presentare opposizioni od osservazioni entro un termine. Spesso, se un creditore contesta la meritevolezza del debitore (accusandolo di aver aggravato i debiti volutamente) o la correttezza dei dati (ad esempio sostiene che il debito indicato è inferiore al reale), lo farà sapere al giudice tramite memoria. Il gestore riferirà su queste contestazioni.
  • Nell’accordo: i creditori esprimono il voto. Alcuni possono astenersi, altri non rispondere (in genere il silenzio vale come dissenso, salvo regole di maggioranza differenti). Se la maggioranza richiesta viene raggiunta, i creditori di minoranza possono eventualmente opporsi in sede di omologa (lamentando che l’accordo li danneggia in modo irragionevole, per esempio).
  • Nella liquidazione: i creditori presentano le loro domande di ammissione al passivo al liquidatore, come in un fallimento, e segnalano se rivendicano privilegi o diritti di prelazione.

Il gestore (in un piano/accordo) o il liquidatore (in liquidazione) ha compiti simili a quelli di un curatore fallimentare, ma più snelli essendo procedure minori. Mantiene i contatti tra le parti, esegue le pubblicità legali (ad esempio, alcune decisioni vanno pubblicate sul registro delle imprese o su appositi siti, benché per i privati consumatori la pubblicità sia limitata per privacy), e supporta il giudice nelle valutazioni tecniche.

Un debitore collaborativo dovrebbe continuare a fornire al gestore ogni ulteriore documento richiesto e aggiornamento (ad esempio, se durante la procedura cambia lavoro o riceve un bonus, è tenuto a comunicarlo). La trasparenza deve permanere.

5.4. L’udienza e l’omologazione del piano/accordo

Fase decisiva: l’udienza davanti al giudice della crisi da sovraindebitamento. In caso di piano del consumatore, è un’udienza di omologazione; in caso di accordo con creditori, un’udienza per verificare esito delle votazioni ed eventuali opposizioni; in caso di liquidazione, tipicamente non c’è un’unica udienza decisiva (il processo è amministrativo e termina con decreto finale).

All’udienza di omologazione (piano/accordo), il giudice:

  • Verifica ancora una volta i presupposti formali (notifiche regolari a tutti i creditori, adempimento delle varie formalità).
  • Ascolta l’eventuale debitore (in molti tribunali il giudice fa domande dirette al debitore presente, per valutare la sua sincerità e capire il contesto).
  • Esamina le eventuali opposizioni dei creditori. Un creditore potrebbe, ad esempio, opporsi sostenendo che il piano lo pregiudica oltre il lecito, o che il debitore ha taciuto dei beni. Il giudice valuta queste istanze.
  • Acquisisce il parere del Pubblico Ministero, dove previsto (in alcuni casi, specie col piano del consumatore, la legge richiede che gli atti siano trasmessi al PM perché dia un parere sulla meritevolezza e sull’assenza di elementi penalmente rilevanti).

Se tutto è in ordine, il tribunale emette il decreto di omologazione:

  • Per il piano del consumatore: il giudice attesta la soddisfazione dei requisiti (meritevolezza, fattibilità) e omologa il piano, rendendolo efficace. Da questo momento, come detto, il piano è vincolante per tutti i creditori indicati e sospende definitivamente eventuali esecuzioni in corso, che vengono dichiarate improcedibili.
  • Per l’accordo: il giudice dichiara raggiunte le maggioranze (se raggiunte) e che l’accordo non arreca danno ai creditori dissenzienti oltre quanto avrebbero in alternativa, quindi omologa l’accordo. In parallelo può rigettare le opposizioni di eventuali creditori contrari, spiegandone i motivi (ad esempio, mostrando che riceveranno comunque più di quanto avrebbero avuto dalla liquidazione). Se invece la maggioranza non fosse stata raggiunta o emergessero gravi irregolarità, il giudice non omologa (rifiuta l’accordo). In tal caso il debitore torna alla situazione iniziale, salvo poter chiedere la conversione in liquidazione.

Durante l’udienza, il giudice può anche apportare modifiche marginali d’ufficio: ad esempio potrebbe chiedere al debitore un piccolo sforzo aggiuntivo su qualche punto prima di omologare (tipo: “inserisca anche questo piccolo creditore che mancava, oppure allunghi il piano di 6 mesi per aumentare un po’ la percentuale”). Se il debitore acconsente e i creditori non si oppongono, si può adattare il piano in extremis.

Una volta omologata, la procedura viene comunicata ai creditori ufficialmente. Nel caso di liquidazione controllata, invece, non c’è una vera omologazione, ma un decreto di apertura e nomina del liquidatore (già avvenuto all’inizio). Non essendoci nulla da omologare (il debitore non propone nulla se non “prendete i miei beni”), la fase successiva è direttamente la gestione liquidatoria.

5.5. Esecuzione del piano o della liquidazione dei beni

Dopo l’omologa, si passa alla fase di esecuzione. Questa è la fase più lunga in caso di piani pluriennali, o comunque richiede un monitoraggio costante.

  • Se è un piano del consumatore omologato: il debitore inizia a pagare le rate o somme promesse secondo il calendario stabilito. Di solito l’OCC funge da supervisore: il debitore potrebbe dover versare su un conto dedicato da cui l’OCC poi ripartisce ai creditori, oppure pagare direttamente i creditori mantenendo traccia. Dipende dalle prassi. È buona norma che il debitore, ad ogni scadenza, versi puntualmente e consegni prova al gestore (es. copia bonifico). Eventuali beni da vendere indicati nel piano devono essere liquidati: spesso viene nominato un liquidatore ad hoc per quei beni (ad esempio, vendere un immobile – si può nominare lo stesso gestore o un professionista delegato). Tutto ciò avviene sotto il controllo del giudice, che può emanare provvedimenti per facilitare l’esecuzione (ad esempio autorizzare la vendita di un bene libero da ipoteche se il creditore ipotecario è soddisfatto dal piano in altro modo).
  • Se è un accordo con i creditori: analogamente, il debitore e l’OCC devono dare attuazione all’accordo. Essendoci più parti coinvolte, spesso l’accordo prevede nominativamente chi fa cosa. Ad esempio: “la banca X rinuncia alla garanzia ipotecaria su immobile Y a fronte del pagamento di €…, che avverrà entro il …; il debitore cederà il 30% dei ricavi trimestrali all’OCC per distribuirli; l’immobile Z verrà messo in vendita con prezzo base…”. Il gestore della crisi può qui assumere un ruolo simile a un commissario che vigila sull’esecuzione e dirime eventuali dubbi tra le parti. I creditori dovranno pazientare secondo i tempi accordati. Se l’accordo prevede subito transazioni (es. stralcio con saldo immediato di alcune posizioni), il debitore dovrà attivarsi rapidamente per effettuare quei pagamenti (spesso anticipati già all’omologa tramite depositi cauzionali in tribunale – ad esempio, per convincere i creditori, il debitore può aver messo a disposizione prima qualche somma a garanzia).
  • Se è una liquidazione controllata: qui l’esecuzione consiste nel lavoro del liquidatore nominato. Egli redige l’inventario definitivo del patrimonio, emette un bando per vendere i beni (ad esempio incarica un’agenzia d’aste giudiziarie per vendere immobili o mobili). Incassa eventuali crediti (manda richieste ai debitori del sovraindebitato per farsi pagare a lui). Verifica le domande di credito dei creditori e predispone uno stato passivo approvato dal giudice, in cui stabilisce quanto spetta a ciascuno e con quale priorità (privilegi, ipoteche, chirografi). Poi man mano che realizza denaro dalle vendite, effettua riparti: paga prima i creditori privilegiati (es. dipendenti se ce ne sono, erario per le parti privilegiate, banche ipotecarie fino a capienza del valore bene), poi quello che resta lo divide pro quota tra i chirografari. Se il debitore ha un reddito, il liquidatore periodicamente ne preleva la parte stabilita (ad esempio, se il giudice nel decreto iniziale aveva fissato che il debitore deve versare ogni mese tutto il reddito eccedente €1000, il liquidatore raccoglie quei versamenti e li aggiunge alla massa). Possono volerci mesi o pochi anni a concludere tutto, dipende dal numero di beni e dalla loro vendibilità.

Durante l’esecuzione, il debitore deve:

  • Rispettare rigorosamente gli impegni di pagamento (per piani/accordi). Un ritardo o salto di rata, oltre i limiti di tolleranza previsti (qualche piano prevede espressamente un margine, tipo “decadenza dopo due rate non pagate”), può portare a una risoluzione della procedura su istanza dei creditori. Ciò significherebbe perdere i benefici e tornare alla situazione precedente meno quanto già pagato. La legge 3/2012 prevedeva che, in caso di inadempimento del piano o accordo, i creditori potevano chiedere al tribunale la revoca dell’omologazione e riprendere le azioni individuali. Quindi è cruciale non mancare i pagamenti. In caso di difficoltà temporanee, il debitore può avvisare l’OCC e magari tentare di ottenere un’aggiustamento del piano rivolgendosi al giudice prima che sia troppo tardi, ma non è garantito.
  • Non contrarre nuovi debiti imprudenti: anche se non è formalmente vietato contrarre nuovi debiti durante la procedura, sarebbe un controsenso. Il debitore dovrebbe mantenere un tenore di vita sobrio. Se per forza maggiore contrae qualche debito (es. nuove tasse correnti, spese mediche impreviste), dovrebbe comunque cercare di non compromettere l’attuazione del piano. Debiti nuovi non entrano nel vecchio piano, restano fuori.
  • Mantenere informato il gestore: ad esempio, se cambia residenza, se cambia lavoro e reddito, se riceve un’eredità. Quest’ultimo caso è delicato: se un debitore in piano del consumatore riceve un’eredità sostanziosa durante l’esecuzione del piano, legalmente quell’eredità non era considerata nel piano (perché non prevista). I creditori potrebbero venire a saperlo e chiedere al giudice di modificare il piano aumentando i pagamenti grazie a questa sopravvenienza. La legge non lo disciplinava chiaramente, ma è probabile che la correttezza imponga di destinare almeno in parte ai creditori ogni beneficio straordinario arrivato in corso di piano. Nel caso di debitore incapiente, come detto, c’è addirittura obbligo formale di segnalare utilità nei 4 anni successivi.

Nel corso dell’esecuzione, se tutto procede regolarmente, l’OCC può produrre relazioni periodiche al giudice per informarlo (specie in piani lunghi, magari una relazione annuale). I creditori generalmente restano in attesa: in un piano del consumatore non hanno molto da fare se non incassare secondo le scadenze pattuite; in un accordo idem; in una liquidazione possono a volte fare osservazioni sul progetto di riparto se ritengono scorretto qualcosa.

5.6. Chiusura della procedura ed esdebitazione finale

Quando il piano o l’accordo è completamente attuato, oppure quando nella liquidazione sono trascorsi i 3-4 anni e tutto il patrimonio è stato liquidato, si giunge alla fine della procedura.

Nel caso di piano/accordo: l’OCC deposita una relazione conclusiva attestando che il debitore ha eseguito tutto correttamente. Il giudice emette un decreto di attuazione completata e dichiara l’esdebitazione del debitore per la parte di debiti eventualmente non pagata nel piano. Infatti, salvo i casi in cui il piano prevede il pagamento integrale, spesso una quota di debiti viene falcidiata: con l’esdebitazione, quella parte viene cancellata definitivamente e i creditori non possono più pretendere nulla. Il debitore torna ad essere libero da debiti pregressi. Questo decreto viene notificato alle parti e ha efficacia immediata.

Nel caso di liquidazione: quando il liquidatore ha venduto tutto il vendibile e ripartito l’attivo, redige un rendiconto finale. Il giudice fissa un’udienza di chiusura, approva il conto e dichiara chiusa la liquidazione. Se il debitore si è comportato correttamente e non ci sono motivi ostativi (ad es. non ha nascosto beni, non ha omesso di collaborare), il giudice contestualmente dichiara l’esdebitazione del debitore per tutti i debiti rimasti non soddisfatti. Questa dichiarazione è automatica per legge e non serve domanda (a differenza di quanto accadeva prima della riforma). Da notare: l’esdebitazione in liquidazione non copre alcuni debiti particolari come gli alimenti al coniuge e altre eccezioni di legge, per cui quelli – se presenti – restano in essere (ma sono casi rari nel contesto di un fallimento personale).

L’effetto dell’esdebitazione è quello di una “pulizia” dei debiti antecedenti: il debitore non può più essere perseguito per essi. Se un creditore tentasse comunque un’azione, il debitore opporrà il provvedimento di esdebitazione che fa stato.

Riabilitazione del debitore: Oltre all’effetto giuridico, la conclusione positiva della procedura ha un effetto sociale: il debitore viene “riabilitato”. Non esiste per il sovraindebitato un registro pubblico dei soggetti esdebitati (diversamente dal fallito che aveva il Registro dei falliti, abolito peraltro). Quindi, una volta chiusa la procedura, il debitore torna in bonis. Certo, probabilmente i dati della procedura rimarranno nelle banche dati creditizie per qualche anno, influenzando l’accesso al credito, ma formalmente non c’è interdizione. Anzi, la legge sul sovraindebitamento non prevede le preclusioni personali tipiche del fallimento (come l’incapacità di esercitare impresa): dunque, anche durante e dopo, il debitore potrebbe aprire una nuova attività, contrarre mutui, ecc. (anche se realisticamente gli operatori saranno cauti nel prestargli soldi subito).

Se era un imprenditore o professionista, potrà riprendere la sua attività senza il fardello dei debiti vecchi. Spesso l’esdebitazione segna un vero nuovo inizio: per questo è considerata il punto cardine di queste procedure, paragonabile alla fresh start del diritto anglosassone.

Importante: l’esdebitazione non estingue le garanzie reali sui beni di terzi. Cioè, se un terzo (un amico, un parente) aveva dato un’ipoteca o fideiussione a garanzia di uno dei debiti del sovraindebitato, quel terzo ne risponde ancora. L’esdebitazione libera solo il debitore principale. Questo significa anche che, se un coobbligato ha pagato parte del debito, il suo diritto di regresso verso l’esdebitato si estingue (non potrà rivalersi su di lui).

Una volta chiusa la procedura, il debitore torna padrone dei suoi beni futuri e del suo reddito. Se era in liquidazione, termina anche l’eventuale cessione di quota di reddito. Se aveva un quinto pignorato sullo stipendio, tale pignoramento era già cessato con l’omologa e ovviamente non potrà riprendere dopo.

5.7. Cosa succede se la procedura non va a buon fine?

Non tutte le procedure di sovraindebitamento si concludono felicemente. Possono verificarsi alcuni scenari negativi:

  • Inammissibilità o rigetto iniziale: se il giudice, esaminando il ricorso, trova gravi mancanze (ad es. debitore non meritevole, documentazione insufficiente, soggetto fallibile), può dichiarare inammissibile la domanda. In tal caso, la procedura non inizia nemmeno. Il debitore resta con i suoi debiti; potrebbe provare a ripresentare una nuova domanda correggendo i difetti (se possibile) o optare direttamente per un’altra soluzione (p.es. negoziazione privata o, se improvvisamente diventato fallibile, subire un fallimento).
  • Mancata omologazione dell’accordo: se non si raggiunge il quorum di voti dei creditori o il giudice rileva cause ostative, l’accordo con i creditori non viene omologato. Idem per il piano del consumatore: se il giudice reputa il debitore non meritevole o il piano non fattibile, può rigettare l’omologa. In tali casi, per evitare di tornare alla situazione di partenza, la legge consente al debitore di chiedere contestualmente l’apertura della liquidazione del patrimonio (opzione di ripiego). Quindi spesso, se un accordo fallisce, si passa alla liquidazione. Se invece il debitore rinuncia, i creditori riacquistano piena libertà di azione (possono riprendere o iniziare pignoramenti).
  • Risoluzione/revoca dopo l’omologazione: questo è il caso di inadempimento del debitore. Se, ad esempio, un piano del consumatore viene omologato ma poi il debitore non paga le rate come previsto e accumula ritardi non scusabili, i creditori possono chiedere la risoluzione del piano al giudice. Il giudice, verificato l’inadempimento, dichiara risolta la procedura: ciò significa che i benefici decadono e i crediti tornano esigibili per intero detratto quanto eventualmente pagato in piano. Purtroppo, il debitore a quel punto ha perso anche tempo e denaro spesi, e si ritrova magari senza aver risolto nulla (anzi, con possibili ulteriori spese di interessi ripartiti). Analogo discorso per l’accordo omologato: è normalmente condizione legale che se il debitore non adempie agli obblighi l’accordo si risolve di diritto o su pronuncia giudiziale. A quel punto, il debitore potrebbe solo più tentare di accedere alla liquidazione (se non l’aveva già fatta) come ultima spiaggia.
  • Revoca per dolo: se dopo l’omologazione salta fuori che il debitore aveva occultato scientemente beni o falsificato i dati (e quindi ha frodato i creditori e il giudice), il tribunale può revocare l’omologazione e annullare la procedura. In più, il debitore rischia sanzioni penali. È uno scenario estremo ma accaduto in alcuni casi quando si scoprono retroscena (es. il debitore aveva intestato beni a terzi per non farli risultare). Inutile dire che questo è disastroso per il debitore, perché brucia la credibilità di fronte al tribunale e difficilmente potrebbe riprovarci.

In caso di esito negativo della procedura, i creditori riprendono la possibilità di esecuzione individuale. Le somme eventualmente pagate durante il tentativo di piano rimangono acquisite ai creditori (non tornano indietro). Il debitore può considerare altre strade, ad esempio un concordato preventivo se nel frattempo è divenuto fallibile (ma questo di solito non accade, la situazione rimane la stessa).

Per prevenire questi esiti, è essenziale che il piano sia realistico fin dall’inizio (non promettere cose impossibili) e che il debitore adempia con disciplina.

C’è da dire che, con la riforma, la procedura appare più flessibile e orientata al successo: ad esempio, permettere procedure familiari evita risoluzioni dovute al fatto che i coniugi avevano fatto due piani separati e uno fallisce; oppure l’esdebitazione incapiente permette di chiudere situazioni altrimenti destinate a fallire (un piano in cui non c’è niente da offrire sarebbe fallito, ora invece quell’individuo può optare direttamente per l’incapienza).

6. Durata e Costi della Procedura

Passiamo ora a considerare quanto tempo occorre per completare una procedura di sovraindebitamento e quali costi bisogna affrontare. Questi aspetti pratici sono importanti per chi valuta se intraprendere il percorso.

6.1. Tempistiche tipiche (dal deposito all’omologa e oltre)

La durata può variare molto in base alla complessità del caso, al carico di lavoro del tribunale competente e al tipo di procedura scelta. Possiamo tuttavia delineare alcuni tempi medi orientativi:

  • Fase di preparazione documenti e predisposizione piano: dipende dalla diligenza del debitore e dell’OCC. Potrebbe richiedere 1-2 mesi per raccogliere tutto e stendere una proposta. Nei casi complessi può volerci di più. A volte il “collo di bottiglia” è ottenere documenti da terzi (es. certificati, estratti conto bancari storici). Alcuni debitori hanno tutto pronto in poche settimane, altri impiegano mesi.
  • Dal deposito all’udienza di omologa: spesso 2-3 mesi. Molti tribunali fissano l’udienza entro 90 giorni dal deposito. In questo intervallo, c’è il tempo per notificare i creditori (che devono avere un preavviso di almeno 30 giorni per poter esaminare il piano) e per il PM di dare parere. In casi più semplici, l’udienza può essere anche a 45 giorni. Se il tribunale è intasato o se servono integrazioni, può slittare oltre i 3 mesi.
  • Dall’udienza all’omologa (decreto): spesso il giudice decide lo stesso giorno o dopo pochi giorni dall’udienza. Talvolta, se ci sono opposizioni, potrebbe riservarsi e depositare il decreto dopo qualche settimana, allegando motivazioni. Ma in genere per snellire e data la natura urgente di queste situazioni, le decisioni arrivano in tempi brevi.

Quindi, per ottenere l’omologa di un piano/accordo, si può stimare attorno ai 4-6 mesi da quando si avvia la pratica con l’OCC (di cui i primi 1-2 di preparazione e 3-4 presso il tribunale). Nei casi più rapidi è possibile anche in 3 mesi totali, nei più lunghi (ad esempio se l’udienza viene rinviata per modifiche) si può arrivare a 6-8 mesi.

  • Esecuzione del piano/accordo: qui la durata è intrinseca al piano. Può essere di pochi mesi (se il piano prevede pagamento immediato, magari perché si vende un immobile e si chiude subito) oppure di molti anni. La legge non pone un tetto rigido alla durata di un piano del consumatore, in teoria. Tuttavia, c’è il principio della durata ragionevole: piani troppo lunghi possono essere visti con scetticismo (in un esempio estremo, era stato ammesso un piano trentennale, ma questo è un caso limite). Il Codice della Crisi suggerisce che i piani di accordo dovrebbero idealmente chiudersi entro 5-6 anni, in linea con un principio di ragionevole durata delle procedure. Molti piani del consumatore durano 4-5 anni. Oltre i 10 anni è raro e sarebbe approvato solo se non c’è alternativa e con garanzie particolari.
  • Liquidazione controllata: il Codice fissa 3 anni per la durata standard, prorogabile fino a un massimo di 4 in casi eccezionali (ad esempio per completare vendite di beni difficili o contenziosi in corso). Quindi chi sceglie la liquidazione sa di dover restare nella procedura per circa 3 anni. In pratica, se un bene non si riesce a vendere entro 3 anni, si chiuderà comunque la procedura e quel bene (se non pignorato) potrebbe tornare al debitore – ma spesso beni invenduti di scarso valore vengono abbandonati ai creditori che ne hanno ipoteca, ecc.

Durante questi 3 anni, come detto, il debitore versa l’eventuale surplus di reddito annualmente. Terminato il periodo, il liquidatore fa i conti finali e si chiude.

Riassumendo:

  • Piano del consumatore: 4-5 mesi per omologa + durata del piano (es. 4-5 anni) = frescamente, diciamo 5 anni in media dall’inizio alla fine con esdebitazione.
  • Accordo con creditori: simile, se l’accordo prevede 5 anni di pagamenti.
  • Liquidazione: sui 3 anni e mezzo totali (inclusi i mesi iniziali per avvio).
  • Esdebitazione incapiente: potrebbe essere la più breve perché non c’è esecuzione da fare – ottenuto il decreto di esdebitazione, la procedura è chiusa subito. Potrebbe concludersi in 3-4 mesi se non ci sono intoppi, poiché è solo una valutazione giudiziale con eventuale udienza.

Va comunque considerato che durante la procedura il debitore già beneficia della protezione dai creditori. Quindi, anche se l’esdebitazione formale arriva dopo anni, il sollievo pratico (niente più assillo di azioni esecutive) scatta già dall’omologa iniziale. In un certo senso, il momento più critico (per il debitore) è proprio arrivare all’omologa; dopo, il tempo di esecuzione è percepito meno negativamente perché la situazione è sotto controllo e pianificata.

6.2. Costi: compenso dell’OCC, spese legali e contributo unificato

Affrontare una procedura di sovraindebitamento comporta alcuni costi, che è bene conoscere per non avere sorprese. I costi principali sono:

  • Compenso dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e del gestore della crisi.
  • Eventuale parcella dell’avvocato (se il debitore si affida anche a un legale oltre all’OCC; spesso l’OCC stesso è gestito da professionisti legali e economici che seguono tutto, ma altre volte ci si avvale di un legale di fiducia in parallelo).
  • Spese vive di procedura: contributo unificato, bolli, costi di pubblicazione, eventuali perizie giurate se servono, etc.

Compenso OCC: È generalmente regolato da tariffe approvate dal Ministero. Molti OCC prevedono un costo variabile in base alla complessità e all’attivo/passivo. In alcuni casi, se il debitore è nullatenente o incapiente, c’è un compenso minimo simbolico per coprire almeno le spese amministrative. Le normative di alcuni OCC stabiliscono riduzioni in caso di situazioni disagiate.

Tipicamente, il pagamento all’OCC avviene a tranche:

  • Un acconto iniziale (es. 30% del compenso previsto) all’accettazione dell’incarico.
  • Un secondo acconto prima del deposito del piano in tribunale (es. un altro 20%).
  • Il saldo finale a conclusione, spesso in prededuzione (vuol dire che è pagato con precedenza su altri debiti eventualmente, ad esempio accantonato nelle somme versate in piano).

L’ordine di grandezza del compenso OCC può variare: per procedure semplici con pochi creditori si parla di poche migliaia di euro; per casi più complessi o con patrimonio consistente, i compensi possono salire. Tuttavia, l’OCC è tenuto per legge ad applicare agevolazioni tenendo conto della difficoltà del caso e della situazione del debitore. In pratica, se uno è davvero in gravi difficoltà, l’OCC tende a contenere i costi per non aggravare il problema (ricordiamo che molti OCC sono di emanazione pubblica o ordini professionali, con anche finalità sociali).

Contributo unificato e bolli: Fortunatamente, per le procedure di sovraindebitamento la legge prevede costi di giustizia ridotti. Il contributo unificato (la “tassa” per l’iscrizione a ruolo) è generalmente di importo fisso e basso (nel passato era 98 € circa per i piani/accordi; per la liquidazione e l’esdebitazione incapiente dovrebbe essere ancora assimilabile a volontaria giurisdizione). Potrebbero aggiungersi 27 € di diritti forfettari. Nulla a che vedere con le migliaia di euro di un grande concordato preventivo.

Spese di notifica: le notifiche ai creditori possono essere effettuate dall’OCC via PEC (a costo zero) se i creditori hanno indirizzo digitale, oppure via posta (costo dei raccomandate) o ufficiale giudiziario (con costi) se necessario. Queste spese vive di solito sono poste a carico del debitore.

Spese di pubblicazione: se il tribunale ordina la pubblicazione di un avviso su un quotidiano o sul registro ufficiale, anche quello ha un costo. Però, spesso per i privati non fallibili la pubblicazione su registro imprese non è richiesta (tranne se è un imprenditore iscritto).

Parcella dell’avvocato: Se il debitore incarica un avvocato di seguirlo (cosa consigliabile, anche se teoricamente potrebbe far da sé con solo l’OCC), deve prevedere anche il compenso di questo professionista. Alcuni OCC includono già assistenza legale, altri no. Il costo legale può variare: ci sono professionisti che fanno pagare cifre calmierate essendo procedure sociali, altri possono chiedere qualche migliaia di euro. È bene concordare prima un importo forfettario comprendente tutte le fasi (anche l’eventuale fase successiva di esdebitazione).

Esempio di struttura costi: supponiamo un debitore consumatore con debiti medio-alti:

  • Contributo unificato 98 € + bolli vari ~ 200 € totali.
  • OCC chiede 3.000 € complessivi, pagati 900 € subito, 600 € prima del deposito, e il restante 1.500 € a rate durante il piano.
  • Avvocato chiede 2.000 €, di cui 1.000 € all’inizio e 1.000 € all’omologa.

Quindi inizialmente il debitore deve disporre di circa 1.000 € OCC + 1.000 € avvocato + 200 € spese = 2.200 € per partire. Il resto lo paga man mano. Se non possiede nemmeno quelli, deve trovare un accordo: alcuni OCC possono partire anche con meno acconto e prendere più a risultato ottenuto, oppure il debitore può farsi aiutare da familiari.

Caso di debitore incapiente: se uno è proprio nullatenente, c’è il problema di pagare l’OCC. La legge prevede che in questi casi l’OCC abbia comunque diritto a un compenso base (diciamo qualche centinaio di euro), ma se il debitore non li ha, potrebbe intervenire un fondo di solidarietà (ci sono stati progetti di creare fondi per sostenere le procedure dei più deboli) oppure il professionista deve accettare un compenso minimo rateizzato. Questo aspetto è delicato: talvolta persone nullatenenti rinunciano a fare la procedura perché non riescono a pagare nemmeno i costi iniziali. Tuttavia, molti OCC presso i comuni cercano di venire incontro, magari differendo il pagamento a dopo l’ottenimento di eventuali utilità (ma se uno non ne avrà, resta scoperto).

6.3. Agevolazioni e dilazioni nei pagamenti delle spese

Come anticipato, la normativa e la prassi prevedono alcune agevolazioni:

  • L’OCC può ridurre il proprio onorario rispetto ai tariffari, valutando caso per caso (ad esempio può decidere di applicare solo il minimo di legge senza oneri extra).
  • Il debitore può chiedere la dilazione dei pagamenti dovuti all’OCC: infatti, come visto, una parte significativa è pagabile “in prededuzione”, ovvero prelevandola dalle prime somme che il debitore verserà per soddisfare i creditori. Quindi, se il debitore inizia a pagare il piano, una percentuale di quelle rate va a coprire il compenso residuo dell’OCC prima di andare ai creditori. Questo permette di non dover anticipare tutto.
  • Se il debitore ha i requisiti per il patrocinio a spese dello Stato (caso raro, perché vale solo per cause contenziose, e qui siamo in volontaria giurisdizione – inoltre i limiti di reddito sono bassi), potrebbe beneficiare di gratuito patrocinio per l’avvocato. Tuttavia, non tutti i tribunali lo riconoscono in queste procedure.
  • Alcune regioni/enti hanno istituito degli sportelli antiusura e sovraindebitamento che offrono consulenze gratuite e talvolta coprono i costi iniziali della procedura per i soggetti più deboli. Vale la pena informarsi sul territorio se esistono fondi o bandi.

Costi indiretti: Bisogna considerare anche eventuali costi indiretti come spese di perizie (se serve stimare il valore di un immobile per il piano, magari si paga un perito), o spese di mediazione obbligatoria (per esempio alcuni debiti bancari potrebbero consigliare di fare un tentativo di mediazione civile prima di presentare l’accordo, con costi limitati). Questi non sono sempre presenti.

In generale, il costo complessivo di una procedura di sovraindebitamento, pur non essendo banale, è di molto inferiore al costo di un fallimento o concordato per un’azienda (lì i curatori possono prendere percentuali importanti dell’attivo). Qui si cerca di rimanere su cifre contenute anche perché i debitori già non navigano in buone acque.

Va detto che i creditori non contribuiscono direttamente a questi costi: tutto grava sul debitore. Però i creditori di fatto ne sopportano una parte perché l’OCC e le spese vengono pagati in prededuzione con risorse che altrimenti sarebbero andate a loro. È un altro motivo per cui i creditori spesso preferiscono cooperare: sanno che se costringono il debitore al fallimento personale, una parte dell’attivo se ne andrà in spese procedurali; se invece accettano un accordo magari extragiudiziale, eviteranno quei costi. Ma quando non c’è scelta, la procedura li implica.

Esempio finale di costi su un caso reale: Poniamo un debitore con 100.000 € di debiti chirografari propone di pagarne 50.000 in 5 anni (10.000 l’anno). Le spese procedurali totali ammontano a 5.000 €. All’inizio ha anticipato 2.000 € e restano 3.000 € da pagare. Quelle 3.000 saranno prese dai 50.000 prima di distribuire ai creditori, quindi i creditori in realtà riceveranno 47.000 € (94%) di quanto pattuito. Ciò potrebbe essere già tenuto conto a monte nel piano. Alla fine il debitore avrà sborsato 52.000 € (di cui 5.000 di costi) e sarà liberato da 48.000 € che non ha potuto pagare.

7. Vantaggi e Svantaggi del Sovraindebitamento

Analizziamo ora in sintesi i pro e contro di avviare una procedura di sovraindebitamento. Si tratta di un passo importante e impegnativo, perciò è giusto valutarne i benefici attesi ma anche le conseguenze e i possibili inconvenienti.

7.1. Vantaggi: protezione dai creditori, riduzione del debito, “fresh start”

  • Sospensione di ogni azione esecutiva: Questo è spesso il vantaggio più immediato percepito dal debitore. Una volta accolta la domanda o omologato il piano/accordo, i creditori non possono più procedere con pignoramenti, sequestri, distacchi di utenze per morosità, ecc. Viene quindi meno quella pressione costante che genera ansia. Si ottiene una tregua legale per riorganizzare la propria vita finanziaria. Anche le telefonate e solleciti delle società di recupero cessano, perché il debito viene incanalato nella procedura.
  • Riduzione dell’ammontare dei debiti (falcidia): Nella maggior parte dei piani e accordi, il debitore non paga il 100% di quanto dovuto, ma solo una percentuale, commisurata alle sue possibilità. La parte restante viene cancellata. Questo significa che, a seconda dei casi, può ritrovarsi a dover restituire magari la metà, un terzo o anche meno del debito originario. Ad esempio, consumatori con situazioni gravi riescono a volte a stralciare il 70-80% dei debiti. È un sollievo enorme: debiti che sarebbero stati impagabili vengono tagliati a misura delle capacità del debitore.
  • Ristrutturazione delle scadenze (dilazione): Anche per la parte di debito che si paga, la procedura consente di rateizzare su vari anni in base al reddito disponibile. Ciò rende il pagamento sostenibile. Anziché avere debiti tutti scaduti e immediatamente esigibili, il debitore ottiene un calendario di pagamenti spesso mensili o annuali, compatibile con il suo bilancio familiare. Questo permette di gestire con serenità i pagamenti, un po’ come un nuovo mutuo ma “calibrato”.
  • Esdebitazione finale (fresh start): Il risultato più prezioso è che, a fine procedura, si riparte puliti. Il debitore ottiene la liberazione integrale dai debiti pregressi che non è riuscito a pagare. Questo fresh start gli consente di reinserirsi nell’economia: potrà tornare a chiedere un prestito (magari con cautela), comprare a rate, intestarsi beni senza il timore che vengano aggrediti per vecchie pendenze. Sul piano psicologico, è la fine di un incubo e l’inizio di una nuova fase di vita senza l’ombra opprimente dei debiti passati.
  • Protezione di beni essenziali: Spesso la procedura è congegnata in modo da salvaguardare i beni primari del debitore. Ad esempio, se possibile, si cerca di evitare la vendita dell’abitazione principale (magari allungando il mutuo residuo in un piano del consumatore). Oppure si tutela l’automobile necessaria per andare al lavoro. Il giudice in genere non smembra ciò che è indispensabile a garantire al debitore e alla sua famiglia una vita dignitosa. Queste tutele in un’esecuzione normale non ci sarebbero: il creditore pignorerebbe la casa senza troppi scrupoli.
  • Possibilità di continuare l’attività lavorativa/imprenditoriale: Per chi ha un’impresa o esercita una professione, l’accordo con i creditori o il piano consente spesso di evitare la chiusura. Si possono congelare i debiti ed evitare che creditori blocchino conti o pignorino attrezzature, così l’azienda può proseguire a produrre reddito. Ciò è utile anche per i creditori stessi perché mantiene viva la fonte di rimborso. In un fallimento personale non esiste continuità: qui invece è possibile e spesso praticata.
  • Riduzione dello stress e tutela della dignità: Uscire dal labirinto dei debiti ha benefici incalcolabili sulla salute mentale del debitore. Sapere di aver intrapreso un percorso regolato, con una fine prevista, restituisce speranza. Si esce dalla clandestinità (molti debitori insolventi vivono sfuggendo, cambiando numero di telefono, evitando la posta per paura delle lettere di credito): con la procedura, tutto è alla luce del sole e sotto controllo del giudice, quindi paradossalmente ci si sente più tranquilli. Anche la dignità personale ne giova: il debitore non è più “il furbetto che non paga”, ma un soggetto che sta affrontando responsabilmente le proprie obbligazioni nella sede appropriata.
  • Nessuna sanzione penale o interdizione civile: A differenza del fallimento (che per gli imprenditori implicava il rischio di bancarotta se commettevano irregolarità), qui non ci sono reati propri del sovraindebitato, salvo ovviamente le truffe. Inoltre, non ci sono pene accessorie come l’interdizione dall’impresa. Quindi il debitore non subisce marchi giudiziari se si comporta bene.
  • Trattamento equo di tutti i creditori: Dal punto di vista del sistema, la procedura è un vantaggio anche perché assicura parità di trattamento: ogni creditore riceve il dovuto secondo la sua categoria (privilegiato/chirografo) in percentuale uguale agli altri della sua classe. Si evitano corsa al pignoramento e disparità (dove il più veloce prende tutto e gli altri niente). Questo è un principio di giustizia distributiva.

In sintesi, la procedura offre al debitore protezione immediata e soluzione di lungo termine. Gli consente di pagare quello che può, come può, e di cancellare il resto. È una seconda opportunità onesta per riprendersi da un fallimento economico personale, analogamente a come le imprese hanno l’opportunità del concordato o del fallimento liquidatorio con esdebitazione.

7.2. Svantaggi: requisiti stringenti, costi, impatto su patrimonio e credito

Naturalmente, non è tutto rose e fiori. Ci sono anche svantaggi e costi da considerare:

  • Perdita (eventuale) di parte del patrimonio: Se il debitore possiede beni di valore non strettamente necessari, dovrà quasi certamente sacrificarli. Ciò può significare vendere una seconda casa, liquidare investimenti, cedere l’auto di grossa cilindrata, ecc. Anche la prima casa può andare persa in alcuni casi (quando il debito è enorme e non ci sono alternative). Quindi uno svantaggio concreto è che il debitore potrebbe dover rinunciare a proprietà e risparmi accumulati, per quanto doloroso sia, al fine di soddisfare parzialmente i creditori.
  • Impegno finanziario pluriennale: Accedere alla procedura significa anche accettare di vivere in modalità “controllata” per diversi anni. Il budget familiare sarà in parte vincolato al piano. Il debitore deve essere pronto a farsi bastare ciò che la pianificazione lascia per la vita quotidiana, che può essere abbastanza poco se si era abituati a un tenore di vita più alto (in altre parole, bisogna stringere la cinghia e adottare uno stile di vita frugale durante il piano). Questo può essere percepito come un sacrificio e comporta rinunce per sé e la famiglia.
  • Impossibilità di ottenere nuovo credito durante la procedura: Finché si è nel piano o accordo, è molto difficile che banche o finanziarie concedano nuovi prestiti, sapendo che si è in procedura concorsuale. Il nominativo del debitore, se persona fisica, comparirà probabilmente nei sistemi di informazioni creditizie come “in procedura di sovraindebitamento” e ciò blocca l’accesso al credito. D’altronde, indebitarsi di nuovo in corso di piano sarebbe anche sconsigliabile. Quindi per un certo periodo il debitore dovrà dimenticare di poter fare acquisti a rate o mutui. Dopo la fine e l’esdebitazione, col tempo, la situazione potrà normalizzarsi ma è probabile che per alcuni anni la fiducia degli istituti creditizi sia ridotta.
  • Impatto sulla reputazione personale: Anche se non è pubblicizzata sui giornali come un fallimento di società, la procedura comporta un certo grado di pubblicità legale (ad esempio, i creditori, gli uffici finanziari, forse i colleghi se l’azienda riceve pignoramenti cessati, vengono a sapere che Tizio ha fatto la procedura). Questo può generare un certo imbarazzo o stigma sociale. Ad esempio, ammettere la propria insolvenza davanti a un giudice non è facile emotivamente; qualcuno potrebbe sentirsi “bollato” come uno che non pagava i debiti. Tuttavia, questo stigma è in Italia ancora presente culturalmente, seppur ingiustificato perché la procedura è di fatto un atto di responsabilità.
  • Selezione dei beneficiari (requisiti stringenti): Non tutti quelli che hanno debiti possono accedere. Gli scorretti, come visto, ne sono esclusi. Quindi uno “svantaggio” per chi sperava furbescamente di farla franca è che la legge filtra i comportamenti: se hai fatto il furbo, la procedura non ti aiuterà. Ma questo in verità è uno svantaggio solo per chi ha mala fede. Un onesto non ha nulla da temere, ma deve comunque sottoporsi al giudizio di meritevolezza, che può creare ansia.
  • Costi e complessità burocratica: Avviare la procedura richiede un certo sforzo organizzativo e qualche spesa (come abbiamo visto). Per persone non abituate, può essere complicato mettere insieme tutti i documenti richiesti. Bisogna poi interfacciarsi con professionisti, tribunali, udienze – cose che possono intimorire chi non le ha mai fatte. Inoltre, i costi (compensi OCC, etc.) possono sembrare un ostacolo perché si chiede soldi a chi già è in difficoltà. Anche se, come visto, tali costi sono ragionevoli, costituiscono comunque uno scoglio iniziale.
  • Durata: sebbene per il debitore la protezione arrivi subito, rimane il fatto che per “liberarsi” completamente dovrà attendere la fine del piano. Parlare di 4-5 anni può sembrare lungo. Durante quel tempo la sua vita economica è pianificata rigidamente e sotto monitoraggio. Chi preferirebbe una soluzione immediata potrebbe trovare frustrante l’attesa. Tuttavia, va detto che senza la procedura i debiti potrebbero durare decenni con interessi e more, quindi in realtà 5 anni è poco in confronto all’alternativa.
  • Rischio di fallimento della procedura: Come detto nella sezione precedente, c’è sempre il rischio che qualcosa vada storto (un imprevisto che impedisce di pagare le rate, un aggravarsi della situazione economica, etc.). Se la procedura fallisce, il debitore potrebbe trovarsi in posizione peggiore di prima (ad esempio, nel frattempo i creditori hanno maturato altri interessi o hanno scoperto più dettagli del suo patrimonio). Dunque, intraprendere la procedura è come mettersi in cura: funziona se la si porta a termine. Interromperla può complicare le cose. Questo è un rischio da considerare: occorre essere ragionevolmente certi di poterla portare avanti, con piani realistici e un po’ di margine per gli imprevisti.

In sintesi, la procedura di sovraindebitamento non è una scorciatoia magica: richiede sacrifici e comporta effetti collaterali. È una soluzione di ultima istanza per situazioni davvero critiche, ed è giusto che abbia qualche “costo” per il debitore, in termini di rinunce e di impegno, altrimenti sarebbe troppo facile abusarne. Per la maggior parte dei debitori onesti in difficoltà, però, i vantaggi superano di gran lunga gli svantaggi: la prospettiva di liberarsi dai debiti vale qualche anno di sforzi e restrizioni.

7.3. Rischi in caso di inadempimento del piano

Merita un piccolo focus il tema del rischio legato al mancato rispetto del piano/accordo da parte del debitore, perché questo è forse l’unico scenario che potrebbe far rimpiangere di aver iniziato.

Se il debitore non riesce a rispettare le scadenze o gli impegni presi (ad esempio salta diverse rate, o non vende un bene che si era impegnato a liquidare, o contrae nuovi debiti significativi senza avvisare), i creditori possono chiedere la risoluzione. La risoluzione fa rivivere i debiti originari sottratti di quanto eventualmente già pagato. Ma attenzione: nel frattempo il debitore potrebbe aver:

  • Pagato soldi all’OCC e per spese legali che non riavrà indietro.
  • Magari venduto beni (ad esempio la casa) convinto di risolvere, e si ritrova senza casa e ancora con debiti (caso estremo ma possibile se la procedura salta dopo aver venduto l’immobile ma prima dell’esdebitazione).
  • Peggiorato la sua esposizione (perché gli interessi che erano stati congelati potrebbero ripartire dal momento della risoluzione, a seconda di come è formulata).

Insomma, fallire un piano di sovraindebitamento può peggiorare la situazione debitoria. Pertanto è cruciale valutare bene la sostenibilità dell’impegno. Se c’è incertezza sulle entrate future (es. un lavoro precario), può essere opportuno prevedere nel piano clausole di flessibilità (qualche mese di tolleranza, o rate crescenti e modeste all’inizio).

In pratica, il debitore deve essere sinceramente disposto a dare il massimo sforzo e una disciplina ferrea per gli anni necessari. Se c’è questa attitudine, i rischi si minimizzano.

Infine, un potenziale svantaggio da menzionare: non tutte le tipologie di debiti vengono automaticamente annullate dall’esdebitazione (come già detto, alimenti e malus per reati restano). Quindi, se il grosso del debito di un soggetto fosse di quel tipo non estinguibile, la procedura perderebbe molta utilità in quel caso. Fortunatamente, di solito i debiti non esdebitabili sono minoritari (es. alimenti dovuti a ex coniuge).

8. Esempi Pratici

Per capire meglio come funziona nella realtà la procedura di sovraindebitamento, presentiamo alcuni casi pratici ipotetici ispirati a situazioni comuni. Queste storie mostreranno come diversi profili di debitori possano utilizzare i vari strumenti (piano, accordo, procedura familiare, esdebitazione incapiente) e quali benefici ne traggano.

8.1. Il caso di Maria – Debiti da privato e piano del consumatore

Situazione iniziale: Maria ha 68 anni, vive sola e percepisce una pensione mensile di €1.200. Qualche anno fa ha contratto un prestito personale di €20.000 per aiutare il figlio in difficoltà. Purtroppo il figlio ha perso il lavoro e non ha potuto restituirle nulla; nel frattempo Maria ha usato carta di credito e altri piccoli prestiti per far fronte alle spese quotidiane. Ora si ritrova con debiti verso finanziarie e banca per circa €30.000 (tra capitale e interessi). I creditori minacciano di farle pignorare 1/5 della pensione. Con €1.200 al mese, togliendone €240 di pignoramento, Maria faticherebbe a pagare affitto, bollette e medicine.

Soluzione: Maria si rivolge a un OCC tramite un CAF convenzionato. Dalla valutazione risulta che Maria, stringendo un po’ su alcune spese non essenziali, può permettersi di pagare €200 al mese ai creditori. Si decide quindi di proporre un piano del consumatore di durata 5 anni: Maria offrirebbe in totale €12.000 (200×60 mesi), pari a circa il 40% del suo debito. L’OCC aiuta Maria a preparare il piano, evidenziando che:

  • Maria è meritevole (i debiti derivano da aver aiutato il figlio e dal costo della vita, non da spese frivole).
  • €200/mese è quanto le rimane lasciandole una somma sufficiente per vivere dignitosamente.
  • I creditori finanziari, se procedessero col pignoramento, avrebbero sì €240 mese, ma solo per 1/5 della pensione netta. Tuttavia, essendo Maria anziana, la prospettiva di recupero è limitata negli anni (statisticamente 5-6 anni di vita residua attesa in buona salute per un 68enne). Con il piano invece avrebbero €200/mese assicurati comunque per 5 anni.

Procedura: Il tribunale omologa il piano, riconoscendo la buona fede di Maria e la sostenibilità della proposta. I creditori non si oppongono molto, perché comprendono che è un caso socialmente delicato e che almeno recuperano una parte in modo certo. Con l’omologazione, viene bloccato il pignoramento della pensione che stavano per avviare.

Maria inizia a pagare puntualmente €200 al mese su un conto controllato dall’OCC. Ormai vive con 1000 euro al mese invece di 1200, ma riesce a farcela riducendo alcune spese (ad esempio usufruisce di sconti per anziani, rinuncia a fare regali costosi ai nipoti). Dopo 5 anni, ha versato i €12.000 previsti. Il tribunale dichiara esdebitata Maria: i €18.000 restanti circa vengono cancellati. Maria ora può godersi l’intera pensione senza più debiti. Ha evitato di precipitare sotto la soglia di povertà e ha risolto il problema in maniera ordinata e definitiva.

Questo esempio mostra come un pensionato possa salvaguardare il proprio tenore di vita minimo utilizzando il piano del consumatore, pagando solo una parte di quanto dovuto e impedendo ai creditori di intaccare la pensione oltre il sostenibile.

8.2. Il caso di Luigi – Debiti d’impresa e accordo con i creditori

Situazione iniziale: Luigi è un artigiano falegname di 45 anni, titolare di una piccola ditta individuale. Negli ultimi anni, a causa di una flessione della domanda nel suo settore e di alcuni clienti che non lo hanno pagato, Luigi ha accumulato debiti: €50.000 con la banca (tra fido di conto e mutuo per il laboratorio), €30.000 con fornitori di legname, €20.000 di contributi e tasse non versate. Totale €100.000. Luigi possiede il laboratorio (valore stimato €40.000) con ipoteca della banca e alcuni macchinari. Ha anche una casa di proprietà modesta dove vive con la famiglia, su cui però grava un’ipoteca per un mutuo residuo (pagato regolarmente). Le entrate attuali di Luigi sono basse (il fatturato è dimezzato), ma se riuscisse a ristrutturare i debiti potrebbe portare avanti l’attività e farla tornare redditizia quando il mercato migliora.

Ora i fornitori premono per essere pagati e minacciano azioni legali; l’Agenzia Entrate Riscossione ha iscritto ipoteca secondaria sul laboratorio e minaccia pignoramento; la banca è disponibile a rinegoziare solo se Luigi riduce l’esposizione.

Soluzione: Luigi, su consiglio del suo commercialista, si rivolge a un OCC e propone un accordo con i creditori (quindi una procedura di concordato minore). Il piano che studiano è il seguente:

  • Vendere un vecchio macchinario inutilizzato ricavando €10.000 da destinare subito ai creditori.
  • Continuare l’attività e, proiettando i flussi di cassa, impegnarsi a versare €1.500 al mese per 5 anni (in totale €90.000) in un conto gestito dall’OCC per pagare i debiti.
  • Di questi €100.000 (10.000 + 90.000) totali che Luigi si impegna a reperire, destinare: il 100% dei crediti garantiti (la banca con ipoteca sul laboratorio riceverebbe €40.000 per estinguere mutuo residuo e fido, liberando ipoteca), pagare in parte anche l’ipoteca del fisco di grado inferiore (dare magari €10.000 su 20.000 dovuti), e il restante ai fornitori chirografari in percentuale (risulterebbe circa il 60% del loro credito).
  • In questo modo tutti ottengono qualcosa: la banca recupera il suo e toglie ipoteca (Luigi potrebbe anche vendere il laboratorio se conviene, oppure far iscrivere nuova ipoteca su casa per rifinanziare – ma ipotizziamo venda il laboratorio dopo 5 anni se serve). I fornitori incassano più della metà dei crediti e evitano di mandarlo all’asta rischiando di perdere il cliente.
  • Luigi chiede anche di poter mantenere i macchinari e l’attrezzatura necessaria nel frattempo, per poter produrre e generare quei 1.500 €/mese di utile.

Procedura: L’OCC convoca i creditori: banca, fornitori principali e Agenzia Entrate. Viene spiegato l’accordo. La banca, vedendo che recupererà il suo credito (anche se in 5 anni) ed eviterà costose esecuzioni, vota a favore. I fornitori, resisi conto che se Luigi chiude fallito prenderebbero le briciole (la bottega vale 40k e verrebbe tutta della banca, e loro sarebbero chirografari dietro al fisco), trovano ragionevole avere il 60% su 5 anni e votano a favore. L’Agenzia delle Entrate Riscossione di solito non vota, ma anche senza il suo voto Luigi raggiunge i consensi per il 75% dei crediti totali (ampiamente sopra il 50% richiesto). L’accordo viene approvato a larga maggioranza.

Il tribunale omologa l’accordo, constatando che i creditori ipotecari e privilegiati sono soddisfatti almeno quanto ricaverebbero da un’asta, e che i chirografari hanno accettato. Da questo momento, nessun creditore può agire individualmente: l’esattore fiscale sospende le procedure, i fornitori non fanno ingiunzioni. Luigi continua la sua attività, libero dall’assillo immediato dei debiti.

Luigi effettua le operazioni previste: vende il macchinario obsoleto incassando €10.000 che versa subito all’OCC. Poi ogni mese versa i €1.500 stabiliti (che provengono dal suo lavoro: per questo è stato essenziale non fermare l’attività). L’OCC ogni tre mesi distribuisce le somme raccolte ai creditori secondo il piano: priorità alla banca e al Fisco, e quota parte ai fornitori.

Esito: Dopo 5 anni, Luigi ha versato tutto il dovuto: €100.000. I debiti iniziali di €100.000 erano stati decurtati a circa €80.000 in sede di accordo (perché alcuni rinunciarono a una quota), quindi con €100k Luigi è riuscito a coprirli e pagare anche spese. Il business, alleggerito dai debiti vecchi, è rifiorito e Luigi ora produce reddito con più serenità. Viene emesso il decreto di adempimento e Luigi è esdebitato dai residui (ad esempio gli vengono cancellati €10.000 di interessi e sanzioni del fisco che erano rimasti fuori). La sua azienda non ha mai chiuso, i dipendenti (se ne aveva) hanno mantenuto il posto. Luigi ha dovuto vendere un bene e tirare la cinghia, ma ha evitato la rovina completa.

Questo esempio illustra il tipico caso di un piccolo imprenditore che, tramite un accordo con i creditori, riesce a ristrutturare i debiti e a salvare la propria attività. Senza la procedura, probabilmente la sua bottega sarebbe finita all’asta e i creditori avrebbero preso molto meno.

8.3. Il caso di Giulia e Marco – Procedura familiare con debiti comuni

Situazione iniziale: Giulia e Marco sono moglie e marito, 40enni, con due figli. Qualche anno fa hanno contratto insieme un mutuo per l’acquisto della casa e alcuni prestiti per avviare una piccola attività di e-commerce gestita da Giulia. Purtroppo, Marco ha perso il lavoro e l’attività di Giulia è andata male. Ora la coppia ha:

  • Mutuo residuo sulla casa: €120.000 (casa che attualmente vale 100.000, quindi ipoteca della banca).
  • Prestito per attività: €30.000 con una finanziaria.
  • Debiti personali (carte di credito, bollette non pagate): €10.000.
  • Qualche arretrato di tasse di Giulia: €5.000.

In totale circa €165.000. Con la perdita di reddito di Marco, sono andati in morosità su mutuo e prestito. Banca e finanziaria minacciano azioni (pignoramento casa, decreto ingiuntivo). Giulia ora ha chiuso l’attività e trovato un impiego part-time (€800 mese), Marco riceve indennità disoccupazione (€700 mese). Con €1.500 mese la famiglia fatica a coprire spese vive e rate non ce ne sono per intero.

Soluzione: Invece di procedere separatamente, Giulia e Marco possono sfruttare la procedura familiare introdotta dal Codice della Crisi, poiché:

  • Sono conviventi (coniugi).
  • I loro debiti hanno origine comune: entrambi coobbligati su mutuo e prestiti per esigenze familiari.

Si rivolgono a un OCC e presentano un unico piano del consumatore congiunto. Proposta:

  • Vendere la casa all’asta spontaneamente o sul mercato: purtroppo la casa vale meno del mutuo (sott’acqua), ma se la vendono a €100.000 e danno tutto alla banca, la banca avrebbe un danno di €20k rispetto al credito. Propongono che banca si accontenti di quell’importo e rinunci a inseguire il resto (praticamente fa uno stralcio del debito residuo mutuo).
  • Per il restante debito (finanziaria €30k + vari €15k + eventuale residuo banca €20k se non stralciato del tutto), proporre un rimborso parziale con rate mensili di €300 per 5 anni, che con eventuali miglioramenti di reddito possano aumentare a €500 negli ultimi anni (si spera in una ricollocazione di Marco). Diciamo che si impegnano a versare circa €25.000 in 5 anni.
  • Totale risorse prospettate ai creditori: €100.000 subito (dalla vendita casa) + €25.000 pagamenti futuri = €125.000.
  • Debito totale familiare: €165.000. Si chiede dunque di stralciare circa €40.000 (principalmente gli interessi e parte del mutuo scoperto).
  • La casa la perderanno, ma con la procedura sperano di poter trovare soluzione abitativa alternativa (magari affitto calmierato, o appoggiarsi temporaneamente da parenti mentre risparmiano).

Procedura: Il giudice esamina il caso. Vede che la causa dell’insolvenza è la perdita di lavoro, non colpa grave dei coniugi. Rileva che hanno deciso responsabilmente di rinunciare alla casa per pagare i creditori, quindi c’è buona fede. I creditori: la banca, preferisce prendere €100k subito dalla vendita (anche se perde €20k, se andasse all’asta magari ricaverebbe ancora meno e con più tempo); la finanziaria e gli altri accettano il piano che comunque dà loro qualcosa (dalla liquidazione della casa non avrebbero avuto nulla perché ipoteca banca copriva tutto). Non essendoci voto, ma solo eventuali opposizioni, e nessuno si oppone (banca concorda formalmente), il piano familiare viene omologato.

Effetti:

  • La casa viene venduta rapidamente con l’assistenza dell’OCC. La famiglia si trasferisce in un appartamento in affitto dai genitori di Giulia temporaneamente.
  • La banca riceve il ricavato e rilascia la garanzia ipotecaria.
  • I coniugi iniziano a versare €300/mese all’OCC per i rimanenti 5 anni. Dopo 2 anni, Marco trova lavoro a €1.200/mese; ricalibrano il piano (con autorizzazione del giudice) portando le rate a €500 come promesso nei restanti 3 anni.
  • Al termine dei 5 anni hanno versato l’importo concordato. I creditori chirografari (finanziaria, ecc.) hanno incassato diciamo il 50% dei loro crediti grazie a quelle rate.

Il tribunale dichiara chiusa la procedura e esdebitati Giulia e Marco. Tutti i debiti residui (interessi, parte di capitale non pagato) sono cancellati. La coppia, sebbene abbia dovuto rinunciare alla casa di proprietà, ora non ha più debiti e può pianificare il futuro. Con entrambi di nuovo occupati, potrebbero fra qualche anno chiedere un piccolo mutuo per comprare un alloggio più modesto, senza doversi portare dietro il peso del vecchio mutuo fallito.

Questo esempio evidenzia la novità della procedura familiare: invece di due pratiche separate (con costi doppi e possibili esiti incoerenti), una famiglia ha risolto in un unico procedimento coordinato un problema comune, riducendo tempi e costi. Inoltre mostra l’uso combinato del piano (per reddito futuro) e di una liquidazione mirata (la casa) all’interno di un’unica soluzione.

8.4. Il caso di un debitore incapiente – Esdebitazione senza utilità

Situazione iniziale: Paolo ha 55 anni, celibe, ex-agente di commercio. Qualche anno fa la sua attività è crollata e ha accumulato debiti: circa €70.000 tra banche e fisco. Ha tentato varie strade, ma ora è disoccupato e vive in stato di indigenza, ospite a casa di un amico. Non possiede immobili (la sua casa è stata pignorata e venduta all’asta, ma il ricavato non ha coperto tutti i debiti), non ha auto né altri beni di valore. Il suo conto corrente è in rosso. La salute è precaria (ha patologie croniche che limitano la sua capacità di lavoro). Insomma, Paolo è nullatenente e sovraindebitato. Non potrebbe offrire nulla ai creditori in un piano, e una liquidazione è inutile (non c’è più nulla da liquidare, i beni li ha già persi).

In passato Paolo ha cercato di pagare finché ha potuto, non ha commesso frodi; la sua situazione è frutto di eventi sfortunati concatenati. I creditori residui (banche e fisco) ogni tanto gli inviano solleciti, ma non trovano nulla da aggredire – tuttavia i debiti rimangono formalmente a suo carico, crescendo di interessi.

Soluzione: Grazie alla riforma, Paolo può rivolgersi a un OCC e presentare al tribunale una richiesta di esdebitazione dell’incapiente. Nella domanda viene rappresentato che:

  • Paolo versa in uno stato di assoluta mancanza di patrimonio e reddito (allega ISEE praticamente zero, iscrizione al centro impiego, certificati medici che attestano la ridotta capacità lavorativa).
  • Il sovraindebitamento di Paolo è dovuto al fallimento della sua attività, ma Paolo ha agito in buona fede, anzi ha perso anche la casa nel tentativo di saldare i debiti.
  • Non vi è prospettiva realistica che i creditori possano mai ottenere soddisfazione, nemmeno parziale, perché Paolo non ha nulla e difficilmente avrà molto in futuro.
  • Si chiede quindi di cancellare questi debiti per permettere a Paolo di ricostruirsi almeno una vita minima senza l’incubo di dover €70.000 che non avrà mai.

Il tribunale valuta il caso. I creditori vengono informati: alcuni inviano note sottolineando che Paolo in passato ha incassato provvigioni cospicue e insinuano che possa aver nascosto soldi. L’OCC però attesta che dalle indagini (registri immobiliari, conti) non risultano ammassi di capitali occulti: semplicemente il denaro guadagnato in passato è stato eroso dai debiti e spese di vita. Non risultano atti in frode.

All’udienza, il giudice ascolta Paolo (che si presenta assistito dall’avvocato di un ente di volontariato): Paolo manifesta la sua situazione di disperazione, ma anche la volontà di ripartire magari cercando un lavoretto compatibile con la salute, se solo potesse liberarsi dei debiti. Il giudice, convinto della meritevolezza e dell’incapienza di Paolo, accoglie la richiesta e dichiara l’esdebitazione di Paolo ex art. 283 CCII (la norma dell’incapiente). Ciò vuol dire che i suoi €70.000 di debiti vengono cancellati.

Condizioni: nel decreto il giudice specifica che se entro 4 anni Paolo dovesse venire in possesso di utilità rilevanti (eredità, vincite, o miglioramenti reddituali sostanziali), dovrà informare i creditori. In quel caso, se le utilità permettono di pagare almeno il 10% di quei vecchi debiti, Paolo sarà tenuto a farlo.

Esito: Paolo finalmente si sente sollevato. Pur non avendo di fatto recuperato soldi (nessun creditore gli chiedeva nulla prima perché nulla potevano prendere), moralmente e legalmente ora è libero: non c’è più il macigno di €70k appeso al collo che un domani, se avesse ripreso a guadagnare, sarebbe ricomparso con interessi. Questo gli dà anche più stimolo a cercare di migliorare la sua condizione. Paradossalmente, anche i creditori non ci perdono nulla rispetto a prima (comunque non stavano riscuotendo e non avrebbero verosimilmente riscosso nemmeno in futuro); anzi risparmiano spese di eventuali decreti o atti inutili. Paolo fra tre anni trova un impiego part-time come custode che gli frutta €600 al mese: è un reddito modesto, che non supera il minimo vitale, quindi non scatta nessun obbligo di avviso ai creditori (non permetterebbe certo di pagare 10% del vecchio debito). Paolo potrà tenersi quel guadagno per sé.

Questo esempio è emblematico dell’esdebitazione senza utilità: una misura di giustizia sociale per dare pace a chi è rimasto completamente al verde. Per Paolo la differenza tra portarsi dietro per sempre un debito inesigibile e vederselo condonato è enorme psicologicamente: può tornare a sentirsi parte attiva della società senza paura di guadagnare qualcosa (prima avrebbe evitato anche di intascare 600€ per non farsi pignorare, magari).

9. Documenti e Modelli Utili

In questa sezione finale forniamo indicazioni sui documenti tipici della procedura di sovraindebitamento e alcuni modelli semplificati, per aiutare a comprendere come presentare una domanda o predisporre un piano. Ricordiamo che spesso gli OCC e i tribunali mettono a disposizione fac-simili ufficiali, ma qui daremo un’idea generale.

9.1. Fac-simile di domanda di accesso alla procedura

La domanda di accesso (il ricorso introduttivo al tribunale) è un atto formale che è preferibile sia redatto da un avvocato. Tuttavia, ecco uno schema indicativo di come potrebbe apparire:


TRIBUNALE ORDINARIO DI [Città]
Ricorso ex Legge 3/2012 (Codice della Crisi) – Composizione della crisi da sovraindebitamento

Ricorrente: Sig. Mario Rossi, nato a … il …, C.F. …, residente in …, elettivamente domiciliato presso …, rappresentato e difeso dall’Avv. … del Foro di …, come da procura in calce. (Se c’è un OCC nominato, indicare anche l’OCC e il gestore designato.)

Oggetto: Procedura di sovraindebitamento – richiesta di omologazione di Piano del Consumatore (oppure accordo dei creditori, oppure apertura liquidazione).

Premesso che:

  1. Il Sig. Rossi versa in una situazione di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 2, co.1, L.3/2012, trovandosi nell’impossibilità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. In particolare, risulta esposto verso i seguenti creditori per i seguenti importi:
    • Banca Alfa: €25.000 (prestito personale)
    • Finanziaria Beta: €10.000 (credito da carta di credito)
    • Agenzia Entrate-Riscossione: €5.000 (cartelle IRPEF)
      (elencare tutti i debiti).
  2. Le cause del sovraindebitamento sono da ravvisarsi nella significativa riduzione del reddito del ricorrente a seguito del licenziamento subito in data … e nelle contestuali spese straordinarie sostenute per motivi di salute (documentate in allegato). Tali eventi, estranei alla volontà del ricorrente, hanno compromesso l’equilibrio economico-finanziario familiare.
  3. Il ricorrente è proprietario unicamente di un’autovettura usata del valore stimato di €3.000 e di beni mobili di normale uso domestico. Non possiede immobili né altri cespiti di rilievo. Per contro, percepisce un reddito mensile netto di €1.100 (naspi/disoccupazione), verosimilmente destinato a ridursi a circa €800 dal mese di … (fine dell’indennità).
  4. Il ricorrente non ha posto in essere atti in frode ai creditori né ha aggravato la propria situazione con dolo o colpa grave. Tutti i debiti sono stati contratti antecedentemente al verificarsi degli eventi di cui sopra e nella ragionevole prospettiva, all’epoca, di poterli onorare.
  5. È stato depositato in data … apposito piano del consumatore presso l’Organismo di Composizione della Crisi di …, che ha nominato Gestore della crisi il Dott…. Il piano, che qui si sottopone all’approvazione del Tribunale, prevede il soddisfacimento dei creditori nei termini di cui infra, ritenuti congrui rispetto alla capacità contributiva del debitore e più vantaggiosi rispetto all’alternativa liquidatoria pura. In data … il Gestore ha redatto la relazione particolareggiata ex art. 9, co.3-quinquies L.3/2012 (ora art. 68 CCII) che si allega (All. …).

Tutto ciò premesso, il Sig. Rossi, come sopra rappresentato,

CHIEDE

che l’Ill.mo Tribunale di [Città] voglia, ai sensi degli artt. 12-bis ss. L.3/2012 (oggi artt. 67 ss. D.Lgs 14/2019), omologare il piano del consumatore depositato, con ogni conseguente provvedimento di sospensione delle azioni esecutive in corso e di esdebitazione finale del debitore a esito del regolare adempimento del piano.

In particolare, il piano prevede:

  • Il pagamento integrale del creditore Agenzia Entrate-Riscossione (credito privilegiato) mediante versamento di €5.000 entro 6 mesi dall’omologazione, attingendo alla liquidazione volontaria dell’autovettura di proprietà del debitore.
  • Il pagamento parziale (quota 30%) dei crediti chirografari di Banca Alfa (€7.500) e Finanziaria Beta (€3.000), per un totale di €10.500, mediante 36 rate mensili da €291,67, a decorrere dal mese successivo all’omologazione. Dette rate saranno versate su conto dedicato dell’OCC che provvederà a ripartirle pro-quota.
  • La falcidia del residuo importo chirografario (€17.500), che sarà oggetto di esdebitazione al termine della procedura.
  • La sospensione immediata di ogni azione esecutiva individuale da parte dei creditori chirografari (al momento risulta pendente un pignoramento mobiliare promosso da Finanziaria Beta, RG Esec. n…/…, la cui prossima udienza è fissata il …).

Si evidenzia che il piano assicura ai creditori un trattamento più favorevole rispetto alla liquidazione: in caso di liquidazione, il ricavato stimato della vendita dell’auto (€3.000) sarebbe eroso dalle spese procedurali, lasciando nulla da distribuire, mentre col piano i creditori chirografari percepiranno una sia pur modesta quota dei loro crediti.

Documenti allegati:

  1. Relazione particolareggiata OCC (All.1).
  2. Elenco completo creditori e somme dovute (All.2).
  3. Elenco beni di proprietà (All.3).
  4. Documentazione reddituale (All.4: CUD, estratto conto corrente, ecc.).
  5. Documenti giustificativi delle spese straordinarie (All.5: ricevute spese mediche).
  6. Eventuali dichiarazioni di voto o assenso dei creditori (All.6) – non applicabile nel piano del consumatore.

Si dichiara, ai sensi di legge, che i dati e le informazioni fornite sono veritieri e completi.

Luogo, Data.

Firmato: Avv…. (difensore) – Gestore OCC Dott…. – Sig. Mario Rossi (debitore)

Questo è uno schema abbastanza completo. Ogni caso avrà peculiarità: ad esempio, nell’accordo con i creditori la domanda includerà la richiesta di convocazione dei creditori per il voto e l’indicazione che è stato già raggiunto il 60% di consensi (se raccolti anticipatamente), ecc. Nella liquidazione il ricorso è più semplice: si chiede l’apertura liquidazione allegando elenco debiti e beni, e il giudice provvede.

In ogni caso, elementi chiave sono: presentare i fatti, dimostrare la meritevolezza, dettagliare la proposta di soluzione e come soddisfa i creditori meglio delle alternative.

9.2. Esempio di piano di rientro dei debiti

All’interno della domanda, oppure come allegato a parte, spesso c’è il piano di rientro vero e proprio, magari sotto forma di tabella o di cronoprogramma. Ecco un esempio semplificato di piano di pagamento (relativo al caso di Mario Rossi di cui sopra):

TABELLA PIANO DI RIENTRO – Mario Rossi

CreditoriImporto dovuto (totale)Importo offerto nel pianoModalità e tempiPercentuale di soddisfazione
Agenzia Entrate (priv.)€ 5.000€ 5.000Pagamento in unica soluzione entro 6 mesi dall’omologa (derivante da vendita auto)100% + stop interessi
Banca Alfa (chirogr.)€ 25.000€ 7.500Pagamento in 36 rate mensili post-omologa (quota di €208,33 su €291,67 mensili destinata pro-quota con Beta)30% circa
# Sovraindebitamento Privati: Come Funziona La Procedura (Guida Pratica 2025)

Indice

  1. Introduzione
    • 1.1. Che cos’è il sovraindebitamento?
    • 1.2. Obiettivi della legge “salva suicidi” e contesto normativo
  2. Quadro Normativo Aggiornato ad Aprile 2025
    • 2.1. La Legge 3/2012 e le sue finalità originarie
    • 2.2. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)
    • 2.3. Principali novità introdotte nel 2022 (riforma del sovraindebitamento)
  3. Chi Può Accedere alla Procedura di Sovraindebitamento
    • 3.1. I soggetti “non fallibili” ammessi (privati, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.)
    • 3.2. Requisiti di meritevolezza e buona fede del debitore
    • 3.3. Debiti ammessi ed esclusi dalla procedura (tipologie di obbligazioni)
    • 3.4. Soglie di fallibilità: quando un imprenditore è troppo grande per la Legge 3/2012
  4. Le Procedure Disponibili per la Composizione della Crisi
    • 4.1. Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti per privati)
    • 4.2. Accordo con i Creditori (concordato minore per imprese e partite IVA)
    • 4.3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (liquidazione del patrimonio)
    • 4.4. Esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione debiti senza risorse)
  5. La Procedura Passo per Passo
    • 5.1. Preparazione: documenti necessari e Organismo di Composizione della Crisi (OCC)
    • 5.2. Presentazione della domanda in Tribunale
    • 5.3. Ruolo del Gestore della Crisi e rapporto con i creditori
    • 5.4. L’udienza e l’omologazione del piano/accordo
    • 5.5. Esecuzione del piano o della liquidazione dei beni
    • 5.6. Chiusura della procedura ed esdebitazione finale
    • 5.7. Cosa succede se la procedura non va a buon fine?
  6. Durata e Costi della Procedura
    • 6.1. Tempistiche tipiche (dal deposito all’omologa e oltre)
    • 6.2. Costi: compenso dell’OCC, spese legali e contributo unificato
    • 6.3. Agevolazioni e dilazioni nei pagamenti delle spese
  7. Vantaggi e Svantaggi del Sovraindebitamento
    • 7.1. Vantaggi: protezione dai creditori, riduzione del debito, “fresh start”
    • 7.2. Svantaggi: requisiti stringenti, costi, impatto su patrimonio e credito
    • 7.3. Rischi in caso di inadempimento del piano
  8. Esempi Pratici
    • 8.1. Il caso di Maria (debiti da privato e piano del consumatore)
    • 8.2. Il caso di Luigi (debiti d’impresa e accordo con i creditori)
    • 8.3. Il caso di Giulia e Marco (procedura familiare con debiti comuni)
    • 8.4. Il caso di un debitore incapiente (esdebitazione senza utilità)
  9. Documenti e Modelli Utili
    • 9.1. Fac-simile di domanda di accesso alla procedura
    • 9.2. Esempio di piano di rientro dei debiti
    • 9.3. Altri documenti chiave (relazione OCC, attestazioni, ecc.)
  10. Conclusione

1. Introduzione

1.1. Che cos’è il sovraindebitamento?

Il termine sovraindebitamento indica la situazione in cui una persona (o una famiglia, o un piccolo imprenditore) non riesce più a far fronte ai propri debiti in modo regolare. In altre parole, le uscite superano stabilmente le entrate e il debitore si trova nell’impossibilità di pagare i creditori alle scadenze previste. Questa condizione di squilibrio finanziario può derivare da molte cause: improvvisa perdita del lavoro, spese mediche elevate, crisi economiche, chiusura di un’attività, separazioni familiari o altri eventi imprevisti. Spesso chi è sovraindebitato si trova sommerso da rate insolute, bollette arretrate, cartelle esattoriali, mutui o finanziamenti che non riesce più a onorare.

Trovarsi in sovraindebitamento può capitare a chiunque – dal comune cittadino al piccolo imprenditore – in seguito a circostanze sfortunate o fuori dal proprio controllo. Per anni, in Italia non esisteva una via d’uscita legale per i debiti personali: chi non poteva pagare restava esposto a pignoramenti, interessi di mora crescenti e, in casi estremi, poteva cadere nella disperazione. Proprio per affrontare queste situazioni drammatiche, il legislatore ha introdotto una normativa specifica sul sovraindebitamento, spesso chiamata anche “legge salva suicidi” per il suo intento di dare sollievo a chi è oppresso dai debiti.

1.2. Obiettivi della legge “salva suicidi” e contesto normativo

L’obiettivo principale della legge sul sovraindebitamento è offrire al debitore onesto la possibilità di un “nuovo inizio”, cancellando i debiti che non è oggettivamente in grado di pagare, pur garantendo ai creditori di ottenere quanto meno un soddisfacimento proporzionato alle effettive possibilità del debitore. Si tratta quindi di trovare un equilibrio: da un lato permettere a chi è sommerso dai debiti di tornare a vivere dignitosamente, dall’altro assicurare che paghi quanto può in base al proprio reddito e patrimonio, evitando abusi.

Questa procedura non è un condono generalizzato: non significa che chiunque possa liberarsi dei debiti a cuor leggero. Al contrario, la legge prevede criteri rigorosi di ammissione (come vedremo) per assicurare che a beneficiarne siano solo i debitori meritevoli (in buona fede e in difficoltà reale, non furbi che vogliono approfittarne). Inoltre, il debitore deve comunque destinare ai creditori tutto ciò che ragionevolmente può permettersi di pagare – sia immediatamente, sia attraverso piani di rientro pluriennali – prima di poter ottenere la cancellazione del debito restante (chiamata esdebitazione).

La disciplina del sovraindebitamento è stata introdotta nell’ordinamento italiano con la Legge 3/2012 (Legge 27 gennaio 2012 n.3, “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”). Questa legge – entrata in vigore nel 2012 – ha rappresentato una novità importante, creando per la prima volta una procedura concorsuale su misura per privati e piccoli imprenditori in difficoltà, diversa dal fallimento riservato alle imprese più grandi. Negli anni successivi, la legge 3/2012 è stata oggetto di modifiche e miglioramenti, fino a essere integrata nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza entrato in vigore nel 2022. In questa guida aggiornata ad aprile 2025 esamineremo sia i meccanismi originari sia le ultime riforme normative, per fornire un quadro completo e attuale della procedura.

2. Quadro Normativo Aggiornato ad Aprile 2025

2.1. La Legge 3/2012 e le sue finalità originarie

La Legge 3/2012, ribattezzata dai media “legge salva suicidi”, è stata pensata per dare una risposta all’emergenza di tante famiglie e piccoli imprenditori schiacciati dai debiti. Prima della sua approvazione, infatti, chi non era soggetto alle norme sul fallimento (ad esempio un comune cittadino, un artigiano o un professionista) non aveva strumenti per ristrutturare i propri debiti in modo organico: poteva solo tentare accordi informali con ciascun creditore o subire pignoramenti. La Legge 3/2012 ha introdotto una procedura giudiziale unificata in cui convogliare tutti i debiti e trovare una soluzione equilibrata, sotto il controllo del tribunale.

In sintesi, la legge del 2012 prevedeva tre possibili strumenti: il piano del consumatore, riservato alle persone fisiche con debiti personali; l’accordo di ristrutturazione con i creditori, per imprenditori e soggetti non consumatori; e la liquidazione del patrimonio, simile a un piccolo fallimento personale con successiva esdebitazione. Approfondiremo più avanti le caratteristiche di ciascuno. In ogni caso, già la legge originaria richiedeva che il debitore fosse meritevole, cioè che non avesse colpe gravi nell’aver causato il proprio dissesto e che non avesse frodato i creditori. Inoltre, l’accesso era (ed è tuttora) riservato ai soggetti non fallibili, ossia coloro che per legge non possono essere dichiarati falliti (ad esempio perché non esercitano attività d’impresa o perché, se imprenditori, sono sotto determinate soglie dimensionali).

Negli anni, la Legge 3/2012 ha aiutato molte persone a uscire dal tunnel dei debiti, ma inizialmente è stata poco conosciuta e applicata. Solo col tempo, grazie anche alla diffusione di informazioni e all’esperienza maturata nei tribunali, sempre più debitori in difficoltà hanno iniziato a farvi ricorso. Nel 2020, a seguito della crisi economica aggravata dalla pandemia, il legislatore è intervenuto per snellire e rendere ancor più accessibile la procedura: con il Decreto Legge 28 ottobre 2020 n.137 (conv. in L. 18 dicembre 2020 n.176) sono state introdotte alcune modifiche migliorative. Ad esempio, già nel 2020 si è prevista in anticipo la possibilità di esdebitazione per il debitore incapiente (di cui parleremo), che è poi divenuta stabile col nuovo codice.

2.2. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019)

La riforma organica delle procedure concorsuali in Italia è culminata nell’emanazione del D.Lgs. 14/2019, noto come Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Questo nuovo codice ha riordinato in un unico testo sia le procedure tradizionali (fallimento, concordato preventivo, ecc.) sia quelle da sovraindebitamento. Dopo alcuni rinvii, il Codice della Crisi è entrato in vigore il 15 luglio 2022. Da quella data, le disposizioni della vecchia legge 3/2012 sono state in buona parte assorbite e aggiornate nel nuovo contesto normativo. In pratica, oggi si dovrebbe parlare di “procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento” secondo il Codice della Crisi, ma per semplicità e abitudine molti continuano a riferirsi a “legge 3/2012” intendendo l’insieme della disciplina sul sovraindebitamento.

Le innovazioni apportate dal Codice della Crisi mirano a rendere le procedure più efficaci e fruibili. Innanzitutto, sono state rinominate le procedure: ad esempio, il piano del consumatore viene ora definito “procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore”, mentre l’accordo con i creditori per i piccoli imprenditori è ricompreso nel “concordato minore”. È stata confermata la liquidazione del patrimonio sotto il nuovo nome di “liquidazione controllata del sovraindebitato”. Oltre alle nuove denominazioni, il Codice ha introdotto strumenti e principi inediti, che vedremo nel prossimo paragrafo, come la procedura familiare e l’esdebitazione dell’incapiente.

Va sottolineato che, pur essendo ora inserite nel Codice della Crisi, le procedure per il sovraindebitamento mantengono la loro natura speciale: restano riservate ai soggetti non fallibili e hanno regole proprie, diverse da quelle delle imprese di grandi dimensioni. In altre parole, un artigiano indebitato continuerà a seguire la “strada” tracciata dalla ex Legge 3/2012, anche se i riferimenti normativi aggiornati si trovano negli articoli del nuovo Codice. Questa guida farà riferimento sia ai termini originali che a quelli nuovi, per chiarezza.

2.3. Principali novità introdotte nel 2022 (riforma del sovraindebitamento)

La riforma del 2022 ha portato diverse novità positive per il debitore sovraindebitato. Riassumiamo le più importanti introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza:

  • Procedure familiari congiunte: è ora possibile per più membri della stessa famiglia presentare un’unica procedura di sovraindebitamento, se conviventi e se la crisi ha origine comune. Ad esempio, marito e moglie indebitati per lo stesso mutuo possono fare un’unica domanda invece di due separate. Questo riduce costi e tempi, evitando duplicazioni (i requisiti specifici: bisogna essere conviventi e i debiti devono derivare dallo stesso evento o causa).
  • Concetto di “meritevolezza” esplicitato: il Codice richiede espressamente che il debitore non abbia causato la propria situazione con dolo o colpa grave, né abbia commesso atti in frode ai creditori. Già la legge 3/2012 lo prevedeva di fatto, ma ora è sancito chiaramente. In pratica, chi ha dissipato patrimonio volontariamente o contratto debiti sapendo di non poterli pagare, oppure ha sottratto beni ai creditori, non può accedere ai benefici della procedura.
  • Responsabilità degli istituti di credito (merito creditizio): per la prima volta si pone attenzione anche al comportamento di banche e finanziarie. Il Codice prevede possibili sanzioni o penalizzazioni per quegli enti che hanno concesso credito in modo irresponsabile a soggetti già pesantemente indebitati. Ciò introduce il principio del merito creditizio: se una banca ha erogato prestiti sapendo che il cliente era incapiente, potrebbe vedersi limitare il diritto di voto o subire decurtazioni nel piano, scoraggiando così il fenomeno del sovraindebitamento causato da credito facile.
  • Esdebitazione automatica: mentre prima il debitore doveva fare apposita istanza per ottenere la cancellazione dei debiti residui dopo la liquidazione, ora questa avviene in automatico al termine della procedura, senza bisogno di un’ulteriore domanda. Se non emergono fatti ostativi, il giudice contestualmente alla chiusura della liquidazione libera il debitore dai debiti non soddisfatti. Questo snellisce e dà certezza al fresh start finale.
  • Durata ridotta della liquidazione: collegato al punto sopra, il Codice fissa a 3 anni la durata massima della procedura di liquidazione controllata (salvo proroghe per realizzo di beni complessi). In precedenza spesso si consideravano 4 anni di “pegno” sui redditi futuri del debitore; ora il periodo standard è 3 anni, trascorso il quale scatta l’esdebitazione (sempreché il debitore abbia collaborato e rispettato le regole).
  • Esdebitazione del debitore incapiente: è l’innovazione forse più rilevante e di impatto sociale. Si tratta di una procedura speciale pensata per chi non ha davvero nulla da offrire ai creditori, nemmeno in futuro. Approfondiremo più avanti, ma in sostanza un debitore persona fisica “incapiente” e meritevole può ottenere la cancellazione di tutti i debiti senza doverli pagare, neanche in parte. È un beneficio utilizzabile solo una volta in vita e con l’obbligo, per i 4 anni successivi, di comunicare ai creditori eventuali sopravvenienze (entrate) che permettano di pagare almeno il 10% di quanto dovuto.

Queste modifiche mirano a rendere la gestione delle situazioni di sovraindebitamento più efficiente e accessibile, offrendo strumenti adeguati per la ristrutturazione dei debiti e l’esdebitazione. In particolare, l’introduzione della procedura familiare facilita le famiglie indebitate; l’esdebitazione dell’incapiente offre una via d’uscita estrema ai casi umani più gravi; e la maggiore responsabilizzazione degli enti finanziatori agisce da deterrente contro l’eccesso di credito a chi non può permetterselo.

3. Chi Può Accedere alla Procedura di Sovraindebitamento

3.1. I soggetti “non fallibili” ammessi (privati, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.)

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, cioè a quelle categorie di debitori che non possono essere assoggettate alle normali procedure fallimentari (oggi liquidazione giudiziale) per le imprese. In pratica, rientrano in questa definizione:

  • Privati cittadini consumatori: persone fisiche che hanno debiti personali e non esercitano attività d’impresa. Ad esempio impiegati, pensionati, casalinghe, studenti o disoccupati indebitati per prestiti, mutui, bollette, spese di famiglia, ecc. Rientrano anche ex lavoratori che hanno perso l’occupazione. Sono tipici beneficiari del piano del consumatore. Questa categoria è centrale: la legge 3/2012 offre a queste persone una soluzione sostenibile per riorganizzare i debiti e proteggere i beni essenziali, evitando di rovinare completamente la loro vita.
  • Piccoli imprenditori commerciali: coloro che gestiscono un’attività d’impresa al di sotto delle soglie previste dalla legge fallimentare (art. 1 L.Fall., ora Codice della Crisi). In particolare, se negli ultimi tre esercizi l’imprenditore non ha superato due dei seguenti limiti: 300.000 € di attivo patrimoniale, 200.000 € di ricavi lordi annui, 500.000 € di debiti totali. Questi piccoli imprenditori (ad esempio il proprietario di un negozio o di una micro-impresa familiare) sono esclusi dal fallimento e possono accedere alle procedure di sovraindebitamento. Per loro è pensato soprattutto l’accordo con i creditori (ora concordato minore), che consente di negoziare un rientro del debito strutturato evitando conseguenze irreversibili come la chiusura forzata dell’attività.
  • Imprenditori agricoli: per legge gli agricoltori non sono soggetti a fallimento, indipendentemente dalle dimensioni. Dunque qualsiasi imprenditore agricolo indebitato (coltivatore diretto, azienda agricola) può utilizzare la legge 3/2012 per risolvere la propria crisi.
  • Lavoratori autonomi e liberi professionisti: categorie spesso escluse da altre procedure concorsuali ma che possono utilizzare gli strumenti della Legge 3/2012 per gestire il sovraindebitamento. Questi soggetti, spesso esposti a difficoltà economiche a causa delle fluttuazioni di mercato o dell’insolvenza dei clienti, trovano nella Legge 3/2012 una soluzione per evitare la paralisi delle proprie attività. Anche gli artigiani e le partite IVA individuali hanno accesso (se sotto soglia di fallibilità), così come le start-up innovative e le entità no-profit (ONLUS, associazioni) che abbiano debiti.
  • Enti non commerciali e fideiussori: la legge include anche enti non profit e le persone che hanno prestato garanzie personali. Ad esempio, un fideiussore che abbia garantito il debito di un amico o parente può ritrovarsi a dover pagare quel debito: se non ce la fa, può ricorrere alla procedura per sovraindebitamento (purché la garanzia riguardasse debiti non da grande impresa).
  • Soci di società di persone a responsabilità illimitata: i soci di S.n.c. o accomandatari di S.a.s., essendo illimitatamente responsabili, possono essere chiamati a rispondere dei debiti sociali con il proprio patrimonio. Se la società è piccola e non fallisce, i soci che restano con debiti personali possono utilizzare la procedura di sovraindebitamento. Anche un ex socio illimitatamente responsabile (uscito da oltre un anno) è ammesso.

In sintesi, tutti coloro che non possono accedere al fallimento (ora liquidazione giudiziale) perché non ne hanno i requisiti, ma si trovano in condizioni di insolvenza o grave difficoltà finanziaria, possono valutare la procedura di sovraindebitamento. Questo copre uno spettro amplissimo di soggetti: dal singolo consumatore fino alla piccola azienda familiare. È importante notare che il debito complessivo può anche essere elevato (non c’è un minimo né un massimo legale per l’ammontare dei debiti in queste procedure – la soglia di 500.000 € citata sopra serve solo a definire il “piccolo imprenditore non fallibile”, ma un privato consumatore potrebbe avere debiti ben superiori e comunque accedere). Ci sono stati casi di persone fisiche con debiti di milioni di euro che hanno avviato una liquidazione del patrimonio con successo.

3.2. Requisiti di meritevolezza e buona fede del debitore

L’accesso ai benefici della legge sul sovraindebitamento non è automatico: il debitore deve dimostrare di essere meritevole. Questo principio, fondamentale sin dal 2012, è stato rafforzato dal Codice della Crisi. In concreto, i principali requisiti soggettivi di meritevolezza e buona fede sono:

  • Assenza di atti in frode ai creditori: il debitore non deve aver sottratto o simulato il proprio patrimonio per danneggiare i creditori. Ad esempio, non deve aver venduto beni poco prima di chiedere la procedura per nascondere il ricavato all’estero, o fatto donazioni di immobili per evitare che vengano pignorati. Simili comportamenti precludono la possibilità di accedere alla legge.
  • Nessun sovraindebitamento doloso o “scellerato”: se il debitore ha creato la situazione di insolvenza con dolo o colpa grave, potrebbe essere giudicato non meritevole. Ciò significa che non deve aver contratto debiti in modo irresponsabile o fraudolento, ad esempio facendo spese folli sapendo di non poterle pagare, o accumulando prestiti per gioco d’azzardo (ludopatia) senza tentare di curarsi. Va detto che la giurisprudenza ha riconosciuto in certi casi come non colpevole il debitore affetto da ludopatia patologica, assimilabile a una malattia che compromette la volontà. Ogni caso è valutato a sé, ma in generale deve emergere che l’indebitamento è conseguenza di eventi sfortunati o necessità (es. spese mediche impreviste) e non di malafede.
  • Veridicità e completezza delle informazioni fornite: il debitore deve presentare un elenco completo di tutti i propri creditori, l’inventario dei beni, l’elenco delle spese correnti e dei redditi, in modo trasparente. Dichiarazioni false o omissioni rilevanti (ad esempio, omettere di dichiarare un immobile di proprietà) fanno decadere la procedura e possono avere conseguenze penali. La collaborazione sincera con l’OCC e con il giudice è fondamentale per mantenere la fiducia.
  • Non aver già beneficiato di esdebitazione recente: la legge prevede che l’esdebitazione (cioè la cancellazione dei debiti residui) sia concessa normalmente una sola volta. In particolare, l’esdebitazione dell’incapiente è utilizzabile solo una volta in assoluto nella vita. Chi ha già ottenuto la cancellazione dei debiti con una procedura precedente difficilmente potrà accedere di nuovo a breve termine (la normativa precedente fissava un intervallo di alcuni anni). Questo per evitare un uso reiterato dello strumento.

Oltre a questi requisiti di condotta, c’è il requisito oggettivo di trovarsi effettivamente in stato di sovraindebitamento. Ciò significa che il debitore non deve avere semplicemente difficoltà temporanee, ma una vera incapacità strutturale di pagare i debiti. Spesso si dimostra con il fatto che vi sono rate scadute da tempo, decreti ingiuntivi, pignoramenti in corso o altre manifestazioni dell’insolvenza. In mancanza di questo stato di crisi conclamata, il tribunale potrebbe respingere l’istanza perché prematura.

Riassumendo, la legge vuole aiutare il debitore sfortunato ma onesto, non certo il furbo o chi ha agito illegalmente. Durante l’iter, il giudice e l’OCC verificheranno attentamente il profilo del richiedente. Ad esempio, se emergono prelievi ingenti di denaro poco prima del ricorso, o una sproporzione tra redditi ufficiali e stile di vita, potrebbero sorgere dubbi sulla meritevolezza. È cruciale dunque presentarsi con carte in regola, consapevoli che la trasparenza è un obbligo: un segno di buona fede apprezzato è proprio l’allegare tutta la documentazione possibile sulla propria situazione economica, anche ciò che può sembrare sfavorevole, spiegando le circostanze.

3.3. Debiti ammessi ed esclusi dalla procedura (tipologie di obbligazioni)

Uno dei vantaggi della procedura da sovraindebitamento è la sua ampia portata: praticamente ogni tipo di debito può essere incluso nel piano o accordo, ad eccezione di poche categorie particolari. Elenchiamo le principali tipologie di debiti che rientrano nella procedura:

  • Debiti bancari e finanziari: mutui ipotecari, prestiti personali, finanziamenti rateali, scoperti di conto, carte di credito revolving, cessioni del quinto dello stipendio, leasing. Tutti i crediti vantati da banche, finanziarie e società di leasing possono essere trattati nel piano. Anche le cessioni del quinto (prestiti con trattenuta stipendiale) sono ricomprese e durante la procedura la trattenuta viene sospesa, permettendo al debitore di recuperare quella quota di stipendio.
  • Debiti verso fornitori o privati: ad esempio fatture non pagate a fornitori (per un imprenditore), prestiti ricevuti da amici o parenti, debiti condominiali, canoni di affitto arretrati, bollette e utenze insolute, ecc. Tutti questi creditori privati possono far parte dell’accordo/piano.
  • Debiti fiscali e verso l’erario: le cartelle esattoriali per tasse statali, contributi previdenziali, tributi locali (IMU, TARI), multe stradali e sanzioni amministrative pecuniarie rientrano nella massa debitoria. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) e gli enti pubblici creditori partecipano alla procedura come qualsiasi altro creditore. È possibile quindi includere debiti IVA, IRPEF, INPS, ecc., proponendo anche falcidie (riduzioni) e dilazioni, nei limiti consentiti (alcune leggi speciali pongono restrizioni sulla falcidia di certi tributi, ma in generale anche il Fisco può accettare stralci nelle procedure da sovraindebitamento).
  • Multe e sanzioni amministrative: ad esempio contravvenzioni stradali non pagate, sanzioni per violazioni amministrative. Rientrano anch’esse nel perimetro dei debiti trattabili. Va precisato che eventuali sanzioni penali (ammende) o somme dovute per reati potrebbero avere un trattamento diverso, ma per la stragrande maggioranza delle sanzioni comuni vale la regola generale.

In pratica, il totale dei debiti che il soggetto ha verso qualsiasi creditore viene cristallizzato nella procedura. Dal momento in cui si presenta la domanda, si “fotografa” la situazione debitoria complessiva, su cui poi si costruirà il piano di rientro o la liquidazione.

Ci sono però alcuni debiti esclusi o meglio obbligazioni che non possono essere cancellate nemmeno con l’esdebitazione finale. Un esempio esplicito previsto è quello degli obblighi di mantenimento e alimentari: se il debitore ha arretrati nell’assegno di mantenimento a coniuge separato o ai figli, non potrà liberarsene tramite questa procedura. Quegli obblighi nascono da doveri di famiglia e restano in piedi. Analogamente, debiti da risarcimento di danni provocati da illecito con sentenza penale potrebbero non essere esdebitabili, sebbene la legge 3/2012 non lo esplicitasse chiaramente come fa, ad esempio, la legge fallimentare per certi debiti: su questo punto potrebbe intervenire l’interpretazione giurisprudenziale caso per caso. In generale, comunque, tutti i debiti “ordinari” sono coperti e l’elenco delle eccezioni è limitato (principalmente appunto gli alimenti).

Va ricordato che in costanza di procedura sono sospesi anche gli interessi maturandi sui debiti chirografari (non garantiti). Il piano infatti prevede quanto il debitore pagherà e di norma congelare gli interessi successivi serve a far sì che la situazione non peggiori ulteriormente durante l’iter. Gli interessi dei crediti privilegiati (es. ipotecari) possono continuare a maturare nei limiti della garanzia, ma questo è un dettaglio tecnico.

3.4. Soglie di fallibilità: quando un imprenditore è troppo grande per la Legge 3/2012

Abbiamo accennato che gli imprenditori possono accedere alle procedure di sovraindebitamento solo se di piccole dimensioni. È importante capire dove sta il confine tra “piccolo non fallibile” e impresa “fallibile”. La normativa attuale riprende sostanzialmente i parametri della vecchia legge fallimentare, ossia le soglie di cui all’art. 1 L.Fall., che sono le seguenti:

  • Totale dell’attivo patrimoniale (totale degli asset a bilancio) non superiore a 300.000 euro negli ultimi 3 esercizi;
  • Ricavi lordi annui (fatturato) non superiori a 200.000 euro negli ultimi 3 esercizi;
  • Debiti totali (anche non scaduti) non superiori a 500.000 euro.

Se un imprenditore supera anche solo uno di questi parametri per oltre tre anni consecutivi, diventa soggetto al fallimento (oggi liquidazione giudiziale) e non può utilizzare la procedura di sovraindebitamento. Per essere considerato “non fallibile” deve rimanere sotto tutti i limiti (o almeno due su tre, secondo la giurisprudenza che richiedeva di superarne più d’uno per essere considerato fallibile).

Esempio: un imprenditore con 800.000 euro di debiti totali non potrà accedere alla legge 3/2012, anche se i suoi ricavi e attivi sono piccoli, perché supera la soglia dei 500.000. Oppure un’azienda con 400.000 euro di fatturato annuo negli ultimi anni è fuori parametro anche se i debiti sono meno di 500.000.

In pratica, le procedure da sovraindebitamento coprono le micro-imprese e le imprese minori, mentre quelle di dimensione maggiore ricadono nelle procedure concorsuali ordinarie (concordato preventivo, liquidazione giudiziale, ecc.). Da notare però che le persone fisiche consumatrici non hanno limiti di importo: un privato cittadino anche con 1 milione di debiti (pensiamo a una fideiussione escussa di grande importo, o a un ex imprenditore che però agisce come consumatore per debiti personali) può accedere, purché sia persona fisica e non imprenditore in attività di quella portata.

Inoltre, start-up innovative e imprese agricole come detto non sono soggette a fallimento per disposizioni speciali, quindi rientrano comunque nel sovraindebitamento a prescindere dalle dimensioni.

Riassumendo: quando si valuta chi può accedere, occorre verificare la natura del soggetto (persona fisica, impresa, ente) e in caso di impresa i dati dimensionali. Superata questa verifica, conta poi la meritevolezza individuale. Se entrambe le condizioni (soggettiva e oggettiva) sono soddisfatte, il soggetto è un candidato ammissibile alla procedura.

4. Le Procedure Disponibili per la Composizione della Crisi

La legge prevede diverse modalità per risolvere il sovraindebitamento, adattabili ai vari tipi di debitore e situazioni. Gli strumenti fondamentali sono quattro:

  • Piano del consumatore (oggi chiamato piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore): un piano di pagamento rivolto ai debitori civili (non imprenditori) approvato dal giudice, senza bisogno del consenso dei creditori.
  • Accordo di composizione con i creditori (ora parte del concordato minore): un accordo che vincola tutti i creditori se approvato dalla maggioranza di essi e omologato dal giudice.
  • Liquidazione controllata del patrimonio (ex liquidazione del patrimonio): la vendita di tutti i beni del debitore per pagare i creditori, con successiva esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente: la cancellazione dei debiti senza alcun pagamento, riservata a casi eccezionali.

Vediamo in dettaglio ciascuna procedura, i suoi meccanismi e a chi è destinata.

4.1. Piano del Consumatore (ristrutturazione dei debiti per privati)

Il piano del consumatore è lo strumento pensato per le persone fisiche debitrici “consumatrici”, ovvero per chi ha contratto debiti estranei ad un’attività d’impresa. Esempi tipici: debiti familiari, mutui sulla prima casa, finanziamenti per acquisti personali, scoperti di conto, debiti di gioco o medici, ecc. Anche un ex imprenditore può accedere al piano del consumatore per i debiti rimasti personali (non legati all’impresa).

Caratteristica peculiare di questo piano è che non richiede l’approvazione dei creditori: il debitore propone un progetto di rientro del debito e sarà il giudice a valutarlo ed eventualmente omologarlo, rendendolo vincolante per tutti. Ciò significa che, anche se ai creditori l’offerta non piace, se il giudice la ritiene equa e fattibile, può imporla. Questa è una differenza sostanziale rispetto a ogni altra procedura concorsuale (dove di solito serve il voto dei creditori).

Il piano del consumatore permette al debitore di pagare in base alla propria reale capacità economica, che viene attentamente analizzata. Può prevedere:

  • Dilazione dei pagamenti (spalmare il debito su più anni con rate sostenibili).
  • Falcidia (riduzione) di una parte del debito, se emerge che il debitore non potrà mai pagarla. Ad esempio, pagare il 50% del dovuto e stralciare il restante 50%. La riduzione deve essere giustificata dalla situazione finanziaria: il debitore offre il massimo che realisticamente può dare.
  • Differenziazione dei creditori: ad esempio, potrebbe prevedere di pagare integralmente quelli garantiti da ipoteca (fino al valore dell’immobile) e parzialmente i chirografari (senza garanzie), come avviene nei concordati. Il tutto, però, senza ingiustificate sperequazioni e sotto controllo del giudice.
  • Eventuale liquidazione di qualche bene non essenziale: il debitore consumatore potrebbe includere nel piano la vendita di un immobile secondario, di un’auto di lusso o altro, per aumentare la somma da distribuire. Ma di norma il piano del consumatore non richiede di liquidare tutti i beni, a differenza della procedura di liquidazione. Si cerca anzi di salvaguardare i beni essenziali (la prima casa di abitazione, se possibile, mantenendo il mutuo con rate sostenibili rinegoziate nel piano).

Iter di approvazione: Il debitore deposita il piano e la documentazione; l’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o il professionista nominato certifica che i dati sono corretti e che il piano è sostenibile; il giudice verifica anche la meritevolezza del debitore (nel piano del consumatore questo giudizio è cruciale). Se riscontra che il debitore ha agito con dolo o colpa grave, respinge la domanda. Altrimenti fissa un’udienza, convoca i creditori (che possono far pervenire osservazioni, pur senza voto) e infine decide sull’omologa. Una volta omologato dal tribunale, il piano diventa efficace e:

  • Tutte le azioni esecutive (pignoramenti, ecc.) contro il debitore sono sospese o cessano.
  • I creditori dovranno accontentarsi di quanto previsto nel piano, nei tempi stabiliti.
  • Il debitore dovrà rispettare rigorosamente le scadenze di pagamento concordate.

Un vantaggio immediato del piano del consumatore è proprio il “respiro” che dà al debitore: cessano gli assedi dei creditori, le telefonate di recupero crediti, i pignoramenti dello stipendio in corso vengono bloccati. Ad esempio, se al sig. Rossi stavano pignorando un quinto dello stipendio, con l’omologa del piano quella trattenuta viene sospesa e sostituita eventualmente dalla rata prevista dal piano (che potrebbe essere inferiore al quinto se il giudice ha valutato che Rossi deve mantenere la famiglia con quel reddito).

Esempio pratico: Maria è una pensionata indebitata per 30.000 euro di un prestito personale. Con un piano del consumatore propone di rimborsare 15.000 euro in 5 anni, rateizzando 250 euro al mese, e chiede lo stralcio del restante 50% del debito. Il giudice, verificato che Maria può permettersi 250 euro mensili lasciandole il minimo vitale per vivere, omologa il piano. Così Maria evita il pignoramento della pensione (che i creditori stavano minacciando) e ottiene una riduzione significativa del debito complessivo. In cambio, si impegna a pagare puntualmente le rate per 5 anni: al termine, sarà libera dai debiti residui e la sua pensione sarà intangibile per quei vecchi crediti.

Il piano del consumatore è dunque lo strumento ideale per i privati che hanno una fonte di reddito (stipendio, pensione, affitto, ecc.) sufficiente a pagare qualcosa ogni mese, ma non abbastanza da coprire l’intero debito accumulato. Permette di salvare il necessario per vivere e pagare solo ciò che rientra nelle proprie possibilità. Va ricordato che il debitore deve essere rigoroso: un volta approvato, il piano va rispettato alla lettera, altrimenti può decadere (vedremo più avanti i rischi in caso di inadempimento).

4.2. Accordo con i Creditori (concordato minore per imprese e partite IVA)

L’accordo di composizione con i creditori era l’altro strumento originario della legge 3/2012, pensato principalmente per imprenditori e professionisti. Nel Codice della Crisi, la figura equivalente rientra nel concordato minore, riservato ai soggetti non fallibili diversi dal consumatore puro. In sostanza, l’accordo è molto simile a un piccolo concordato preventivo: il debitore elabora un piano di ristrutturazione dei debiti, ma affinché sia omologato occorre il consenso di una maggioranza dei creditori.

Caratteristiche principali:

  • Può accedervi qualsiasi debitore “non fallibile” (anche un consumatore volendo, ma normalmente il consumatore opta per il piano senza voto). È tipico per chi ha un’attività economica da salvare o da cessare ordinatamente.
  • Richiede che i creditori votino il piano: serve il sì di almeno il 60% dei crediti secondo la legge 3/2012. Il Codice della Crisi parrebbe aver semplificato a oltre il 50% (maggioranza semplice), ma su questo bisogna verificare la norma applicabile nel 2022. Supponiamo che oggi basti la maggioranza dei crediti ammessi al voto, calcolata per ammontare.
  • Se la maggioranza approva, il tribunale omologa l’accordo rendendolo vincolante anche per le minoranze dissenzienti. Se invece non si raggiunge la maggioranza necessaria, l’accordo non può essere omologato (ma il debitore, come ultima spiaggia, potrebbe chiedere a quel punto la liquidazione del patrimonio).

Cosa può prevedere un accordo? Molto simile al piano del consumatore, ma qui c’è margine di trattativa diretta con i principali creditori prima del voto. Il debitore potrà negoziare con banche e fornitori delle proposte di saldo e stralcio o dilazione, cercando di renderle appetibili. Ad esempio: pagare il 40% ai chirografari in 5 anni e il 100% + interessi ridotti ai creditori ipotecari in 10 anni, vendendo magari qualche cespite non indispensabile. Spesso si studiano soluzioni per mantenere in vita l’impresa, ad esempio prevedendo che l’attività prosegua e generi utili da destinare ai creditori secondo il piano (si parla infatti di possibile continuità aziendale nel concordato minore).

L’accordo con i creditori consente maggiore flessibilità contrattuale: il debitore può cercare l’intesa coinvolgendo i creditori chiave. Il ruolo dell’OCC è di mediatore e di verifica. Una volta depositata la proposta, il giudice ordina che sia comunicata ai creditori e convoca l’adunanza per il voto (o dispone voto scritto). Se i creditori approvano nelle percentuali richieste, si passa all’omologa.

Vantaggi per il debitore: innanzitutto, anche qui c’è la tutela dalle azioni esecutive una volta avviata la procedura e soprattutto dopo il deposito del piano con fissazione dell’udienza (il giudice può disporre la sospensione dei pignoramenti pendenti in attesa del voto). L’accordo, se approvato, evita soluzioni peggiori come la liquidazione giudiziale o il fallimento dell’attività: consente di preservare la continuità aziendale (l’impresa continua a lavorare) e di salvaguardare beni magari dati in garanzia, che diversamente verrebbero aggrediti. Inoltre, consente di rinegoziare i debiti con tagli e allungamenti, con il supporto di professionisti qualificati, garantendo al contempo un trattamento equo per tutte le parti coinvolte.

Vantaggi per i creditori: perché dovrebbero accettare? Spesso perché capiscono che è meglio incassare il X% in comode rate piuttosto che rischiare di non vedere nulla dalla chiusura dell’attività del debitore. Un accordo ben congegnato offre più valore rispetto a un’ipotetica esecuzione forzata (dove magari l’azienda fallirebbe e i creditori ricaverebbero pochissimo). Inoltre, l’accordo evita lungaggini e spese di una procedura fallimentare.

Esempio pratico: un piccolo imprenditore ha debiti per 200.000 euro tra banche e fornitori, a causa di un calo di fatturato. Presenta un accordo proponendo di pagare 120.000 euro in 5 anni, quindi circa il 60% del dovuto, con rate trimestrali. I creditori, valutato che l’alternativa (pignorare i pochi beni) frutterebbe forse il 30%, approvano a maggioranza. Il tribunale omologa. L’imprenditore così evita di chiudere: può continuare l’attività, pagare i dipendenti, e al contempo soddisfa i creditori in modo ordinato. I posti di lavoro sono salvi e l’azienda ha una seconda chance, seppur ridimensionata.

Da notare che l’accordo con i creditori può essere utilizzato anche da professionisti o lavoratori autonomi non consumatori. Per esempio, un avvocato con uno studio indebitato può proporre ai creditori un accordo spalmando i debiti professionali su più anni. Anche i soci illimitatamente responsabili possono proporre un accordo per i debiti sociali di cui rispondono (se la società non è fallita).

4.3. Liquidazione Controllata del Sovraindebitato (liquidazione del patrimonio)

La liquidazione controllata – chiamata nella legge 3/2012 semplicemente liquidazione del patrimonio – è la procedura più “drastica” ma a volte inevitabile. Qui il debitore chiede al tribunale di liquidare tutti i suoi beni per soddisfare i creditori, ottenendo in cambio la liberazione dai debiti residui. È paragonabile a un fallimento personale: il patrimonio del debitore viene gestito da un liquidatore nominato dal giudice (spesso lo stesso gestore della crisi designato dall’OCC) il quale vende i beni, riscuote i crediti, e distribuisce il ricavato ai creditori secondo le regole delle prelazioni.

Questa soluzione si adotta in genere quando il debitore non ha la possibilità di proporre un piano sostenibile né di ottenere un accordo: ad esempio, i debiti sono troppo alti rispetto al reddito, oppure i creditori non si fidano di un piano e preferiscono escutere i beni. Si può anche arrivare alla liquidazione se il piano o l’accordo falliscono (non omologati) – a quel punto il debitore, per non tornare alla mercé dei creditori, può “ripiegare” offrendo la liquidazione volontaria del suo patrimonio.

Come funziona: Il debitore deposita un’istanza di liquidazione allegando l’elenco di tutti i beni (mobili, immobili, denaro, crediti verso terzi). Il tribunale, verificati i presupposti, dichiara aperta la liquidazione e nomina un liquidatore (spesso un professionista OCC). Da quel momento:

  • I beni di proprietà del debitore diventano parte di un “fondo” da liquidare. Se ha case, queste verranno vendute (di solito tramite procedure competitive). Se ha conti correnti o auto, verranno acquisiti e venduti.
  • Il debitore deve collaborare ma perde la disponibilità dei beni non necessari. Ha però diritto a mantenere quelli impignorabili per legge (es. stipendio minimo vitale, mobilio essenziale di casa, eventuali beni di uso quotidiano).
  • Tutte le azioni esecutive cessano e i creditori possono far valere le proprie ragioni solo nella liquidazione presentando domanda di ammissione (come in un fallimento). Non serve il loro consenso per liquidare: è il tribunale che dispone d’ufficio.
  • La procedura ha durata limitata: attualmente, massimo 3 anni per liquidare tutto e destinare il ricavato ai creditori (prorogabile se ci sono beni di difficile realizzo, ma l’obiettivo è contenere i tempi). Durante questi anni, se il debitore ha un reddito da lavoro, gli potrà essere richiesto di versarne la parte eccedente il necessario per il mantenimento suo e della famiglia, incrementando l’attivo liquidabile. Ad esempio, un professionista potrebbe continuare a lavorare e consegnare al liquidatore il surplus dei guadagni rispetto a una soglia decorosa, anno per anno.

Al termine, il giudice chiude la liquidazione e dichiara l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti rimasti non pagati. Grazie alla riforma, questa esdebitazione è concessa in automatico nel decreto di chiusura (salvo revoche per irregolarità), liberando il debitore da ogni obbligazione precedente.

Vantaggi della liquidazione controllata:

  • Non richiede di convincere i creditori: è una procedura unilaterale, utile quando nessun accordo è possibile.
  • Permette di chiudere definitivamente la posizione debitoria in tempi relativamente brevi (3-4 anni), dopodiché il debitore riparte pulito.
  • Anche se i creditori vengono soddisfatti solo parzialmente, quel che non ricevono viene annullato con l’esdebitazione finale, consentendo al debitore di non restare perseguitato a vita.
  • Durante la liquidazione, il debitore mantiene comunque i mezzi per condurre una vita dignitosa (non gli si toglie tutto: ad esempio, spesso gli viene lasciata l’abitazione principale per un certo periodo o un alloggio, e un budget di mantenimento mensile).

Svantaggi e costi per il debitore:

  • Evidentemente, perde la proprietà dei suoi beni liquidabili. Se aveva una casa, verrà verosimilmente venduta (salvo accordi per tenerla pagando i creditori in altro modo). Se aveva un’auto, pure, a meno che sia indispensabile per il lavoro e di modesto valore.
  • È una procedura comunque pubblica e complessa, simile a un piccolo fallimento: i creditori vengono avvisati, c’è un bando per la vendita dei beni, ecc., il che può portare stress e senso di stigma, anche se non ci sono le interdizioni personali tipiche del fallimento (il debitore sovraindebitato non viene sottoposto a misure come la perdita della capacità di esercitare imprese, tranne eventuali casi di dolo conclamato che emergessero).

Esempio pratico: Un professionista ha 100.000 € di debiti ma nessuna possibilità di accordo, e il suo reddito basta appena alle spese di vita. Decide di liquidare il patrimonio: possiede un piccolo appartamento ereditato, che viene venduto ricavando 50.000 € netti per i creditori; inoltre per 3 anni versa al liquidatore 200 € al mese (risparmiati rinunciando a spese non essenziali), aggiungendo altri ~7.000 €. Complessivamente i creditori ricevono circa il 57% del dovuto. Terminati i 3 anni, il tribunale esdebità il professionista dai circa 43.000 € mancanti: quei debiti vengono cancellati e lui può ricostruirsi la vita. Nel frattempo ha dovuto abitare in affitto (perdendo la casa di proprietà), ma è uscito dalla spirale debitoria e può ripartire senza arretrati pendenti.

Un aspetto importante: liquidazione volontaria vs. fallimento coatto – Nel sistema italiano, i creditori non possono costringere un soggetto non fallibile a liquidare i propri beni tramite tribunale (non esiste una “istanza di fallimento” contro un consumatore, per dire). Quindi la liquidazione controllata ex L.3/2012 avviene su richiesta del debitore. È dunque una scelta di quest’ultimo per risolvere globalmente la situazione, invece di subire decine di pignoramenti scoordinati. Ciò conferisce una certa dignità: è il debitore che prende in mano la situazione e dice “vendo tutto quel che ho, ve lo do, e poi chiudiamo i conti”.

4.4. Esdebitazione del debitore incapiente (cancellazione debiti senza risorse)

L’esdebitazione del debitore incapiente – chiamata anche esdebitazione senza utilità – è, come già accennato, una misura speciale introdotta per i casi estremi. Si rivolge al debitore persona fisica che:

  • Si trova in stato di sovraindebitamento grave;
  • Non possiede alcun patrimonio liquidabile né reddito aggredibile da offrire ai creditori (in pratica è nullatenente o i beni sono talmente modesti da non avere mercato);
  • È comunque meritevole (quindi non ha truffato i creditori e il debitore non ha colpe rilevanti nella sua situazione).

In queste condizioni, qualunque piano o accordo sarebbe improponibile (non c’è nulla da pagare) e la liquidazione sarebbe inutile (non c’è niente da liquidare). Prima della riforma 2020-2022, un debitore così era condannato a restare per sempre coi debiti a carico, senza possibilità di soluzione se non il decorso della prescrizione di singoli crediti (processo lungo e incerto). Ora, invece, può chiedere direttamente al giudice l’esdebitazione totale, cioè di essere liberato dai suoi debiti senza pagamento, una volta per tutte.

Come avviene? Il debitore presenta una domanda motivata al tribunale, preferibilmente con l’ausilio di un OCC o avvocato vista la delicatezza (non è obbligatorio per legge avere un difensore, ma altamente consigliato). Deve allegare tutta la documentazione attestante la propria situazione di indigenza: ad esempio estratti conto a zero, proprietà assenti (certificati catastali negativi), ISEE molto basso, stato di disoccupazione o pensione minima, ecc. Inoltre deve spiegare le cause del sovraindebitamento e perché sono indipendenti dalla sua volontà (es. “ho fatto da garante per un’azienda poi fallita”, oppure “ho avuto una grave malattia che mi ha impedito di lavorare e ho accumulato debiti medici”). Il tribunale notifica la richiesta ai creditori, che possono opporsi se ritengono che il debitore stia mentendo o abbia in realtà dei cespiti nascosti. Si svolge un’udienza; se il giudice ritiene fondata la richiesta, emette un decreto che dichiara inesigibili tutti i debiti del richiedente.

Questa esdebitazione straordinaria ha tuttavia delle condizioni postume: se nei 4 anni successivi al provvedimento il debitore incapiente “miracolosamente” riceve delle risorse (ad esempio un’eredità, una vincita, o torna a guadagnare bene) tali da permettergli di pagare almeno il 10% dei vecchi debiti, allora deve informare i creditori e il tribunale. In tal caso, potenzialmente, i creditori potrebbero riaprire la partita e pretendere quel 10%. Se il debitore tace e viene scoperto, rischia sanzioni gravi e la revoca dell’esdebitazione.

Inoltre, l’esdebitazione senza utilità può essere concessa una volta sola nella vita del debitore. Quindi è davvero il “colpo di spugna” definitivo per chi non ha altra via d’uscita.

Esempio pratico: Paolo è un ex piccolo imprenditore che ha chiuso l’attività ed è rimasto con 80.000 € di debiti tra banca e fisco. Non ha casa (vive in affitto), non ha auto, il conto in banca è quasi vuoto. Ha 60 anni, problemi di salute e nessuna prospettiva di reddito significativo. In questo scenario, Paolo può rivolgersi all’OCC per presentare istanza di esdebitazione incapiente, spiegando che la sua insolvenza deriva dalla crisi della sua ditta e che ora vive solo con una modesta pensione sociale. Il tribunale, accertata l’assenza di beni aggredibili e l’onestà di Paolo (che non ha fatto atti in frode), cancella i suoi debiti residui. Paolo non dovrà più nulla ai creditori, anche se questi purtroppo non hanno potuto recuperare niente. Per i 4 anni seguenti, Paolo dovrà comunicare ogni eventuale entrata straordinaria. Se ad esempio dopo due anni ricevesse un lascito di 20.000 €, dovrebbe destinarne almeno 8.000 (il 10% di 80.000) ai vecchi creditori.

L’esdebitazione per l’incapiente è concepita per motivi umanitari: ci sono situazioni di miseria in cui inseguire un debitore è inutile e crudele, e tanto i creditori non recupererebbero comunque nulla. Allora lo Stato preferisce “dare pace” al debitore, permettendogli almeno di non vivere nell’angoscia dei debiti arretrati. D’altro canto, è una misura eccezionale perché dal punto di vista dei creditori è la più gravosa (non ricevono niente). Ecco perché è limitata ai casi di indigenza conclamata e di condotta virtuosa del debitore non colpevole.

Va segnalato che già prima di questa norma alcuni tribunali, in via interpretativa, quando un debitore in liquidazione non aveva davvero nulla, chiudevano la procedura anche senza soddisfare i creditori e concedevano l’esdebitazione. Ma ora c’è una base legale più forte e uniforme.

5. La Procedura Passo per Passo

In questa sezione descriviamo in termini pratici come si svolge l’intero iter di una procedura di sovraindebitamento, dalla fase iniziale di preparazione fino alla conclusione con l’esdebitazione. Ogni caso può avere le sue particolarità, ma generalmente le tappe sono simili sia che si tratti di piano, accordo o liquidazione (con le differenze proprie di ciascuna modalità, già viste).

5.1. Preparazione: documenti necessari e Organismo di Composizione della Crisi (OCC)

Primo passo: il debitore riconosce di trovarsi in una situazione insostenibile e decide di attivarsi. È altamente consigliabile rivolgersi subito a un Organismo di Composizione della Crisi (OCC) o a un professionista esperto (avvocato, commercialista) che possa assisterlo. Gli OCC sono enti autorizzati (spesso istituiti presso gli ordini professionali, le camere di commercio o enti pubblici) con il compito di aiutare i debitori nella gestione della crisi da sovraindebitamento. L’elenco degli OCC è pubblico (tenuto dal Ministero della Giustizia) e ogni tribunale ha competenza per le procedure del suo territorio.

Il debitore dovrà raccogliere un’ampia serie di documenti che fotografino la sua situazione economica e patrimoniale:

  • Documenti anagrafici: carta d’identità, codice fiscale, stato di famiglia (per attestare il nucleo familiare a carico).
  • Documentazione dei redditi: buste paga recenti, CUD/Certificazione Unica, dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni, cedolino pensione, eventuali contratti di locazione attivi (per redditi da affitto), ecc.
  • Elenco dettagliato di tutti i debiti: estratti conto mutui e finanziamenti, contratto di mutuo, lettera di decadimento del beneficio del termine se c’è stata, cartelle esattoriali, avvisi di accertamento, ingiunzioni, bollette non pagate, ratei condominiali arretrati, insomma ogni credito verso il debitore dev’essere elencato con importo, creditore, causale. Può essere utile fare una visura Centrale Rischi e CRIF per non dimenticare nulla.
  • Elenco dei beni di proprietà: immobili (visure catastali per verificarne intestazione e gravami), veicoli (visura Pra), conti correnti e depositi (ultimi estratti conto, saldo attuale), eventuali partecipazioni societarie, polizze assicurative con valore di riscatto, oggetti di valore (quadri, gioielli, ecc.). Su ogni bene indicare se gravato da pegno, ipoteca o se è già pignorato.
  • Elenco delle spese mensili necessarie: affitto o mutuo prima casa, utenze, spese mediche, spesa alimentare, scuolabus figli, ecc., per dimostrare qual è il fabbisogno di mantenimento.
  • Atti di proprietà o di famiglia: ad esempio, estratto per riassunto dell’atto di matrimonio (utile se ci sono regime patrimoniale e obblighi alimentari), eventuali separazioni legali, ecc.
  • Eventuali procedure in corso: se ci sono pignoramenti attivi, aste fissate, cause pendenti, indicarne gli estremi.

Questa fase di raccolta è laboriosa ma fondamentale: un dossier completo permetterà all’OCC e poi al giudice di avere chiara la situazione. L’OCC effettuerà una verifica preliminare per valutare se il debitore possiede i requisiti (meritevolezza, non fallibilità) e se la procedura di sovraindebitamento è effettivamente la soluzione appropriata. In alcuni casi, infatti, potrebbe suggerire soluzioni alternative: ad esempio, se i debiti non sono eccessivi e c’è patrimonio sufficiente, magari conviene cercare un accordo stragiudiziale o vendere un bene per pagare i creditori senza attivare la procedura (evitando costi). Oppure potrebbe consigliare un consolidamento del debito tramite nuova finanza (anche se chi arriva a questo punto di solito ha esaurito le opzioni creditizie).

Supponendo che la via del sovraindebitamento sia confermata, il debitore formalizza l’incarico all’OCC e versa un primo acconto sulle spese (vedremo nella sezione costi). A questo punto verrà nominato un gestore della crisi, cioè un professionista (interno all’OCC o esterno convenzionato) che seguirà operativamente il caso. Il gestore studierà i documenti e inizierà a predisporre la relazione particolareggiata che dovrà poi presentare al giudice: una sorta di relazione di fattibilità e meritevolezza, in cui attesta l’esatto ammontare dei debiti, il patrimonio disponibile, le cause dell’insolvenza e la completezza dei dati forniti.

Parallelamente, insieme al debitore, il gestore e l’eventuale avvocato lavorano alla proposta di risoluzione: piano, accordo o liquidazione a seconda dei casi. Si valuterà quale strumento è più adatto:

  • Se il debitore è un consumatore con reddito regolare -> probabile piano del consumatore.
  • Se è un imprenditore con vari creditori -> accordo con i creditori (cercando di ottenere il consenso di almeno i maggiori).
  • Se non ha reddito sufficiente -> forse conviene la liquidazione del patrimonio.
  • Se non ha nulla per davvero -> ipotesi esdebitazione incapiente.

In molti casi si preparano anche piani alternativi nel caso uno fallisca: ad esempio si prova l’accordo, ma si tiene pronta la liquidazione come piano B.

Durante la preparazione, può essere utile (ma non obbligatorio) che l’OCC prenda contatti informali con i principali creditori. Questo soprattutto in caso di accordo: sondare la disponibilità delle banche o del fisco ad accettare un certo stralcio. Questo dialogo precoce può far risparmiare tempo ed evitare di presentare proposte destinate al rifiuto. Tuttavia, formalmente i creditori si esprimeranno solo dopo il deposito ufficiale.

5.2. Presentazione della domanda in Tribunale

Una volta che il piano o la proposta di accordo è pronta (o si è deciso per la liquidazione), si procede a depositare il ricorso in tribunale. La competenza territoriale è del Tribunale dove il debitore ha la residenza o sede principale. Il ricorso è un atto introduttivo, di solito redatto dall’avvocato del debitore con l’ausilio dell’OCC, che contiene:

  • Le generalità del debitore e l’indicazione della procedura scelta (piano, accordo o liquidazione) ai sensi della legge 3/2012 (o del Codice della Crisi pertinente).
  • L’esposizione delle cause dell’indebitamento e dello stato d’insolvenza.
  • L’elenco completo dei creditori con i rispettivi crediti.
  • L’indicazione dei beni e redditi del debitore.
  • La descrizione della proposta di soluzione: importi offerti, modalità e tempistiche, eventuali garanzie, ecc.
  • In caso di piano del consumatore, la richiesta al giudice di omologazione senza voto creditori e l’argomentazione sulla meritevolezza del debitore.
  • In caso di accordo, la richiesta di convocare i creditori per l’espressione del voto sulla proposta allegata.
  • In caso di liquidazione, la richiesta di apertura della liquidazione patrimoniale ex art. 14-ter L.3/2012 (vecchia numerazione) con nomina di un liquidatore.

Al ricorso si allegano in genere:

  • La relazione particolareggiata dell’OCC (che include l’attestazione della veridicità dei dati e una valutazione sulla fattibilità del piano o accordo).
  • Tutti i documenti probatori elencati prima (situazione reddituale, debiti, ecc.).
  • L’elenco creditori e l’elenco beni firmati dal debitore.
  • Una relazione sulla fattibilità economica: un vero e proprio piano di pagamenti con simulazioni, se è un piano/accordo.
  • Eventuali attestazioni aggiuntive: ad esempio, se si propone di pagare debiti fiscali in parte, spesso si allega la norma che lo consente o eventuali risposte avute dagli enti.

Deposito e iscrizione a ruolo: Si presenta tutto in cancelleria (ormai via PEC o portale telematico) e si paga il contributo unificato dovuto. La legge prevede un contributo unificato ridotto per queste procedure (pari a quello delle cause di volontaria giurisdizione di valore indeterminato, quindi poche decine di euro; tuttavia se il debitore è consumatore vi può essere un importo diverso da se è imprenditore – su questo la normativa è stata altalenante). In aggiunta, molti tribunali chiedono un fondo spese o marca da bollo per le notifiche.

Effetti immediati del deposito: Diversamente dal fallimento, qui non c’è automatico spossessamento (a meno che si sia chiesta la liquidazione). Però di prassi, contestualmente al deposito, l’avvocato del debitore può chiedere al tribunale l’adozione di misure provvisorie urgenti per tutelare il patrimonio. Ad esempio, sospendere eventuali procedure esecutive in corso (pignoramenti, vendite all’asta) fino all’omologazione. Il giudice, valutata fumus boni iuris (cioè che il piano non sia manifestamente inammissibile) e periculum (il rischio che senza sospensione i creditori aggrediscano i beni compromettendo la procedura), può emettere decreto di sospensione delle aste o di blocco dei pignoramenti stipendiali in corso.

In ogni caso, tutti i creditori vengono informati. Nel piano del consumatore il tribunale fissa l’udienza di omologazione e dispone che il ricorso sia notificato ai creditori. Nell’accordo, convoca i creditori per il voto (o apre le votazioni scritte). Nella liquidazione, dichiara aperta la procedura e comunica ai creditori di insinuaresi.

Da questo momento in poi, il debitore è protetto dal cosiddetto automatic stay: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni individuali esecutive sul patrimonio senza autorizzazione del giudice della procedura. In pratica, i debiti sono congelati in attesa dell’esito. I creditori dovranno far valere le loro ragioni all’interno della procedura presentando osservazioni o votando, ma non potranno ottenere pignoramenti autonomi (pena nullità o improcedibilità degli stessi se iniziati dopo). Questo scudo, sebbene non esplicitato in un’unica norma, è derivato dal sistema complessivo: l’omologazione poi coprirà tutti i debiti anteriori.

5.3. Ruolo del Gestore della Crisi e rapporto con i creditori

Il gestore della crisi nominato dall’OCC (o l’OCC stesso se opera collegialmente) svolge un ruolo chiave dall’inizio alla fine:

  • Ha già preparato la relazione iniziale e continua a fare da filtro tra il debitore e il tribunale.
  • Comunica con i creditori. Formalmente, l’OCC invia a tutti i creditori la proposta depositata e li informa sulle modalità per partecipare (ad esempio, data dell’udienza o istruzioni per votare). Spesso, il gestore risponde anche a eventuali richieste di chiarimenti dei creditori.
  • Raccoglie le adesioni dei creditori se si tratta di un accordo: i creditori possono inviare il proprio voto (favorevole o contrario) e l’OCC conteggia le percentuali.
  • Redige verbali e relazioni intermedie: ad esempio il verbale dell’adunanza dei creditori (se fatta) o un supplemento di relazione se emergono fatti nuovi.

Durante questa fase, i creditori hanno la possibilità di interagire:

  • Nel piano del consumatore: i creditori non votano, ma possono presentare opposizioni od osservazioni entro un termine. Spesso, se un creditore contesta la meritevolezza del debitore (accusandolo di aver aggravato i debiti volutamente) o la correttezza dei dati (ad esempio sostiene che il debito indicato è inferiore al reale), lo farà sapere al giudice tramite memoria. Il gestore riferirà su queste contestazioni.
  • Nell’accordo: i creditori esprimono il voto. Alcuni possono astenersi, altri non rispondere (in genere il silenzio vale come dissenso, salvo regole di maggioranza differenti). Se la maggioranza richiesta viene raggiunta, i creditori di minoranza possono eventualmente opporsi in sede di omologa (lamentando che l’accordo li danneggia in modo irragionevole, per esempio).
  • Nella liquidazione: i creditori presentano le loro domande di ammissione al passivo al liquidatore, come in un fallimento, e segnalano se rivendicano privilegi o diritti di prelazione.

Il gestore (in un piano/accordo) o il liquidatore (in liquidazione) ha compiti simili a quelli di un curatore fallimentare, ma più snelli essendo procedure minori. Mantiene i contatti tra le parti, esegue le pubblicità legali (ad esempio, alcune decisioni vanno pubblicate sul registro delle imprese o su appositi siti, benché per i privati consumatori la pubblicità sia limitata per privacy), e supporta il giudice nelle valutazioni tecniche.

Un debitore collaborativo dovrebbe continuare a fornire al gestore ogni ulteriore documento richiesto e aggiornamento (ad esempio, se durante la procedura cambia lavoro o riceve un bonus, è tenuto a comunicarlo). La trasparenza deve permanere.

5.4. L’udienza e l’omologazione del piano/accordo

Fase decisiva: l’udienza davanti al giudice della crisi da sovraindebitamento. In caso di piano del consumatore, è un’udienza di omologazione; in caso di accordo con creditori, un’udienza per verificare esito delle votazioni ed eventuali opposizioni; in caso di liquidazione, tipicamente non c’è un’unica udienza decisiva (il processo è amministrativo e termina con decreto finale).

All’udienza di omologazione (piano/accordo), il giudice:

  • Verifica ancora una volta i presupposti formali (notifiche regolari a tutti i creditori, adempimento delle varie formalità).
  • Ascolta l’eventuale debitore (in molti tribunali il giudice fa domande dirette al debitore presente, per valutare la sua sincerità e capire il contesto).
  • Esamina le eventuali opposizioni dei creditori. Un creditore potrebbe, ad esempio, opporsi sostenendo che il piano lo pregiudica oltre il lecito, o che il debitore ha taciuto dei beni. Il giudice valuta queste istanze.
  • Acquisisce il parere del Pubblico Ministero, dove previsto (in alcuni casi, specie col piano del consumatore, la legge richiede che gli atti siano trasmessi al PM perché dia un parere sulla meritevolezza e sull’assenza di elementi penalmente rilevanti).

Se tutto è in ordine, il tribunale emette il decreto di omologazione:

  • Per il piano del consumatore: il giudice attesta la soddisfazione dei requisiti (meritevolezza, fattibilità) e omologa il piano, rendendolo efficace. Da questo momento, come detto, il piano è vincolante per tutti i creditori indicati e sospende definitivamente eventuali esecuzioni in corso, che vengono dichiarate improcedibili.
  • Per l’accordo: il giudice dichiara raggiunte le maggioranze (se raggiunte) e che l’accordo non arreca danno ai creditori dissenzienti oltre quanto avrebbero in alternativa, quindi omologa l’accordo. In parallelo può rigettare le opposizioni di eventuali creditori contrari, spiegandone i motivi (ad esempio, mostrando che riceveranno comunque più di quanto avrebbero avuto dalla liquidazione). Se invece la maggioranza non fosse stata raggiunta o emergessero gravi irregolarità, il giudice non omologa (rifiuta l’accordo). In tal caso il debitore torna alla situazione iniziale, salvo poter chiedere la conversione in liquidazione.

Durante l’udienza, il giudice può anche apportare modifiche marginali d’ufficio: ad esempio potrebbe chiedere al debitore un piccolo sforzo aggiuntivo su qualche punto prima di omologare (tipo: “inserisca anche questo piccolo creditore che mancava, oppure allunghi il piano di 6 mesi per aumentare un po’ la percentuale”). Se il debitore acconsente e i creditori non si oppongono, si può adattare il piano in extremis.

Una volta omologata, la procedura viene comunicata ai creditori ufficialmente. Nel caso di liquidazione controllata, invece, non c’è una vera omologazione, ma un decreto di apertura e nomina del liquidatore (già avvenuto all’inizio). Non essendoci nulla da omologare (il debitore non propone nulla se non “prendete i miei beni”), la fase successiva è direttamente la gestione liquidatoria.

5.5. Esecuzione del piano o della liquidazione dei beni

Dopo l’omologa, si passa alla fase di esecuzione. Questa è la fase più lunga in caso di piani pluriennali, o comunque richiede un monitoraggio costante.

  • Se è un piano del consumatore omologato: il debitore inizia a pagare le rate o somme promesse secondo il calendario stabilito. Di solito l’OCC funge da supervisore: il debitore potrebbe dover versare su un conto dedicato da cui l’OCC poi ripartisce ai creditori, oppure pagare direttamente i creditori mantenendo traccia. Dipende dalle prassi. È buona norma che il debitore, ad ogni scadenza, versi puntualmente e consegni prova al gestore (es. copia bonifico). Eventuali beni da vendere indicati nel piano devono essere liquidati: spesso viene nominato un liquidatore ad hoc per quei beni (ad esempio, vendere un immobile – si può nominare lo stesso gestore o un professionista delegato). Tutto ciò avviene sotto il controllo del giudice, che può emanare provvedimenti per facilitare l’esecuzione (ad esempio autorizzare la vendita di un bene libero da ipoteche se il creditore ipotecario è soddisfatto dal piano in altro modo).
  • Se è un accordo con i creditori: analogamente, il debitore e l’OCC devono dare attuazione all’accordo. Essendoci più parti coinvolte, spesso l’accordo prevede nominativamente chi fa cosa. Ad esempio: “la banca X rinuncia alla garanzia ipotecaria su immobile Y a fronte del pagamento di €…, che avverrà entro il …; il debitore cederà il 30% dei ricavi trimestrali all’OCC per distribuirli; l’immobile Z verrà messo in vendita con prezzo base…”. Il gestore della crisi può qui assumere un ruolo simile a un commissario che vigila sull’esecuzione e dirime eventuali dubbi tra le parti. I creditori dovranno pazientare secondo i tempi accordati. Se l’accordo prevede subito transazioni (es. stralcio con saldo immediato di alcune posizioni), il debitore dovrà attivarsi rapidamente per effettuare quei pagamenti (spesso anticipati già all’omologa tramite depositi cauzionali in tribunale – ad esempio, per convincere i creditori, il debitore può aver messo a disposizione prima qualche somma a garanzia).
  • Se è una liquidazione controllata: qui l’esecuzione consiste nel lavoro del liquidatore nominato. Egli redige l’inventario definitivo del patrimonio, emette un bando per vendere i beni (ad esempio incarica un’agenzia d’aste giudiziarie per vendere immobili o mobili). Incassa eventuali crediti (manda richieste ai debitori del sovraindebitato per farsi pagare a lui). Verifica le domande di credito dei creditori e predispone uno stato passivo approvato dal giudice, in cui stabilisce quanto spetta a ciascuno e con quale priorità (privilegi, ipoteche, chirografi). Poi man mano che realizza denaro dalle vendite, effettua riparti: paga prima i creditori privilegiati (es. dipendenti se ce ne sono, erario per le parti privilegiate, banche ipotecarie fino a capienza del valore bene), poi quello che resta lo divide pro quota tra i chirografari. Se il debitore ha un reddito, il liquidatore periodicamente ne preleva la parte stabilita (ad esempio, se il giudice nel decreto iniziale aveva fissato che il debitore deve versare ogni mese tutto il reddito eccedente €1000, il liquidatore raccoglie quei versamenti e li aggiunge alla massa). Possono volerci mesi o pochi anni a concludere tutto, dipende dal numero di beni e dalla loro vendibilità.

Durante l’esecuzione, il debitore deve:

  • Rispettare rigorosamente gli impegni di pagamento (per piani/accordi). Un ritardo o salto di rata, oltre i limiti di tolleranza previsti (qualche piano prevede espressamente un margine, tipo “decadenza dopo due rate non pagate”), può portare a una risoluzione della procedura su istanza dei creditori. Ciò significherebbe perdere i benefici e tornare alla situazione precedente meno quanto già pagato. La legge 3/2012 prevedeva che, in caso di inadempimento del piano o accordo, i creditori potevano chiedere al tribunale la revoca dell’omologazione e riprendere le azioni individuali. Quindi è cruciale non mancare i pagamenti. In caso di difficoltà temporanee, il debitore può avvisare l’OCC e magari tentare di ottenere un’aggiustamento del piano rivolgendosi al giudice prima che sia troppo tardi, ma non è garantito.
  • Non contrarre nuovi debiti imprudenti: anche se non è formalmente vietato contrarre nuovi debiti durante la procedura, sarebbe un controsenso. Il debitore dovrebbe mantenere un tenore di vita sobrio. Se per forza maggiore contrae qualche debito (es. nuove tasse correnti, spese mediche impreviste), dovrebbe comunque cercare di non compromettere l’attuazione del piano. Debiti nuovi non entrano nel vecchio piano, restano fuori.
  • Mantenere informato il gestore: ad esempio, se cambia residenza, se cambia lavoro e reddito, se riceve un’eredità. Quest’ultimo caso è delicato: se un debitore in piano del consumatore riceve un’eredità sostanziosa durante l’esecuzione del piano, legalmente quell’eredità non era considerata nel piano (perché non prevista). I creditori potrebbero venire a saperlo e chiedere al giudice di modificare il piano aumentando i pagamenti grazie a questa sopravvenienza. La legge non lo disciplinava chiaramente, ma è probabile che la correttezza imponga di destinare almeno in parte ai creditori ogni beneficio straordinario arrivato in corso di piano. Nel caso di debitore incapiente, come detto, c’è addirittura obbligo formale di segnalare utilità nei 4 anni successivi.

Nel corso dell’esecuzione, se tutto procede regolarmente, l’OCC può produrre relazioni periodiche al giudice per informarlo (specie in piani lunghi, magari una relazione annuale). I creditori generalmente restano in attesa: in un piano del consumatore non hanno molto da fare se non incassare secondo le scadenze pattuite; in un accordo idem; in una liquidazione possono a volte fare osservazioni sul progetto di riparto se ritengono scorretto qualcosa.

5.6. Chiusura della procedura ed esdebitazione

Quando il piano o l’accordo è completamente attuato, oppure quando nella liquidazione sono trascorsi i 3-4 anni e tutto il patrimonio è stato liquidato, si giunge alla fine della procedura.

Nel caso di piano/accordo: l’OCC deposita una relazione conclusiva attestando che il debitore ha eseguito tutto correttamente. Il giudice emette un decreto di attuazione completata e dichiara l’esdebitazione del debitore per la parte di debiti eventualmente non pagata nel piano. Infatti, salvo i casi in cui il piano prevede il pagamento integrale, spesso una quota di debiti viene falcidiata: con l’esdebitazione, quella parte viene cancellata definitivamente e i creditori non possono più pretendere nulla. Il debitore torna ad essere libero da debiti pregressi. Questo decreto viene notificato alle parti e ha efficacia immediata.

Nel caso di liquidazione: quando il liquidatore ha venduto tutto il vendibile e ripartito l’attivo, redige un rendiconto finale. Il giudice fissa un’udienza di chiusura, approva il conto e dichiara chiusa la liquidazione. Se il debitore si è comportato correttamente e non ci sono motivi ostativi (ad es. non ha nascosto beni, non ha omesso di collaborare), il giudice contestualmente dichiara l’esdebitazione del debitore per tutti i debiti rimasti non soddisfatt. Questa dichiarazione è automatica per legge e non serve domanda (a differenza di quanto accadeva prima della riforma). Da notare: l’esdebitazione in liquidazione non copre alcuni debiti particolari come gli alimenti al coniuge e altre eccezioni di legge, per cui quelli – se presenti – restano in essere (ma sono casi rari nel contesto di un fallimento personale).

L’effetto dell’esdebitazione è quello di una “pulizia” dei debiti antecedenti: il debitore non può più essere perseguito per essi. Se un creditore tentasse comunque un’azione, il debitore opporrà il provvedimento di esdebitazione che fa stato.

Riabilitazione del debitore: Oltre all’effetto giuridico, la conclusione positiva della procedura ha un effetto sociale: il debitore viene “riabilitato”. Non esiste per il sovraindebitato un registro pubblico dei soggetti esdebitati (diversamente dal fallito che aveva il Registro dei falliti, abolito peraltro). Quindi, una volta chiusa la procedura, il debitore torna in bonis. Certo, probabilmente i dati della procedura rimarranno nelle banche dati creditizie per qualche anno, influenzando l’accesso al credito, ma formalmente non c’è interdizione. Anzi, la legge sul sovraindebitamento non prevede le preclusioni personali tipiche del fallimento (come l’incapacità di esercitare impresa): dunque, anche durante e dopo, il debitore potrebbe aprire una nuova attività, contrarre mutui, ecc. (anche se realisticamente gli operatori saranno cauti nel prestargli soldi subito).

Se era un imprenditore o professionista, potrà riprendere la sua attività senza il fardello dei debiti vecchi. Spesso l’esdebitazione segna un vero nuovo inizio: per questo è considerata il punto cardine di queste procedure, paragonabile alla fresh start del diritto anglosassone.

Importante: l’esdebitazione non estingue le garanzie reali sui beni di terzi. Cioè, se un terzo (un amico, un parente) aveva dato un’ipoteca o fideiussione a garanzia di uno dei debiti del sovraindebitato, quel terzo ne risponde ancora. L’esdebitazione libera solo il debitore principale. Questo significa anche che, se un coobbligato ha pagato parte del debito, il suo diritto di regresso verso l’esdebitato si estingue (non potrà rivalersi su di lui).

Una volta chiusa la procedura, il debitore torna padrone dei suoi beni futuri e del suo reddito. Se era in liquidazione, termina anche l’eventuale cessione di quota di reddito. Se aveva un quinto pignorato sullo stipendio, tale pignoramento era già cessato con l’omologa e ovviamente non potrà riprendere dopo.

5.7. Cosa succede se la procedura non va a buon fine?

Non tutte le procedure di sovraindebitamento si concludono felicemente. Possono verificarsi alcuni scenari negativi:

  • Inammissibilità o rigetto iniziale: se il giudice, esaminando il ricorso, trova gravi mancanze (ad es. debitore non meritevole, documentazione insufficiente, soggetto fallibile), può dichiarare inammissibile la domanda. In tal caso, la procedura non inizia nemmeno. Il debitore resta con i suoi debiti; potrebbe provare a ripresentare una nuova domanda correggendo i difetti (se possibile) o optare direttamente per un’altra soluzione (p.es. negoziazione privata o, se improvvisamente diventato fallibile, subire un fallimento).
  • Mancata omologazione dell’accordo: se non si raggiunge il quorum di voti dei creditori o il giudice rileva cause ostative, l’accordo con i creditori non viene omologato. Idem per il piano del consumatore: se il giudice reputa il debitore non meritevole o il piano non fattibile, può rigettare l’omologa. In tali casi, per evitare di tornare alla situazione di partenza, la legge consente al debitore di chiedere contestualmente l’apertura della liquidazione del patrimonio (opzione di ripiego). Quindi spesso, se un accordo fallisce, si passa alla liquidazione. Se invece il debitore rinuncia, i creditori riacquistano piena libertà di azione (possono riprendere o iniziare pignoramenti).
  • Risoluzione/revoca dopo l’omologazione: questo è il caso di inadempimento del debitore. Se, ad esempio, un piano del consumatore viene omologato ma poi il debitore non paga le rate come previsto e accumula ritardi non scusabili, i creditori possono chiedere la risoluzione del piano al giudice. Il giudice, verificato l’inadempimento, dichiara risolta la procedura: ciò significa che i benefici decadono e i crediti tornano esigibili per intero detratto quanto eventualmente pagato in piano. Purtroppo, il debitore a quel punto ha perso anche tempo e denaro spesi, e si ritrova magari senza aver risolto nulla (anzi, con possibili ulteriori spese di interessi ripartiti). Analogo discorso per l’accordo omologato: è normalmente condizione legale che se il debitore non adempie agli obblighi l’accordo si risolve di diritto o su pronuncia giudiziale. A quel punto, il debitore potrebbe solo più tentare di accedere alla liquidazione (se non l’aveva già fatta) come ultima spiaggia.
  • Revoca per dolo: se dopo l’omologazione salta fuori che il debitore aveva occultato scientemente beni o falsificato i dati (e quindi ha frodato i creditori e il giudice), il tribunale può revocare l’omologazione e annullare la procedura. In più, il debitore rischia sanzioni penali. È uno scenario estremo ma accaduto in alcuni casi quando si scoprono retroscena (es. il debitore aveva intestato beni a terzi per non farli risultare). Inutile dire che questo è disastroso per il debitore, perché brucia la credibilità di fronte al tribunale e difficilmente potrebbe riprovarci.

In caso di esito negativo della procedura, i creditori riprendono la possibilità di esecuzione individuale. Le somme eventualmente pagate durante il tentativo di piano rimangono acquisite ai creditori (non tornano indietro). Il debitore può considerare altre strade, ad esempio un concordato preventivo se nel frattempo è divenuto fallibile (ma questo di solito non accade, la situazione rimane la stessa).

Per prevenire questi esiti, è essenziale che il piano sia realistico fin dall’inizio (non promettere cose impossibili) e che il debitore adempia con disciplina.

C’è da dire che, con la riforma, la procedura appare più flessibile e orientata al successo: ad esempio, permettere procedure familiari evita risoluzioni dovute al fatto che i coniugi avevano fatto due piani separati e uno fallisce; oppure l’esdebitazione incapiente permette di chiudere situazioni altrimenti destinate a fallire (un piano in cui non c’è niente da offrire sarebbe fallito, ora invece quell’individuo può optare direttamente per l’incapienza).

6. Durata e Costi della Procedura

Passiamo ora a considerare quanto tempo occorre per completare una procedura di sovraindebitamento e quali costi bisogna affrontare. Questi aspetti pratici sono importanti per chi valuta se intraprendere il percorso.

6.1. Tempistiche tipiche (dal deposito all’omologa e oltre)

La durata può variare molto in base alla complessità del caso, al carico di lavoro del tribunale competente e al tipo di procedura scelta. Possiamo tuttavia delineare alcuni tempi medi orientativi:

  • Fase di preparazione documenti e predisposizione piano: dipende dalla diligenza del debitore e dell’OCC. Potrebbe richiedere 1-2 mesi per raccogliere tutto e stendere una proposta. Nei casi complessi può volerci di più. A volte il “collo di bottiglia” è ottenere documenti da terzi (es. certificati, estratti conto bancari storici). Alcuni debitori hanno tutto pronto in poche settimane, altri impiegano mesi.
  • Dal deposito all’udienza di omologa: spesso 2-3 mesi. Molti tribunali fissano l’udienza entro 90 giorni dal deposito. In questo intervallo, c’è il tempo per notificare i creditori (che devono avere un preavviso di almeno 30 giorni per poter esaminare il piano) e per il PM di dare parere. In casi più semplici, l’udienza può essere anche a 45 giorni. Se il tribunale è intasato o se servono integrazioni, può slittare oltre i 3 mesi.
  • Dall’udienza all’omologa (decreto): spesso il giudice decide lo stesso giorno o dopo pochi giorni dall’udienza. Talvolta, se ci sono opposizioni, potrebbe riservarsi e depositare il decreto dopo qualche settimana, allegando motivazioni. Ma in genere per snellire e data la natura urgente di queste situazioni, le decisioni arrivano in tempi brevi.

Quindi, per ottenere l’omologa di un piano/accordo, si può stimare attorno ai 4-6 mesi da quando si avvia la pratica con l’OCC (di cui i primi 1-2 di preparazione e 3-4 presso il tribunale). Nei casi più rapidi è possibile anche in 3 mesi totali, nei più lunghi (ad esempio se l’udienza viene rinviata per modifiche) si può arrivare a 6-8 mesi.

  • Esecuzione del piano/accordo: qui la durata è intrinseca al piano. Può essere di pochi mesi (se il piano prevede pagamento immediato, magari perché si vende un immobile e si chiude subito) oppure di molti anni. La legge non pone un tetto rigido alla durata di un piano del consumatore, in teoria. Tuttavia, c’è il principio della durata ragionevole: piani troppo lunghi possono essere visti con scetticismo (in un esempio estremo, era stato ammesso un piano trentennale, ma questo è un caso limite). Il Codice della Crisi suggerisce che i piani di accordo dovrebbero idealmente chiudersi entro 5-6 anni, in linea con un principio di ragionevole durata delle procedure. Molti piani del consumatore durano 4-5 anni. Oltre i 10 anni è raro e sarebbe approvato solo se non c’è alternativa e con garanzie particolari.
  • Liquidazione controllata: il Codice fissa 3 anni per la durata standard, prorogabile fino a un massimo di 4 in casi eccezionali (ad esempio per completare vendite di beni difficili o contenziosi in corso). Quindi chi sceglie la liquidazione sa di dover restare nella procedura per circa 3 anni. In pratica, se un bene non si riesce a vendere entro 3 anni, si chiuderà comunque la procedura e quel bene (se non pignorato) potrebbe tornare al debitore – ma spesso beni invenduti di scarso valore vengono abbandonati ai creditori che ne hanno ipoteca, ecc.

Durante questi 3 anni, come detto, il debitore versa l’eventuale surplus di reddito annualmente. Terminato il periodo, il liquidatore fa i conti finali e si chiude.

Riassumendo:

  • Piano del consumatore: 4-5 mesi per omologa + durata del piano (es. 4-5 anni) = frescamente, diciamo 5 anni in media dall’inizio alla fine con esdebitazione.
  • Accordo con creditori: simile, se l’accordo prevede 5 anni di pagamenti.
  • Liquidazione: sui 3 anni e mezzo totali (inclusi i mesi iniziali per avvio).
  • Esdebitazione incapiente: potrebbe essere la più breve perché non c’è esecuzione da fare – ottenuto il decreto di esdebitazione, la procedura è chiusa subito. Potrebbe concludersi in 3-4 mesi se non ci sono intoppi, poiché è solo una valutazione giudiziale con eventuale udienza.

Va comunque considerato che durante la procedura il debitore già beneficia della protezione dai creditori. Quindi, anche se l’esdebitazione formale arriva dopo anni, il sollievo pratico (niente più assillo di azioni esecutive) scatta già dall’omologa iniziale. In un certo senso, il momento più critico (per il debitore) è proprio arrivare all’omologa; dopo, il tempo di esecuzione è percepito meno negativamente perché la situazione è sotto controllo e pianificata.

6.2. Costi: compenso dell’OCC, spese legali e contributo unificato

Affrontare una procedura di sovraindebitamento comporta alcuni costi, che è bene conoscere per non avere sorprese. I costi principali sono:

  • Compenso dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC) e del gestore della crisi.
  • Eventuale parcella dell’avvocato (se il debitore si affida anche a un legale oltre all’OCC; spesso l’OCC stesso è gestito da professionisti legali e economici che seguono tutto, ma altre volte ci si avvale di un legale di fiducia in parallelo).
  • Spese vive di procedura: contributo unificato, bolli, costi di pubblicazione, eventuali perizie giurate se servono, etc.

Compenso OCC: È generalmente regolato da tariffe approvate dal Ministero. Molti OCC prevedono un costo variabile in base alla complessità e all’attivo/passivo. In alcuni casi, se il debitore è nullatenente o incapiente, c’è un compenso minimo simbolico per coprire almeno le spese amministrative. Le normative di alcuni OCC stabiliscono riduzioni in caso di situazioni disagiate.

Tipicamente, il pagamento all’OCC avviene a tranche:

  • Un acconto iniziale (es. 30% del compenso previsto) all’accettazione dell’incarico.
  • Un secondo acconto prima del deposito del piano in tribunale (es. un altro 20%).
  • Il saldo finale a conclusione, spesso in prededuzione (vuol dire che è pagato con precedenza su altri debiti eventualmente, ad esempio accantonato nelle somme versate in piano).

L’ordine di grandezza del compenso OCC può variare: per procedure semplici con pochi creditori si parla di poche migliaia di euro; per casi più complessi o con patrimonio consistente, i compensi possono salire. Tuttavia, l’OCC è tenuto per legge ad applicare agevolazioni tenendo conto della difficoltà del caso e della situazione del debitore. In pratica, se uno è davvero in gravi difficoltà, l’OCC tende a contenere i costi per non aggravare il problema (ricordiamo che molti OCC sono di emanazione pubblica o ordini professionali, con anche finalità sociali).

Contributo unificato e bolli: Fortunatamente, per le procedure di sovraindebitamento la legge prevede costi di giustizia ridotti. Il contributo unificato (la “tassa” per l’iscrizione a ruolo) è generalmente di importo fisso e basso (nel passato era 98 € circa per i piani/accordi; per la liquidazione e l’esdebitazione incapiente dovrebbe essere ancora assimilabile a volontaria giurisdizione). Potrebbero aggiungersi 27 € di diritti forfettari. Nulla a che vedere con le migliaia di euro di un grande concordato preventivo.

Spese di notifica: le notifiche ai creditori possono essere effettuate dall’OCC via PEC (a costo zero) se i creditori hanno indirizzo digitale, oppure via posta (costo dei raccomandate) o ufficiale giudiziario (con costi) se necessario. Queste spese vive di solito sono poste a carico del debitore.

Spese di pubblicazione: se il tribunale ordina la pubblicazione di un avviso su un quotidiano o sul registro ufficiale, anche quello ha un costo. Però, spesso per i privati non fallibili la pubblicazione su registro imprese non è richiesta (tranne se è un imprenditore iscritto).

Parcella dell’avvocato: Se il debitore incarica un avvocato di seguirlo (cosa consigliabile, anche se teoricamente potrebbe far da sé con solo l’OCC), deve prevedere anche il compenso di questo professionista. Alcuni OCC includono già assistenza legale, altri no. Il costo legale può variare: ci sono professionisti che fanno pagare cifre calmierate essendo procedure sociali, altri possono chiedere qualche migliaia di euro. È bene concordare prima un importo forfettario comprendente tutte le fasi (anche l’eventuale fase successiva di esdebitazione).

Esempio di struttura costi: supponiamo un debitore consumatore con debiti medio-alti:

  • Contributo unificato 98 € + bolli vari ~ 200 € totali.
  • OCC chiede 3.000 € complessivi, pagati 900 € subito, 600 € prima del deposito, e il restante 1.500 € a rate durante il piano.
  • Avvocato chiede 2.000 €, di cui 1.000 € all’inizio e 1.000 € all’omologa.

Quindi inizialmente il debitore deve disporre di circa 1.000 € OCC + 1.000 € avvocato + 200 € spese = 2.200 € per partire. Il resto lo paga man mano. Se non possiede nemmeno quelli, deve trovare un accordo: alcuni OCC possono partire anche con meno acconto e prendere più a risultato ottenuto, oppure il debitore può farsi aiutare da familiari.

Caso di debitore incapiente: se uno è proprio nullatenente, c’è il problema di pagare l’OCC. La legge prevede che in questi casi l’OCC abbia comunque diritto a un compenso base (diciamo qualche centinaio di euro), ma se il debitore non li ha, potrebbe intervenire un fondo di solidarietà (ci sono stati progetti di creare fondi per sostenere le procedure dei più deboli) oppure il professionista deve accettare un compenso minimo rateizzato. Questo aspetto è delicato: talvolta persone nullatenenti rinunciano a fare la procedura perché non riescono a pagare nemmeno i costi iniziali. Tuttavia, molti OCC presso i comuni cercano di venire incontro, magari differendo il pagamento a dopo l’ottenimento di eventuali utilità (ma se uno non ne avrà, resta scoperto).

6.3. Agevolazioni e dilazioni nei pagamenti delle spese

Come anticipato, la normativa e la prassi prevedono alcune agevolazioni:

  • L’OCC può ridurre il proprio onorario rispetto ai tariffari, valutando caso per caso (ad esempio può decidere di applicare solo il minimo di legge senza oneri extra).
  • Il debitore può chiedere la dilazione dei pagamenti dovuti all’OCC: infatti, come visto, una parte significativa è pagabile “in prededuzione”, ovvero prelevandola dalle prime somme che il debitore verserà per soddisfare i creditori. Quindi, se il debitore inizia a pagare il piano, una percentuale di quelle rate va a coprire il compenso residuo dell’OCC prima di andare ai creditori. Questo permette di non dover anticipare tutto.
  • Se il debitore ha i requisiti per il patrocinio a spese dello Stato (caso raro, perché vale solo per cause contenziose, e qui siamo in volontaria giurisdizione – inoltre i limiti di reddito sono bassi), potrebbe beneficiare di gratuito patrocinio per l’avvocato. Tuttavia, non tutti i tribunali lo riconoscono in queste procedure.
  • Alcune regioni/enti hanno istituito degli sportelli antiusura e sovraindebitamento che offrono consulenze gratuite e talvolta coprono i costi iniziali della procedura per i soggetti più deboli. Vale la pena informarsi sul territorio se esistono fondi o bandi.

Costi indiretti: Bisogna considerare anche eventuali costi indiretti come spese di perizie (se serve stimare il valore di un immobile per il piano, magari si paga un perito), o spese di mediazione obbligatoria (per esempio alcuni debiti bancari potrebbero consigliare di fare un tentativo di mediazione civile prima di presentare l’accordo, con costi limitati). Questi non sono sempre presenti.

In generale, il costo complessivo di una procedura di sovraindebitamento, pur non essendo banale, è di molto inferiore al costo di un fallimento o concordato per un’azienda (lì i curatori possono prendere percentuali importanti dell’attivo). Qui si cerca di rimanere su cifre contenute anche perché i debitori già non navigano in buone acque.

Va detto che i creditori non contribuiscono direttamente a questi costi: tutto grava sul debitore. Però i creditori di fatto ne sopportano una parte perché l’OCC e le spese vengono pagati in prededuzione con risorse che altrimenti sarebbero andate a loro. È un altro motivo per cui i creditori spesso preferiscono cooperare: sanno che se costringono il debitore al fallimento personale, una parte dell’attivo se ne andrà in spese procedurali; se invece accettano un accordo magari extragiudiziale, eviteranno quei costi. Ma quando non c’è scelta, la procedura li implica.

Esempio finale di costi su un caso reale: Poniamo un debitore con 100.000 € di debiti chirografari propone di pagarne 50.000 in 5 anni (10.000 l’anno). Le spese procedurali totali ammontano a 5.000 €. All’inizio ha anticipato 2.000 € e restano 3.000 € da pagare. Quelle 3.000 saranno prese dai 50.000 prima di distribuire ai creditori, quindi i creditori in realtà riceveranno 47.000 € (94%) di quanto pattuito. Ciò potrebbe essere già tenuto conto a monte nel piano. Alla fine il debitore avrà sborsato 52.000 € (di cui 5.000 di costi) e sarà liberato da 48.000 € che non ha potuto pagare.

7. Vantaggi e Svantaggi del Sovraindebitamento

Analizziamo ora in sintesi i pro e contro di avviare una procedura di sovraindebitamento. Si tratta di un passo importante e impegnativo, perciò è giusto valutarne i benefici attesi ma anche le conseguenze e i possibili inconvenienti.

7.1. Vantaggi: protezione dai creditori, riduzione del debito, “fresh start”

  • Sospensione di ogni azione esecutiva: Questo è spesso il vantaggio più immediato percepito dal debitore. Una volta accolta la domanda o omologato il piano/accordo, i creditori non possono più procedere con pignoramenti, sequestri, distacchi di utenze per morosità, ecc. Viene quindi meno quella pressione costante che genera ansia. Si ottiene una tregua legale per riorganizzare la propria vita finanziaria. Anche le telefonate e solleciti delle società di recupero cessano, perché il debito viene incanalato nella procedura.
  • Riduzione dell’ammontare dei debiti (falcidia): Nella maggior parte dei piani e accordi, il debitore non paga il 100% di quanto dovuto, ma solo una percentuale, commisurata alle sue possibilità. La parte restante viene cancellata. Questo significa che, a seconda dei casi, può ritrovarsi a dover restituire magari la metà, un terzo o anche meno del debito originario. Ad esempio, consumatori con situazioni gravi riescono a volte a stralciare il 70-80% dei debiti. È un sollievo enorme: debiti che sarebbero stati impagabili vengono tagliati a misura delle capacità del debitore.
  • Ristrutturazione delle scadenze (dilazione): Anche per la parte di debito che si paga, la procedura consente di rateizzare su vari anni in base al reddito disponibile. Ciò rende il pagamento sostenibile. Anziché avere debiti tutti scaduti e immediatamente esigibili, il debitore ottiene un calendario di pagamenti spesso mensili o annuali, compatibile con il suo bilancio familiare. Questo permette di gestire con serenità i pagamenti, un po’ come un nuovo mutuo ma “calibrato”.
  • Esdebitazione finale (fresh start): Il risultato più prezioso è che, a fine procedura, si riparte puliti. Il debitore ottiene la liberazione integrale dai debiti pregressi che non è riuscito a pagare. Questo fresh start gli consente di reinserirsi nell’economia: potrà tornare a chiedere un prestito (magari con cautela), comprare a rate, intestarsi beni senza il timore che vengano aggrediti per vecchie pendenze. Sul piano psicologico, è la fine di un incubo e l’inizio di una nuova fase di vita senza l’ombra opprimente dei debiti passati.
  • Protezione di beni essenziali: Spesso la procedura è congegnata in modo da salvaguardare i beni primari del debitore. Ad esempio, se possibile, si cerca di evitare la vendita dell’abitazione principale (magari allungando il mutuo residuo in un piano del consumatore). Oppure si tutela l’automobile necessaria per andare al lavoro. Il giudice in genere non smembra ciò che è indispensabile a garantire al debitore e alla sua famiglia una vita dignitosa. Queste tutele in un’esecuzione normale non ci sarebbero: il creditore pignorerebbe la casa senza troppi scrupoli.
  • Possibilità di continuare l’attività lavorativa/imprenditoriale: Per chi ha un’impresa o esercita una professione, l’accordo con i creditori o il piano consente spesso di evitare la chiusura. Si possono congelare i debiti ed evitare che creditori blocchino conti o pignorino attrezzature, così l’azienda può proseguire a produrre reddito. Ciò è utile anche per i creditori stessi perché mantiene viva la fonte di rimborso. In un fallimento personale non esiste continuità: qui invece è possibile e spesso praticata.
  • Riduzione dello stress e tutela della dignità: Uscire dal labirinto dei debiti ha benefici incalcolabili sulla salute mentale del debitore. Sapere di aver intrapreso un percorso regolato, con una fine prevista, restituisce speranza. Si esce dalla clandestinità (molti debitori insolventi vivono sfuggendo, cambiando numero di telefono, evitando la posta per paura delle lettere di credito): con la procedura, tutto è alla luce del sole e sotto controllo del giudice, quindi paradossalmente ci si sente più tranquilli. Anche la dignità personale ne giova: il debitore non è più “il furbetto che non paga”, ma un soggetto che sta affrontando responsabilmente la proprie obbligazioni nella sede appropriata.
  • Nessuna sanzione penale o interdizione civile: A differenza del fallimento (che per gli imprenditori implicava il rischio di bancarotta se commettevano irregolarità), qui non ci sono reati propri del sovraindebitato, salvo ovviamente le truffe. Inoltre, non ci sono pene accessorie come l’interdizione dall’impresa. Quindi il debitore non subisce marchi giudiziari se si comporta bene.
  • Trattamento equo di tutti i creditori: Dal punto di vista del sistema, la procedura è un vantaggio anche perché assicura parità di trattamento: ogni creditore riceve il dovuto secondo la sua categoria (privilegiato/chirografo) in percentuale uguale agli altri della sua classe. Si evitano corse al pignoramento e disparità (dove il più veloce prende tutto e gli altri niente). Questo è un principio di giustizia distributiva.

In sintesi, la procedura offre al debitore protezione immediata e soluzione di lungo termine. Gli consente di pagare quello che può, come può, e di cancellare il resto. È una seconda opportunità onesta per riprendersi da un fallimento economico personale, analogamente a come le imprese hanno l’opportunità del concordato o del fallimento liquidatorio con esdebitazione.

7.2. Svantaggi: requisiti stringenti, costi, impatto su patrimonio e credito

Naturalmente, non è tutto rose e fiori. Ci sono anche svantaggi e costi da considerare:

  • Perdita (eventuale) di parte del patrimonio: Se il debitore possiede beni di valore non strettamente necessari, dovrà quasi certamente sacrificarli. Ciò può significare vendere una seconda casa, liquidare investimenti, cedere l’auto di grossa cilindrata, ecc. Anche la prima casa può andare persa in alcuni casi (quando il debito è enorme e non ci sono alternative). Quindi uno svantaggio concreto è che il debitore potrebbe dover rinunciare a proprietà e risparmi accumulati, per quanto doloroso sia, al fine di soddisfare parzialmente i creditori.
  • Impegno finanziario pluriennale: Accedere alla procedura significa anche accettare di vivere in modalità “controllata” per diversi anni. Il budget familiare sarà in parte vincolato- Impegno finanziario pluriennale: Accedere alla procedura significa impegnarsi a rispettare un piano di rientro che può durare diversi anni. Il budget familiare sarà in parte vincolato ai pagamenti stabiliti dal piano, lasciando meno margine per spese discrezionali. Il debitore deve accettare di vivere con uno stile di vita sobrio durante la procedura, tagliando il superfluo e dedicando ai creditori ogni risorsa eccedente il necessario. Questo può essere un sacrificio notevole: per alcuni anni bisognerà “tirare la cinghia” e fare rinunce (vacanze, acquisti costosi, ecc.) per mantenere gli impegni presi.
  • Difficoltà ad ottenere nuovo credito: Durante la procedura, e spesso anche per un periodo successivo, il debitore avrà accesso limitato al credito. Il suo nominativo risulterà nelle banche dati come coinvolto in una procedura concorsuale, il che scoraggia banche e finanziarie dal concedere prestiti. Anche a fine procedura, la reputazione creditizia potrebbe restare compromessa per qualche anno. In pratica, ci si deve aspettare di non poter fare nuovi finanziamenti finché non si sia ricostruita una storia finanziaria positiva post-esdebitazione. Questo aspetto può creare difficoltà, ad esempio, se durante il piano servisse un prestito per un imprevisto: bisognerà farne a meno o trovare soluzioni alternative.
  • Impatto sulla reputazione personale: Anche se la procedura avviene in modo riservato (non viene pubblicata sui giornali, e i dati sono accessibili solo alle parti interessate), il debitore potrebbe provare un certo stigma sociale. Ammettere la propria insolvenza davanti a un giudice e ai creditori è psicologicamente difficile. Alcuni potrebbero temere per la propria reputazione professionale, soprattutto se sono imprenditori o professionisti in comunità ristrette. Tuttavia, va detto che lo stigma è in parte attenuato dal fatto che il sovraindebitamento è ormai visto come un problema diffuso e non come una colpa morale; inoltre la procedura, di per sé, dimostra la volontà del debitore di affrontare e risolvere la situazione, e non di scappare dalle proprie responsabilità.
  • Requisiti stringenti di ammissione: Uno “svantaggio” per chi sperava in una via facile è che la procedura non è aperta a tutti indiscriminatamente. Occorre dimostrare di essere meritevoli e trasparenti. Chi ha compiuto atti disonesti (frodi, distrazione di beni) ne è escluso. In altre parole, non si può abusare della legge per liberarsi di debiti contratti con malafede. Questo non è uno svantaggio per il debitore onesto, ma implica comunque che bisogna sottoporsi a un controllo rigoroso (ad esempio fornire tutti i documenti, accettare che il giudice scrutini la condotta passata). Per alcuni, questa “selezione” può essere vissuta con ansia.
  • Costi e complessità burocratica: Avviare la procedura richiede tempo e denaro. Bisogna raccogliere molti documenti, interfacciarsi con professionisti, tribunale, partecipare alle udienze. È un percorso burocratico e tecnico, non sempre di immediata comprensione per chi non è pratico di legge. Inoltre, come visto, ci sono dei costi (OCC, avvocato, bolli) che il debitore deve anticipare o comunque sostenere. Per chi è già in difficoltà economica, trovare anche solo poche centinaia di euro per iniziare può essere problematico. In tal senso, la procedura può sembrare onerosa e scoraggiante all’inizio, anche se poi i benefici finali la ripagano abbondantemente.
  • Durata della procedura: Benché, come detto, la protezione arrivi subito, resta il fatto che la soluzione definitiva (esdebitazione) arriva solo al termine. Per alcuni anni il debitore rimane “sotto tutela” e deve rispettare certe condizioni. Questo può essere percepito come lungo, soprattutto se confrontato con l’aspettativa (poco realistica) di trovare magari un escamotage immediato. Va però ricordato che senza la procedura i debiti potrebbero perseguitarlo per decenni, quindi qualche anno di piano è comunque un progresso.

In conclusione, la procedura di sovraindebitamento non è indolore: il debitore rinuncia a qualcosa (denaro, beni, riservatezza) in cambio dei benefici ottenuti. È un percorso impegnativo, che richiede serietà e sacrificio. Tuttavia, per la maggior parte delle persone sovraindebitate i vantaggi superano nettamente gli svantaggi: la prospettiva di tornare a una vita normale, libera dai debiti, vale qualche anno di sforzi e il peso di dover “mettere in piazza” la propria situazione economica. L’importante è affrontare la procedura con consapevolezza: sapere a cosa si va incontro e prepararsi adeguatamente, così da minimizzare gli inconvenienti. Nel capitolo seguente esamineremo anche i rischi in caso di mancato rispetto del piano, già accennati, perché rappresentano l’aspetto più critico da evitare.

7.3. Rischi in caso di inadempimento del piano

Merita un approfondimento finale il rischio legato al mancato rispetto del piano o accordo da parte del debitore, poiché è la principale eventualità che potrebbe vanificare gli sforzi fatti.

Come già spiegato, se il debitore non riesce a rispettare gli impegni presi nel piano (ad esempio salta diverse rate, o non liquida un bene entro i termini, o comunque viola le condizioni stabilite), la procedura può essere risolta o revocata dal giudice su istanza dei creditori. In tal caso, i benefici vengono meno e la situazione debitoria ritorna quella iniziale (al netto di quanto eventualmente già pagato, che resta acquisito dai creditori). Questo scenario presenta vari rischi:

  • Il debitore potrebbe aver già sacrificato dei beni (venduto la casa, l’auto, liquidato un TFR) per pagare una parte dei debiti, e se la procedura si risolve si ritroverebbe senza quei beni e con ancora i debiti residui da pagare.
  • Il tempo trascorso potrebbe aver visto aumentare gli interessi sui debiti non pagati integralmente, peggiorando il saldo dovuto.
  • I creditori, delusi dall’esito, potrebbero riprendere le azioni esecutive con ancor più vigore e minor propensione a concordare soluzioni di favore.
  • Il debitore perderebbe la fiducia del tribunale per eventuali nuovi tentativi: ottenere una seconda chance diventerebbe molto difficile.

Per tutte queste ragioni, intraprendere la procedura implica l’impegno serio a portarla a termine. È fondamentale che il piano sia sostenibile, con un margine per fronteggiare piccoli imprevisti, in modo da minimizzare la probabilità di inadempimento. Se durante l’esecuzione del piano il debitore si accorge che sopravviene una difficoltà (perdita di lavoro, spesa medica imprevista, ecc.), è importante informare subito l’OCC e il giudice, invece di accumulare ritardi. In certi casi il tribunale può concedere modifiche o proroghe, se la situazione è temporanea e il debitore ha agito in buona fede.

In sintesi, il rischio maggiore è quello di fallire il piano – ma questo rischio è pienamente sotto il controllo del debitore: con prudenza, impegno e una dose di fortuna (nel non incorrere in sventure ulteriori), la stragrande maggioranza dei piani ben congegnati arriva in porto. La chiave è non promettere più di quanto si possa mantenere e poi mantenere tutto ciò che si è promesso.

8. Esempi Pratici

Per capire meglio come funziona nella realtà la procedura di sovraindebitamento, presentiamo alcuni casi pratici ipotetici ispirati a situazioni comuni. Queste storie mostreranno come diversi profili di debitori possano utilizzare i vari strumenti (piano, accordo, procedura familiare, esdebitazione incapiente) e quali benefici ne traggano.

8.1. Il caso di Maria – Debiti da privato e piano del consumatore

Situazione iniziale: Maria ha 68 anni, vive sola e percepisce una pensione mensile di €1.200. Qualche anno fa ha contratto un prestito personale di €20.000 per aiutare il figlio in difficoltà. Purtroppo il figlio ha perso il lavoro e non ha potuto restituirle nulla; nel frattempo Maria ha usato la carta di credito e altri piccoli finanziamenti per far fronte alle spese quotidiane. Ora si ritrova con debiti verso finanziarie e banca per circa €30.000 (tra capitale e interessi). I creditori minacciano di farle pignorare 1/5 della pensione. Con €1.200 al mese, togliendone €240 di pignoramento, Maria faticherebbe a pagare affitto, bollette e medicine.

Soluzione: Maria si rivolge a un OCC tramite un CAF convenzionato. Dalla valutazione risulta che, stringendo un po’ su alcune spese, può permettersi di pagare €200 al mese ai creditori. Si decide quindi di proporre un piano del consumatore della durata di 5 anni: Maria offrirebbe in totale €12.000 (200×60 mesi), pari a circa il 40% del suo debito. L’OCC aiuta Maria a preparare il piano, evidenziando che:

  • Maria è meritevole (i debiti derivano dall’aver aiutato il figlio e dal costo della vita, non da spese voluttuarie o azzardo).
  • €200/mese è quanto le rimane lasciandole il minimo per vivere dignitosamente.
  • I creditori finanziari, se procedessero col pignoramento, avrebbero sì €240/mese, ma essendo Maria anziana la prospettiva di recupero sarebbe comunque limitata negli anni. Con il piano invece hanno €200/mese sicuri per 5 anni.

Procedura: Il tribunale omologa il piano, riconoscendo la buona fede di Maria e la sostenibilità della proposta. I creditori non si oppongono, anche perché capiscono che è un caso socialmente delicato e che almeno recupereranno una parte in modo certo. Con l’omologazione, viene bloccato il pignoramento della pensione che era già stato avviato.

Maria inizia a pagare puntualmente €200 al mese su un conto controllato dall’OCC. Ormai vive con 1.000 euro al mese invece di 1.200, ma riesce a farcela riducendo alcune spese (ad esempio usufruisce di sconti per anziani e rinuncia a qualche extra). Dopo 5 anni, ha versato i €12.000 previsti. Il tribunale dichiara esdebitata Maria: i €18.000 restanti circa vengono cancellati. Maria ora può godersi l’intera pensione senza più debiti. Ha evitato di precipitare sotto la soglia di povertà e ha risolto il problema in maniera ordinata e definitiva.

Questo esempio mostra come un pensionato possa salvaguardare il proprio tenore di vita minimo utilizzando il piano del consumatore, pagando solo una parte di quanto dovuto e impedendo ai creditori di intaccare la pensione oltre il sostenibile.

8.2. Il caso di Luigi – Debiti d’impresa e accordo con i creditori

Situazione iniziale: Luigi è un artigiano falegname di 45 anni, titolare di una piccola ditta individuale. Negli ultimi anni, a causa di una flessione della domanda nel suo settore e di alcuni clienti che non lo hanno pagato, Luigi ha accumulato debiti: €50.000 con la banca (scoperto di conto e mutuo per il capannone), €30.000 con fornitori di legname, €20.000 di contributi e tasse non versate. Totale €100.000. Luigi possiede il laboratorio (valore stimato €40.000) su cui c’è un’ipoteca della banca e alcuni macchinari. Ha anche una casa di proprietà dove vive con la famiglia, gravata da un mutuo residuo ma finora in regola. Con il calo di lavoro, Luigi riesce appena a pagare le spese correnti, ma non a ridurre i debiti pregressi. I fornitori minacciano decreti ingiuntivi; la banca ventila l’azione ipotecaria sul capannone; l’Agenzia delle Entrate ha iscritto un’ipoteca fiscale subordinata.

Soluzione: Luigi, su consiglio del suo commercialista, si rivolge a un OCC e propone un accordo con i creditori (procedura di concordato minore). Il piano che studiano è il seguente:

  • Vendere un vecchio macchinario inutilizzato ricavando circa €10.000 da destinare subito ai creditori.
  • Continuare l’attività e, proiettando i flussi di cassa futuri, impegnarsi a versare €1.500 al mese per 5 anni (cioè €90.000 in totale) in un conto controllato dall’OCC da ripartire ai creditori.
  • In totale Luigi metterebbe dunque a disposizione €100.000 (10.000 subito + 90.000 rateizzati).
  • Tale somma permetterebbe di pagare integralmente la banca (40.000 € per estinguere lo scoperto e il mutuo residuo, così da liberare l’ipoteca sul laboratorio) e una parte significativa degli altri debiti. In particolare, ai fornitori andrebbe circa il 50% del loro credito, e al Fisco verrebbe destinata una quota a saldo delle imposte.
  • L’accordo prevede anche che Luigi mantenga la continuità aziendale: potrà tenere i macchinari e il capannone durante i 5 anni, così da lavorare e produrre il reddito necessario a pagare le rate.

Procedura: L’OCC trasmette la proposta ai creditori e li convoca. La banca, vedendo che recupererà tutto il suo credito (anche se dilazionato), vota a favore. I fornitori, valutando che in un fallimento di Luigi prenderebbero poco o nulla, apprezzano l’offerta del 50% e votano a favore. L’Erario, che avrebbe grado ipotecario residuo sul capannone dopo la banca, accetta anch’esso sapendo che avrà una parte soddisfatta. Si raggiunge così ben più del 60% di consensi richiesto. Il tribunale omologa l’accordo, rilevando che è stato approvato dalla maggioranza e che nessun creditore resta trattato peggio di come sarebbe in una liquidazione forzata.

Una volta omologato, ogni azione esecutiva individuale cessa. Luigi prosegue la sua attività senza l’incubo di nuovi pignoramenti e con i debiti “congelati” secondo l’accordo. Vende il macchinario come previsto e versa subito €10.000 all’OCC, che li distribuisce ai creditori. Quindi ogni mese versa 1.500 € frutto del suo lavoro. L’OCC monitora i versamenti e ogni trimestre ripartisce le somme a banca, fornitori e Fisco in proporzione.

Esito: Dopo 5 anni, Luigi ha onorato l’accordo versando tutti i €90.000. I creditori chirografari (fornitori) hanno incassato circa la metà del loro credito, che è quanto concordato. Il giudice dichiara adempiuto l’accordo ed esdebitato Luigi per eventuali interessi o importi residui non coperti. Luigi ha dovuto vendere un cespite e stringere la cinghia per anni, ma è riuscito a salvare la sua impresa e il lavoro. Ha evitato di portare i libri in tribunale e di chiudere bottega, e ora che è senza debiti può dedicare le risorse a far crescere di nuovo l’attività.

Questo esempio illustra il tipico caso di un piccolo imprenditore che, tramite un accordo con i creditori, riesce a ristrutturare i debiti e a salvare la propria attività. Senza la procedura, probabilmente la sua bottega sarebbe fallita e i creditori avrebbero recuperato molto meno.

8.3. Il caso di Giulia e Marco – Procedura familiare con debiti comuni

Situazione iniziale: Giulia e Marco sono moglie e marito, quarantenni, con due figli piccoli. Hanno acceso insieme un mutuo per la casa e contratto alcuni prestiti per l’acquisto di un’auto e per far fronte a spese mediche per uno dei bambini. Purtroppo, due anni fa Marco ha perso il lavoro e Giulia, che ha un negozio di abbigliamento, ha visto calare molto il fatturato. Ora la coppia ha:

  • Mutuo casa residuo €120.000 (la casa ne vale circa 100.000; la banca minaccia di agire per le rate arretrate).
  • Prestito auto residuo €10.000 (finanziaria).
  • Altri prestiti personali per €20.000 (diverse finanziarie).
  • Debiti verso fornitori e Fisco legati al negozio di Giulia per €15.000.

Totale circa €165.000. Con i redditi attuali (Marco prende la NASpI di 800 €/mese, Giulia ricava 1.000 €/mese dal negozio) non riescono a sostenere tutte le rate: sono in arretrato col mutuo e con alcuni prestiti.

Soluzione: Invece di procedere singolarmente, Giulia e Marco possono sfruttare la procedura familiare introdotta nel 2022, presentando un’unica domanda con un piano del consumatore congiunto. L’idea è questa:

  • Vendere la loro casa per liberarsi del mutuo: trovano un acquirente disposto a pagarla €100.000, cifra con cui estinguerebbero gran parte del mutuo (la banca accetta di rinunciare a circa €20.000 di credito ipotecario pur di chiudere rapidamente).
  • Una volta andati in affitto (o temporaneamente da parenti), con i redditi rimasti possono destinare €500 al mese al rimborso degli altri debiti (auto, prestiti, fornitori). Propongono quindi di pagare €500/mese per 5 anni, ossia €30.000 totali.
  • In tal modo, sommando i 100.000 della casa e i 30.000 rateizzati, i creditori riceverebbero complessivamente €130.000 a fronte di €165.000 di debiti. La differenza (€35.000 circa) verrebbe stralciata a fine piano.

Procedura: Giulia e Marco depositano il ricorso unico. Il giudice ravvisa che: i debiti hanno origine comune (sostenere la famiglia), loro convivono, e sono meritevoli (la crisi è dovuta alla perdita di lavoro e non a sprechi). Ammette quindi la procedura familiare. La proposta viene comunicata ai creditori: la banca, essendo stata concordata la vendita dell’immobile, non si oppone. Le finanziarie e i fornitori vedono di buon occhio il piano, poiché temono che altrimenti la coppia fallirebbe e avrebbero ancor meno. All’udienza nessuno solleva opposizioni.

Il tribunale omologa il piano familiare. Giulia e Marco vendono la casa, la banca incassa i €100.000 e libera l’ipoteca (perdendo 20.000, ma evitando la lungaggine di un’esecuzione). La famiglia si trasferisce temporaneamente dai genitori di Marco. Iniziano quindi a pagare €500/mese come previsto. Dopo un paio d’anni, fortunatamente Marco trova un nuovo impiego, per cui riescono a mantenere le rate senza problemi.

Esito: Trascorsi i 5 anni, Giulia e Marco hanno versato i €30.000 promessi. Tutti i creditori chirografari (finanziarie, fornitori) hanno ricevuto una percentuale dei loro crediti e la considerano soddisfacente. Il giudice dichiara esdebitata l’intera famiglia per i debiti residui non pagati. Giulia e Marco, pur avendo dovuto rinunciare alla casa di proprietà, ora sono senza debiti e con uno stipendio e un piccolo negozio ancora attivo. Possono programmare il futuro con più serenità e magari tra qualche anno pensare di acquistare una nuova casa più piccola.

Questo esempio evidenzia l’utilità della procedura familiare: una coppia sovraindebitata ha potuto presentare un unico piano congiunto, riducendo tempi e costi, e coordinando la soluzione dei debiti comuni. Inoltre, mostra la combinazione di misure (liquidazione della casa + piano di rientro) all’interno di un’unica procedura, per massimizzare il recupero ai creditori senza compromettere la ripartenza della famiglia.

8.4. Il caso di un debitore incapiente – Esdebitazione senza utilità

Situazione iniziale: Paolo ha 55 anni ed era un piccolo imprenditore edile. La sua impresa è fallita tre anni fa e lui è rimasto con debiti personali per €70.000 (fideiussioni escusse dalle banche e cartelle esattoriali per contributi non versati). Paolo ha perso anche la casa (venduta all’asta dalla banca) e ora vive ospite da un parente. Non possiede immobili, auto né altri beni di valore; sopravvive con lavoretti saltuari in nero e qualche aiuto economico dalla famiglia. La sua salute è precaria (ha subito un intervento cardiaco). In pratica Paolo non ha alcuna risorsa per pagare i creditori. Questi ultimi, di tanto in tanto, gli mandano solleciti e decreti, ma non trovando beni da aggredire non recuperano nulla. Tuttavia i €70.000 di debiti pendono su Paolo come una spada di Damocle: se ufficialmente trovasse un lavoro o ereditasse qualcosa, i creditori glielo prenderebbero.

Soluzione: Paolo si rivolge all’OCC di zona e, con l’aiuto gratuito di un avvocato di un’associazione dei consumatori, presenta istanza di esdebitazione del debitore incapiente. Nel ricorso dichiara:

  • di essere in stato di insolvenza conclamata, senza beni né redditi (allega ISEE pari a zero, certificato di disoccupazione, stato di famiglia per attestare che vive a carico di terzi);
  • che i debiti derivano dal fallimento della sua impresa a seguito della crisi edilizia, evento a lui non imputabile soggettivamente (nessuna frode o distrazione);
  • che ha già subito l’esecuzione sui pochi beni che aveva (la casa), e che continuare a tenerlo gravato dai debiti residui è inutile e pregiudizievole per la sua ripresa;
  • chiede pertanto la cancellazione di tutti i debiti ai sensi dell’art. 14-quaterdecies L.3/2012 (ora art. 283 CCII), impegnandosi a comunicare eventuali miglioramenti futuri della propria condizione nei limiti di legge.

Il giudice esamina la situazione e convoca i creditori per sentirli. Un paio di banche inviano osservazioni sostenendo (senza prove concrete) che Paolo in passato guadagnava bene e insinua che possa aver nascosto dei soldi. L’OCC nella sua relazione però attesta di aver controllato tutte le movimentazioni senza trovare irregolarità: Paolo, semplicemente, ha usato i soldi quando li aveva per tenere in piedi l’azienda e poi per vivere, e ora è nullatenente. Verificata l’assenza di opposizioni fondate, il tribunale accoglie l’istanza e dispone l’esdebitazione di Paolo. Nel decreto viene precisato che se entro 4 anni Paolo dovesse conseguire utilità rilevanti (ad esempio eredità, vincite) dovrà darne comunicazione ai creditori fino a concorrenza del 10% dei debiti.

Esito: Con questo provvedimento, i €70.000 di debiti di Paolo sono cancellati. I creditori non possono più pretendere nulla da lui. Paolo, pur rimanendo povero, ora può cercare un lavoro regolare senza la paura che il primo stipendio gli venga subito pignorato per vecchi debiti. Infatti, qualche mese dopo trova un impiego part-time come custode (stipendio €600). Poiché questa somma serve appena a mantenerlo e comunque rappresenta meno del 10% dei 70.000 (sarebbero 7.000 €), Paolo non deve versare nulla ai creditori e può tenersi i suoi €600 mensili per cercare di ricominciare.

Questo esempio estremo mostra la funzione “sociale” dell’esdebitazione dell’incapiente: dare una via d’uscita a chi ha perso tutto ma sarebbe altrimenti condannato a restare inseguito dai debiti a vita. Il debitore viene liberato dai debiti residui senza pagare nulla, perché davvero nulla ha da offrire; in cambio assume l’obbligo morale e legale di condividere con i creditori almeno una parte di eventuali inaspettati colpi di fortuna entro i 4 anni successivi.

9. Documenti e Modelli Utili

In questa sezione finale forniamo indicazioni sui documenti tipici della procedura di sovraindebitamento e alcuni modelli semplificati, per aiutare a comprendere come presentare una domanda o predisporre un piano. Ricordiamo che spesso gli OCC e i tribunali mettono a disposizione fac-simili ufficiali, ma qui daremo un’idea generale.

9.1. Fac-simile di domanda di accesso alla procedura

La domanda di accesso (il ricorso introduttivo al tribunale) è un atto formale che è preferibile sia redatto da un avvocato. Tuttavia, ecco uno schema indicativo di come potrebbe apparire:

TRIBUNALE ORDINARIO DI [Città]
Ricorso ex Legge 3/2012 (Codice della Crisi) – Composizione della crisi da sovraindebitamento

Ricorrente: Sig. Mario Rossi, nato a … il …, C.F. …, residente in …, elettivamente domiciliato presso …, rappresentato e difeso dall’Avv. … del Foro di …, come da procura in calce. (Se c’è un OCC nominato:) Assistito dall’Organismo di Composizione della Crisi di …, Gestore nominato Dott. … .

Oggetto: Procedura di sovraindebitamento – richiesta di omologazione di Piano del Consumatore (ovvero Accordo di composizione, ovvero Apertura Liquidazione controllata).

Premesso che:

  1. Il Sig. Rossi versa in uno stato di sovraindebitamento ai sensi dell’art. 6, co. 2, lett. a) L.3/2012, trovandosi nell’impossibilità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni. In particolare, risulta esposto verso i seguenti creditori per i seguenti importi:
    Banca Alfa S.p.A.: €25.000 (prestito personale chirografario);
    Finanziaria Beta S.r.l.: €10.000 (credito revolving da carta di credito);
    Agenzia delle Entrate-Riscossione: €5.000 (cartelle esattoriali IRPEF);
    (elencare tutti i debiti, distinguendo se chirografari o privilegiati).
  2. Le cause del sovraindebitamento sono da ravvisarsi nella significativa riduzione del reddito del ricorrente a seguito del licenziamento subito in data … e nelle contestuali spese straordinarie sostenute per motivi di salute. Tali eventi, estranei alla volontà del ricorrente, hanno compromesso l’equilibrio economico-finanziario familiare.
  3. Il ricorrente è proprietario unicamente di un’autovettura usata (valore stimato €3.000) e di beni mobili di modesto valore ad uso domestico. Non possiede immobili né altri cespiti patrimoniali di rilievo. Per contro, percepisce un reddito mensile netto di circa €1.100 (indennità di disoccupazione NASpI), attualmente in scadenza nel mese di … .
  4. Il ricorrente non ha posto in essere atti in frode ai creditori, né ha aggravato la propria esposizione con dolo o colpa grave. Tutti i debiti sono stati contratti in epoca antecedente al verificarsi degli eventi di cui sopra e nella ragionevole prospettiva, allora sussistente, di poter farvi fronte.
  5. Presso l’Organismo di Composizione della Crisi di … è stato predisposto apposito Piano del Consumatore ex art. 8 L.3/2012, che si allega, unitamente alla relazione particolareggiata redatta in data … dal Gestore della crisi nominato, Dott. …. Dal piano risulta che la soddisfazione dei creditori prevista risulta più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria pura, come attestato dall’OCC.
  6. In particolare, il piano prevede il pagamento integrale del credito privilegiato di Agenzia Entrate (€5.000) e un pagamento parziale in misura pari al 30% circa dei crediti chirografari di Banca Alfa e Finanziaria Beta, come meglio dettagliato oltre. La parte di debito incapiente (stimata in circa €17.000) sarà oggetto di esdebitazione a esito positivo della procedura.

Tutto ciò premesso, il Sig. Mario Rossi, come sopra generalizzato,

CHIEDE

che l’Ill.mo Tribunale adito voglia:

omologare il Piano del Consumatore presentato dal ricorrente in data …, ai sensi degli artt. 12-bis L.3/2012 e 67 D.Lgs. 14/2019, con ogni conseguente provvedimento di legge;

– disporre in particolare, sin d’ora, la sospensione di eventuali procedure esecutive in corso ad istanza dei creditori chirografari (è pendente pignoramento mobiliare R.G.E. …/…, Tribunale di …, promosso da Finanziaria Beta;

– dichiarare, a completamento dell’esecuzione del piano, la esdebitazione del ricorrente per i debiti residui non soddisfatti.

Illustra, ai fini dell’omologazione, quanto segue:

– Il Piano del Consumatore di cui si chiede l’omologa prevede che il Sig. Rossi versi mensilmente €300 per 36 mesi, per un totale di €10.800, affinché i creditori chirografari vengano soddisfatti pro quota al 30% circa del loro credito originario. Tale importo è stato determinato tenuto conto della reale capacità contributiva del debitore, al netto delle spese essenziali di mantenimento proprie e del proprio nucleo familiare. Si evidenzia che la rata mensile proposta rappresenta circa il 27% del reddito attuale del ricorrente, percentuale compatibile con un dignitoso mantenimento.

– In aggiunta, il ricorrente si impegna a destinare ai creditori il ricavato della vendita della propria autovettura (stimato in €3.000), che sarà effettuata entro 6 mesi dall’omologazione con l’assistenza dell’OCC. Tale somma verrà interamente corrisposta al creditore Agenzia Entrate-Riscossione a soddisfacimento integrale del suo credito privilegiato.

– Con le risorse complessive così raccolte (€13.800), il piano consentirà di pagare: Agenzia Entrate-Riscossione per €5.000 (100% del credito privilegiato) e di ripartire i restanti €8.800 tra Banca Alfa e Finanziaria Beta in percentuale proporzionale ai rispettivi crediti (pari a circa il 30%). I crediti chirografari verranno pertanto falcidiati per la parte eccedente tale percentuale.

– Si evidenzia che in caso di liquidazione giudiziale del patrimonio del ricorrente, l’unico attivo disponibile sarebbe la vendita dell’autovettura per €3.000, il cui ricavato sarebbe interamente assorbito dal credito privilegiato dell’Erario (e nemmeno integralmente). I creditori chirografari non otterrebbero nulla. Pertanto, il piano in oggetto risulta più vantaggioso per i creditori rispetto all’alternativa liquidatoria, come attestato dal Gestore nella relazione allegata.

– Il debitore svolge condotta cooperativa e trasparente: ha depositato l’elenco di tutti i creditori, anche di quelli per importi minimi, nonché l’inventario dei beni ed ogni documento utile. Dichiara di non aver fatto ricorso ad altre procedure di composizione nei precedenti 5 anni né di aver subito atti di frode. La sua condotta passata risulta esente da profili di malafede: la crisi è sopravvenuta per cause esterne, come documentato (cfr. lettera di licenziamento e certificati medici allegati).

– Si chiede, inoltre, che in caso di eventuali lievi scostamenti nella ripartizione delle somme tra i creditori (ad es. per spese procedurali superiori al preventivato), il tribunale voglia comunque omologare il piano applicando eventualmente i poteri di adeguamento di cui all’art. 12-bis, co.3-quater L.3/2012, ferma restando la percentuale minima del 30% garantita ai creditori chirografari.

Documenti allegati:

  1. Piano del Consumatore depositato presso OCC il …;
  2. Relazione particolareggiata OCC ex art. 9, co.3-quinquies L.3/2012;
  3. Elenco nominativo dei creditori con indicazione somme dovute;
  4. Dichiarazione sostitutiva di atto notorio circa l’assenza di atti in frode;
  5. Inventario dei beni del debitore e attestazione di non possesso di immobili;
  6. Documentazione reddituale (CU, estratti conto bancari ultimi 6 mesi, ecc.);
  7. Documentazione attestante le cause della crisi (lettera licenziamento, certificati medici);
  8. Eventuale documentazione afferente il merito creditizio dei creditori (es. estratto CRIF).

Si dichiara sin d’ora la disponibilità a fornire ogni ulteriore informazione o integrazione documentale richiesta dall’Ill.mo Tribunale.

Luogo, data.

Firma: Avv. ________ (difensore) – Gestore OCC Dott. ________ – Sig. Mario Rossi (debitore)


Questo fac-simile è ovviamente adattabile ai diversi casi. Ad esempio, per un accordo con i creditori il ricorso includerà la percentuale di voto raggiunta e la richiesta di omologa dell’accordo, evidenziando il rispetto delle maggioranze. Per la liquidazione, sarà più breve: si chiederà l’apertura della liquidazione, indicando nominativi creditori e beni da liquidare (allegando l’elenco analitico) e dichiarando la disponibilità a liquidare tutto, con allegata la relazione OCC che certifica l’assenza di alternative migliori.

L’importante, nella stesura, è convincere il giudice della sussistenza di tutti i requisiti (soggettivi e oggettivi) e della bontà della soluzione proposta. Un ricorso chiaro, ben documentato e completo facilita l’accoglimento della domanda.

9.2. Esempio di piano di rientro dei debiti

All’interno del ricorso (come sopra) si inserisce già la descrizione del piano, ma spesso si allega anche uno schema o una tabella riassuntiva del piano di rientro dei debiti, per chiarezza. Ad esempio, riferendoci al caso di Mario Rossi sopra menzionato, potremmo avere:

Schema del Piano di Pagamento (Mario Rossi)

  • Agenzia Entrate-Riscossione (credito privilegiato €5.000): pagamento integrale entro 6 mesi dall’omologa, con il ricavato della vendita dell’auto.
  • Banca Alfa (credito chirografario €25.000): pagamento di €7.500 (30%) in 36 rate mensili post-omologa tramite OCC.
  • Finanziaria Beta (credito chirografario €10.000): pagamento di €3.000 (30%) in 36 rate mensili post-omologa tramite OCC.
  • Totale versamenti: €5.000 + €10.500 = €15.500 in 3 anni.
  • Debito falcidiato: €17.500 circa, soggetto a esdebitazione finale.

Le rate mensili post-omologa sarebbero di €291,67 complessivi (di cui €208,33 destinate a Banca Alfa e €83,34 a Beta, pro quota). L’OCC raccoglierà tali importi e li distribuirà periodicamente. È previsto un monitoraggio annuale del piano: l’OCC relazionerà il tribunale sull’avvenuto pagamento delle rate.

(Fine schema.)

Un simile prospetto aiuta il giudice e i creditori a visualizzare la ripartizione e le tempistiche. Naturalmente nei casi di accordo con molti creditori ci saranno tabelle più complesse, magari con percentuali diverse per classi di creditori (ad esempio: 100% ai privilegiati in tot anni, 40% ai chirografari in tot anni, etc.).

9.3. Altri documenti chiave (relazione OCC, attestazioni, ecc.)

Oltre al ricorso e al piano, vale la pena menzionare altri documenti fondamentali nella procedura:

  • Relazione particolareggiata dell’OCC: redatta dal gestore della crisi, è un documento richiesto dalla legge (art. 9, co.3-quinquies L.3/2012) in cui l’OCC attesta la veridicità dei dati forniti dal debitore e dà un parere sulla fattibilità del piano e sull’eventuale convenienza per i creditori. Nella relazione, l’OCC evidenzia anche elementi su meritevolezza e merito creditizio (ad esempio, se il debitore ha contratto debiti proporzionati alle sue capacità o se ci sono creditori che hanno concesso credito imprudentemente). Questa relazione ha un grande peso: spesso il giudice si basa su di essa per decidere se omologare. Pertanto, è importante che il debitore collabori con l’OCC affinché sia dettagliata e accurata.
  • Attestazioni di meritevolezza e assenza di atti in frode: di solito il debitore allega una propria dichiarazione (spesso nella forma di autocertificazione) in cui conferma di: non aver distratto beni, non aver usufruito di altre procedure nei tempi vietati, non aver aggravato la situazione volontariamente. È un modo per formalizzare il rispetto dei requisiti soggettivi, ferma restando la verifica oggettiva svolta dall’OCC.
  • Situazione aggiornata fiscale e previdenziale: è utile allegare certificati o estratti che mostrino le posizioni con il Fisco e gli enti previdenziali (ad esempio, estratto Equitalia, DURC se pertinente). Questo sia per trasparenza, sia perché i debiti verso Erario e INPS hanno spesso regole specifiche di trattamento nel piano (ad esempio, alcuni tributi non possono essere falcidiati se non in liquidazione, come l’IVA in precedenza).
  • Stato di famiglia e certificati eventuali: per piani del consumatore, si allegano spesso documenti sul nucleo familiare (per dimostrare quante persone il debitore deve mantenere) e su eventuali condizioni particolari (es. invalidità, malattie) che giustificano spese extra o riduzione di reddito. Ad esempio, se parte del sovraindebitamento deriva da spese mediche, allegare le fatture delle cure e un certificato medico rafforza la posizione del debitore come “meritevole” per cause sfortunate.
  • Eventuali accordi di voto dei creditori (per l’accordo): se alcuni creditori hanno già comunicato formalmente l’assenso alla proposta, può essere utile allegarlo, anche se poi voteranno ufficialmente secondo la procedura. Ad esempio, una banca può inviare una lettera in cui dichiara che voterà a favore dell’accordo proposto: allegarla mostra al giudice che c’è già consenso concreto.
  • Calcolo comparativo scenario liquidatorio: molti OCC allegano un prospetto che confronta quanto i creditori otterrebbero in caso di liquidazione rispetto a quanto offre il piano/accordo. Questo per dimostrare la convenienza della proposta. Tali calcoli includono stime di realizzo beni, tempi e costi. Non è un documento obbligatorio per legge (il Codice lo richiede espressamente per il concordato minore), ma è consigliabile inserirlo.

Da notare che la mancata produzione di qualche documento non è necessariamente fatale se poi lo si porta all’udienza. Ma è sicuramente preferibile depositare tutto il necessario fin da subito, per evitare rinvii o dubbi.

Infine, dopo l’omologazione, l’OCC produrrà i verbali di distribuzione delle somme e, a fine piano, una relazione conclusiva. Il debitore esdebitato può chiedere copia del decreto di esdebitazione per usarlo all’occorrenza (ad es. per far cancellare segnalazioni o bloccare eventuali atti di recupero residui).

10. Conclusione

La procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento prevista dalla Legge 3/2012 (oggi integrata nel Codice della Crisi) rappresenta una ancora di salvezza per molte persone e famiglie strangolate dai debiti. Nel corso di questa guida pratica abbiamo visto come funziona: dai requisiti per accedervi, passando per le varie tipologie di strumenti (piano del consumatore, accordo, liquidazione, esdebitazione dell’incapiente), fino alle fasi operative e agli effetti finali.

Si tratta di un percorso impegnativo ma liberatorio. Il debitore onesto, con l’aiuto di professionisti qualificati (OCC, avvocati), viene accompagnato a riorganizzare i propri debiti in modo sostenibile: si mette ordine nel caos, si ferma l’aggressione dei creditori e si stabilisce cosa e quanto potrà pagare, tenendo conto delle sue reali possibilità. In cambio di questo sforzo ordinato e controllato dal tribunale, ottiene alla fine il beneficio più grande: l’esdebitazione, cioè la cancellazione dei debiti residui che altrimenti lo perseguiterebbero a vita. È, a tutti gli effetti, un nuovo inizio – quello che in inglese si chiama fresh start.

Abbiamo sottolineato come la legge sia disegnata per evitare abusi: solo chi è in buona fede può beneficiarne, e comunque non c’è arricchimento indebito per il debitore (che deve dare ai creditori tutto il suo surplus). Ma al contempo, le riforme recenti l’hanno resa più accessibile e flessibile: pensiamo alla procedura familiare congiunta che evita duplicazioni di costi, o alla possibilità di liberarsi dei debiti anche per chi proprio non ha nulla (debitore incapiente). Strumenti innovativi che mostrano una sensibilità crescente verso il dramma sociale del sovraindebitamento.

Per il pubblico generale – a cui questa guida è rivolta – è importante soprattutto comprendere che una via d’uscita esiste. Se ci si trova oppressi dai debiti e non si vede soluzione, rivolgersi per tempo a un Organismo di Composizione della Crisi o a un consulente esperto può davvero cambiare le prospettive. Spesso la parte più difficile è fare il primo passo, ovvero affrontare apertamente la situazione di insolvenza: la legge 3/2012 incoraggia a farlo, mettendo a disposizione un percorso chiaro e garantito. Ignorare il problema o affidarsi a rimedi miracolosi (che purtroppo a volte vengono proposti da soggetti senza scrupoli) può portare solo a peggiorare le cose.

Questa guida, aggiornata ad aprile 2025, tiene conto delle ultime novità normative e pratiche. Naturalmente, ogni caso concreto ha le sue specificità e andrà analizzato dettagliatamente con l’aiuto di professionisti competenti. Ci auguriamo però che le informazioni fornite abbiano reso più comprensibile come funziona la procedura e abbiano dissipato eventuali timori infondati. La strada del sovraindebitamento non va percorsa da soli: occorre il supporto di esperti e l’autorizzazione del tribunale, ma sapendo questo, si può affrontarla con fiducia e determinazione.

In conclusione, la procedura di sovraindebitamento è un strumento prezioso di giustizia sociale, che bilancia le esigenze dei creditori con il diritto del debitore ad una seconda opportunità. Usarla responsabilmente significa dare sollievo a situazioni altrimenti disperate, permettendo a persone oneste di tornare a contribuire all’economia senza il fardello di debiti insostenibili. Come recita spesso la giurisprudenza, lo stato – attraverso questa legge – tende una mano al debitore sommerso dai debiti, purché questi collabori lealmente e faccia la sua parte.

Se vi trovate dunque in circostanze simili a quelle descritte negli esempi, sappiate che non siete soli e che la legge offre un percorso per risollevarvi. Informatevi presso gli appositi sportelli (molti Ordini degli Avvocati o dei Commercialisti hanno sportelli sovraindebitamento), raccogliete coraggio e documenti, e valutate seriamente l’accesso alla procedura. Può sembrare un cammino lungo, ma conduce alla liberazione dal debito e alla possibilità di ricominciare. E questo, per molti, non ha prezzo.

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