Gestire una media azienda in crisi a causa di un eccessivo indebitamento è una sfida complessa, ma esistono strumenti legali efficaci per ridurre i debiti e recuperare stabilità. Questa guida pratica è rivolta agli imprenditori di medie imprese che si trovano in difficoltà finanziaria e cercano soluzioni concrete per uscire dalla crisi senza ricorrere alla chiusura immediata dell’attività.
L’obiettivo è fornire un percorso passo per passo, in un linguaggio chiaro e accessibile, attraverso le varie strategie legali disponibili per ristrutturare i debiti aziendali. Non ci concentreremo su tattiche operative o finanziarie generiche (come taglio dei costi o aumento dei ricavi), ma esclusivamente sugli strumenti previsti dall’ordinamento italiano per gestire e ridurre il passivo in modo legale e strutturato.
Nelle sezioni seguenti esamineremo dapprima come riconoscere una situazione di crisi debitoria e quali sono gli obblighi di legge per gli amministratori. Successivamente passeremo in rassegna le diverse opzioni di ristrutturazione del debito, dagli accordi stragiudiziali con i creditori (come piani di rientro e saldo e stralcio) agli strumenti concorsuali veri e propri (come i piani attestati di risanamento, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, il concordato preventivo e la liquidazione volontaria). Per ciascuna strategia forniremo spiegazioni pratiche, esempi concreti di applicazione, checklist operative e modelli di documenti (come fac-simile di piani di rientro del debito), in modo da rendere la guida uno strumento operativo.
Grazie alle riforme introdotte dal nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, oggi le imprese in difficoltà dispongono di un’ampia gamma di procedure per affrontare la crisi e tentare il risanamento. Nelle prossime sezioni vedremo come scegliere e utilizzare al meglio questi strumenti per ridurre i debiti della vostra azienda ed evitare il tracollo finanziario.
Ma andiamo ora ad approfondire con Studio Monardo, gli avvocati che aiutano le aziende a ridurre i debiti con strategie legali chiare e sostenibili:
Come capire se la vostra azienda è in crisi finanziaria
Prima di intraprendere qualsiasi iniziativa di risanamento, è fondamentale riconoscere per tempo lo stato di crisi della propria azienda e comprenderne la gravità. In termini generali, si parla di crisi d’impresa quando l’azienda si trova in una situazione di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l’insolvenza se non si interviene. In altre parole, l’accumulo di debiti diventa problematico quando la società non è più in grado di sostenere regolarmente le proprie obbligazioni con le risorse finanziarie e i flussi di cassa a disposizione.
Segnali di allarme di una crisi debitoria
Il Codice della Crisi d’Impresa elenca alcuni indicatori precisi di crisi che gli imprenditori e gli amministratori devono tenere sotto controllo. Tra i principali segnali di allarme di una crisi finanziaria vi sono:
- Difficoltà nei pagamenti correnti: ritardi o mancati pagamenti verso fornitori, dipendenti, fiscali (imposte) e previdenziali (contributi).
- Tensione di liquidità: uso costante di scoperti di conto bancario o nuovi finanziamenti a breve termine solo per coprire spese ordinarie.
- Indebitamento crescente: aumento continuo dell’esposizione verso banche o altri creditori senza un corrispondente incremento dei ricavi o dei flussi di cassa.
- Richieste di dilazione da parte dell’azienda: la necessità di chiedere ai creditori proroghe o piani di rientro per far fronte alle scadenze.
- Segnalazioni negative e credibilità ridotta: allarmi dalle centrali rischi bancarie, rating creditizi in peggioramento e crescente difficoltà ad accedere a nuovo credito.
- Misure tampone ripetute: ricorso frequente a soluzioni come rinegoziazioni, moratorie o ristrutturazioni informali solo per evitare azioni esecutive dei creditori (pignoramenti, decreti ingiuntivi, ecc.), senza risolvere a monte il problema.
Quando più di uno di questi sintomi si manifestano contemporaneamente, la crisi dell’azienda è probabilmente già in fase avanzata e richiede interventi immediati.
Un altro indicatore importante è il rapporto eccessivo tra debiti e patrimonio. Se l’indebitamento complessivo supera di parecchie volte il capitale proprio (ad esempio 3-4 volte superiore al patrimonio netto) o se l’azienda accumula perdite che erodono il patrimonio, significa che la struttura finanziaria non è equilibrata. Altri segnali tecnici di indebitamento insostenibile includono un Margine Operativo Lordo (MOL) insufficiente a coprire gli oneri finanziari (interessi sul debito) e un cash flow operativo negativo per più esercizi consecutivi In queste condizioni, l’azienda rischia di entrare in una spirale pericolosa dove, mancando la liquidità per le spese correnti, si accumulano ulteriori debiti e si avvicina lo stato di insolvenza conclamata.
L’Obbligo di attivarsi tempestivamente
La legge oggi impone agli amministratori delle società di monitorare costantemente lo stato di salute finanziaria dell’azienda e di attivarsi senza indugio ai primi segnali di difficoltà. Ignorare i sintomi di crisi o ritardare gli interventi può aggravare il dissesto e comportare anche responsabilità personali. Il Codice della Crisi d’Impresa richiede l’adozione di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” proprio per rilevare squilibri e prevenire la perdita della continuità aziendale.
In pratica, ciò significa che l’imprenditore (o gli amministratori, nel caso di società) ha il dovere di sorvegliare indici come quelli descritti sopra e, se emerge una situazione di squilibrio, deve prendere iniziative tempestive per evitare che la situazione degeneri. Questo può includere l’attivazione di una delle procedure di allerta o di composizione della crisi previste dalla legge, oppure misure immediate come la ricapitalizzazione dell’azienda o la rinegoziazione urgente dei debiti.
Da sottolineare che agire presto non è solo consigliabile, ma è un vero obbligo legale. In caso di fallimento (ora liquidazione giudiziale) successivo, gli organi della procedura potrebbero chiamare a rispondere gli amministratori per mala gestio se si dimostra che hanno tardato colpevolmente nell’affrontare la crisi, causando un aggravamento del passivo. Al contrario, un intervento tempestivo offre più strumenti e probabilità di successo nel risanamento.
Nei paragrafi seguenti, daremo per assodata l’individuazione della crisi. Una volta riconosciuto che la vostra azienda ha un problema di debiti insostenibili, occorre valutare quale strategia legale di risanamento adottare. Riassumendo questa prima fase di analisi preliminare:
Checklist – Fase di diagnosi della crisi:
- Valutare se sono presenti segnali di allarme (pagamenti in ritardo, tensione di cassa, ecc.) e quanti.
- Misurare gli indici finanziari chiave (rapporto debiti/patrimonio netto, MOL/interessi passivi, cash flow) per capire la gravità dello squilibrio.
- Verificare l’esistenza di perdite significative a bilancio e l’eventuale necessità di ricapitalizzazione ai sensi del Codice Civile (art. 2447 per S.p.A., 2482-ter per S.r.l., in caso di patrimonio netto negativo).
- Coinvolgere subito i professionisti interni o esterni (direttore finanziario, commercialista, consulente legale) per avere un quadro chiaro della situazione debitoria.
- Prendere atto degli obblighi legali di intervento tempestivo e prepararsi a studiare le opzioni di ristrutturazione del debito previste dalla normativa.
Una volta acquisita piena consapevolezza della situazione, si può passare alla scelta dello strumento più idoneo per ridurre i debiti ed evitare il tracollo finanziario.
Come Funzionano Gli Accordi Stragiudiziali Con I Creditori Di Un’Azienda In Crisi
In linea di massima, conviene tentare dapprima soluzioni stragiudiziali (accordi volontari), meno onerose e più rapide, ricorrendo agli strumenti giudiziali solo se quelli privati non bastano. La via preferenziale, se praticabile, consiste quindi nel trovare un accordo stragiudiziale con i creditori. In sostanza, l’imprenditore negozia direttamente con ciascun creditore (o con gruppi di creditori) nuove condizioni di pagamento del debito, in modo da renderlo sostenibile per l’azienda. I due schemi più comuni sono:
- Piani di rientro del debito: il creditore concede più tempo per pagare, accettando una dilazione in rate del debito.
- Saldo e stralcio: il creditore accetta di rinunciare a una parte del credito, incassandone subito una porzione a saldo finale.
Queste soluzioni non richiedono omologazione da parte di un tribunale e possono essere attuate con semplice accordo scritto tra le parti. È però essenziale formalizzare bene l’intesa, per evitare malintesi e tutelarsi reciprocamente.
Suggerimento: Nelle trattative private con i creditori, comunicare in modo proattivo e trasparente è cruciale. È consigliabile inviare una lettera o PEC al creditore spiegando la situazione di difficoltà (ad esempio un calo di fatturato improvviso o insolvenze subite) e proponendo concretamente una soluzione. Mostrate la vostra volontà di pagare il debito e perché la proposta conviene anche al creditore (ad esempio, evidenziando che incasserà più rapidamente e con certezza rispetto a un’azione legale incerta e lunga). Mantenere un tono professionale e collaborativo può facilitare l’accordo.
Di seguito vediamo in dettaglio i due tipi di accordo stragiudiziale citati, con esempi e modelli.
Come funziona il piano di rientro del debito (pagamento dilazionato) per un’azienda in difficoltà
Un piano di rientro è un accordo in base al quale il debitore si impegna a pagare integralmente il proprio debito, ma in modo rateale e in un periodo di tempo più lungo rispetto alle scadenze originarie. In pratica, il creditore concede una dilazione, spesso sospendendo temporaneamente interessi e azioni legali, purché il debitore rispetti il calendario di pagamenti concordato. Questo strumento alleggerisce la pressione finanziaria immediata sul debitore, che non deve reperire subito tutta la somma dovuta, e contemporaneamente offre al creditore la prospettiva di recuperare il credito senza dover ricorrere a costose azioni giudiziarie.
Quando utilizzarlo: il piano di rientro è indicato quando l’azienda ha difficoltà di liquidità temporanee, ma a medio termine dispone di risorse per pagare i debiti per intero (ad esempio aspettando incassi futuri o una ripresa delle vendite). È preferibile se il creditore non è disposto a tagliare l’importo dovuto, ma può accettare di aspettare.
Come funziona: debitore e creditore definiscono un importo della rata e una durata del piano in mesi. Spesso il debitore riconosce formalmente il debito residuo in un documento scritto e può rilasciare delle garanzie aggiuntive per rassicurare il creditore. Ad esempio, è prassi fornire cambiali mensili pari alle rate concordate, che il creditore potrà incassare alle relative scadenze. In alternativa, il piano può essere formalizzato con una scrittura privata in cui si dettagliano le date e gli importi di ogni pagamento. È fondamentale prevedere cosa accade in caso di mancato pagamento di una rata (di solito si stabilisce che in caso di ritardo significativo o mancato pagamento di una o più rate, l’accordo si risolve e il creditore potrà agire per l’intero importo residuo in un’unica soluzione).
Esempio pratico – Piano di rientro rateale: La società Alfa S.r.l. ha un debito di €50.000 verso un fornitore, scaduto da qualche mese. Dopo una negoziazione, Alfa e il fornitore trovano un accordo: Alfa riconosce l’intero debito di €50.000 e si impegna a pagarlo in 24 rate mensili da circa €2.083 ciascuna. A garanzia, Alfa emette 24 cambiali mensili di pari importo intestate al fornitore. Le parti firmano un accordo scritto che specifica il piano di rientro. Se Alfa S.r.l. paga puntualmente tutte le rate, eviterà qualsiasi azione legale e manterrà il rapporto commerciale col fornitore; dal canto suo il fornitore recupererà il 100% del credito (seppur con ritardo) senza affrontare le spese di un recupero forzoso.
Ecco come potrebbe presentarsi, in forma semplificata, un fac-simile di accordo per un piano di rientro del debito:
Fac-simile Piano di Rientro del Debito:
Debito totale riconosciuto: €50.000 (cinquantamila/00)
Modalità di pagamento: n. 24 rate mensili di €2.083 ciascuna, a partire dal 1° marzo 2025 sino al 1° febbraio 2027.
Garanzia: emissione di n. 24 cambiali mensili da €2.083 cadauna, con scadenza alle date di pagamento sopra indicate.
Condizioni particolari: in caso di mancato pagamento di due rate consecutive, l’accordo si intenderà risolto di diritto e il credito residuo tornerà immediatamente esigibile per intero.
Impegni del creditore: per tutta la durata del piano, il fornitore si impegna a non intraprendere azioni legali esecutive sul debito oggetto di accordo, salvo il caso di risoluzione per inadempimento.
(Data, firma del legale rappresentante della debitrice e del creditore per accettazione)
Checklist – Come negoziare e formalizzare un piano di rientro:
- Preparazione: Analizzare la propria capacità finanziaria per determinare una rata sostenibile e un periodo realistico di rientro. Meglio proporre rate leggermente inferiori a quelle massime possibili, per avere margine di sicurezza.
- Contatto iniziale: Presentare al creditore (meglio per iscritto) la richiesta di dilazione, riconoscendo il debito e spiegando sinteticamente le ragioni della difficoltà temporanea.
- Proposta concreta: Indicare chiaramente importo delle rate e tempistiche di pagamento che siete in grado di rispettare. Se possibile, offrire una piccola anticipo iniziale sul debito come segno di buona fede (ad esempio, “€5.000 subito e il resto in 24 mesi”).
- Garanzie: Valutare di offrire garanzie semplici a supporto (cambiali, o il coinvolgimento di un garante/fideiussore) per rendere il creditore più tranquillo nell’accettare la dilazione.
- Accordo scritto: Redigere un accordo scritto dettagliato, con data certa, in cui si riconosce il debito iniziale e si elencano tutte le rate con relative scadenze. Inserire la clausola risolutiva in caso di inadempimento e la dichiarazione del creditore di sospendere le azioni esecutive.
- Rispetto del piano: Una volta firmato l’accordo, rispettare rigorosamente le scadenze. È fondamentale non saltare i pagamenti concordati, altrimenti si perde la fiducia e si rischiano azioni immediate (oltre agli interessi di mora eventualmente previsti).
Come funziona l’accordo di saldo e stralcio (riduzione dell’importo dovuto) per un’azienda con debiti
L’alternativa al pagamento integrale dilazionato è cercare una riduzione del debito tramite un accordo a saldo e stralcio. In questo caso il creditore acconsente a “stralciare” (cancellare) una parte del credito, se il debitore gli corrisponde subito – o in tempi brevi – una somma a titolo di saldo. Si tratta quindi di una transazione sul debito: il creditore rinuncia a una quota del dovuto pur di ottenere una soddisfazione più rapida (e più certa) del resto.
Quando utilizzarlo: il saldo e stralcio è indicato quando l’azienda non è in grado di pagare l’intero debito, neanche dilazionato, ma può procurarsi una somma immediata inferiore al totale (ad esempio tramite risorse dei soci, vendita di un cespite, o un finanziamento dedicato). Funziona meglio con creditori di tipo finanziario (banche, società di leasing, factor) o con crediti già deteriorati (magari ceduti a società di recupero): questi creditori sono abituati a valutare offerte transattive guardando al valore attuale incassabile rispetto all’incertezza di un recupero forzoso futuro.
Come funziona: il debitore formula al creditore una proposta di pagamento parziale una tantum (oppure suddivisa in poche rate ravvicinate) dichiarando che quel pagamento rappresenterà tutto quanto potrà dare. Il creditore, se accetta, si impegna a considerare estinto l’intero debito a fronte dell’incasso concordato, rinunciando a qualsiasi ulteriore pretesa. È essenziale che l’accordo sia formalizzato per iscritto (spesso sotto forma di atto di transazione) e che il pagamento avvenga con modalità tracciabili, ottenendo dal creditore una quietanza liberatoria completa.
Esempio pratico – Saldo e stralcio: La Beta S.r.l. ha un debito di €80.000 verso una banca, derivante da un prestito non rimborsato; Beta è in grave crisi e la banca sta per avviare un decreto ingiuntivo. Beta, tramite il proprio legale, propone un accordo a saldo e stralcio: un pagamento immediato di €30.000 (grazie al supporto finanziario dei soci) a fronte della cancellazione del restante debito di €50.000. La banca valuta che, in caso di fallimento della Beta S.r.l., recupererebbe forse una percentuale minore, e accetta la proposta. Le parti sottoscrivono una transazione nella quale la banca, a fronte dell’incasso di €30.000, dichiara di ritenersi soddisfatta per l’intero credito rinunciando a ulteriori pretese. Beta S.r.l. “si libera” così di un debito di 80k pagando 30k, evitando il fallimento e le relative conseguenzeavvocaticartellesattoriali.com. (Attenzione: gli accordi a saldo e stralcio vanno gestiti con cura, preferibilmente con assistenza legale, per assicurarsi che la quietanza liberatoria del creditore sia chiara ed onnicomprensiva.)
Checklist – Come gestire un accordo a saldo e stralcio:
- Analisi fattibilità: Verificare quanta liquidità immediata l’azienda (o i soci) possono mettere sul piatto. L’offerta deve essere credibile: offrire troppo poco (es. 5% del debito) potrebbe non invogliare il creditore, a meno che la prospettiva alternativa sia recuperare zero.
- Valore di riferimento: Dal lato del creditore, la soglia di accettazione dipende da quanto egli stima di poter ottenere altrimenti. Informatevi – o fate intuire – su quale sarebbe il possibile recupero del creditore in caso di procedure concorsuali. Un creditore concederà lo stralcio se convinto che la vostra offerta “cash” è meglio di ciò che otterrebbe forzando il pagamento.
- Proposta formale: Anche qui, inviare una proposta scritta dettagliata: indicare l’importo che siete disposti a pagare e i tempi (es. “€30.000 entro 30 giorni dalla firma dell’accordo”). Specificare che tale pagamento è offerto a condizione dell’esenzione da ogni obbligo residuo.
- Transazione scritta: Non limitarsi a un accordo verbale. Redigere un accordo di transazione in cui si precisa che il pagamento di €X avverrà entro tal data e che, ad avvenuto incasso, il creditore rilascerà ampia e liberatoria quietanza, rinunciando irrevocabilmente al resto.
- Esecuzione immediata: Rispettare rigorosamente tempi e modalità di pagamento pattuiti (es. bonifico o assegno circolare consegnato a fronte della firma). Solo dopo la conferma del pagamento pretendere la lettera di quietanza definitiva dal creditore.
- Effetti contabili e fiscali: Considerare che la parte di debito stralciata costituisce per l’azienda una sopravvenienza attiva (cioè un “guadagno” straordinario) che in alcuni casi potrebbe avere effetti fiscali, sebbene l’ordinamento preveda esenzioni d’imposta per le riduzioni di debiti ottenute in sede concordataria o tramite accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 88, co. 4-quater TUIR).
Come si gestiscono i debiti fiscali e contributivi di un’azienda in crisi
Un capitolo a parte va dedicato ai debiti verso il Fisco e gli enti previdenziali (es. Agenzia delle Entrate, INPS), in quanto questi creditori seguono regole proprie. In via strettamente stragiudiziale, l’azienda può avvalersi degli strumenti ordinari messi a disposizione dalle norme tributarie per alleggerire il carico:
- Rateizzazione dei debiti tributari: Se ci sono cartelle esattoriali emesse dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia), è possibile chiedere un piano di dilazione amministrativa ai sensi dell’art. 19 del D.P.R. 602/1973. Normalmente, per importi fino a una certa soglia (circa 60.000€ ad oggi), la dilazione fino a 72 rate mensili (6 anni) è concessa automaticamente. Per debiti maggiori o in caso di temporanea e grave difficoltà, si possono ottenere piani straordinari fino a 120 rate (10 anni) presentando idonea documentazione sulla crisi di liquidità. La richiesta va fatta prima che inizino azioni esecutive e, con il pagamento tempestivo delle rate, si sospendono le procedure di recupero già avviate.
- Definizioni agevolate (rottamazione): Periodicamente, il legislatore vara sanatorie che permettono di estinguere i debiti fiscali pendenti con uno sconto su sanzioni e interessi. Ad esempio, la cosiddetta “Rottamazione-quater” (attiva nel 2023-2024) consente di pagare le somme dovute senza interessi di mora né sanzioni, anche in forma rateale. Queste definizioni agevolate variano di anno in anno: è importante verificare con Agenzia delle Entrate-Riscossione se sono aperti termini per aderire a qualche condono o rottamazione che potrebbe ridurre significativamente il debito fiscale.
- Sospensioni e moratorie legislative: In situazioni eccezionali (come emergenze pandemiche), il governo può disporre sospensioni nei pagamenti di imposte o contributi. Tenersi aggiornati su eventuali decreti di sospensione che offrano respiro temporaneo.
Va sottolineato che fuori dalle procedure concorsuali non è possibile ottenere una riduzione “negoziata” dell’imposta dovuta: il Fisco, cioè, non può transigere liberamente sulle tasse (se non nei modi previsti dalle leggi di definizione agevolata). Laddove il debito fiscale sia insostenibile, diventa necessario ricorrere agli strumenti concorsuali (ad esempio la transazione fiscale all’interno di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione) per tagliare una parte di imposte o contributi. In questa sede preconcorsuale, dunque, l’azienda può solo dilazionare o al limite beneficiare di condoni di legge, ma non ottenere dal Fisco uno stralcio concordato se non utilizzando le procedure di cui diremo oltre.
Checklist – Debiti erariali e previdenziali:
- Mappatura debiti pubblici: Verificare l’ammontare esatto dei debiti con Agenzia Entrate, Agenzia Riscossione (cartelle) e INPS, chiedendo un estratto conto aggiornato.
- Rateazione amministrativa: Valutare l’accesso alla rateizzazione standard: se l’importo rientra nei limiti, presentare subito istanza di dilazione ad AdER per bloccare l’enforcement (basta pagare la prima rata perché sia sospesa ogni azione esecutiva).
- Sanatorie in corso: Controllare se si ha diritto a qualche forma di definizione agevolata in corso (rottamazione, stralcio di mini-cartelle, ecc.) e aderire entro i termini previsti.
- Strategia concorsuale: Considerare che, se i debiti verso l’erario sono molto elevati e insostenibili, potrebbe essere opportuno impostare un piano di risanamento più ampio (procedura concorsuale) includendo una transazione fiscale per abbattere parte di queste posizioni. Pianificare quindi l’eventuale utilizzo del concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione per risolvere i debiti fiscali, visto che per via extragiudiziale non sono riducibili.
Come funziona la composizione negoziata della crisi d’impresa
Una delle novità più importanti introdotte dal Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019, come modificato dal D.L. 118/2021) è la composizione negoziata della crisi (CNC). Si tratta di una procedura volontaria e riservata pensata per aiutare l’imprenditore in difficoltà a risanare l’azienda senza dover passare subito per il tribunale. In altre parole, è un percorso guidato di negoziazione con i creditori, assistito da un esperto indipendente, che mira a trovare un accordo di ristrutturazione prima di arrivare a soluzioni concorsuali più drastiche (come il concordato o la liquidazione).
Chi può accedervi: qualsiasi imprenditore commerciale o agricolo, anche piccolo o individuale, può attivare la composizione negoziata se si trova in condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, ma non è ancora insolvente in modo irreversibile. È dunque indicata in fase di pre-crisi o crisi incipiente, quando ci sono ancora ragionevoli prospettive di risanamento dell’impresa.
Come si attiva: la domanda si presenta tramite una piattaforma online nazionale gestita dalle Camere di Commercio (Unioncamere). L’imprenditore (anche tramite un consulente legale o commercialista) inserisce dati aziendali, bilanci, elenco creditori e una relazione sulla propria situazione. Un’apposita commissione nomina quindi un esperto indipendente (in genere un professionista iscritto in un albo dedicato, come commercialisti o avvocati con esperienza in ristrutturazioni) il quale avrà il compito di facilitare le trattative tra l’imprenditore e i creditori. La procedura è confidenziale: l’apertura della composizione negoziata viene iscritta nel Registro delle Imprese, ma non equivale a un procedimento concorsuale pubblico e non comporta perdita di poteri per l’imprenditore.
Svolgimento: una volta accettato l’incarico, l’esperto studia la situazione dell’azienda e, insieme all’imprenditore, redige un primo piano di risanamento ipotetico. Quindi convoca i principali creditori a uno o più incontri (anche da remoto) per discutere possibili soluzioni. L’esperto non ha poteri decisionali, ma svolge un ruolo di mediatore super partes, cercando di far convergere le parti su un accordo reciprocamente vantaggioso. Il tutto avviene in un clima protetto: le parti sono vincolate alla riservatezza e al dovere di negoziare in buona fede.
Misure protettive: durante la composizione negoziata, l’imprenditore può chiedere al tribunale l’applicazione di misure protettive del patrimonio, ossia la sospensione di azioni esecutive o cautelari da parte dei creditori. Se il tribunale le concede, i creditori non potranno ad esempio pignorare beni o escutere garanzie per la durata della negoziazione (inizialmente fino a 4 mesi, prorogabili). Inoltre, sempre su richiesta, il tribunale può imporre misure cautelari specifiche (ad esempio il divieto per i fornitori essenziali di interrompere forniture). Queste protezioni servono a creare uno spazio di respiro in cui condurre le trattative senza la pressione di scadenze immediate o aggressioni al patrimonio aziendale.
Esiti possibili: la composizione negoziata si può concludere in diversi modi:
- Accordo stragiudiziale con i creditori: è l’esito ideale. Si può trattare di un accordo di ristrutturazione privato (come un piano di rientro o un saldo e stralcio globale) che, grazie alla regia dell’esperto, viene sottoscritto da tutti o dai principali creditori. L’azienda dunque risolve la crisi senza passare dal tribunale (a parte l’eventuale conferma delle misure protettive).
- Convenzione di moratoria o accordo parziale: se non si raggiunge un’intesa definitiva, si può comunque stipulare una moratoria temporanea con alcuni creditori, cioè un accordo in cui essi si impegnano a non agire e a congelare le loro pretese per un certo periodo, guadagnando tempo per ulteriori azioni di risanamento.
- Accesso a una procedura concorsuale: se emerge che la situazione richiede strumenti più incisivi, l’imprenditore può decidere di presentare domanda di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. In tal caso, tutto il lavoro svolto con l’esperto (analisi, trattative, bozze di piano) sarà prezioso per accelerare la procedura successiva.
- Esito negativo: se non si riesce a trovare alcuna soluzione e l’azienda risulta insolvente, la composizione negoziata si chiude senza accordo. A questo punto l’imprenditore, entro i 60 giorni successivi, ha comunque la facoltà di proporre un concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio (introdotto dall’art. 25-sexies CCII): una procedura concorsuale speciale in cui i beni dell’azienda vengono liquidati sotto controllo del tribunale, senza voto dei creditori, per evitare una liquidazione giudiziale disordinata. Questa è però una soluzione di ultima istanza, dove l’attività cessa e si mira solo a vendere gli asset e distribuire il ricavato ai creditori.
Vantaggi della composizione negoziata: è uno strumento flessibile e moderno per affrontare la crisi evitando stigmi e costi delle procedure tradizionali. L’imprenditore rimane alla guida della sua azienda durante le trattative; l’esperto offre competenza e imparzialità, aumentando la fiducia dei creditori nelle proposte di risanamento; le misure protettive offrono un cuscinetto di sicurezza temporaneo. Inoltre, la legge prevede incentivi: ad esempio, i finanziamenti ottenuti durante la composizione negoziata (con il benestare dell’esperto) godono dello status di prededuzione in caso di successivo fallimento, incoraggiando banche o soci a investire nel salvataggio. Anche la transazione fiscale con l’Erario è ora ammessa nell’ambito delle trattative di composizione negoziata, cosa che amplia il ventaglio di soluzioni (si può proporre al Fisco il pagamento parziale dei tributi dovuti, subordinato all’omologazione di un eventuale accordo).
Svantaggi e rischi: la composizione negoziata non garantisce il successo – dipende sempre dalla fattibilità del piano e dalla disponibilità dei creditori. C’è il rischio che, se le trattative falliscono, si sia solo perso tempo prezioso aggravando il dissesto (sebbene tentare questo percorso, essendo oggi un dovere di diligenza dell’imprenditore, difficilmente potrà essergli contestato come colpa). Inoltre, i costi non sono trascurabili: bisogna remunerare l’esperto e i consulenti coinvolti. Non ultimo, se l’imprenditore abusa dello strumento senza reali prospettive, potrebbe incorrere in responsabilità (ad esempio, contrarre debiti durante la composizione senza poi pagarli potrebbe configurare reati se fatto senza reale intento di risanare).
Checklist – Composizione negoziata della crisi:
- Valutazione iniziale: Verificare di avere i requisiti (crisi non irreversibile) e che esistano margini di risanamento. Preparare una bozza di piano finanziario per capire se la trattativa può offrire una soluzione credibile.
- Attivazione in piattaforma: Registrarsi sul portale dedicato (Unioncamere) e caricare tutti i documenti richiesti (bilanci, situazione debitoria, ecc.). Richiedere la nomina di un esperto e, se necessario, contestualmente le misure protettive urgenti per bloccare i creditori più aggressivi.
- Collaborazione con l’esperto: Fornire all’esperto tutte le informazioni necessarie in modo trasparente. Discutere apertamente delle opzioni (ad esempio vendita di asset non strategici, apporti di capitale dai soci, conversione di crediti in capitale, ecc.) da presentare ai creditori.
- Negoziazione con i creditori: Partecipare attivamente agli incontri con i creditori convocati dall’esperto, illustrando il piano di risanamento proposto. Ascoltare le loro posizioni e cercare di adattare la proposta per ottenere il maggior consenso possibile. L’esperto redigerà aggiornamenti periodici sullo stato delle trattative.
- Formalizzazione dell’accordo: Se si raggiunge un accordo, formalizzarlo subito per iscritto. Può trattarsi di un contratto plurilaterale di ristrutturazione o di singoli accordi bilaterali con i creditori, oppure della proposta di uno degli strumenti concorsuali (accordo di ristrutturazione ex art. 57 o concordato). L’importante è dare seguito concreto alle intese raggiunte durante la CNC.
- Chiusura della procedura: Comunicare ufficialmente la conclusione della composizione negoziata (per accordo raggiunto o per decisione di accedere a procedura concorsuale). Se erano state concesse misure protettive, informare il tribunale dell’esito. In caso di esito negativo totale, valutare immediatamente l’opzione del concordato semplificato o, se non praticabile, prepararsi alla liquidazione giudiziale, minimizzando ulteriori ritardi.
Come funziona il piano attestato di risanamento (ex art. 56 CCII) per un’azienda in crisi
Tra gli strumenti “privati” riconosciuti dalla legge c’è il piano attestato di risanamento, disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi. Si tratta di un piano di risanamento aziendale elaborato dall’imprenditore, al quale viene allegata un’attestazione rilasciata da un professionista indipendente che ne certifica la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e finanziaria. Il piano attestato ha natura stragiudiziale: non richiede omologazione in tribunale né il voto dei creditori, ma se predisposto secondo i requisiti di legge offre importanti protezioni giuridiche.
Caratteristiche principali:
- Il piano deve avere data certa (ad esempio tramite firma digitale con marca temporale o registrazione) e contenere una descrizione approfondita della situazione aziendale, delle cause della crisi e delle strategie di intervento previste per riequilibrare i conti. In sostanza, equivale a un dettagliato piano industriale e finanziario pluriennale, corredato dall’analisi di come verranno soddisfatti i creditori.
- Deve essere accompagnato dalla relazione di un attestatore indipendente (un professionista iscritto all’albo dei revisori o figura analoga, che non abbia conflitti di interesse) che attesta che i dati usati nel piano sono veritieri e che le azioni previste sono realistiche e sufficienti a superare la crisi.
- Il piano può (facoltativamente) essere pubblicato nel Registro delle Imprese su richiesta del debitore, insieme all’attestazione e agli eventuali accordi con i creditori. La pubblicazione non è obbligatoria, ma servirà a dare pubblicità e data certa agli accordi raggiunti.
Obiettivo e utilizzo: il piano attestato di risanamento è utilizzato per gestire una ristrutturazione in modo totalmente volontario, quando l’imprenditore confida di poter risanare l’impresa mantenendone la continuità e riesce a ottenere la collaborazione necessaria dei creditori chiave. Ad esempio, può essere che le banche finanziatrici accettino di rinegoziare i prestiti (allungando le scadenze o congelando i rimborsi per un periodo) e i fornitori critici accettino di proseguire i rapporti dilazionando i pagamenti, a patto di avere un piano credibile certificato da un esperto. Il piano attestato non vincola legalmente i creditori (ogni modifica delle condizioni di pagamento deve essere contrattata e concordata con ciascuno di essi individualmente), ma l’esistenza di un piano globale attestato funge da “ombrello” di legittimità per tutte le operazioni compiute.
Vantaggi legali: se il piano attestato è effettivamente idoneo a risanare l’impresa ed è accompagnato dalla relazione professionale, gli atti compiuti in sua esecuzione godono di esenzione dall’azione revocatoria fallimentare. Ciò significa che, se anche in futuro l’azienda dovesse fallire, pagamenti preferenziali fatti a certi creditori o vendite di beni effettuate nell’ambito del piano non potranno essere annullati dal curatore fallimentare (mentre normalmente sarebbero soggetti a revocatoria in caso di insolvenza). Inoltre, la legge esclude la responsabilità penale per gli amministratori per gli atti compiuti in esecuzione del piano attestato, sempre al fine di incentivare la ricerca di soluzioni prima che sia troppo tardi.
Limiti: il piano attestato, non essendo una procedura concorsuale, non offre protezione automatica contro le azioni dei creditori dissenzienti. Quindi funziona bene se la stragrande maggioranza dei creditori è disponibile a seguirlo volontariamente. Un singolo creditore importante potrebbe comunque decidere di agire esecutivamente: in tal caso, l’azienda dovrebbe eventualmente ripiegare su strumenti come il concordato per bloccarlo. Inoltre, il piano attestato richiede un impegno serio: deve basarsi su assunzioni realistiche e spesso comporta misure drastiche (ad esempio cessione di rami d’azienda, aumento di capitale, nuovi finanziamenti) che i soci devono essere pronti ad attuare per dare concretezza al risanamento.
Esempio pratico: Gamma S.p.A. opera nel settore manifatturiero e attraversa una crisi a causa di investimenti sbagliati e calo degli ordini. Ha debiti per 5 milioni di euro: 3 milioni con banche e 2 milioni verso fornitori e altri. La direzione elabora con un advisor un piano triennale di risanamento: prevede la dismissione di alcune linee di produzione, l’ingresso di un nuovo socio con apporto di capitale fresco e la ristrutturazione del debito bancario (moratoria di 12 mesi sulle quote capitale dei mutui e allungamento dei piani di rimborso di ulteriori 5 anni). Un professionista indipendente esamina il piano e attesta che, se le misure saranno attuate, l’azienda tornerà redditizia e potrà ripagare tutti i debiti nei nuovi termini. Le banche, confortate dall’attestazione, firmano accordi bilaterali di modifica dei contratti di finanziamento conformi al piano; i fornitori strategici accettano pagamenti dilazionati su 12 mesi. Gamma S.p.A. decide di pubblicare il piano e l’attestazione nel Registro delle Imprese per dare massima trasparenza. Grazie a questo piano attestato, l’azienda evita il default, e dopo tre anni di cure ricomincia a produrre utili.
Checklist – Piano attestato di risanamento:
- Predisposizione del piano: Redigere un piano industriale e finanziario dettagliato, identificando le cause della crisi e indicando le azioni di svolta (ristrutturazione organizzativa, taglio costi, nuovi mercati, ricapitalizzazione, ecc.) e i tempi necessari per il risanamento.
- Elenco creditori e negoziazioni preliminari: Stilare l’elenco completo dei debiti e valutare quali creditori sono cruciali per la continuità. Avviare colloqui informali con banche e fornitori principali per sondare la loro disponibilità a sostenere un piano di rientro o ristrutturazione del credito.
- Nomina dell’attestatore: Individuare un professionista terzo di fiducia (ad esempio un commercialista esperto in crisi) e incaricarlo di esaminare il piano. Fornirgli tutti i dati contabili aggiornati e la documentazione richiesta per le verifiche.
- Attestazione: Ottenere la relazione scritta dell’esperto che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’attestatore potrebbe richiedere modifiche o integrazioni al piano per poter dare un giudizio positivo – collaborare strettamente con lui in questo processo.
- Formalizzazione e accordi: Dare data certa al piano (ad esempio facendolo autenticare da un notaio o depositandolo nel Registro Imprese). Formalizzare per iscritto gli accordi con ciascun creditore in linea con il piano (contratti modificati, patti di standstill, ecc.). Se opportuno, depositare il piano e l’attestazione ufficialmente per conoscenza pubblica.
- Esecuzione e monitoraggio: Attuare con disciplina le misure previste (es. cessione di beni, versamento dei soci, ristrutturazione operativa) e rispettare i nuovi piani di pagamento verso i creditori. Mantenere informati periodicamente i creditori sull’avanzamento del risanamento, per consolidarne la fiducia ed evitare defezioni.
Come funziona l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 57 CCII)
L’accordo di ristrutturazione dei debiti (ARD) è uno strumento legale che si colloca a metà strada tra gli accordi puramente privati e il concordato preventivo. Prevede infatti un accordo con i creditori sull’abbattimento e/o la riorganizzazione del debito, ma con l’intervento finale del tribunale che omologa (approva) l’accordo, rendendolo efficace. La caratteristica chiave è che non serve il consenso di tutti i creditori, bensì di una maggioranza qualificata prevista dalla legge.
Requisiti e procedura: l’imprenditore in crisi può proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione in base al quale essi accettano certe modifiche ai loro crediti (ad esempio proroghe, riduzioni parziali, conversione di debiti in strumenti finanziari, ecc.). Per poter depositare l’accordo in tribunale occorre aver ottenuto l’adesione di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti totali. In altre parole, se si convince una platea di creditori che detiene i 3/5 dell’ammontare complessivo delle esposizioni, il debitore può chiedere che l’accordo venga omologato e reso efficace.
L’iter è il seguente, semplificando:
- Trattativa e firme: l’imprenditore elabora un piano di ristrutturazione (simile come contenuti a quello di un concordato) e lo sottopone ai creditori. Coloro che aderiscono lo fanno firmando l’accordo che recepisce il piano. È richiesta la relazione di un professionista indipendente che attesti la veridicità dei dati aziendali, la fattibilità del piano e la capacità dell’accordo di pagare regolarmente i creditori non aderenti. Si raccolgono quindi le firme dei creditori fino a raggiungere almeno il 60% del passivo.
- Deposito e pubblicazione: l’accordo firmato e la documentazione (inclusa l’attestazione) vengono depositati in tribunale. Da quel momento l’accordo è pubblicato nel Registro delle Imprese e acquista efficacia interinale. Ciò comporta che decorre un termine di 30 giorni entro cui gli eventuali creditori non aderenti (o altri interessati) possono proporre opposizione all’omologazione.
- Omologazione in tribunale: trascorsi i 30 giorni, il tribunale fissa un’udienza in cui esamina il caso, valuta le eventuali opposizioni e verifica il rispetto dei requisiti. Se tutto è in regola, emette una sentenza di omologazione che rende l’accordo definitivamente vincolante ed efficace verso tutti i firmatari. In caso contrario (mancato raggiungimento delle maggioranze o fattibilità non credibile), può dichiarare inammissibile l’accordo e – se l’impresa è insolvente – aprire direttamente la liquidazione giudiziale.
Effetti dell’accordo omologato: i creditori che hanno aderito sono vincolati nei termini dell’accordo (non possono pretendere oltre quanto stabilito, né agire esecutivamente). I creditori non aderenti, invece, non sono legati dall’accordo e il debitore è tenuto a pagarli integralmente alle scadenze previste. Tuttavia, l’accordo omologato generalmente prevede che il debitore utilizzerà parte delle risorse generate dal piano per soddisfare subito questi creditori estranei: la legge richiede che siano pagati entro 120 giorni dall’omologazione (se i loro crediti sono già scaduti a quella data) o entro 120 giorni dalla naturale scadenza (se hanno scadenze successive). Anche gli atti compiuti in esecuzione dell’accordo (pagamenti, transazioni, ecc.) sono esenti da revocatoria e da responsabilità penale, analogamente a quanto visto per il piano attestato.
Accordo di ristrutturazione “agevolato” (30%): per incentivare l’uso di questi strumenti, la normativa ha introdotto una variante semplificata. L’accordo agevolato è possibile se i creditori aderenti rappresentano almeno il 30% dei crediti (invece del 60%). In cambio della soglia ridotta, però, il debitore non deve richiedere misure protettive né una moratoria per i creditori estranei. In pratica, l’accordo agevolato è adatto quando il debitore riesce a trovare rapidamente un’intesa con una parte importante dei creditori (oltre il 30%) e preferisce evitare formalità ulteriori – ma deve comunque essere in grado di pagare tutti i non aderenti senza protezioni, altrimenti i creditori estranei potrebbero intraprendere azioni individuali.
Accordo con efficacia estesa: un’altra innovazione è la possibilità di estendere gli effetti dell’accordo omologato anche ai creditori non aderenti appartenenti alla stessa categoria del gruppo di aderenti, a certe condizioni. In sostanza, se tutti o quasi i creditori di una determinata classe omogenea (ad esempio le banche) aderiscono, il tribunale può decidere che anche i pochi rimasti fuori debbano subire la ristrutturazione alle stesse condizioni. Questa cram-down settoriale richiede:
- che i creditori della categoria informati delle trattative abbiano avuto chance di parteciparvi;
- che abbiano aderito almeno il 75% dei crediti di quella categoria;
- che i dissenzienti di quella categoria non ricevano un trattamento peggiore di quello che avrebbero in un fallimento (devono essere soddisfatti almeno in misura non inferiore a quella della liquidazione giudiziale);
- se si tratta di banche o intermediari finanziari e il loro credito rappresenta oltre il 50% del totale, l’estensione è possibile anche in un accordo a carattere liquidatorio (senza necessità di continuità aziendale).
Grazie a queste previsioni, l’accordo di ristrutturazione diventa uno strumento molto potente per imporre la soluzione anche a minoranze ostili, evitando che pochi creditori blocchino un risanamento approvato dalla maggioranza. Resta comunque escluso che si possano toccare i diritti dei creditori estranei se non nelle forme specifiche sopra descritte.
Esempio pratico: Delta S.r.l. ha debiti per 10 milioni di euro verso 50 diversi creditori. Dopo aver elaborato un piano di rilancio triennale, ottiene la firma di banche e fornitori che rappresentano il 70% del totale crediti. In particolare, tutte le 5 banche finanziatrici (che sommano il 50% del debito) aderiscono all’accordo accettando di prorogare le scadenze dei mutui di 5 anni e di ridurre il tasso d’interesse, mentre tra i fornitori (altri 50% del debito) aderiscono circa la metà, accettando un pagamento al 80% del valore in 12 mesi. Delta deposita l’accordo con il 70% di adesioni e l’attestazione di un esperto che conferma che i creditori estranei (il 30% rimasto) verranno comunque pagati integralmente entro un anno grazie all’apporto di nuove risorse dei soci. Il tribunale omologa l’accordo. I fornitori non aderenti vengono pagati in base a quanto dovuto originariamente (senza decurtazioni) entro i termini concordati (max 120 giorni dall’omologa); i creditori aderenti ricevono quanto stabilito (banche alle scadenze prorogate, fornitori l’80% concordato). L’azienda prosegue l’attività e, grazie alla dilazione e allo stralcio parziale convenuti, riesce a sostenere il piano di rientro e torna in attivo dopo due anni.
Checklist – Accordo di ristrutturazione dei debiti:
- Analisi delle maggioranze: Valutare il livello di adesione potenziale. Identificare i creditori principali e stimare se si può raggiungere il 60% del debito con il loro consenso. Se sembra arduo, considerare se l’accordo agevolato al 30% può essere un’alternativa (ma in tal caso bisogna poter fare a meno delle protezioni del tribunale).
- Predisposizione del piano e attestazione: Redigere un piano dettagliato di come si intende soddisfare i creditori aderenti e quelli non aderenti. Nominare un professionista attestatore indipendente e ottenere la sua relazione positiva sulla fattibilità e sull’integrale soddisfacimento dei creditori estranei.
- Negoziazione delle adesioni: Avviare trattative mirate con i principali creditori (specie finanziari). Spiegare loro che l’accordo verrà omologato dal tribunale e offre garanzie di esecuzione. Sottolineare che l’alternativa (concordato o fallimento) potrebbe vederli recuperare meno. Raccogliere formali manifestazioni di consenso.
- Formalizzazione: Far firmare l’accordo a tutti i creditori aderenti, predisponendo un documento unico che riporti le modifiche concordate (o firme separate che convergono sul medesimo testo di accordo). Preparare l’elenco completo dei creditori con indicazione di chi aderisce e chi no.
- Deposito in tribunale: Depositare ricorso per l’omologazione allegando l’accordo, la lista delle adesioni (con percentuali di credito), la documentazione contabile richiesta (es. ultimi bilanci, elenco creditori, situazione aggiornata) e la relazione dell’attestatore. Valutare se chiedere misure protettive per congelare eventuali azioni dei creditori nel periodo tra deposito e omologa (il CCII consente di farlo).
- Gestione dell’opposizione: Se alcuni creditori fanno opposizione all’omologa, prepararsi a dimostrare in tribunale che l’accordo è comunque vantaggioso per loro rispetto alla liquidazione (ad esempio tramite relazioni tecniche). Il tribunale deciderà se respingere le opposizioni e omologare comunque.
- Esecuzione post-omologa: Una volta omologato, assicurarsi di rispettare rigorosamente i pagamenti verso i creditori estranei nei 120 giorni previsti e di adempiere puntualmente agli obblighi verso gli aderenti secondo il piano. Monitorare l’attuazione con report periodici. Se servono modifiche al piano dopo l’omologa, ricordare che occorre una nuova attestazione e notifica ai creditori con possibilità di opposizione.
Come funziona il concordato preventivo
Il concordato preventivo è lo strumento concorsuale per eccellenza nella regolazione della crisi d’impresa, essendo il più collaudato fra i mezzi di ristrutturazione delle realtà produttive. Si tratta di un istituto finalizzato a realizzare il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore rispetto a quella realizzabile mediante la liquidazione giudiziale. Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII), recentemente modificato dal D.lgs. n. 136/2024, disciplina due tipologie di concordato preventivo, prevedendo regole diverse in ordine al contenuto del piano, alle modalità di voto, alle regole di distribuzione del valore, al giudizio di omologazione:
- Concordato preventivo in continuità aziendale;
- Concordato preventivo liquidatorio.
Esaminiamo i punti essenziali di entrambi.
Come funziona il concordato in continuità aziendale
Nel concordato preventivo si qualifica in continuità aziendale quando la soddisfazione dei creditori si realizza in misura, “anche non prevalente”, con i proventi derivanti dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. In altre parole, l’azienda (o parte di essa) rimane operativa durante la procedura e dopo l’omologa, e i creditori vengono pagati in buona parte grazie ai flussi di cassa generati dal business che continua (in contrapposizione al caso liquidatorio, dove i creditori vengono pagati solo vendendo i beni). La continuità può essere diretta (la stessa società prosegue la gestione durante e dopo il concordato) oppure indiretta (il piano prevede la cessione o il conferimento dell’azienda a un soggetto terzo che la gestirà, mantenendo però la continuità operativa e occupazionale).
Contenuto del piano: il piano di concordato in continuità deve contenere (art. 87 CCII) dettagliate informazioni e previsioni: la situazione economico-patrimoniale dell’impresa, le cause della crisi, la descrizione della strategia di risanamento e le tempistiche, l’eventuale suddivisione dei creditori in classi, il trattamento proposto per ciascuno, le risorse apportate da terzi, i tempi di esecuzione e così via. In pratica, è un piano industriale accompagnato da un piano finanziario, che mostra come la continuità aziendale permetterà di generare valore per pagare i creditori. Di norma si prevede che i creditori privilegiati vengano pagati integralmente (salvo accordi diversi o rinunce parziali se accettate) mentre i creditori chirografari ricevono una certa percentuale del loro credito (dividendo concordatario).
Apertura della procedura: la domanda di concordato è proposta dall’imprenditore con ricorso al tribunale (eventualmente preceduto da una domanda “con riserva” per ottenere tempo di preparare il piano). Il ricorso va corredato da tutta la documentazione richiesta (elenco creditori, inventario attivo e passivo, bilanci, relazione di attestazione, ecc.). Il tribunale si limita a verificare la ritualità della proposta, e può dichiarare l’inammissibilità della domanda di accesso al concordato nei soli casi tassativi previsti (ad esempio se l’impresa ha già fatto concordati in tempi recenti o se mancano requisiti di legge). Ammessa la domanda, viene nominato un Commissario Giudiziale e vengono concesse le misure protettive automatiche: i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali né acquisire privilegi sul patrimonio del debitore, a tutela della par condicio. L’azienda continua a operare, ma sotto la supervisione del Commissario e del tribunale (alcuni atti di straordinaria amministrazione richiedono autorizzazione).
Votazione dei creditori: il Commissario comunica ai creditori la proposta di concordato, il piano e li invita ad esprimere il voto entro un certo termine. I creditori possono essere suddivisi in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. Ogni classe vota separatamente. Ai fini dell’approvazione, in ciascuna classe deve essere raggiunta la maggioranza dei crediti ammessi al voto (quindi >50% in valore dei crediti di quella classe). Se non ci sono classi (perché il debitore non ha distinto i creditori in classi), allora occorre il voto favorevole di creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti chirografari ammessi. Il CCII prevede inoltre un meccanismo per cui la mancata espressione di voto equivale a voto favorevole se viene comunque raggiunta una partecipazione minima: per ciascuna classe deve aver votato almeno la metà dei crediti ammessi perché i voti non espressi siano conteggiati come assensi. In pratica, questo evita che l’inerzia di alcuni creditori impedisca di raggiungere la maggioranza.
Se tutte le classi votano a favore, il concordato si intende approvato dai creditori. Se invece una o più classi votano contro, il debitore può chiedere ugualmente l’omologazione (la cosiddetta cram-down o ristrutturazione trasversale dei debiti) a condizione che il trattamento riservato ai creditori dissenzienti rispetti la regola di priorità relativa e gli altri requisiti previsti dall’art. 112 CCII (in sostanza, che ai dissenzienti non sia riservato un trattamento meno favorevole di quello di classi pari grado o inferiore). Questa possibilità consente di superare l’eventuale voto contrario di una minoranza qualificata di creditori, se il piano nel complesso è equo.
Omologazione ed esecuzione: se il concordato è stato approvato dai creditori (o anche con classi dissenzienti, ma il debitore ha richiesto l’omologazione nonostante il voto contrario avvalendosi del cram-down), si passa alla fase di omologa in tribunale. Il giudice verifica il rispetto formale della procedura, la fattibilità del piano e la conformità ai requisiti legali (ad esempio, che i creditori ricevano almeno quanto otterrebbero in liquidazione fallimentare). In caso positivo, emette il decreto di omologazione e nomina, se necessario, un liquidatore giudiziale o altro ausiliario per l’esecuzione del piano. Dal momento dell’omologazione, il piano concordatario diventa vincolante per tutti i creditori anteriori, anche quelli che non hanno votato o hanno votato contro. L’impresa, sotto la sorveglianza degli organi della procedura, deve quindi eseguire puntualmente gli impegni presi: se il piano prevedeva la continuazione dell’attività, dovrà perseguire gli obiettivi industriali fissati e pagare progressivamente i creditori nelle misure e nei tempi stabiliti; se prevedeva la cessione dell’azienda a terzi, si perfezionerà tale trasferimento; se erano previste vendite di beni, il liquidatore le effettuerà e distribuirà i ricavi.
Una volta che tutte le obbligazioni del piano sono state adempiute, il tribunale dichiara chiuso il concordato e l’impresa esce dalla procedura. I debiti residui previsti come stralciati dal piano vengono definitivamente cancellati (esdebitazione per la società, che essendo persona giuridica si estinguerà se ha liquidato tutto, oppure proseguirà la propria attività con una struttura finanziaria più leggera).
Come Funziona Il Concordato preventivo liquidatorio
Il concordato preventivo si qualifica liquidatorio quando la soddisfazione dei creditori è realizzata attraverso il ricavato della liquidazione del patrimonio. In pratica, in questo tipo di concordato l’azienda cessa l’attività e tutti i beni vengono venduti, ma ciò avviene in modo ordinato secondo un piano proposto dal debitore e approvato dai creditori, anziché tramite il fallimento.
Condizione per l’ammissibilità: ai fini dell’ammissibilità del concordato liquidatorio, la proposta deve prevedere un apporto di risorse esterne che determini un incremento del 10% del soddisfacimento dei creditori chirografari Significa che se, ad esempio, dal patrimonio aziendale i creditori chirografari otterrebbero in fallimento un dividendo stimato del 20%, il concordato liquidatorio deve garantire almeno il 22% grazie a risorse aggiuntive apportate (tipicamente dai soci o da un terzo). Questo requisito – introdotto nel CCII – serve ad evitare concordati liquidatori “troppo comodi” per il debitore: se non c’è un vantaggio tangibile per i creditori rispetto al fallimento, il concordato non viene ammesso.
Proposta e svolgimento: nel piano di concordato liquidatorio l’imprenditore dettaglia come intende liquidare i beni (vendita in blocco dell’azienda, asta dei singoli asset, cessione di crediti, ecc.) e come distribuire il ricavato. Spesso vengono già individuati acquirenti interessati o modalità di realizzo per massimizzare il valore (ad esempio, si può prevedere la vendita dell’azienda in esercizio prima della chiusura, in modo da ottenere un prezzo migliore). Anche qui ci può essere una suddivisione in classi di creditori, e anche qui i creditori votano con le stesse maggioranze (maggioranza dei crediti per classe). Non di rado i creditori privilegiati possono rinunciare a parte del loro privilegio per far affluire qualcosa ai chirografari e rendere possibile il raggiungimento del minimo di legge.
Figura del liquidatore: in sede di omologa del concordato liquidatorio, il tribunale nomina quasi sempre un liquidatore giudiziale, diverso dal debitore, con il compito di attuare il piano di liquidazione. Sarà lui a vendere i beni secondo le modalità approvate, sotto la supervisione del giudice delegato, e a ripartire i fondi tra i creditori. Questo garantisce imparzialità e tutela dell’interesse dei creditori nella fase attuativa.
Comparazione con il fallimento: il concordato liquidatorio ha l’obiettivo di offrire ai creditori una soddisfazione migliore e più celere di quella fallimentare. Dal punto di vista del debitore/società, consente di gestire la chiusura in modo meno traumatico e con costi potenzialmente minori (anche se comunque sono presenti organi come commissario e liquidatore da retribuire). Dal punto di vista dei creditori, avere un piano concordato può evitare lungaggini tipiche del fallimento e dare più controllo sull’esito (hanno votato essi stessi il piano). La presenza dell’apporto esterno del 10% poi dà un piccolo extra. Tuttavia, va detto che se l’azienda ha un patrimonio facilmente liquidabile e i creditori non si fidano del debitore, potrebbero preferire il fallimento, specie se pensano di poter far valere responsabilità personali degli amministratori o dei soci. Dunque la convenienza del concordato liquidatorio va valutata caso per caso.
Checklist – Concordato preventivo (continuità o liquidatorio):
- Valutare la continuità: Stabilire se esistono le condizioni per un concordato in continuità (azienda risanabile) o se invece l’unica strada è la liquidazione ordinata. Preparare di conseguenza un progetto di piano realistico, individuando eventuali investitori o acquirenti.
- Domanda “in bianco” (se necessario): Se occorre tempo per definire dettagli o trattare con investitori, considerare il ricorso al concordato con riserva (detto anche “in bianco”), depositando una domanda priva del piano ma con l’elenco dei debiti e crediti. Ciò blocca subito le azioni dei creditori e consente di ottenere dal tribunale un termine (da 60 a 120 giorni) per presentare la proposta e il piano definitivi.
- Documentazione e attestazione: Raccogliere tutti i documenti obbligatori (elenco creditori, inventario attivo e passivo, bilanci ultimi 3 anni, certificazioni fiscali, etc.). Nominare l’attestatore indipendente e ottenere la sua relazione che asseveri la veridicità dei dati e la fattibilità del piano, attestando anche che i creditori non riceveranno meno di quanto avrebbero in caso di fallimento.
- Ammissione e concessione misure protettive: Dopo il deposito, se la domanda è completa, attendere il decreto di ammissione. Collaborare pienamente con il Commissario Giudiziale nominato, facilitandogli l’analisi della gestione corrente. Non compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del tribunale (ad esempio vendere immobili).
- Suddivisione in classi e voto: Se vi sono creditori con posizioni giuridiche differenti, predisporre una suddivisione in classi omogenee. Comunicare a tutti i creditori il piano e le modalità di voto. Considerare di organizzare incontri informativi per chiarire il piano ai creditori più grandi, così da ottenerne il supporto attivo. Stimolare tutti a esprimere il voto (ricordando che in caso di quorum raggiunto, il silenzio vale assenso). Se emergono contestazioni, essere disponibili a fornire chiarimenti o garanzie aggiuntive per convincere i creditori dell’utilità del concordato.
- Transazione fiscale e con enti pubblici: Prestare attenzione al voto dell’Agenzia Entrate e degli enti previdenziali. Se si propone di pagare solo parzialmente tali crediti, occorre rispettare le condizioni dell’art. 63 CCII (transazione fiscale), ovvero offrire almeno il pagamento integrale dell’IVA e delle ritenute, e per il resto dei tributi un trattamento non inferiore a quello offerto agli altri chirografari e almeno pari al 20% (salvo diverse soglie di legge). In caso di voto contrario del Fisco o INPS, il tribunale può comunque omologare se tali condizioni sono soddisfatte.
- Omologazione: All’udienza di omologa, sostenere la fattibilità del piano anche contro eventuali opposizioni. Dimostrare che la continuazione offre ai creditori più valore rispetto alla liquidazione (nel concordato in continuità) oppure che le operazioni di vendita proposte sono già in corso e garantite (nel liquidatorio).
- Esecuzione del piano: Dopo l’omologa, seguire scrupolosamente il piano. Nel concordato in continuità, implementare il piano industriale (ristrutturazione aziendale, nuovi investimenti, ecc.) e effettuare i pagamenti ai creditori nelle percentuali e scadenze promesse, sotto la vigilanza del Commissario (che nel frattempo diventa Organismo di Vigilanza). Nel concordato liquidatorio, coordinarsi col Liquidatore Giudiziale per vendere i beni secondo le modalità previste (aste competitive, trattative autorizzate, ecc.) e per distribuire i fondi come da piano di riparto.
- Chiusura della procedura: A conclusione, presentare istanza di chiusura del concordato al tribunale, allegando la prova dell’avvenuto adempimento di tutti gli obblighi concordatari. Pubblicare il decreto di chiusura nel Registro Imprese. L’impresa può così dirsi risanata (se in continuità) o formalmente estinta (se liquidata), e i debiti pregressi sono definiti secondo quanto stabilito nel concordato, senza ulteriori strascichi.
Come funziona la Liquidazione volontaria dell’azienda in crisi
Quando non è possibile risanare la società e la continuazione dell’attività non è più auspicabile, l’imprenditore (o meglio, i soci) possono optare per la liquidazione volontaria della società. Questa non è una procedura concorsuale giudiziaria, bensì un procedimento disciplinato dal Codice Civile che porta allo scioglimento e alla cancellazione della società attraverso la liquidazione di tutti i suoi beni e il pagamento dei debiti, per quanto possibile.
Avvio della liquidazione: i soci in assemblea straordinaria deliberano lo scioglimento anticipato della società e nominano uno o più liquidatori (ex artt. 2484 e 2487 c.c.). Da quel momento gli amministratori decadono e la gestione passa ai liquidatori, il cui compito è convertire in denaro gli asset aziendali e soddisfare i creditori con il ricavato. La delibera di liquidazione viene iscritta al Registro Imprese, rendendo pubblica la nuova fase. Spesso la decisione di liquidare è presa quando la società ha accumulato perdite rilevanti o ha comunque perso la propria ragion d’essere economica.
Ruolo e doveri del liquidatore: il liquidatore rappresenta la società e deve condurre le operazioni nell’interesse dei creditori prima e dei soci poi. In pratica, deve:
- Fare un censimento dell’attivo e del passivo, redigendo un bilancio iniziale di liquidazione.
- Realizzare l’attivo vendendo beni, riscuotendo crediti, eventualmente proseguendo temporaneamente alcune attività se necessario a conservare il valore dei beni.
- Pagare i debiti man mano con le disponibilità ottenute, rispettando la graduatoria delle cause di prelazione (privilegi, ipoteche, etc.).
- Se il patrimonio liquido è sufficiente, può pagare tutti i creditori integralmente; se rimangono debiti insoddisfatti, si configura un’insolvenza.
Relazioni con i creditori: in liquidazione volontaria, non essendoci un giudice che coordina la procedura, molto dipende dalla cooperazione dei creditori. Il liquidatore spesso tratta con i creditori per trovare soluzioni concordate: ad esempio, può proporre accordi a saldo e stralcio con alcuni creditori, utilizzando le risorse disponibili per chiudere le posizioni in via transattiva (simili agli accordi stragiudiziali discussi sopra). Se tutti o gran parte dei creditori accettano soddisfazioni parziali concordate, si può riuscire a liquidare la società senza passare dal tribunale. Tuttavia, basta un creditore importante non d’accordo a rendere la situazione critica.
È importante evidenziare che se durante la liquidazione l’impresa risulta insolvente (incapace di pagare regolarmente i propri debiti), il liquidatore ha l’obbligo di richiedere l’apertura della liquidazione giudiziale (il fallimento) in tribunale. In altre parole, la liquidazione volontaria funziona solo finché l’azienda è in grado di pagare i creditori almeno parzialmente con il proprio patrimonio e questi non intraprendono azioni esecutive individuali. Se l’insolvenza è conclamata e i creditori non collaborano, la procedura dovrà proseguire sotto l’egida del tribunale (diventando una procedura concorsuale vera e propria).
Esempio pratico: Zeta S.r.l., una media impresa commerciale, decide la liquidazione volontaria perché il settore è in declino e la società ha troppi debiti. I liquidatori vendono il magazzino e gli automezzi, incassando €500.000. I debiti totali sono €800.000. Iniziano a negoziare con i creditori: propongono ai fornitori (che vantano €300.000) un saldo e stralcio al 50% utilizzando gran parte del ricavato delle vendite. La maggioranza dei fornitori accetta di ricevere subito metà del dovuto (in totale €150.000 sui €300.000). Restano debiti verso banche per €400.000 e vari piccoli debiti per €100.000. Le banche, garantite da pegni su merci e ipoteche su un piccolo immobile, recuperano dal realizzo dei beni posti a garanzia gran parte dei loro crediti (circa €350.000) e per il residuo accettano di essere soddisfatte pro-quota con i fondi rimasti. I creditori chirografari minori (circa €100.000) vengono pagati proporzionalmente con ciò che rimane in cassa (circa €50.000, pari al 50%). Alla fine delle operazioni, Zeta S.r.l. ha esaurito il patrimonio e tutti i creditori hanno ricevuto qualcosa: nessuno ha convenienza ad agire oltre. La società può quindi essere cancellata. (Se invece un creditore avesse rifiutato l’accordo e fatto istanza di fallimento, la liquidazione volontaria si sarebbe interrotta con l’apertura della procedura concorsuale).
Conclusione della liquidazione: se la liquidazione volontaria riesce, il liquidatore predispone il bilancio finale di liquidazione e un piano di riparto finale delle eventuali residue disponibilità. I soci, approvato il bilancio finale, ricevono l’eventuale attivo residuo (nel caso di specie, spesso zero) e si procede alla cancellazione della società dal Registro Imprese, segnando la fine della sua esistenza. I debiti non pagati integralmente si estinguono naturalmente con l’estinzione del soggetto giuridico, ferma restando la responsabilità personale di eventuali garanti o obbligati in solido.
Quando considerarla: la liquidazione volontaria è indicata quando non esistono prospettive di recupero aziendale e si preferisce evitare il fallimento gestendo in proprio la chiusura. Può funzionare con imprese di dimensioni medio-piccole e con un numero limitato di creditori, specie se c’è fiducia reciproca e volontà di trovare soluzioni rapide. Non è invece efficace in situazioni di grave insolvenza con molti creditori conflittuali, dove è inevitabile l’intervento di una procedura giudiziale. In ogni caso, per l’imprenditore, avviare volontariamente la liquidazione è spesso visto come un atto di correttezza (tentare di pagare il più possibile i creditori residui) ed evita potenziali accuse di aver aggravato il dissesto con l’inerzia.
Checklist – Liquidazione volontaria:
- Delibera di scioglimento: Verificare cause di scioglimento (perdite, termine oggetto sociale, ecc.) o convocare l’assemblea per deliberare la messa in liquidazione. Nominare liquidatore/i qualificati e depositare la delibera al Registro Imprese.
- Mappatura attivo/passivo: Il liquidatore compili l’inventario di tutti i beni, crediti e debiti. Informi ufficialmente i creditori dell’avvenuto scioglimento e si renda disponibile a dialogare con essi.
- Piano di realizzo: Stabilire una strategia per vendere i beni sociali al meglio (aste pubbliche, trattative private, ecc.). Evitare vendite frettolose sottocosto; se necessario, chiedere ai creditori maggior tempo per massimizzare i valori di realizzo.
- Negoziazione con i creditori: Prima di distribuire quanto ricavato, cercare accordi con i creditori, soprattutto se le risorse non coprono tutti i debiti. Proporre piani di saldo e stralcio o rateazioni in liquidazione, facendo leva sul fatto che la via alternativa (fallimento) potrebbe farli attendere anni con incassi minori.
- Pagamento dei debiti: Utilizzare le disponibilità via via ottenute per pagare i creditori secondo le priorità legali (prima i creditori privilegiati, poi, proporzionalmente, i chirografari). Tenere traccia di ogni pagamento e farsi rilasciare quietanze.
- Verifica insolvenza: Monitorare costantemente se la società è in grado di soddisfare almeno parzialmente i debiti. Se appare evidente che è insolvente e qualche creditore può agire, valutare di anticipare la richiesta di concordato preventivo o di far partire l’istanza di liquidazione giudiziale per tempo, onde evitare azioni esecutive disordinate o responsabilità per il liquidatore.
- Bilancio finale: Una volta liquidati tutti i beni e definito il destino di tutti i debiti (pagati o transatti), redigere il bilancio finale di liquidazione e il piano di riparto. Sottoporli ai soci per l’approvazione e, dopo di ciò, procedere con la cancellazione della società e gli adempimenti fiscali di chiusura.
Conclusioni: perché è importante agire con tempestività e consapevolezza
Affrontare una crisi d’impresa dovuta ai debiti è un compito arduo, ma come abbiamo visto esistono numerose vie legali per evitare il tracollo e dare all’azienda una seconda chance. Ogni situazione è diversa: la soluzione migliore dipenderà dall’entità dell’insolvenza, dal numero di creditori, dal grado di collaborazione che essi dimostrano e dalle prospettive di continuazione dell’attività. Può trattarsi di un semplice accordo di rientro concordato con pochi creditori chiave, oppure di un complesso concordato preventivo con intervento del tribunale. L’importante è non restare immobili di fronte alla crisi: le normative – specialmente con il nuovo Codice della Crisi – offrono strumenti efficaci, ma sta all’imprenditore attivarli per tempo.
In questa guida abbiamo delineato un percorso a tappe: diagnosi della crisi, scelta dello strumento più adatto (dalla trattativa privata alla procedura concorsuale), e applicazione pratica con esempi e checklist. All’atto pratico, è altamente consigliabile farsi affiancare da professionisti esperti (commercialisti, avvocati d’impresa) in ogni fase del percorso: un team qualificato potrà aiutarvi a redigere piani sostenibili, a negoziare efficacemente con i creditori e a navigare le procedure legali senza errori.
Ricordate che ridurre i debiti di un’azienda in crisi non significa soltanto tagliare il passivo, ma anche porre le basi per un’attività sostenibile nel futuro. Che si tratti di trovare un accordo bonario o di passare per un concordato, l’obiettivo finale è sempre lo stesso: rafforzare l’azienda liberandola da un fardello eccessivo, consentendole di tornare a crescere o, se ciò non è possibile, chiudere in modo ordinato limitando i danni per tutte le parti coinvolte.
In definitiva, il messaggio chiave per l’imprenditore è: agire presto, con gli strumenti giusti e con il supporto giusto. Così facendo, anche una crisi apparentemente insormontabile può essere gestita e risolta, trasformando un momento difficile in un percorso di cambiamento e di rilancio.
Perché Affidarsi all’Avvocato Monardo per Ridurre i Debiti di una Media Azienda in Crisi
Quando una media azienda entra in crisi, i debiti bancari, tributari e commerciali possono diventare una montagna insormontabile.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al tuo fianco un professionista esperto, capace di gestire la crisi, ridurre i debiti e salvaguardare l’impresa, prima che sia troppo tardi.
Un Esperto di Crisi Aziendali Complesse
L’Avvocato Monardo, coordinatore di una rete nazionale di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario, tributario e d’impresa, è specializzato nell’affrontare situazioni di crisi anche per aziende strutturate, con:
- Linee di credito bancarie importanti
- Rapporti complessi con fornitori, leasing, factoring
- Pendenze fiscali e contributive rilevanti
Grazie alla sua esperienza, Monardo costruisce piani di ristrutturazione su misura per ridurre drasticamente l’esposizione debitoria e preservare il valore aziendale.
Come Ti Aiuta a Ridurre i Debiti Aziendali
Affidandoti all’Avvocato Monardo potrai:
- Analizzare la situazione finanziaria e debitoria in modo dettagliato
- Costruire un piano di ristrutturazione sostenibile e credibile
- Negoziare riduzioni del debito con banche, finanziarie, fornitori e Fisco
- Proporre accordi di composizione della crisi o concordati minori per le aziende non fallibili
- Accedere a protezioni legali contro pignoramenti, sequestri, esecuzioni
- Sospendere temporaneamente i pagamenti per riorganizzare la liquidità aziendale
Ogni strategia è studiata su misura per le esigenze della tua impresa, tenendo conto di dimensione, settore, esposizione e obiettivi futuri.
Gestore della Crisi da Sovraindebitamento e OCC
Monardo è Gestore della Crisi da Sovraindebitamento iscritto al Ministero della Giustizia e fiduciario di un Organismo di Composizione della Crisi (OCC).
Questo gli permette di:
- Gestire formalmente la ristrutturazione dei debiti aziendali
- Proteggere l’impresa durante tutto il processo
- Favorire l’omologazione giudiziale di piani di risanamento anche senza l’accordo unanime dei creditori
Un vantaggio enorme per una media azienda che rischia di essere travolta dalle azioni di recupero crediti.
Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa
Inoltre, come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa (D.L. 118/2021), Monardo può:
- Attivare percorsi negoziati protetti, senza bisogno di fallimento o liquidazione giudiziale
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- Costruire piani omogenei per la gestione dei debiti complessi, riducendo gli importi da pagare e allungando le scadenze
Tutto questo preservando l’immagine e la continuità dell’impresa.
In conclusione
Una media azienda in crisi può salvarsi solo con una gestione esperta, rapida e strategica della situazione debitoria.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa scegliere un vero specialista delle crisi aziendali, capace di ridurre i debiti, salvare il valore dell’impresa e costruire una ripartenza concreta e duratura.
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