Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa: Come Funziona con l’Avvocato

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa è un nuovo strumento introdotto nell’ordinamento italiano per aiutare gli imprenditori in difficoltà a risanare la propria impresa attraverso trattative assistite da un esperto indipendente, il tutto in modo volontario, riservato e stragiudiziale. Questa procedura è stata concepita in risposta alla necessità di gestire tempestivamente le situazioni di crisi, specialmente alla luce degli effetti economici della pandemia da Covid-19 e in attuazione delle indicazioni dell’Unione Europea in materia di ristrutturazione preventiva. In questa guida operativa – pensata per gli imprenditori – spiegheremo in modo chiaro e pratico che cos’è la composizione negoziata, come si svolge passo dopo passo, quali requisiti e documenti sono necessari, e quale ruolo fondamentale svolge l’avvocato in ogni fase. Inoltre, confronteremo la composizione negoziata con le altre procedure di gestione della crisi (come il piano attestato di risanamento, gli accordi di ristrutturazione e il concordato preventivo) e offriremo esempi concreti e consigli operativi per prevenire le situazioni di crisi. Tutte le informazioni chiave saranno supportate da riferimenti normativi precisi (Codice della Crisi e dell’Insolvenza – D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche, linee guida ufficiali, ecc.), per garantire la massima attendibilità dei contenuti.

Ma andiamo ad approfondire con Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti societari e composizione negoziata della Crisi d’Impresa:

Che cos’è la Composizione Negoziata e perché è stata introdotta

La Composizione Negoziata è una procedura volontaria introdotta nel 2021 (decreto-legge 118/2021, convertito con L.147/2021) e ora disciplinata nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. 14/2019, Titolo II Parte I). Si tratta di un percorso riservato e stragiudiziale pensato per agevolare il risanamento di quelle imprese che si trovano in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tale da rendere probabile uno stato di crisi o di insolvenza, ma che hanno ancora le potenzialità per rimanere sul mercato. In altre parole, la composizione negoziata è destinata all’imprenditore che, pur avendo difficoltà finanziarie, crede sia ancora ragionevolmente possibile salvare l’azienda attraverso accordi con i creditori o altri interventi di riequilibrio.

Origine normativa e contesto: Questo istituto è nato in un momento storico particolare. Da un lato, l’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi era stata posticipata e si era deciso di abbandonare le procedure di “allerta” e “composizione assistita” previste inizialmente (l’OCRI – Organismo di Composizione della Crisi – introdotto dal D.Lgs. 14/2019 non è mai entrato in funzione). Dall’altro lato, la crisi economica innescata dalla pandemia ha richiesto misure urgenti per aiutare le imprese a “contenere e superare gli effetti negativi” del Covid sul tessuto economico. In questo contesto, la composizione negoziata è stata concepita come uno strumento moderno di regolazione stragiudiziale della crisi, in linea anche con la direttiva UE 2019/1023 in materia di ristrutturazione preventiva, per offrire all’imprenditore un’occasione di risanamento prima di dover ricorrere a procedure concorsuali giudiziali.

Scopo principale: L’obiettivo centrale della composizione negoziata è evitare che un’impresa potenzialmente risanabile scivoli nel fallimento (ora “liquidazione giudiziale”), fornendo al contempo garanzie ai creditori che le trattative saranno condotte seriamente e senza intenti dilatori. Attraverso la nomina di un esperto indipendente, la legge intende facilitare il dialogo tra l’imprenditore e i suoi creditori (nonché altri stakeholder come fornitori strategici, clienti importanti, lavoratori, soci o potenziali investitori) al fine di individuare soluzioni condivise per superare la crisi. Il tutto avviene sotto la supervisione discreta di questo esperto “terzo”, il quale funge da mediatore e facilitatore delle trattative, assicurando che le parti negozino in buona fede e che si valutino tutte le opzioni utili al risanamento. Importante sottolineare che l’esperto non è un commissario o un giudice e l’iniziativa rimane sempre in mano all’imprenditore; l’esperto serve a dare credibilità e metodo al processo, ma non sostituisce l’imprenditore nelle decisioni.

Vantaggi per l’imprenditore: La composizione negoziata offre vari benefici pratici rispetto alle procedure concorsuali tradizionali:

  • Innanzitutto, è riservata: finché l’imprenditore non richiede misure protettive al tribunale (vedremo più avanti), l’avvio della procedura non è pubblicizzato e le trattative avvengono in modo confidenziale, evitando il danno reputazionale che spesso accompagna un fallimento o un concordato pubblico.
  • È flessibile e volontaria: l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa durante tutto il percorso e può decidere in ogni momento di interrompere la procedura se ritiene di aver trovato soluzioni alternative o se le trattative non portano risultati.
  • È relativamente rapida e snella: non richiede l’apertura immediata di un procedimento in tribunale; la piattaforma telematica dedicata consente di avviare l’iter in tempi brevi e la nomina dell’esperto avviene entro pochi giorni dalla domanda.
  • Infine, grazie a questo percorso l’imprenditore può anche beneficiare di alcune tutele legali temporanee (come il blocco delle azioni esecutive da parte dei creditori, tramite le cosiddette misure protettive) senza tuttavia entrare in una procedura concorsuale vera e propria. Questo permette di guadagnare tempo e spazio di manovra per negoziare il risanamento, evitando nel frattempo il pignoramento di beni o altre azioni che potrebbero compromettere definitivamente l’impresa.

Nei paragrafi successivi vedremo nel dettaglio come funziona la composizione negoziata passo per passo, quali sono i requisiti per potervi accedere, e quale supporto può offrire un avvocato esperto in crisi d’impresa in ogni fase del percorso. Approfondiremo anche il ruolo dell’esperto indipendente nominato dalla Camera di Commercio, gli esiti possibili di questa procedura e le differenze con gli altri strumenti di gestione della crisi previsti dalla legge.

Come Funziona: Procedura Passo-Passo

Passiamo ora a descrivere concretamente le fasi della composizione negoziata, dal momento in cui l’imprenditore decide di attivarla fino alla conclusione delle trattative. Questo percorso può essere suddiviso in varie tappe operative, che esaminiamo qui di seguito in ordine cronologico. Per ciascuna fase evidenzieremo cosa accade e quali adempimenti sono richiesti, fornendo indicazioni pratiche. Ricordiamo che, pur essendo una procedura principalmente stragiudiziale, la composizione negoziata si svolge secondo regole definite dalla legge (artt. 12-25 D.Lgs. 14/2019 e decreti collegati), quindi è importante seguirne attentamente i passi.

Fase 1: Valutazione iniziale e accesso alla piattaforma telematica

La prima fase riguarda la decisione dell’imprenditore di ricorrere alla composizione negoziata e i passi preliminari per accedervi. È consigliabile che, prima di presentare ufficialmente l’istanza, l’imprenditore effettui una valutazione preliminare della propria situazione, magari con l’ausilio del proprio commercialista o consulente legale, per capire se sussistono i presupposti di squilibrio e le prospettive di risanamento richieste (vedremo i requisiti di accesso più avanti).

Dal punto di vista pratico, l’accesso avviene attraverso una piattaforma telematica nazionale dedicata alla composizione negoziata. Questa piattaforma, gestita da InfoCamere per conto delle Camere di Commercio, è raggiungibile online (ci si riferisce spesso ad essa come “portale della composizione negoziata”). La piattaforma è divisa in due aree:

  • un’area pubblica, informativa, dove chiunque può reperire notizie sulla procedura, le istruzioni e gli strumenti messi a disposizione (come test e checklist);
  • un’area riservata, accessibile all’imprenditore (o al suo rappresentante) tramite autenticazione, nella quale si compila e si inoltra la vera e propria istanza di nomina dell’esperto.

Strumenti di autodiagnosi: Prima di procedere con l’istanza formale, l’imprenditore può sfruttare due utili strumenti messi a disposizione dalla piattaforma:

  • Test pratico di autodiagnosi: un questionario interattivo in cui inserire alcuni dati economico-finanziari dell’azienda (ad esempio l’entità dei debiti, i flussi di cassa previsti, ecc.). Il test, in base ai dati inseriti, restituisce un’indicazione sulla sostenibilità del debito e sulla gravità dello squilibrio, aiutando a capire se il risanamento è effettivamente perseguibile. Questo consente all’imprenditore di valutare da solo, in modo rapido, se ha senso avviare la procedura oppure se la situazione è troppo compromessa (nel qual caso occorrerà forse pensare a soluzioni più drastiche come il concordato preventivo o la liquidazione).
  • Check-list per il piano di risanamento: si tratta di un elenco di punti di controllo che guidano l’imprenditore nella predisposizione di un progetto di piano di risanamento. La legge richiede infatti che, per accedere alla composizione negoziata, l’imprenditore predisponga almeno una bozza di piano, seguendo le indicazioni fornite dalla check-list. In particolare, vanno sicuramente compilate le sezioni chiave (indicate come paragrafi 1, 2.8 e 3 della check-list) inerenti la descrizione dell’impresa, l’analisi della crisi e le linee essenziali delle strategie di risanamento. Questa bozza di piano servirà all’esperto per comprendere la visione dell’imprenditore e valutarne la fattibilità.

Una volta raccolte tutte le informazioni necessarie e verificata la volontà di procedere, l’imprenditore (o il suo legale rappresentante) accede all’area riservata della piattaforma e inizia a compilare l’istanza. L’uso della piattaforma richiede l’identificazione digitale (come SPID o CNS) da parte di chi presenta la domanda, trattandosi di un invio formale.

Fase 2: Presentazione dell’istanza e documentazione da allegare

La presentazione dell’istanza consiste nel compilare i campi richiesti sul portale e allegare una serie di documenti obbligatori, come stabilito dalla normativa. L’istanza è indirizzata al Segretario Generale della Camera di Commercio competente per territorio (quella della provincia in cui l’impresa ha la sede legale). Nel caso di gruppi di imprese, esistono regole specifiche per individuare la Camera di Commercio capofila (in genere quella dove ha sede la società che esercita il controllo o, in mancanza, quella dell’impresa con la maggiore esposizione debitoria), ma per singole imprese è semplicemente la Camera di Commercio della sede legale.

Documenti da allegare: la domanda di composizione negoziata deve essere corredata da un insieme di documenti che fotografano la situazione economico-patrimoniale dell’azienda e forniscono all’esperto gli elementi per analizzare la crisi. In particolare, la legge e i regolamenti attuativi richiedono i seguenti allegati principali:

  • Bilanci degli ultimi tre esercizi depositati (per le società obbligate al deposito del bilancio). Se l’impresa non è tenuta al bilancio (ad esempio ditte individuali o società di persone che non lo redigono), vanno allegate le dichiarazioni dei redditi e IVA degli ultimi tre periodi d’imposta.
  • Situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata dell’impresa, redatta in forma sintetica ma veritiera, riferita ad una data non anteriore a 60 giorni rispetto alla presentazione dell’istanza. In pratica, uno stato patrimoniale e un prospetto della posizione finanziaria netta recente, per capire l’“ultimo stato di salute” dell’azienda.
  • Relazione sull’attività aziendale corrente con allegato un piano finanziario per i successivi 3 mesi, che indichi le iniziative che l’imprenditore intende adottare nel breve periodo. Questo serve a mostrare come si pensa di gestire nell’immediato la tesoreria aziendale (ad esempio: pagamento fornitori critici, contenimento costi, ecc.) durante lo svolgimento delle trattative.
  • Elenco dei creditori dell’impresa, con indicazione dei rispettivi crediti (importi dovuti). È importante includere tutti i creditori, sia finanziari che operativi, e distinguere magari tra creditori muniti di garanzie (privilegiati, ipotecari, ecc.) e chirografari, per dare un quadro completo del debito.
  • Dichiarazione su eventuali istanze di fallimento (liquidazione giudiziale) o insolvenza già pendenti a carico dell’impresa. In altre parole, l’imprenditore deve dichiarare se qualche creditore o altro soggetto ha già presentato ricorso per far dichiarare il fallimento dell’azienda o se è in corso altra procedura concorsuale.
  • Certificato unico dei debiti tributari risultante dalle banche dati fiscali (attestante l’ammontare di eventuali debiti verso l’Erario), nonché la situazione dei debiti presso l’Agenzia delle Entrate-Riscossione (cioè cartelle esattoriali non pagate)
  • Certificato dei debiti contributivi e dei premi assicurativi obbligatori (verso INPS, INAIL, ecc.), per evidenziare eventuali morosità previdenziali.
  • Estratto della Centrale Rischi della Banca d’Italia o altro credit report equivalente, per riassumere esposizioni e segnalazioni creditizie dell’impresa (ad esempio scoperti di conto, prestiti bancari, garanzie in essere, eventuali sconfinamenti o sofferenze registrate).

Tutta questa documentazione deve essere predisposta con cura. In questa fase, il ruolo di un avvocato esperto in crisi d’impresa (assieme eventualmente a un commercialista) può essere cruciale nell’aiutare l’imprenditore a raccogliere e ordinare i documenti, verificare che siano completi e che non vi siano discrepanze. Più avanti forniremo un elenco dettagliato e consigli pratici sulla documentazione (vedi la sezione “Documenti da preparare e consigli pratici”).

Invio dell’istanza: Una volta caricati tutti gli allegati richiesti, l’imprenditore compila le restanti informazioni nell’istanza (dati identificativi dell’impresa, nominativi di eventuali consulenti già coinvolti, ecc.) e procede all’invio tramite la piattaforma. Prima dell’inoltro definitivo, è previsto il pagamento di diritti amministrativi: attualmente un diritto di segreteria di €252,00 (stabilito dal Decreto MISE 10/03/2022) più €16,00 di imposta di bollo. Il pagamento avviene online (tramite circuito PagoPA integrato nella piattaforma). Solo a pagamento effettuato con successo, l’istanza viene protocollata. La piattaforma a questo punto genera automaticamente una PEC di notifica al Segretario Generale della Camera di Commercio competente, informandolo che è stata presentata una domanda di composizione negoziata da parte dell’impresa.

Ufficialità e riservatezza: Da notare che, fino a questo momento, la procedura è ancora riservata. L’istanza di nomina dell’esperto di per sé non viene pubblicata né comunicata ai creditori in questa fase. Solo se l’imprenditore richiede espressamente delle misure protettive (lo vedremo nella Fase 5), verrà effettuata una pubblicazione nel Registro delle Imprese con effetti legali. Ma la semplice presentazione della domanda resta confidenziale: i creditori e i terzi non ne sono automaticamente informati. Ciò tutela l’imprenditore, che può tentare un risanamento senza allarmare il mercato o la clientela sul proprio stato di crisi.

Fase 3: Nomina dell’Esperto Indipendente

Dopo la presentazione della domanda completa di documenti, si passa alla fase di nomina dell’esperto negoziatore. La legge prevede tempi molto rapidi: entro 5 giorni dalla comunicazione dell’istanza, una apposita commissione presso la Camera di Commercio deve individuare e designare l’esperto indipendente.

Vediamo come avviene in concreto:

  • Presso ogni Camera di Commercio capoluogo di regione (e delle province autonome di Trento e Bolzano) è istituito un Elenco degli Esperti Indipendenti per la composizione negoziata. Possono iscriversi a tale elenco professionisti con determinati requisiti di esperienza e formazione: avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro (ciascuno con almeno 5 anni di iscrizione al proprio Albo) e manager d’azienda che abbiano ricoperto ruoli di amministrazione o controllo in imprese oggetto di ristrutturazioni concluse positivamente. Tutti gli esperti devono inoltre aver seguito uno specifico corso di formazione di 55 ore sulla crisi d’impresa. Il requisito forse più importante è quello di indipendenza e terzietà: l’esperto non deve avere conflitti di interessi o legami personali/professionali né con l’imprenditore né con i suoi creditori.
  • La Commissione di selezione (nominata presso la CCIAA) sceglie dall’elenco un nominativo adatto al caso in questione. La scelta viene fatta tenendo conto di criteri come la competenza in relazione al settore in cui opera l’impresa, l’eventuale esperienza pregressa dell’esperto in crisi simili, il principio di rotazione degli incarichi, ecc. Esistono linee guida emanate dal CNDCEC per orientare questa selezione in base alle “precedenti esperienze nel campo della ristrutturazione” dichiarate dai candidati. In sostanza, si punta ad assegnare all’impresa in crisi un esperto che abbia le migliori competenze per quel tipo di azienda e di problema (es.: se l’impresa è industriale manifatturiera, si preferirà un esperto che conosce i processi industriali; se è una PMI familiare forse un commercialista con esperienza locale, ecc.).
  • Una volta individuato, l’esperto viene formalmente designato. Entro 2 giorni lavorativi dalla designazione, l’esperto deve comunicare la propria accettazione dell’incarico, dichiarando contestualmente di non avere cause di incompatibilità o conflitto. L’accettazione viene inserita sulla piattaforma telematica e inviata via PEC all’imprenditore. Da questo momento l’esperto nominato ha accesso all’area riservata della piattaforma relativa a quella specifica composizione negoziata e può consultare tutti i documenti caricati dall’imprenditore.
  • Se per qualsiasi ragione l’esperto designato non accetta o risulta incompatibile, la commissione provvede a designare un altro nominativo. (Ogni esperto, per legge, non può assumere più di due incarichi contemporaneamente, per garantire che dedichi sufficiente attenzione a ciascun caso).

Una volta che l’esperto ha accettato, l’imprenditore riceve la comunicazione ufficiale con il nome e i contatti dell’esperto incaricato. A questo punto si entra nel vivo della procedura: iniziano i rapporti tra l’imprenditore e l’esperto finalizzati a esaminare la situazione e gestire le trattative con i creditori.

👉 Nota: In questa fase l’avvocato dell’imprenditore svolge un ruolo di interfaccia importante: potrà contattare l’esperto per organizzare il primo incontro, assicurarsi che l’esperto abbia tutta la documentazione necessaria e fornire eventuali chiarimenti preliminari. È fondamentale impostare sin da subito una collaborazione trasparente con l’esperto, perché egli dovrà formarsi un’opinione obiettiva sulle prospettive di risanamento. Un atteggiamento collaborativo e proattivo da parte dell’imprenditore (e dei suoi consulenti) faciliterà il lavoro dell’esperto e porrà basi migliori per le successive trattative.

Fase 4: Primo incontro e valutazione della prospettiva di risanamento

Dopo la nomina, l’esperto indipendente convoca l’imprenditore per un primo incontro conoscitivo e di analisi. Questo è un momento cruciale: l’esperto esaminerà in dettaglio la situazione aziendale e dovrà pronunciarsi preliminarmente sulla “perseguibilità del risanamento”. Vediamo in cosa consiste questa fase:

  • Analisi iniziale dei dati: Prima ancora dell’incontro, l’esperto avrà già preso visione dei documenti caricati sulla piattaforma (bilanci, elenco creditori, piano trimestrale, ecc.) e dell’esito del test di autodiagnosi eseguito dall’imprenditore. Dunque arriverà al colloquio con una prima idea sullo stato di salute dell’impresa. In questa riunione, che solitamente si tiene presso la Camera di Commercio o in altra sede concordata, l’esperto chiederà all’imprenditore (spesso affiancato dal suo avvocato e/o commercialista) chiarimenti su dati finanziari, cause della crisi, relazioni con i principali creditori, e discuterà il progetto di piano di risanamento proposto dall’imprenditore. L’obiettivo è verificare se ci sono reali margini per avviare trattative efficaci.
  • Valutazione di perseguibilità: Se da questa disamina emerge che la situazione è irrecuperabile, cioè non c’è alcuna prospettiva ragionevole di risanamento, l’esperto lo comunica immediatamente all’imprenditore e al Segretario Generale della Camera di Commercio, determinando la chiusura anticipata della procedura . In tal caso la composizione negoziata viene archiviata sul nascere. Ad esempio, se l’esperto riscontra che l’impresa è totalmente priva di liquidità, con impianti fermi e i principali creditori già sul piede di guerra, potrebbe concludere che non vi sia spazio per negoziare alcunché e consigliare piuttosto di valutare un percorso liquidatorio formale. Questa funzione di filtro iniziale è importante per evitare di avviare trattative inutili che farebbero solo perdere tempo e peggiorare il dissesto Le linee guida sottolineano infatti che l’esperto deve saper analizzare rapidamente l’impresa per evitare l’avvio di trattative se non vi sono prospettive concrete di risanamento.
  • Proseguimento della procedura: Se invece l’esperto ritiene che esistono margini di risanamento (ad esempio l’impresa, pur in crisi di liquidità, ha buone commesse e un piano credibile per ristrutturare i debiti), allora dà esito positivo alla valutazione e si passa alla fase operativa di negoziazione con i creditori. In questa sede l’esperto e l’imprenditore delineano un approccio strategico: identificano insieme quali sono le parti da convocare al tavolo negoziale (principalmente i creditori più rilevanti, ma anche altri soggetti interessati al risanamento, come possibili investitori, soci, clienti strategici, ecc.), e valutano quali soluzioni proporre (ad esempio: dilazioni di pagamento, riduzioni parziali del debito, aumento di capitale da parte di nuovi soci, cessione di rami d’azienda, ottenimento di nuova finanza, ecc.). L’esperto può fornire indicazioni utili grazie alla sua esperienza, ma ricordiamo che l’imprenditore rimane libero di decidere la linea da tenere.

Da questo momento, la procedura entra nel vivo della negoziazione vera e propria. È importante sottolineare che durante tutta la composizione negoziata, l’imprenditore rimane alla guida della propria impresa. Non c’è alcuna destituzione degli amministratori né intervento diretto di un organo commissariale. L’ordinaria amministrazione dell’azienda continua, così come (entro certi limiti) anche l’eventuale straordinaria amministrazione, sotto la responsabilità dell’imprenditore. Egli però dovrà concordare con l’esperto le operazioni più significative, per evitare atti che possano pregiudicare le trattative o danneggiare i creditori.

👉 Nota: Questa fase iniziale rappresenta anche un momento in cui l’imprenditore, su consiglio del proprio avvocato, può decidere se attivare subito le misure protettive (cioè chiedere al tribunale una tutela temporanea contro le azioni dei creditori) oppure provare inizialmente a negoziare senza misure protettive per mantenere la procedura più riservata. La scelta dipende dalla situazione: se ci sono creditori che minacciano pignoramenti o iniziative aggressive imminenti, può essere opportuno attivare le protezioni già all’avvio; se invece il clima è ancora relativamente calmo, si potrebbe tentare una trattativa informale senza coinvolgere il tribunale, almeno nelle prime settimane. Approfondiremo di seguito il tema delle misure protettive.

Fase 5: Svolgimento delle trattative con i creditori e altri stakeholder

Superata la verifica preliminare, inizia la fase negoziale vera e propria. Questa è la fase centrale della composizione negoziata, durante la quale si cerca di costruire un accordo che permetta all’impresa di superare la crisi. Ecco come si svolge operativamente:

  • Convocazione dei creditori: L’esperto, d’intesa con l’imprenditore, convoca i principali creditori e gli altri soggetti interessati per avviare le trattative. Solitamente si tengono una serie di riunioni (in presenza o anche da remoto) in cui l’imprenditore, eventualmente assistito dal suo avvocato e consulente finanziario, espone la situazione aziendale e le proposte di risanamento. L’esperto presiede questi incontri con un ruolo di facilitatore: garantisce che il dialogo rimanga costruttivo, che tutte le parti abbiano le informazioni necessarie e invita ciascuno a collaborare per trovare una soluzione. La negoziazione è e resta comunque una prerogativa dell’imprenditore: è lui (con i suoi consulenti) che conduce le trattative e formula le proposte ai creditori, mentre l’esperto non si sostituisce all’imprenditore nel dialogo. La presenza dell’esperto serve però a dare credibilità all’imprenditore (mostrando ai creditori che c’è un controllo terzo sulla correttezza delle informazioni) e a mantenere la fiducia nel processo.
  • Piano di risanamento e proposte: Nel corso delle riunioni, l’imprenditore presenta il proprio piano di risanamento (che nel frattempo può essere affinato rispetto alla bozza iniziale della check-list). Questo piano può prevedere diverse misure, ad esempio:
    • La dilazione dei debiti: pagamenti rateali in un certo periodo.
    • Eventuali rinunce parziali (stralci) di credito da parte di taluni creditori, se disponibili.
    • Conversione di debiti in capitale (soprattutto se alcuni creditori sono anche soci o disponibili a diventarlo).
    • La cessione di asset non strategici per fare cassa (immobili, partecipazioni, rami d’azienda).
    • L’ingresso di nuovi finanziatori o investitori per apportare risorse fresche.
    • L’utilizzo di strumenti come accordi di moratoria (i creditori finanziari che congelano i crediti per un periodo) o altre convenzioni previste dalla legge. L’esperto aiuta a valutare la fattibilità di queste misure e può suggerire aggiustamenti. Ad esempio, potrebbe consigliare di offrire ai creditori chirografari una percentuale di soddisfazione leggermente più alta se ciò aumenta le chance di adesione, oppure di prevedere clausole di salvaguardia. Va ricordato che l’esperto ha accesso a tutte le informazioni e deve assicurarsi che le trattative si svolgano in modo funzionale al risanamento e senza pregiudicare i creditori. Egli vigila affinché, durante il periodo delle negoziazioni, l’imprenditore non compia atti che sottraggano risorse ai creditori (come distrarre beni o favorire indebitamente qualcuno).
  • Ruolo propositivo dell’esperto: Pur non essendo un arbitro vincolante, l’esperto può assumere un ruolo propositivo. Ad esempio, se le parti sono in stallo su qualche punto, l’esperto può formulare ipotesi di compromesso o soluzioni alternative, forte della sua esperienza. Può anche tenere incontri separati con alcuni creditori per comprendere le loro posizioni e cercare di avvicinare le parti. È stato spesso sottolineato che l’esperto è una sorta di mediatore attivo nella crisi: non impone decisioni, ma facilita l’incontro tra domanda e offerta di sacrifici tra imprenditore e creditori.
  • Tempistiche: La legge non fissa una durata rigida per la fase di trattative. In generale, la composizione negoziata ha un approccio rapido perché si presume che o si trova un accordo in pochi mesi oppure, se le trattative si trascinano troppo, è segno che non funzionano. Spesso si citano i 180 giorni come orizzonte massimo ragionevole, anche perché le eventuali misure protettive (vedi dopo) hanno in genere efficacia limitata nel tempo. Tuttavia, la durata effettiva dipende dal caso concreto: alcune negoziazioni si chiudono in poche settimane, altre possono richiedere qualche mese di lavoro.
  • Confidenzialità e gestione delle informazioni: Durante questa fase, è cruciale la riservatezza: le informazioni condivise tra le parti (sui debiti, sul piano di rilancio, ecc.) sono coperte da obbligo di riservatezza. L’esperto stesso è tenuto al segreto su tutto ciò che apprende. Ciò aiuta a creare un clima di fiducia. Inoltre, l’imprenditore deve fornire informazioni veritiere e complete: qualsiasi tentativo di nascondere “scheletri nell’armadio” verrebbe probabilmente smascherato dall’analisi dell’esperto e comprometterebbe le trattative.

Va sottolineato che, in composizione negoziata, non c’è un voto dei creditori formalizzato (come avverrebbe in un concordato preventivo). L’accordo viene costruito contrattualmente: i creditori sono liberi di aderire o meno alle proposte. L’obiettivo è ottenere il consenso del maggior numero di creditori (idealmente tutti o quasi) ad una soluzione di ristrutturazione. Nel prossimo paragrafo vedremo quali forme può assumere l’accordo finale. Ma prima, concludiamo il percorso delle fasi parlando delle misure protettive, che possono intervenire trasversalmente durante le trattative.

Fase 6: Misure protettive (opzionale)

Le misure protettive sono un elemento facoltativo ma molto importante della composizione negoziata. Esse consistono in provvedimenti di tutela che sospendono o vietano temporaneamente alcune azioni dei creditori nei confronti dell’imprenditore, al fine di creare un “ambiente protetto” in cui condurre le trattative senza la pressione di pignoramenti o altre aggressioni al patrimonio.

Caratteristiche principali delle misure protettive:

  • Le misure protettive si attivano su richiesta dell’imprenditore. La richiesta può essere presentata contestualmente all’istanza di nomina dell’esperto o anche successivamente, se durante le trattative emerge la necessità di protezione. Ad esempio, l’imprenditore potrebbe chiedere subito le misure protettive se sa di avere un creditore che sta per procedere con un’esecuzione immobiliare; oppure potrebbe iniziare senza protezioni e richiederle in un secondo tempo, qualora un creditore perda la pazienza.
  • L’imprenditore chiede l’applicazione delle misure protettive tramite la piattaforma. Dal giorno in cui la richiesta di misure protettive viene pubblicata nel Registro delle Imprese, scattano immediatamente alcuni effetti di tutela. In particolare: i creditori non possono acquisire o consolidare privilegi, pegni o ipoteche sul patrimonio dell’imprenditore senza il suo consenso, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari nei suoi confronti. Ciò significa, ad esempio, che non si possono iscrivere nuove ipoteche su beni dell’impresa, non si possono pignorare conti o macchinari, e anche le azioni esecutive già avviate restano congelate.
  • La richiesta di misure protettive viene poi valutata dal Tribunale competente. Infatti, pur essendo la composizione negoziata stragiudiziale, l’intervento del giudice è previsto per confermare o eventualmente modificare le misure protettive. L’imprenditore deve depositare un ricorso in tribunale per la conferma delle misure, di solito entro breve tempo dalla pubblicazione. Il tribunale, sentito l’esperto (che relaziona sullo stato delle trattative), verifica che l’imprenditore non stia abusando di questo strumento e conferma le misure protettive con un decreto (oppure le revoca/modifica, se ritiene manchino i presupposti). L’efficacia delle misure protettive è subordinata a questa conferma giudiziale: in pratica le misure hanno effetto immediato con la pubblicazione, ma devono essere confermate dal tribunale per poter durare per l’intero periodo necessario.
  • Durata: generalmente le misure protettive vengono concesse per un periodo iniziale (spesso 120 giorni, circa 4 mesi) prorogabile una volta fino a un massimo (tipicamente 180 giorni totali) su valutazione del giudice. Questi termini possono variare a seconda delle disposizioni applicative, ma l’idea è che la protezione non possa protrarsi troppo a lungo senza un esito, altrimenti i creditori subirebbero un’eccessiva compressione dei loro diritti.
  • Obblighi connessi: Durante il periodo di misure protettive, l’imprenditore deve astenersi dal compiere atti di straordinaria amministrazione non autorizzati che possano danneggiare i creditori. Inoltre, l’esperto potrebbe dover fornire al tribunale relazioni periodiche sullo stato delle trattative, affinché il giudice possa monitorare che l’imprenditore stia effettivamente cercando una soluzione e non usi la protezione solo per guadagnare tempo a vuoto. Se l’imprenditore agisce in mala fede o se appare chiaro che non si raggiungerà alcun accordo, il tribunale può revocare le misure protettive prima del termine.

Le misure protettive sono dunque uno strumento potente: bloccano temporaneamente le iniziative individuali dei creditori, similmente a quanto avviene nel “concordato preventivo con riserva” (il cosiddetto concordato in bianco). Questo consente all’imprenditore di negoziare con più serenità e allontana il rischio di azioni esecutive devastanti nel bel mezzo delle trattative. Di contro, l’attivazione delle misure protettive comporta una certa pubblicità (la pubblicazione al Registro Imprese rende noto che l’azienda è in composizione negoziata e ha chiesto tutela) e l’ingresso del tribunale nel procedimento, con gli inevitabili costi e formalità legali annesse. Dunque, l’uso delle misure protettive va ponderato caso per caso, spesso dietro consiglio dell’avvocato: può rivelarsi salvifico in presenza di creditori aggressivi, ma se possibile l’imprenditore potrebbe preferire negoziare informalmente senza attivare il “faro” del tribunale, almeno inizialmente.

👉 Esempio pratico di misure protettive: Supponiamo che la Alfa S.r.l., in crisi di liquidità, abbia avviato la composizione negoziata. Uno dei creditori (una banca) però, nonostante sia a conoscenza delle trattative, notifica un atto di pignoramento su un macchinario fondamentale per la produzione. Per evitare di perdere quel bene essenziale e per mantenere la par condicio tra tutti i creditori, Alfa S.r.l. – con l’ausilio del suo avvocato – presenta un’istanza di misure protettive che viene pubblicata il giorno stesso sul Registro Imprese. Da quel momento la procedura esecutiva si blocca automaticamente. L’esperto redige una relazione confermando che le trattative sono in corso e la depositano in tribunale a supporto della richiesta. Il giudice conferma le misure per 4 mesi. La banca e gli altri creditori, quindi, non possono proseguire azioni esecutive durante questo periodo, mentre l’azienda continua a negoziare il risanamento. Questo “scudo” permette ad Alfa S.r.l. di guadagnare tempo prezioso per definire un accordo, senza doversi difendere su più fronti.

Fase 7: Conclusione del percorso e possibili esiti

La composizione negoziata si conclude, di norma, con il deposito della relazione finale da parte dell’esperto sulla piattaforma. Tale relazione riepiloga le attività svolte, le proposte esaminate e l’esito delle trattative (accordo raggiunto o meno). Il deposito della relazione determina l’archiviazione della procedura, cioè la chiusura formale della composizione negoziata presso la Camera di Commercio.

Ma ciò che importa all’imprenditore è: qual è il risultato sostanziale? Quali scenari si possono avere a fine procedura? Di fatto, ci sono diversi sbocchi possibili, che possiamo sintetizzare così:

  • A) Raggiungimento di un accordo stragiudiziale con i creditori: Questo è lo scenario auspicato. Se le trattative hanno successo, l’imprenditore e i creditori (o almeno una parte significativa di essi) sottoscrivono un accordo che prevede determinati impegni: ad esempio un piano di rientro dei debiti, magari con una percentuale di stralcio, e contestualmente azioni di rilancio aziendale. Tale accordo può assumere forme diverse a seconda dei casi. In alcuni casi potrebbe essere un contratto bilaterale o plurilaterale (ad esempio un accordo di moratoria con le banche ai sensi dell’art. 182-octies L.F., oppure un accordo transattivo con principali fornitori). In altri casi potrebbe avere la forma di un piano attestato di risanamento: la legge prevede infatti che un accordo sottoscritto dall’imprenditore, dai creditori coinvolti e dall’esperto produca gli effetti esonerativi di un piano attestato ex art. 67, terzo comma, lett. d) L.F. (cioè l’esenzione da revocatoria fallimentare), senza necessità di ulteriore attestazione ). Ciò significa che se l’accordo raggiunto rientra nei parametri di un piano di risanamento idoneo a riequilibrare l’azienda per almeno 2 anni, l’esperto stesso, nel sottoscriverlo, funge da “attestatore” e l’accordo avrà efficacia protettiva: i pagamenti e gli atti eseguiti in attuazione di esso non potranno essere revocati in un eventuale futuro fallimento. Questo è un beneficio rilevante perché incentiva i creditori ad aderire (sono più tranquilli nel fare concessioni sapendo di avere tutela legale su quanto incasseranno). In pratica, se “tutto va bene”, la composizione negoziata si conclude con un accordo privato che evita il fallimento. L’impresa quindi prosegue la sua attività secondo i nuovi accordi. Il ruolo dell’avvocato qui è determinante per formalizzare l’accordo in termini giuridici solidi, assicurandosi che sia firmato da tutti i soggetti necessari, che sia chiaro negli impegni e che eventualmente venga omologato se richiesto dalla legge per particolari tipi di accordi. Da notare che l’accordo può riguardare anche la cessione dell’azienda o di rami di azienda a terzi, come strada per salvaguardare la continuità: la legge contempla espressamente questa possibilità come sbocco delle trattative. Ad esempio, le trattative potrebbero portare all’individuazione di un investitore disposto a rilevare l’intera azienda (o parte di essa) accollandosi i debiti o pagando un corrispettivo che andrà ai creditori. In tal caso l’accordo sarà un contratto di cessione aziendale con il consenso dei creditori interessati.
  • B) Accesso a una procedura concorsuale minore (accordo di ristrutturazione dei debiti): Se l’accordo raggiunto coinvolge una parte consistente (ma non la totalità) dei creditori, l’imprenditore potrebbe decidere di utilizzarlo come base per un accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis Legge Fall. (ora trasfuso nel Codice della Crisi). Gli accordi di ristrutturazione sono strumenti giuridici che richiedono l’adesione di almeno il 60% dei crediti e l’omologazione da parte del tribunale. Sono meno gravosi di un concordato perché non c’è voto di tutti i creditori, ma offrono il vantaggio di poter essere resi vincolanti anche per eventuali creditori dissenzienti (entro certi limiti) grazie all’omologa del giudice. Durante la composizione negoziata, magari si ottiene l’adesione di un numero di creditori sufficiente: in tal caso, l’avvocato potrà consigliare di “innestare” quell’accordo nella procedura formale di omologazione. La legge 118/2021 ha anticipato alcune novità sugli accordi, come le convenzioni di moratoria e gli accordi ad efficacia estesa, rendendoli più flessibili. Quindi uno sbocco possibile è: composizione negoziata che sfocia in un accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale. In tal caso, la composizione negoziata termina e subentra la procedura di omologazione, con l’esperto che potrà fornire al giudice una relazione a supporto.
  • C) Accesso al Concordato Preventivo “tradizionale”: Qualora dalle trattative emerga la necessità di coinvolgere tutti i creditori in una soluzione e non si raggiunga un accordo stragiudiziale globale, l’imprenditore potrebbe optare per un concordato preventivo. Ad esempio, se alcuni creditori non intendono aderire spontaneamente, ma l’imprenditore ha elaborato (anche grazie all’esperto) un piano di risanamento valido, potrebbe decidere di presentare un ricorso per concordato preventivo così da imporre il piano a tutti tramite il voto della maggioranza e l’omologa. La composizione negoziata, in questo caso, funge da fase preparatoria: si interrompe e lascia il posto a una procedura concorsuale vera e propria. La legge ha previsto anche la possibilità di depositare un concordato “semplificato” in caso di esito negativo delle trattative (vedi punto D). Ma l’imprenditore potrebbe invece tentare un concordato preventivo ordinario, in continuità aziendale o liquidatorio, se ritiene di poter ottenere il consenso delle maggioranze di legge. In tal caso, i documenti e le analisi svolte durante la composizione negoziata tornano utili per predisporre la proposta e il piano di concordato. Da rilevare che il concordato preventivo è una procedura giudiziale complessa, con tempistiche e costi maggiori, per cui lo si considera generalmente come opzione se fallisce la soluzione negoziata pura. La composizione negoziata è stata pensata proprio per evitare il concordato, ma nulla vieta di ricorrervi se risulta opportuno.
  • D) Concordato “semplificato” per la liquidazione del patrimonio: Questa è una novità introdotta dal D.L. 118/2021 per i casi in cui la composizione negoziata non riesce a salvare l’azienda, ma si vuole comunque evitare il fallimento tradizionale. Se le trattative non individuano una soluzione idonea al risanamento, l’imprenditore – all’esito negativo della composizione negoziata – ha la facoltà di presentare direttamente in tribunale una proposta di concordato per cessione dei beni, corredata da un piano di liquidazione dei suoi asset: il cosiddetto “concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio”. È definito “semplificato” perché, a differenza del concordato preventivo ordinario, non prevede il voto dei creditori: sarà il tribunale, sentiti l’esperto e i creditori, a valutare se omologare il piano liquidatorio. Questa possibilità (disciplinata ora nel Codice della Crisi, art. 25-sexies e seguenti) esiste solo per chi ha attivato la composizione negoziata senza successo. In pratica è un’uscita di sicurezza: l’imprenditore propone di liquidare tutto in modo ordinato e ripartire il ricavato tra i creditori secondo le regole di legge, evitando così il fallimento (liquidazione giudiziale) classico. Il vantaggio è che si risparmia tempo (niente voto, procedura più veloce) e l’imprenditore può forse negoziare anche in extremis qualche accordo (es.: trovare un acquirente per l’azienda prima di presentare la proposta, in modo che il concordato si traduca nella vendita in blocco e conseguente pagamento ai creditori). Tuttavia i creditori possono ovviamente interloquire nel procedimento e il tribunale omologherà solo se il piano rispetta i loro diritti in modo non deteriore rispetto ad una liquidazione fallimentare.
  • E) Archiviazione senza accordo e altre soluzioni: Può capitare che la composizione negoziata si chiuda senza un accordo, ma che nel frattempo l’imprenditore abbia trovato altre vie di soluzione. Ad esempio, l’imprenditore potrebbe decidere per una liquidazione volontaria dell’azienda (fuori dalle procedure concorsuali) se vede che non c’è futuro, oppure potrebbe riuscire a pagare i debiti critici attingendo a risorse familiari o extra, risolvendo così la crisi senza un accordo formale. In questi casi, l’esperto ne prende atto nella relazione finale e la procedura viene chiusa. Resta inteso che se non c’è soluzione e non viene attivato il concordato semplificato o altro, i creditori riacquisteranno piena libertà di agire e con ogni probabilità scatteranno iniziative che porteranno ad una liquidazione giudiziale (il tribunale dichiarerà il fallimento su istanza di uno o più creditori rimasti insoddisfatti). Dunque la mancata riuscita della composizione negoziata spesso prelude al fallimento, salvo che l’imprenditore abbia nel frattempo predisposto diversamente (come nel caso D).

In sintesi, la composizione negoziata è un percorso negoziale che può portare a soluzioni extra-giudiziali (accordi privati) oppure a soluzioni concorsuali semplificate. L’idea chiave è: se c’è un accordo volontario con i creditori, bene, altrimenti è comunque opportuno incanalare la crisi verso una procedura ordinata invece che lasciare che degeneri. L’esperto, nella sua relazione finale, indicherà quali soluzioni sono emerse. Ad esempio, potrebbe attestare che l’imprenditore ha sottoscritto un accordo con l’80% dei creditori assicurando la continuità aziendale per almeno due anni, oppure che nessun accordo è stato possibile e suggerire eventualmente il ricorso al concordato semplificato.

È importante notare che la chiusura della composizione negoziata non segna la fine dell’assistenza dell’esperto: in caso di concordato semplificato, l’esperto redige una relazione finale che accompagnerà la domanda in tribunale; in caso di accordo stragiudiziale, l’esperto sottoscrive l’accordo stesso (se si vuole farne un piano attestato protetto). In ogni caso, terminato il suo compito, l’esperto non avrà ruoli successivi (non diventa curatore né commissario in futuri concordati – a meno che separatamente non venga nominato in tali ruoli, ma non è un automatismo).

Riassumendo:

  • Successo della composizione: accordo privato con i creditori (piano di risanamento), eventualmente “certificato” dall’esperto per la protezione da revocatorie.
  • Successo parziale: accordo con molti creditori, poi consolidato in un accordo di ristrutturazione omologato dal tribunale.
  • Necessità di procedura concorsuale: ricorso al concordato preventivo (normale o semplificato) per concludere in modo giudiziale (soprattutto in caso di esito negativo delle trattative).
  • Fallimento delle trattative: archiviazione e, se l’imprenditore non attiva altro, probabile successivo fallimento (liquidazione giudiziale) su iniziativa dei creditori.

Nel prossimo capitolo approfondiremo proprio ciascuno di questi possibili esiti (gli “sbocchi” della procedura), ma prima è utile soffermarci sul ruolo dell’avvocato lungo tutte queste fasi, e su quali requisiti e documenti sono richiesti per accedere alla composizione negoziata.

Il Ruolo dell’Avvocato a Supporto dell’Imprenditore (fase per fase)

Un avvocato esperto in diritto fallimentare e crisi d’impresa può essere un alleato fondamentale per l’imprenditore che intraprende la composizione negoziata. Il percorso, per quanto semplificato rispetto a un giudizio, presenta numerosi aspetti legali e strategici in cui la consulenza legale fa la differenza. Vediamo il ruolo pratico dell’avvocato in ogni fase:

  • Prima dell’avvio della procedura: In fase iniziale l’avvocato aiuta l’imprenditore a valutare l’opportunità di accedere alla composizione negoziata. Ciò significa analizzare con lui i sintomi della crisi, i dati finanziari disponibili e stimare se ci sono prospettive concrete di risanamento (condizione necessaria per accedere). L’avvocato esamina i possibili rischi legali in corso (cause pendenti, decreti ingiuntivi, ipoteche…) e li mette in relazione con i benefici che la procedura offrirebbe (come il blocco delle azioni esecutive). In base a questa due diligence preliminare, l’avvocato può consigliare di procedere con l’istanza di composizione negoziata oppure, se rileva che la situazione è disperata, orientare l’imprenditore verso soluzioni alternative (ad esempio un accordo stragiudiziale più semplice o direttamente un concordato/liquidazione). Se si decide per la composizione negoziata, l’avvocato affianca l’imprenditore nella preparazione della domanda: aiuta a raccogliere la documentazione necessaria (bilanci, certificati, elenco creditori), controlla che tutto sia completo e coerente, redige eventualmente una relazione introduttiva da allegare (se utile a spiegare la situazione), e compila assieme all’imprenditore l’istanza sulla piattaforma. In pratica, l’avvocato si assicura che sin dall’inizio l’azienda si presenti in modo credibile e trasparente, condizione essenziale per ottenere la fiducia dell’esperto e dei creditori. Inoltre, l’avvocato può già predisporre bozze di possibili accordi o strategie di negoziazione, da affinare poi con l’esperto.
  • Dopo la nomina, nei rapporti con l’esperto: Una volta nominato l’esperto indipendente, l’avvocato svolge un ruolo di interfaccia tra imprenditore ed esperto. Partecipa con l’imprenditore al primo incontro con l’esperto (e ad eventuali incontri successivi), fornendo chiarimenti di natura legale. Ad esempio, se l’impresa ha contenziosi legali in corso, l’avvocato li illustrerà all’esperto; se vi sono aspetti contrattuali complessi con clienti/fornitori, l’avvocato ne spiegherà i dettagli. Ciò aiuta l’esperto a capire meglio il contesto. L’avvocato assiste l’imprenditore nel rispondere alle richieste di informazioni aggiuntive che l’esperto potrà fare e nel rimodulare il piano in base ai suggerimenti iniziali dell’esperto. Inoltre, se l’esperto sembra orientato a una valutazione negativa (chiusura anticipata), l’avvocato può cercare di fornire elementi o rassicurazioni per convincerlo della possibilità di risanamento (sempre nei limiti della franchezza: non si devono illudere l’esperto e i creditori, ma magari l’avvocato può prospettare soluzioni che l’imprenditore da solo non aveva considerato). È fondamentale instaurare con l’esperto un rapporto di fiducia e collaborazione: l’avvocato, con il suo linguaggio tecnico-giuridico, può tradurre al meglio la posizione dell’imprenditore e mostrare all’esperto che l’azienda sta agendo in modo professionale.
  • Durante le trattative con i creditori: Qui l’avvocato entra in campo pienamente come negoziatore e consulente legale. Le sue attività tipiche in questa fase includono:
    • Preparare le proposte contrattuali da presentare ai creditori. Se, ad esempio, l’imprenditore intende proporre ai fornitori il pagamento del 60% del loro credito in 12 mesi, sarà l’avvocato a redigere una bozza di accordo transattivo che formalizzi tale proposta. Lo stesso per proposte di moratoria alle banche o piani di rientro.
    • Condurre le trattative assieme all’imprenditore. Molto spesso, nelle riunioni con i creditori convocate dall’esperto, l’avvocato dell’imprenditore prende la parola per illustrare le soluzioni giuridiche proposte: ad esempio spiega come verrebbe strutturato un eventuale accordo di ristrutturazione, quali garanzie legali si possono offrire ai creditori aderenti (come la prededucibilità di nuovi finanziamenti, etc.), quali conseguenze avrebbe per tutti un eventuale fallimento (così da incentivare l’accordo evitando esiti peggiori). Questo ruolo quasi diplomatico dell’avvocato è cruciale per appianare le divergenze e convincere i creditori della bontà del piano. Un buon avvocato sa argomentare e mediare, mantenendo il punto sugli interessi dell’imprenditore ma mostrando anche empatia verso le esigenze creditorie (ad esempio riconoscendo i loro diritti ma evidenziando che una soluzione condivisa conviene a tutti più di una guerra legale).
    • Gestire gli aspetti legali delle diverse opzioni: Se le trattative prendono una certa piega, l’avvocato deve adeguarsi e occuparsi di tutto il corredo legale. Ad esempio, se emerge la possibilità di far entrare un investitore, ci saranno accordi di riservatezza da firmare, lettere d’intenti, due diligence legali: tutte cose di cui l’avvocato si fa carico. Se bisogna predisporre documenti per il tribunale (nel caso di misure protettive o di omologa di accordi), l’avvocato li redige e li deposita. In sintesi, l’avvocato è il regista legale dell’intera negoziazione: cura i testi, rispetta i formalismi, garantisce che ogni passo sia conforme alla legge così che nessun creditore possa poi impugnarlo.
    • Assicurare la par condicio e prevenire contestazioni: L’avvocato vigila affinché l’imprenditore, magari spinto dalla disperazione, non compia passi falsi tipo pagare di nascosto un creditore a discapito di altri o fare promesse irrealizzabili. Lo consiglia su come agire in modo corretto (ad esempio, potrebbe sconsigliare di pagare sotto banco un fornitore fuori dall’accordo perché questo potrebbe far saltare la fiducia degli altri e configurare atti soggetti a revocatoria). In un certo senso, l’avvocato aiuta l’imprenditore a muoversi entro i binari della legalità e della buona fede, condizioni indispensabili perché la composizione vada a buon fine.
  • Nei rapporti con il tribunale (misure protettive e omologhe): Se la procedura comporta un passaggio in tribunale, il ruolo dell’avvocato è di rappresentare e difendere l’imprenditore in sede giudiziale. Ad esempio, per le misure protettive, sarà l’avvocato a predisporre il ricorso al tribunale per la conferma delle misure, allegando la relazione dell’esperto e comparendo all’udienza in camera di consiglio per spiegare al giudice le ragioni della richiesta. L’avvocato dovrà eventualmente fronteggiare le opposizioni dei creditori che si costituissero per contestare le misure (qualora qualche creditore ritenga di essere leso, può opporsi). Analogamente, se si arriva a un accordo di ristrutturazione da omologare o a un concordato preventivo/semplificato, l’avvocato prepara tutta la documentazione da depositare (domanda di concordato, piano, attestazioni, relazione dell’esperto, ecc.) e assiste l’imprenditore nel procedimento davanti al tribunale fino all’omologa. In queste situazioni giudiziali, emergono tutte le competenze tecniche dell’avvocato, che deve saper maneggiare la normativa fallimentare (il Codice della Crisi) e convincere il giudice della fattibilità giuridica della soluzione concordata. Ad esempio, in caso di concordato semplificato, l’avvocato dovrà dimostrare che sono rispettate le percentuali di soddisfazione minime dei creditori previsti dalla legge e che la proposta è più vantaggiosa della liquidazione fallimentare, affinché il tribunale possa omologarla.
  • Formalizzazione dell’accordo e fase post-procedurale: Se la composizione negoziata si chiude con un accordo stragiudiziale (piano di risanamento concordato con i creditori), l’avvocato cura la formalizzazione scritta dell’accordo. Questo può significare redigere un unico documento contrattuale firmato da tutti i creditori aderenti e dall’imprenditore, oppure singoli atti transattivi con ciascun creditore (dipende dagli accordi presi). In ogni caso, l’avvocato si assicura che gli impegni siano ben definiti, che ci siano clausole per gestire eventuali inadempimenti futuri, che l’accordo sia compatibile con eventuali normative (ad esempio in materia fiscale, se vi sono transazioni su debiti tributari, bisogna rispettare le disposizioni sulle transazioni fiscali). Dopo la chiusura della procedura, l’avvocato continua ad affiancare l’imprenditore nell’esecuzione dell’accordo, verificando che vengano posti in essere gli atti previsti (ad esempio, se l’accordo prevede la vendita di un immobile per pagare i creditori, l’avvocato seguirà l’iter della vendita, dal preliminare al rogito). Inoltre, l’avvocato offre consulenza per adempiere ad obblighi legali sopravvenuti: per esempio, se c’era un’istanza di fallimento pendente, dovrà assicurarsi che – a seguito dell’accordo – venga rinunciata e archiviata, evitando rischi residui.

In tutti questi passaggi, l’avvocato ha anche un importante ruolo di consulente fiduciario: sostiene moralmente l’imprenditore in una fase di forte stress, lo aiuta a comunicare in modo adeguato con i vari interlocutori, lo avverte dei rischi di ogni scelta. In particolare, l’avvocato ricorda all’imprenditore i suoi doveri legali: ad esempio il dovere degli amministratori di attivarsi senza indugio quando c’è il rischio di crisi, per evitare responsabilità di mala gestione (obbligo sancito dall’art. 2086 c.c. e dal Codice della Crisi). Sottolinea anche l’importanza della collaborazione con l’organo di controllo (collegio sindacale o revisore, se presente), che per legge deve segnalare per tempo gli indizi di crisi. In sintesi, l’avvocato aiuta l’imprenditore a muoversi correttamente nell’ambito normativo, evitando comportamenti che possano sfociare in responsabilità civili o penali. Ad esempio, se durante la composizione negoziata l’impresa prosegue l’attività, l’avvocato vigila perché non vengano contratte obbligazioni insostenibili che aggravino il dissesto (ciò potrebbe configurare reati concorsuali). Oppure consiglia di non pagare selettivamente alcuni creditori senza accordo, perché potrebbe essere considerato atto in frode.

In conclusione, il ruolo dell’avvocato è quello di un regista e guardiano legale: regista, perché orchestra la strategia di negoziazione e mette per iscritto gli accordi; guardiano, perché tutela l’imprenditore dai rischi legali durante il percorso. La sua presenza è altamente raccomandata – se non imprescindibile – per qualunque imprenditore che voglia affrontare con serietà una composizione negoziata. La procedura, pur pensata per essere user-friendly, coinvolge comunque norme tecniche e diritti di terzi, e un errore può compromettere l’intero tentativo di salvataggio. Un avvocato preparato in materia di crisi d’impresa avrà probabilmente già gestito situazioni simili e saprà come affrontare le trattative più delicate (ad esempio con banche o con l’Agenzia delle Entrate per debiti fiscali) e come sfruttare al meglio gli strumenti offerti dalla legge (come le esenzioni da responsabilità, le prededuzioni, ecc.).

Perciò, all’imprenditore si può dare questo consiglio: non affrontare mai da solo la composizione negoziata, ma coinvolgi fin dall’inizio il tuo avvocato di fiducia, così che ogni fase – dalla compilazione dell’istanza alla firma dell’accordo finale – sia seguita con competenza e attenzione professionale.

Requisiti per Accedere alla Composizione Negoziata

Dopo aver visto come funziona la procedura, è importante chiarire chi può accedere alla composizione negoziata e in quali condizioni. I requisiti di accesso riguardano principalmente la soggettività dell’imprenditore e lo stato di difficoltà in cui versa l’impresa. Vediamoli in dettaglio:

  • Soggetti ammessi: Possono attivare la composizione negoziata tutte le imprese iscritte al Registro delle Imprese, incluse le ditte individuali (imprenditori individuali) e le società agricole. Dunque non c’è una distinzione tra piccolo imprenditore e grande impresa: diversamente dal fallimento tradizionale, che escludeva gli imprenditori “sotto soglia” e gli imprenditori agricoli, qui anche un piccolo imprenditore o un coltivatore diretto possono avvalersi della procedura. La norma fa riferimento espressamente sia all’imprenditore commerciale che all’imprenditore agricolo. Questo è un aspetto innovativo, pensato per estendere gli strumenti di gestione della crisi a platee prima scoperte (ad esempio le aziende agricole, pur non fallibili, possono comunque trovarsi in crisi e hanno ora un mezzo per negoziare con i creditori).
  • Volontarietà: La procedura è volontaria e di esclusiva iniziativa dell’imprenditore. Non esiste (a differenza dell’allerta originariamente prevista dal Codice) la possibilità che siano creditori o altri organi a “costringere” l’azienda ad accedervi. Ciò significa che l’imprenditore deve essere proattivo: è una scelta di autotutela che fa per cercare di salvare l’impresa. Questo comporta che un imprenditore che ignori i segnali di crisi e non attivi alcunché rischia di arrivare tardi e dover subire poi iniziative altrui (fallimento su istanza di terzi). Invece, chi si muove per tempo e chiede aiuto tramite la composizione negoziata dimostra anche ai creditori e al tribunale (se poi il caso arriva in tribunale) di aver agito diligentemente per evitare il peggio.
  • Condizioni oggettive (stato di crisi): L’imprenditore può presentare istanza quando si trova in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario tali da rendere probabile la crisi o l’insolvenza, purché il risanamento appaia ragionevolmente perseguibile. Questa è la formulazione cardine (dall’art. 12, comma 1, D.Lgs.14/2019). Significa che non serve essere già in stato di insolvenza conclamata (anzi, è auspicabile muoversi prima), basta che vi siano segnali di disequilibrio seriosi: per esempio perdite di esercizio che hanno eroso una parte rilevante del capitale, cash flow negativo persistente, notevole ritardo nei pagamenti ai fornitori, ecc. Anche l’imprenditore già insolvente può accedere, a patto che l’insolvenza sia reversibile. Ciò è importante: se l’azienda è già tecnicamente insolvente (incapace di pagare regolarmente i debiti) ma esiste la possibilità di rimetterla in sesto, la composizione negoziata è comunque ammessa. Ad esempio, un’impresa che ha accumulato ritardi con le banche può essere insolvente ma, se ha ordini e mercato, potrebbe risollevarsi ristrutturando il debito – quindi è insolvenza reversibile. Viceversa, se un’impresa è decotta senza speranza di recupero, non avrebbe senso la composizione: in tal caso, come visto, l’esperto la chiuderebbe immediatamente perché il risanamento non è ragionevolmente perseguibile. In termini più giuridici, la composizione negoziata può essere attivata in tre situazioni:
    1. Situazione di crisi incipiente (squilibrio che prelude alla crisi, ma non ancora insolvenza);Crisi conclamata (come definita dal Codice della Crisi: difficoltà che rendono probabile l’insolvenza);Insolvenza (non irreversibile) – cioè un’insolvenza in cui ci siano ancora potenzialità di recupero.
    Da notare che il D.L. 118/2021 originario menzionava anche l’ipotesi di “difficoltà” non ancora crisi vera e propria, includendo quindi un range ampio di situazioni. In pratica, qualsiasi imprenditore che avverta che la propria azienda non è più in equilibrio e rischia di andare in crisi può attivarsi. Questa soglia di accesso molto bassa è voluta per incentivare la tempestività.
  • Assetto organizzativo e dovere di attivarsi: Non è un “requisito” formale, ma è bene ricordarlo: l’art. 2086 c.c. impone all’imprenditore (società) di dotarsi di assetti organizzativi adeguati per rilevare tempestivamente la crisi e attivarsi di conseguenza. Dunque, indirettamente, c’è un obbligo di attivazione precoce. L’organo di controllo (sindaci) se esiste, è tenuto a segnalare per iscritto agli amministratori gli indizi di crisi rilevati e sollecitare un intervento entro 30 giorni. Se l’imprenditore ignora tali segnalazioni, rischia poi sanzioni e responsabilità. Quindi, se un collegio sindacale o un revisore avvisa la direzione che l’azienda è in squilibrio, accedere alla composizione negoziata è espressamente indicato dalla legge come uno degli strumenti opportuni per reagire (nell’art. 15 D.L.118/2021 si faceva riferimento a questo). In sintesi, il sistema normativo spinge l’imprenditore ad attivarsi appena la crisi appare probabile, e la composizione negoziata è il canale privilegiato per farlo.
  • Incompatibilità con altre procedure: Per accedere alla composizione negoziata, l’impresa non deve essere già soggetta a una procedura concorsuale in corso. Ad esempio, un’azienda che ha già presentato domanda di concordato preventivo o che è già stata dichiarata fallita non può ovviamente aprire una composizione negoziata in parallelo. Se durante la composizione negoziata viene aperta un’altra procedura (es: i creditori ottengono comunque un fallimento), la composizione cessa. Tuttavia, la legge ha previsto una finestra di opportunità: fino al 31 dicembre 2022 chi aveva presentato domanda di concordato “in bianco” poteva rinunciarvi per passare alla composizione negoziata depositando un piano attestato – segno della volontà del legislatore di far confluire i casi borderline nella nuova procedura più che nelle vecchie.
  • Requisiti di rappresentanza: L’istanza deve essere presentata dal titolare dell’impresa o dal suo legale rappresentante (nel caso di società). Se l’impresa è in amministrazione straordinaria o con un liquidatore volontario, occorre che siano questi organi straordinari a decidere di attivare la composizione negoziata, salvo autorizzazioni societarie interne. In pratica, serve una deliberazione degli amministratori o del liquidatore a seconda di chi è in carica, e per le società di capitali è consigliabile un passaggio formale (una delibera del CDA) che approvi la scelta di accedere alla procedura, sia per ragioni di governance corretta, sia perché poi i soci siano informati.

In definitiva, il requisito fondamentale è uno solo: avere un’impresa in difficoltà ma recuperabile, e la volontà di salvarla. A differenza del passato, non ci sono barriere dimensionali (anche il piccolo imprenditore individuale può farlo) e non c’è il rischio di essere respinti per “eccesso di debiti” – semmai sarà l’esperto a dire se quei debiti sono trattabili o no. Questa apertura ampia è un punto di forza della composizione negoziata, che la rende potenzialmente uno strumento di massa per prevenire fallimenti.

Tuttavia, bisogna anche dire che la serietà della situazione conta: un imprenditore con pochi debiti e problemi lievi potrebbe anche non aver bisogno di un esperto e risolvere da sé; la composizione è pensata per chi è in reale difficoltà. Inoltre, presentare un’istanza senza avere minimamente i requisiti (ad esempio, un’azienda in perfetta salute che la utilizzi pretestuosamente) non ha senso e verrebbe rapidamente filtrato.

Esempio di requisiti soddisfatti: La Beta S.p.A. opera nel commercio all’ingrosso. Negli ultimi due anni ha subito perdite e il bilancio evidenzia un patrimonio netto dimezzato. Alcuni fornitori vengono pagati con 120 giorni di ritardo, Beta ha dovuto chiedere proroghe alle banche per i rimborsi dei prestiti e l’INPS ha inviato solleciti per contributi arretrati. Il collegio sindacale di Beta segnala formalmente al CDA che ci sono “squilibri economico-finanziari che rendono probabile la crisi” e chiede di riferire sulle iniziative intraprese entro 30 giorni. Il CDA, resosi conto della situazione, decide di attivare la composizione negoziata. Questo caso rientra pienamente nei requisiti: Beta è un imprenditore commerciale iscritto al registro imprese; è in squilibrio finanziario (ritardi di pagamento) che prelude a una crisi; i sindaci hanno lanciato l’allerta; l’azienda non è insolvente irreversibile (ha ancora mercato e margini di utile, ma soffre la liquidità), quindi c’è presumibilmente possibilità di risanamento. Beta S.p.A. non è in altre procedure. Dunque può chiedere la nomina dell’esperto e cercare un accordo con i fornitori e banche, confidando di risolvere.

Documenti da Preparare e Consigli Pratici

Come evidenziato nella fase 2 del percorso, la preparazione accurata della documentazione da allegare all’istanza di composizione negoziata è un passaggio cruciale. In questa sezione riepiloghiamo i documenti richiesti e forniamo alcuni consigli pratici all’imprenditore su come predisporli al meglio, oltre a suggerimenti generali per affrontare la procedura in modo efficace.

Elenco dei documenti chiave da predisporre:

  1. Bilanci degli ultimi tre esercizi (se impresa tenuta al bilancio) o dichiarazioni fiscali degli ultimi tre anni (se non tenuta al bilancio). – Consiglio: assicurarsi che i bilanci siano in regola, depositati e completi di nota integrativa e relazione (se dovute). Se gli ultimi bilanci contengono rilievi del revisore o dei sindaci, essere pronti a spiegarli. Se si tratta di dichiarazioni dei redditi, allegare anche prospetti contabili interni se disponibili (ad es. situazione contabile di fine anno), perché le sole dichiarazioni fiscali mostrano utile/perdita ma non danno un quadro patrimoniale completo.
  2. Situazione patrimoniale e finanziaria aggiornata a data recente (max 60 giorni prima). – Consiglio: redigere un piccolo bilancio infrannuale se non lo si ha già, comprendente Stato Patrimoniale e Conto Economico, ad esempio al termine del mese scorso. Inserire anche un prospetto dell’indebitamento finanziario netto (distinguendo debiti verso banche, fornitori, fisco, ecc.). Farlo preparare al proprio ufficio amministrativo o commercialista, evitando approssimazioni: questa è la fotografia con cui l’esperto e i creditori valuteranno la gravità della situazione.
  3. Relazione con piano finanziario a 13 settimane (3 mesi). – Consiglio: questa è essenzialmente un budget di cassa per i prossimi 3 mesi, da cui risulti come l’azienda intende gestire entrate e uscite imminenti. Conviene presentarlo sotto forma di tabella, settimana per settimana o mese per mese, indicando per ciascun periodo i flussi in entrata (incassi da clienti, altri ricavi) e quelli in uscita (pagamenti essenziali: fornitori critici, stipendi, utenze, fisco se necessario, ecc.). Questo documento serve anche all’imprenditore per capire se ha la liquidità sufficiente a reggere mentre tratta: se il piano mostra deficit di cassa, occorre prevedere come coprirli (ad esempio cercando un finanziamento ponte). Nella relazione accompagnatoria, spiegare quali azioni immediate si adotteranno: es. riduzione scorte, recupero crediti, cassa integrazione, ecc. Dimostrare quindi un approccio proattivo.
  4. Elenco dei creditori con rispettivi crediti. – Consiglio: predisporre un elenco dettagliato in formato tabellare (tipo Excel) indicando per ogni creditore: nome, importo del credito scaduto e totale, eventuali garanzie (se quel credito è garantito da pegno/ipoteca), eventuali contestazioni (se c’è lite su quel credito), e tipologia (banca, fornitore, Erario, dipendente, ecc.). È utile ordinare l’elenco per categoria e magari per importo decrescente, così da evidenziare subito chi sono i principali creditori. Questo elenco sarà la base per pianificare le trattative: l’esperto e l’imprenditore individueranno da qui chi convocare. Aggiornarlo man mano se la situazione cambia (es. se qualche credito viene pagato nel frattempo o se emergono altri debiti fuori bilancio, va comunicato).
  5. Dichiarazione su istanze di fallimento o insolvenza pendenti. – Consiglio: essere trasparenti. Se un creditore ha già presentato ricorso per fallimento (liquidazione giudiziale), dichiararlo subito è fondamentale; l’esperto lo deve sapere, e probabilmente bisognerebbe attivare immediatamente le misure protettive in tal caso. Nascondere questa informazione porterebbe a perdere credibilità. Lo stesso per eventuali procedure esecutive in corso: anche se la modulistica non lo richiede espressamente, conviene informare l’esperto di pignoramenti già partiti, decreti ingiuntivi, ecc. (magari includendoli in un allegato informale).
  6. Certificazione debiti tributari e previdenziali. – Consiglio: richiedere con anticipo il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva) e un Estratto conto Equitalia (Agenzia Entrate-Riscossione) e un prospetto debiti fiscali dall’Agenzia Entrate. Questi documenti spesso richiedono qualche giorno per essere ottenuti, quindi muoversi subito. Controllare i dati: a volte emergono cartelle già notificate di cui non si era a conoscenza; meglio saperlo prima. Preparare eventualmente una tabella riepilogativa dei debiti fiscali e contributivi, distinguendo quelli che si vogliono eventualmente dilazionare o quelli oggetto di possibile stralcio.
  7. Estratto Centrale Rischi. – Consiglio: fare richiesta alla Banca d’Italia del proprio rapporto di Centrale Rischi (CR). Questo evidenzierà tutte le esposizioni verso il sistema bancario e il loro stato (crediti in sofferenza, incagli, ecc.). È un documento tecnico, ma l’esperto lo leggerà con attenzione per capire la posizione con le banche. Se dall’estratto emergono posizioni “a sofferenza” (cioè banche che hanno classificato l’azienda a credito deteriorato), prepararsi a spiegare la situazione e magari ad aver già contattato informalmente la banca per sondare la sua disponibilità a negoziare. Inserire nell’elenco creditori anche le banche con gli importi a debito (da CR).
  8. Bozza di piano di risanamento (secondo check-list). – Consiglio: anche se non è elencato formalmente negli allegati obbligatori, la piattaforma di fatto richiede che l’imprenditore carichi o compili un piano di risanamento (anche solo un progetto) sulla base della check-list fornita. Dunque, dedicare tempo a questo documento. La check-list fornisce uno schema: tipicamente contiene sezioni quali descrizione dell’impresa e del suo modello di business, cause della crisi, proiezioni economico-finanziarie a medio termine, azioni previste per il risanamento, eventuali apporti di finanza o asset da cedere, etc. Non occorre scrivere un trattato, ma neanche limitarsi a poche righe. Un piano ben fatto potrebbe essere di qualche decina di pagine con tabelle. Se l’imprenditore non ha internalmente le competenze per farlo, qui l’assistenza di un dottore commercialista o di un esperto di piani industriali è essenziale. L’esperto nominato valuterà questo piano per decidere il da farsi: più è credibile e concreto, maggiori le chance di successo. È quindi altamente consigliabile farsi supportare nel redigere il piano, includendo ad esempio uno scenario pessimista e uno ottimista, e indicando l’impatto delle azioni di risanamento sui conti (es.: “se otteniamo un 20% di taglio sui debiti, l’azienda torna in utile dal 2024” con numeri a supporto).
  9. Ulteriori informazioni facoltative: se pertinenti, si possono allegare altri documenti utili. Ad esempio: organigramma aziendale, elenco principali clienti e fornitori, eventuali perizie sul valore di asset (se si propone di vendere un immobile può essere utile allegare una stima di un perito sul valore di quel immobile), lettere di intenti da investitori (se c’è già un interessamento concreto di un terzo per apportare denaro o comprare l’azienda, allegare la sua lettera può dare molto peso al piano), copia di eventuali contratti importanti in essere (che i creditori potrebbero dover conoscere). Ovviamente, ogni documento in più deve essere valutato: non sommergere l’esperto di carte inutili, ma se c’è qualcosa che può rassicurare sulla percorribilità del risanamento, meglio condividerlo.

Consigli pratici per la predisposizione dei documenti:

  • Accuratezza e veridicità: Tutti i dati forniti devono essere accurati. Non tentare mai di manipolare o abbellire artificialmente i numeri. L’esperto, incrociando bilanci, centrale rischi e informazioni dai creditori, scoprirebbe incongruenze e la fiducia crollerebbe. Se ci sono errori in bilancio (es. errori di classificazione) eventualmente segnalarli e spiegare, ma non alterare i documenti ufficiali.
  • Completezza: Non tralasciare nessun debito noto. A volte l’imprenditore, per timore o dimenticanza, potrebbe essere tentato di non menzionare qualche debito “minore” o verso persone vicine. È un errore: tutti i debiti devono venire alla luce. Meglio affrontare una realtà scomoda che veder saltare fuori un creditore sconosciuto a metà trattative, minando l’accordo.
  • Trasparenza sulle cause della crisi: Nel piano o nella relazione introduttiva, spiegare perché l’azienda è in crisi. Se le cause sono esterne (es. calo di mercato, Covid, aumento materie prime) evidenziarlo, ma se ci sono state anche gestioni non ottimali o errori, ammetterlo e spiegare come si intende porvi rimedio. Questa onestà aiuta l’esperto a individuare soluzioni e i creditori ad avere fiducia che l’imprenditore abbia “imparato la lezione”.
  • Conservare uno stile chiaro e ordinato: I documenti – soprattutto il piano e gli elenchi – dovrebbero essere presentati in modo leggibile, con indice se sono lunghi, tabelle ben formattate, ecc. Questo facilita il lavoro di tutti e dà una percezione di professionalità. Evitare gergo troppo tecnico d’industria nel piano: ricordarsi che anche un creditore non esperto dovrebbe capire le linee generali.
  • Coinvolgere i consulenti giusti: Se l’azienda ha un consulente del lavoro per la parte di personale, farsi dare i dati su dipendenti ed eventuali costi di esuberi; se ha legali che seguono cause, farsi fare una nota sullo status delle cause (che potrà servire all’esperto per sapere se ci sono rischi di risarcimenti, ecc.). Insomma, fare un briefing interno con tutti i professionisti che seguono l’azienda per raccogliere le informazioni necessarie.
  • Pianificare la liquidità per la procedura: Mentre prepara i documenti, l’imprenditore deve anche pianificare come mantenere in vita l’azienda durante i negoziati. Il piano di cassa a 3 mesi serve anche a capire se occorre, ad esempio, chiedere un piccolo fido aggiuntivo o il supporto dei soci. La legge consente, durante la composizione, di ottenere finanziamenti prededucibili (che saranno pagati prima degli altri crediti, se la cosa viene autorizzata opportunamente), proprio per favorire afflussi di cassa. Valutare quindi con i consulenti finanziari se coinvolgere i soci per un prestito soci o cercare un finanziatore ponte, e predisporre le richieste di autorizzazione al tribunale se del caso. Tutto questo va fatto con l’assistenza legale per garantire la prededucibilità come da norma.
  • Gestire comunicazione e personale: Un consiglio pratico a latere: decidere come e quando informare i dipendenti della situazione (se non lo sanno già). La composizione è riservata, ma i dipendenti potrebbero accorgersi di movimenti strani (visite di esperti, riunioni insolite). È spesso meglio comunicare con trasparenza interna che l’azienda sta affrontando una fase delicata ma in modo proattivo, rassicurandoli. Analogamente, riguardo ai media/località: la pubblicità è minima, ma se trapela la notizia conviene avere un comunicato pronto. Sono aspetti non strettamente legali, ma importanti per mantenere la calma attorno all’impresa.

Riassumendo, preparazione è la parola chiave. Un imprenditore ben preparato affronta la composizione negoziata in modo più spedito e con maggiori probabilità di esito positivo. È un po’ come prepararsi per un esame: bisogna presentarsi con tutti i “compiti a casa” fatti. Qui i compiti sono i documenti e il piano. Un avvocato e un commercialista di fiducia saranno i tutor in questa preparazione, ma l’imprenditore stesso deve metterci impegno e chiarezza di idee.

Infine, un promemoria: non aspettare l’ultimo momento. La predisposizione di alcuni documenti (come il piano di risanamento o ottenere certificati vari) richiede tempo. Se si è deciso di intraprendere la composizione negoziata, dedicare magari un paio di settimane solo a raccogliere e sistemare i materiali prima di inviare l’istanza. Meglio spendere qualche giorno in più all’inizio che partire zoppicando e dover integrare documenti di fretta dopo.

L’Esperto Negoziatore: Chi è e qual è il suo ruolo

Abbiamo già incontrato l’esperto indipendente in vari punti del percorso, vediamone ora una descrizione organica: chi è questa figura, come viene scelta e cosa fa esattamente durante la composizione negoziata?

Chi è l’esperto: L’esperto negoziatore è un professionista terzo e indipendente nominato per affiancare l’imprenditore nella ricerca di una soluzione per la crisi. Non è un dipendente pubblico né un giudice: proviene dal mondo delle professioni o dell’impresa privata, ma opera in questa sede con un ruolo pubblico (designato dalla Camera di Commercio su mandato della legge). Come visto, possono essere esperti: avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro o manager, purché con adeguata esperienza in risanamenti aziendali e formazione specifica. L’esperto deve sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità e indipendenza, escludendo legami con l’impresa o i creditori che potrebbero inficiarne l’obiettività. Ad esempio, un commercialista che ha lavorato per quell’impresa o un avvocato che ha assistito un suo fornitore importante non verrebbe scelto per fare da esperto in quella composizione.

Nomina e contesto operativo: L’esperto viene nominato dalla Commissione istituita presso la CCIAA come descritto prima, e accettando l’incarico entra in carica. Egli opera in modo autonomo: non risponde né all’imprenditore né ai creditori, ma deve svolgere la sua funzione in coerenza con gli scopi della procedura e nell’interesse di tutte le parti coinvolte. Si può dire che l’esperto ha a cuore il buon esito delle trattative, perché è stato nominato proprio per facilitare un accordo vantaggioso, ma al tempo stesso deve tutelare l’interesse generale dei creditori a non subire pregiudizi ingiusti. L’idea è che se c’è una possibilità di salvare l’impresa nell’interesse comune (dell’imprenditore, dei lavoratori e anche dei creditori, che preferiranno incassare qualcosa in continuità piuttosto che poco o nulla in fallimento), l’esperto farà il possibile per concretizzarla; se invece capisce che protrarre l’attività danneggerebbe i creditori (perché l’impresa sta solo accumulando ulteriori debiti senza prospettive), lo segnalerà per tempo.

Compiti principali dell’esperto: Possiamo suddividere il ruolo dell’esperto in alcune funzioni fondamentali:

  1. Analisi della situazione aziendale: all’inizio, l’esperto raccoglie e analizza i dati dell’impresa per “fotografare” la situazione economico-patrimoniale e le cause della crisi. Questo comprende lo studio dei documenti forniti, colloqui con l’imprenditore e talvolta visite in azienda per vedere di persona l’attività. L’esperto può chiedere integrazioni documentali se qualcosa non è chiaro o sembra mancante. Ad esempio, potrebbe chiedere un aggiornamento dell’elenco creditori, o un dettaglio dei costi, ecc. L’obiettivo è farsi un quadro realistico e valutare, anche con proiezioni, come potrebbe andare l’impresa nei mesi/anni a venire (con o senza interventi di risanamento).
  2. Mediazione nelle trattative: l’esperto agevola e modera le trattative con creditori e stakeholder. Egli convoca le parti, organizza gli incontri, stabilisce un metodo (ad esempio, può proporre di affrontare prima i creditori finanziari poi quelli commerciali, o di creare tavoli separati se opportuno, ecc.). Durante le riunioni, l’esperto assicura che tutti abbiano le informazioni necessarie – può autorizzare lo scambio di documenti riservati tra le parti previa firma di impegni di riservatezza se del caso. Quando emergono divergenze forti, cerca soluzioni intermedie. Il suo ruolo è simile a quello di un mediatore professionale: ascolta i punti di vista di ciascuno, li mette a confronto in modo neutrale, fa in modo che l’imprenditore e i creditori si comprendano reciprocamente. Ad esempio, se i creditori lamentano scarsa fiducia, l’esperto potrebbe suggerire all’imprenditore di offrire maggiori garanzie; se l’imprenditore ritiene eccessive le richieste dei creditori, l’esperto può provare a far ragionare i creditori sui vantaggi di un compromesso rispetto all’alternativa del fallimento. Importante: l’esperto non ha poteri decisionali: non può imporre ai creditori di accettare un taglio del debito né può obbligare l’imprenditore a compiere una certa azione. Può solo facilitare e consigliare. Di fatto però, la sua presenza “super partes” è un elemento di rassicurazione per i creditori, che sanno di avere un osservatore imparziale nel processo.
  3. Controllo di legalità e correttezza: l’esperto funge anche da garante che nessuno approfitti in modo scorretto della procedura. Ad esempio, deve vigilare contro possibili atteggiamenti dilatori o opportunistici dell’imprenditore o dei creditori. Se l’imprenditore fingesse trattative ma in realtà mira solo a prendere tempo, l’esperto dovrebbe accorgersene e porre fine alla composizione. Viceversa, se un creditore importante tenesse un atteggiamento ostruzionistico ingiustificato (magari per ottenere vantaggi egoistici), l’esperto lo segnalerà, e in tribunale ciò potrebbe pesare contro quel creditore se si dovesse poi andare in concordato o fallimento. Inoltre, l’esperto controlla che durante la procedura l’imprenditore non compia atti pregiudizievoli per i creditori in genere. Ad esempio, se scoprisse che l’imprenditore sta distraendo attivi (vendendo beni sottocosto a parti correlate, o pagando solo alcuni creditori preferiti), ha il dovere morale e legale di intervenire – ad esempio richiamando l’imprenditore e, se del caso, informando il tribunale in occasione di eventuali provvedimenti (o nella relazione finale). Questo ruolo di controllo è fondamentale per dare “sicurezza” alle trattative: i creditori sanno che c’è un occhio attento che impedisce trucchi, e l’imprenditore onesto è a sua volta protetto da pretese esagerate dei creditori (perché l’esperto farà notare se i creditori avanzano richieste non coerenti con la situazione).
  4. Interlocuzione con l’Autorità Giudiziaria: se nel corso della composizione negoziata vi sono passaggi in tribunale (misure protettive da confermare, omologhe di accordi, concordato semplificato da valutare), l’esperto è spesso chiamato a dare il proprio parere al giudice o a fornire relazioni tecniche. Ad esempio, per la conferma delle misure protettive il tribunale può chiedere all’esperto un rapporto sullo stato delle trattative e sulle prospettive, prima di decidere. Nel concordato semplificato, l’esperto dovrà riferire sulle ragioni del fallimento delle trattative e sulle offerte ricevute eventualmente durante la composizione. Egli agisce quindi come un ausiliario del giudice in quei procedimenti connessi, fornendo informazioni e valutazioni dal “di dentro” della negoziazione. Questo aiuta il tribunale a prendere decisioni informate senza dover nominare un perito esterno ex novo.

Come si comporta l’esperto: La legge e i protocolli (vi è un protocollo di conduzione allegato alla piattaforma) forniscono delle linee guida di comportamento per l’esperto. Tra i principi cardine:

  • Imparzialità: l’esperto non parteggia per l’imprenditore né per i creditori. Mantiene un equilibrio, dando a ognuno il giusto ascolto. Ciò non vuol dire che sia neutrale rispetto all’esito: egli punta al risanamento se possibile, ma non “a tutti i costi”.
  • Riservatezza: tutto ciò che l’esperto apprende è confidenziale. Non può rivelare informazioni a terzi non coinvolti. Se servono dati a un creditore (oltre quelli pubblici), chiede l’assenso dell’imprenditore prima di condividerli. E viceversa.
  • Celerità: l’esperto deve evitare perdite di tempo. Ad esempio, convoca subito i creditori chiave, non aspetta mesi. Se vede che una strada è chiusa, lo segnala e passa ad altra. Il suo mandato è breve e deve cercare di concludere rapidamente per non sprecare risorse aziendali e creditorie.
  • Competenza tecnica: l’esperto userà le sue competenze per proporre soluzioni innovative. Ad esempio, se è un commercialista esperto di fisco, potrebbe suggerire di utilizzare una transazione fiscale su certi debiti tributari per alleggerire il carico (cosa che l’imprenditore da solo magari ignorava); se è un avvocato, potrebbe strutturare un certo tipo di accordo quadro. Le Linee Guida CNDCEC ribadiscono quanto sia importante la preparazione dell’esperto sia sul piano analitico (capacità di analizzare i numeri velocemente) che su quello delle conoscenze tecniche per portare costantemente le trattative verso la soluzione.

Compenso dell’esperto: Un aspetto pratico è il compenso. La norma prevede che l’esperto abbia diritto a un compenso per la sua attività, la cui misura può essere stabilita secondo parametri fissati dal Ministero (dovrebbero essere analoghi a quelli dei curatori fallimentari, proporzionati alle dimensioni dell’impresa e all’esito). Nel caso l’esito sia positivo e scaturisca un accordo, l’imprenditore e i creditori potrebbero prevedere nel piano anche la voce di compenso all’esperto. Se invece la procedura si chiude senza accordo, il tribunale può determinare un compenso a carico dell’imprenditore (con eventuale prededuzione se poi c’è concordato). In pratica, l’esperto non lavora gratis, anche se inizialmente non c’è un acconto immediato previsto a carico dell’impresa se non il diritto di segreteria pagato all’istanza. È bene dunque mettere in conto questa voce di costo. Tuttavia, spesso gli esperti modulano il proprio impegno anche in base all’utilità: se la procedura chiude presto (per mancanza di fattibilità) il compenso sarà minimo.

Rapporto con l’imprenditore: L’esperto non “comanda” l’imprenditore ma collabora con lui. L’imprenditore farebbe bene a considerarlo un prezioso consigliere. Creare un clima di scontro con l’esperto è controproducente. Al contrario, fornirgli tutte le informazioni e seguire i suoi consigli rafforzerà il piano. Molti esperti portano in dote un bagaglio di esperienze pratiche (hanno visto decine di aziende in crisi): l’imprenditore dovrebbe cogliere l’occasione per imparare da loro e magari adottare buone prassi suggerite (ad esempio migliorare la contabilità, tagliare costi superflui, ecc.).

Rapporto con i creditori: Spesso i creditori “testano” l’esperto per capire se è davvero indipendente. Possono provare a parlargli in privato per esporre lamentele. L’esperto normalmente ne riferisce all’imprenditore, mantenendo però confidenzialità sul contenuto. Questo per dire che l’esperto cerca di mantenere equilibrio anche nel contatto con i creditori: non li ignora, anzi li ascolta (cosa che a volte l’imprenditore in crisi non ha voglia di fare direttamente), ma poi riporta il focus sul tavolo negoziale comune.

In conclusione, l’esperto negoziatore è il pilastro centrale attorno a cui ruota la composizione negoziata. È una figura ibrida: un professionista privato con funzioni di interesse pubblico, un mediatore che deve anche controllare la correttezza delle parti, un assistente dell’imprenditore ma pure un occhio per i creditori e il giudice. La sua autorevolezza e capacità possono fare la differenza: infatti un esperto abile riuscirà spesso a trovare soluzioni creative e a ricomporre posizioni distanti, mentre un esperto meno esperto (gioco di parole) potrebbe limitarsi a fare da passacarte. Comunque, la procedura è costruita per affidarsi alla professionalità di queste figure, confidando che svolgano un lavoro di qualità. Le prime applicazioni pratiche stanno dimostrando che molti esperti nominati (avvocati, commercialisti, ecc. di buon livello) sono riusciti effettivamente ad evitare diversi fallimenti facilitando accordi di risanamento. Ovviamente non tutti i casi si risolvono, ma il ruolo dell’esperto è stato generalmente valutato in modo positivo finora.

Per l’imprenditore, una volta avuto l’esperto nominato, il consiglio è: collaborare pienamente, mettere da parte orgoglio o reticenze, e sfruttare questa figura come occasione per avere una prospettiva esterna sul proprio business e una guida nel complicato mondo delle ristrutturazioni aziendali. In fondo, l’esperto vuole lo stesso risultato che vuole l’imprenditore onesto: salvare l’impresa se possibile.

Gli Sbocchi Possibili della Procedura (Esiti della Composizione Negoziata)

Nel capitolo sullo svolgimento della procedura abbiamo anticipato i vari esiti possibili della composizione negoziata. Qui li riprendiamo in modo ordinato per confrontarli e dare all’imprenditore una visione chiara di cosa aspettarsi alla fine del percorso, a seconda di come vanno le cose.

Possiamo schematizzare gli sbocchi in tre macro-categorie: risoluzione stragiudiziale della crisi, passaggio a una procedura concorsuale (concordato o accordo omologato) oppure esito negativo (mancato accordo e potenziale fallimento). Vediamoli uno ad uno, con esempi concreti se possibile.

1. Accordo stragiudiziale di risanamento (successo “pieno” della composizione negoziata)

Questo è l’esito ideale: le trattative portano a un accordo volontario che risolve la crisi senza intervento del tribunale, se non eventualmente in forma minima.

Forme che può assumere questo accordo:

  • Piano di risanamento attestato con adesione dei creditori chiave: L’imprenditore e (diciamo) la gran parte dei creditori sottoscrivono un accordo che prevede la ristrutturazione dei debiti e il rilancio aziendale. Ad esempio: i fornitori accettano di ridurre del 30% i loro crediti e di essere pagati sul restante 70% in 24 mesi; le banche prorogano le scadenze dei mutui di 2 anni e rinunciano agli interessi di mora; il fisco concede una rateazione; i soci immettono nuovi fondi per €X; l’imprenditore si impegna a implementare un nuovo piano industriale. Questo insieme di pattuizioni viene formalizzato in un contratto o in un insieme di contratti collegati, firmati da tutte le parti coinvolte.
    • Dal punto di vista legale, se l’accordo coinvolge tutti o quasi tutti i creditori, esso potrà costituire un piano attestato di risanamento ai sensi dell’art. 56 del Codice della Crisi (che ricalca l’art.67, terzo comma, lett. d) Legge Fallimentare). In tal caso, se normalmente servirebbe un attestatore indipendente, qui questa funzione è svolta dall’esperto: la legge dice che l’accordo sottoscritto dall’esperto produce l’effetto di esenzione dalla revocatoria senza dover essere ulteriormente attestato. Quindi, l’esperto in pratica “certifica” che il piano è idoneo a ridare equilibrio per almeno 2 anni, e ciò basta.
    • Questo accordo non richiede omologazione giudiziaria. Sarà efficace secondo le regole civilistiche dei contratti: vincola solo i firmatari. Se qualche piccolo creditore non ha firmato, resta fuori: l’imprenditore dovrà comunque onorarne i crediti secondo i termini originali (o trovare un accordo individuale con lui). In genere, però, se i principali creditori aderiscono, i minori spesso si adeguano informalmente vedendo che l’azienda è salva.
    • Esempio concreto: La società Alfa riesce, grazie alla composizione negoziata, a convincere l’80% dei creditori (che rappresentano il 95% dei debiti) a sottoscrivere un piano di rientro: i fornitori verranno pagati al 50% in 1 anno, le banche convertiranno metà dei crediti in strumenti partecipativi (quasi-equity) e concederanno moratoria di 1 anno sull’altra metà, il socio di maggioranza apporterà €200.000 per liquidare i creditori rimasti fuori. L’esperto ritiene che così Alfa tornerà in utile e liquida in 2 anni e sottoscrive l’accordo insieme all’imprenditore e ai creditori. Alfa esce dalla composizione negoziata con l’azienda salva e inizia a eseguire l’accordo. I creditori non firmatari, grazie ai nuovi fondi del socio, vengono comunque pagati integralmente fuori accordo (decisione dell’imprenditore per pulire la situazione). Dopo due anni, Alfa è risanata. Questo sarebbe un caso textbook di successo.
  • Convenzione di moratoria o accordi parziali: Non sempre serve un accordo onnicomprensivo; a volte la composizione negoziata può concludersi con una serie di accordi mirati. Ad esempio, i creditori finanziari (banche) sottoscrivono una convenzione di moratoria ex art.182-octies L.F. impegnandosi a non escutere i crediti per 1 anno e a mantenere le linee di fido; nel frattempo l’imprenditore fa accordi individuali con i fornitori critici per dilazionare i pagamenti. Se il problema principale era la tensione di liquidità, questa moratoria potrebbe bastare a superare la crisi di breve termine, e l’impresa evita di ricorrere ad altre procedure. In tal caso l’esperto comunque chiude la composizione e scrive che è stata raggiunta una soluzione (una moratoria appunto).
    • Questo scenario è un successo parziale ma sufficiente: magari non c’è stata una ristrutturazione definitiva dei debiti, ma un patto di standstill che ha permesso all’azienda di riprendersi. Potrebbe essere il preludio per, ad esempio, un rifinanziamento totale l’anno dopo, ma intanto la crisi acuta è superata.
  • Cessione dell’azienda come going concern: Un altro possibile esito “stragiudiziale” è che durante le trattative venga trovato un acquirente per l’azienda (o per i suoi rami d’azienda) disposto a farsi carico dei debiti o a pagarli in parte. In tal caso, l’accordo finale può consistere in un contratto di cessione d’azienda in cui l’acquirente si impegna a mantenere in attività l’azienda (salvaguardando magari i posti di lavoro) e a corrispondere una somma che verrà ripartita tra i creditori secondo accordi. Anche questo è uno sbocco di successo: l’impresa prosegue presso un nuovo proprietario e i creditori ottengono soddisfazione (magari non integrale ma concordata). La legge incoraggia soluzioni di questo tipo menzionando espressamente la possibilità di risanamento mediante trasferimento dell’azienda o di rami di essa.
    • Esempio: Beta S.r.l., in crisi, durante la composizione negoziata trova nella società Gamma un investitore interessato ad acquisirla. Gamma offre €500.000 per rilevare il complesso aziendale, a condizione di liberarsi di metà dei debiti. I creditori, convinti anche dall’esperto che presenta Gamma come soggetto solido, accettano di stralciare il 50% dei loro crediti e ricevere il restante 50% attingendo al corrispettivo pagato da Gamma. Si stipula l’atto di cessione: Gamma paga €500.000, di cui €400.000 vanno ai creditori (pari al 50% dei 800.000 di debiti) e €100.000 restano al vecchio proprietario. L’esperto chiude la procedura e tutti soddisfatti: Beta S.r.l. cessa, Gamma continua l’attività con l’azienda acquisita ripulita dai debiti per metà, i creditori hanno incassato subito metà del dovuto ed evitato il rischio di un fallimento (dove magari avrebbero preso meno).

2. Passaggio a procedure concorsuali (accordo omologato o concordato)

Se l’accordo volontario non è raggiungibile con tutti, ma c’è comunque una via di soluzione concordataria, l’imprenditore può decidere di utilizzare gli strumenti concorsuali previsti dal Codice della Crisi:

  • Accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal tribunale: In breve, se i creditori concordi rappresentano almeno il 60% dei debiti, l’imprenditore può chiedere al tribunale di omologare l’accordo e renderlo efficace anche verso eventuali creditori dissenzienti (che però normalmente verrebbero pagati per intero, salvo diverse previsioni). Questo strumento consente anche di ottenere dal tribunale misure protettive e agevolazioni (ad esempio, i creditori che hanno aderito sono protetti da revocatorie, i nuovi finanziamenti possono essere autorizzati, ecc.). Con le modifiche normative, esistono vari tipi di accordo di ristrutturazione: ordinario (60%), ad efficacia estesa (se la maggioranza di una certa categoria aderisce, il tribunale può estendere l’accordo anche ai non aderenti di quella categoria), agevolato (con quorum ridotto in certi casi), ecc. Ma senza entrare nei dettagli, l’importante è capire che se con la composizione negoziata si è raccolta una larga adesione, conviene consolidare il risultato con un’omologazione, per “blindare” l’accordo e avere esecuzione forzata in caso qualcuno non rispetti i patti.
    • Dal punto di vista dell’imprenditore, l’accordo di ristrutturazione è meno invasivo di un concordato: l’azienda non entra in procedura fallimentare, rimane privata, c’è solo un giudice che fa da notaio dell’accordo verificando legalità e consenso sufficiente.
    • L’esperto, a quel punto, può ancora avere un ruolo: la sua relazione finale e magari testimonianza potrà servire a dimostrare al tribunale che l’accordo è corretto. Spesso l’esperto coincide con chi poi attesta il piano nei casi in cui serve attestazione (negli accordi serve un esperto attestatore che certifichi l’idoneità del piano di accordo a pagare i creditori estranei).
  • Concordato preventivo (con continuità o liquidatorio): Qualora le trattative non abbiano portato a un accordo diretto, ma l’imprenditore abbia comunque elaborato – magari con l’aiuto dell’esperto – un piano di rilancio che però richiede di essere imposto con un concorso formale, la strada è il concordato preventivo. Esempio: alcuni creditori non vogliono aderire a stralci volontari, tuttavia l’imprenditore ha un piano che potrebbe ottenere il voto favorevole della maggioranza qualificata (oltre il 50% dei crediti) in sede concorsuale. Allora sceglie di depositare ricorso di concordato.
    • Se l’azienda può proseguire (concordato in continuità), l’imprenditore propone di pagare i creditori in tot anni con i flussi generati dalla continuità, eventualmente vendendo qualche asset non strategico. I creditori voteranno. La composizione negoziata a quel punto è finita, ma è servita per preparare la documentazione e sondare il terreno. Il concordato sarà gestito dal tribunale con la nomina di un commissario giudiziale ecc. (procedura concorsuale classica). L’esperto negoziatore potrebbe anche essere nominato commissario se ha i requisiti e c’è fiducia, ma non è scontato. Quindi di fatto la palla passa al regime concorsuale ordinario.
    • Se l’azienda invece non può proseguire, l’imprenditore potrebbe presentare un concordato liquidatorio tradizionale, che però richiede di offrire almeno il 20% ai chirografari e prevede la vendita dei beni con soddisfazione proporzionale dei creditori. È un’opzione che in genere viene considerata se l’opzione concordato semplificato (di cui tra poco) non è percorribile (magari perché non si è nemmeno fatto un tentativo negoziato serio oppure sono passati i termini).
  • Concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio: Già illustrato prima, è una sorta di concordato liquidatorio speciale che non richiede voto dei creditori ed è riservato al caso di esito infruttuoso della composizione negoziata. L’imprenditore predispone un piano di liquidazione (con eventualmente un’offerta di un terzo già individuato per comprare beni dell’azienda) e lo presenta al tribunale, insieme alla relazione finale dell’esperto che certifica il fallimento delle trattative. Il tribunale, dopo aver sentito i creditori in camera di consiglio (possono esporre osservazioni ma non votare), decide se omologare questo concordato semplificato. Se omologato, si procede alla liquidazione come da piano e i creditori vengono pagati in quelle misure.
    • Questo strumento permette una chiusura più rapida e controllata della crisi rispetto alla liquidazione giudiziale (fallimento) che seguirebbe. Infatti, c’è già un piano delineato magari con acquirenti pronti, e non si passa per la fase lunga di verifica dello stato passivo, ecc. Tuttavia, va usato con giudizio: il tribunale omologa solo se il piano non è manifestamente peggiorativo per i creditori rispetto a una liquidazione fallimentare. Quindi l’imprenditore deve proporre qualcosa di vantaggioso (es.: un soggetto disposto a pagare un prezzo per l’azienda che in asta fallimentare forse non si otterrebbe).
    • Esempio: La Delta S.r.l. ha tentato la composizione negoziata ma i creditori non accettano nessun accordo in continuità. L’unica offerta è di un concorrente che pagherebbe €300.000 per rilevare i macchinari e marchi di Delta. L’esperto constata che accordo di risanamento non c’è. Delta allora presenta un concordato semplificato proponendo di vendere al concorrente per €300.000 e distribuire il ricavato ai creditori, prevedendo che i privilegiati prendano il 100% e i chirografari il 20%. Il tribunale verifica che in un fallimento i macchinari probabilmente all’asta forzata avrebbero reso meno e quindi quell’offerta è valida, perciò omologa. Delta cede i beni, incassa 300k e li ripartisce come da piano con il controllo di un liquidatore nominato. I creditori non hanno votato, ma hanno comunque ricevuto un 20% che forse in fallimento sarebbe stato 10%. Finito ciò, Delta viene cancellata.

In tutte queste ipotesi di passaggio a procedure concorsuali, il fatto di aver fatto la composizione negoziata prima è comunque un vantaggio:

  • Si è arrivati più preparati (documenti, piano, contatti con creditori già avviati).
  • Spesso c’è un “premio” per chi ci ha provato: ad esempio, nel concordato semplificato l’imprenditore ottiene di evitare l’infamia del fallimento; nelle modifiche alla legge fallimentare introdotte da DL 118/2021 si prevedeva che chi abbandonava un concordato in bianco per fare un piano attestato (dunque puntando su risanamento privato) non subiva conseguenze negative.
  • Il tribunale stesso valuterà con occhio più benevolo un imprenditore che ha tentato di comporre la crisi, rispetto a uno che non ha fatto nulla e arriva all’ultimo.

3. Esito negativo (mancato accordo e insolvenza)

Purtroppo, non tutte le composizioni negoziate portano a salvare l’azienda. Ci sono casi in cui, nonostante gli sforzi, non si trova alcuna soluzione: i creditori non accettano accordi e non c’è spazio per concordati (magari perché mancano risorse o l’azienda non è più viable). In tali situazioni, la procedura viene archiviata e l’imprenditore rimane con l’impresa insolvente. A quel punto, tipicamente uno o più creditori procederanno per vie legali tradizionali: istanza di fallimento (liquidazione giudiziale) o escussioni che portano alla paralisi.

Se l’imprenditore stesso si rende conto che non c’è nulla da fare (ad esempio perché l’esperto glielo ha fatto capire chiaramente e ne ha dato atto in relazione), la scelta corretta sarebbe non aspettare le mosse dei creditori ma attivarsi lui. Cosa può fare?

  • Presentare egli stesso istanza di liquidazione giudiziale (autofallimento). È una scelta dolorosa, ma a volte responsabile: anticipare i tempi evita ulteriore dissesto.
  • Oppure, se ci sono elementi, potrebbe optare per liquidazione volontaria (extra concorsuale) se pensa di riuscire a pagare i creditori almeno parzialmente senza tribunale (ma se è insolvente, i creditori di solito forzeranno il tribunale per garanzia).
  • Se rientra in sovraindebitamento (ad esempio è una piccola impresa non fallibile ma ormai incapiente), potrebbe ricorrere agli strumenti di composizione della crisi da sovraindebitamento (piano di ristrutturazione minore, liquidazione controllata, ecc. previsti dal Codice per soggetti non fallibili).

In ogni caso, l’archiviazione per esito negativo della composizione non comporta sanzioni immediate, ma è un chiaro segnale d’allarme. L’esperto deposita la sua relazione finale scrivendo che non si è trovata una soluzione idonea al superamento della crisi. Questa relazione potrebbe essere letta dai creditori (se ad esempio viene depositata in tribunale in qualche procedimento) e convincerli ulteriormente a procedere al fallimento. D’altronde, a quel punto non c’è più protezione: se c’erano misure protettive, decadono; i creditori possono riprendere o avviare esecuzioni.

Da notare: aver tentato la composizione negoziata e non aver trovato soluzioni può comunque proteggere in parte l’imprenditore da accuse di inerzia o di mala fede. Ha dimostrato di averci provato. Quindi, anche se finisce male, per lo meno sul piano delle possibili responsabilità personali (azioni di responsabilità, bancarotta semplice, etc.), l’imprenditore potrà addurre a sua discolpa di aver attivato per tempo la procedura. Questo non evita il fallimento, ma può evitare imputazioni di colpa grave nella gestione della crisi.

Esempio esito negativo: La società Omega s.n.c. avvia la composizione, ma dopo 3 mesi l’esperto conclude che non c’è accordo: i creditori chiederebbero almeno il 50% ma Omega non può offrire più del 10%, non ci sono investitori, l’attività è in perdita, i soci non hanno mezzi. La procedura viene chiusa. Nel giro di un altro mese, alcuni fornitori presentano istanza di fallimento. Omega non si oppone, viene dichiarata fallita. I soci ringraziano comunque l’esperto per averli aiutati a prendere coscienza della inevitabilità e di aver forse guadagnato qualche settimana per organizzarsi (hanno venduto le ultime scorte per pagare i dipendenti arretrati prima del fallimento, in accordo con l’esperto per ragioni sociali). Nel fallimento, i creditori recupereranno ben poco, ma almeno si chiude la vicenda. Questo è un caso triste ma possibile. La composizione negoziata in questi casi serve quantomeno a certificare che nulla si poteva fare se non liquidare.

In sintesi: la composizione negoziata può essere vista come un bivio: se funziona, si rimane nel campo degli accordi privati e l’impresa è salva; se non funziona, la strada porta verso le procedure concorsuali o la liquidazione. In ogni caso, l’imprenditore che l’ha intrapresa ha esplorato tutte le opzioni negoziali prima di arrendersi, e questo è esattamente lo scopo per cui è stata creata: dare una chance di salvataggio extra-giudiziale prima di soccombere al fallimento.

Nel prossimo capitolo confronteremo la composizione negoziata con altri strumenti (piano attestato, accordi, concordato) per evidenziare differenze e complementarità.

Confronto con Altri Strumenti di Gestione della Crisi

Il nostro ordinamento offre diversi strumenti per affrontare la crisi d’impresa. La Composizione Negoziata è l’ultima arrivata e si colloca accanto (e in parte sovrapposta) ad altri istituti già esistenti. È utile per l’imprenditore capire le principali differenze tra questi strumenti, per orientarsi nella scelta più adatta. I più rilevanti da confrontare sono:

  • Il Piano Attestato di Risanamento (extra-giudiziale puro).
  • Gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti (procedura mista, con omologa).
  • Il Concordato Preventivo (procedura concorsuale giudiziale).
  • (E per completezza, la Liquidazione Giudiziale ex fallimento, come scenario ultimo).

Vediamo un breve confronto su vari aspetti chiave:

Finalità e natura giuridica:

  • Piano Attestato di Risanamento (PAR): È un accordo privato basato su un piano di risanamento redatto dall’impresa e attestato da un professionista indipendente (attestatore) circa la sua fattibilità. Non coinvolge il tribunale (se non indirettamente: è menzionato in caso di fallimento per l’esenzione da revocatorie). Serve ad evitare l’insolvenza assicurando che, se il piano riesce, l’impresa torna in bonis. È disciplinato dall’art. 56 del Codice della Crisi (riprende art. 67 L.F.). In sostanza è un accordo volontario, che può essere anche solo unilaterale con banche, per ristrutturare i debiti, ma che offre protezione limitata (solo esenzione revocatoria).
  • Accordo di Ristrutturazione dei Debiti (ARD): È un accordo privato con una percentuale qualificata di creditori (almeno 60%) che viene però omologato dal tribunale e acquisisce efficacia legale, vincolante per i creditori aderenti (e in alcuni casi anche per alcuni non aderenti). Previsto dagli artt. da 57 a 60 e seguenti del Codice (ex art. 182-bis e ter L.F.). Ha natura mista: è volontario ma ha bisogno del giudice per perfezionarsi. La finalità è simile al piano attestato (risanare evitando insolvenza), ma qui c’è una soglia di adesione e pubblicità (viene iscritto nel registro imprese). Offre alcune tutele in più rispetto al PAR: possibile stay automatico delle azioni esecutive su ricorso, efficacia estesa ai non aderenti in certe condizioni, ecc.
  • Concordato Preventivo: È una procedura concorsuale giudiziale aperta dall’imprenditore in stato di crisi o insolvenza, consistente in una proposta ai creditori di un piano (di continuità o liquidatorio) che viene votata dai creditori e omologata dal tribunale. Disciplina: Titolo IV del Codice (ex art. 160 e segg. L.F.). La natura è completamente pubblicistica: aperto il concordato, l’azienda è sotto controllo del tribunale e di un commissario giudiziale; c’è pubblicità al Registro Imprese; i creditori sono coinvolti in un procedimento formale di voto. Scopo: regolare la crisi in modo organizzato evitando il fallimento tramite un soddisfacimento parziale ma concordato e legalmente imposto a tutti i creditori.
  • Composizione Negoziata: È un procedimento stragiudiziale assistito da un esperto, volontario e riservato, finalizzato a facilitare un accordo tra imprenditore e creditori per superare la crisi. Non è né un contratto puro come il PAR (c’è l’intervento di un terzo) né una procedura giudiziale come il concordato (il giudice è solo eventuale per misure protettive e sbocchi concorsuali). Si pone come via di mezzo innovativa: un percorso di negoziazione strutturata.

Momento di utilizzo e presupposti:

  • Piano Attestato: Si usa tipicamente in fase di risanamento volontario, prima di essere insolventi conclamati. Può farlo anche un’impresa già insolvente? In teoria l’attestatore non potrebbe attestare fattibilità se l’insolvenza è troppo avanzata. Quindi di solito è per crisi incipienti o temporanee.
  • Accordo di Ristrutturazione: Richiede di regola che l’impresa sia in stato di crisi o insolvente (lo si attiva quando c’è già una criticità notevole). È un’alternativa al concordato con meno quorum richiesti e no voto generale, ma serve comunque un’adesione importante.
  • Concordato Preventivo: Si attiva in stato di crisi o insolvenza (il Codice ora permette l’accesso in caso di “crisi”, cioè prima dell’insolvenza conclamata, per favorire l’anticipo). È la soluzione quando serve coinvolgere tutti i creditori e imporre sacrifici anche ai dissenzienti, o quando serve un forte potere di moratoria di legge.
  • Composizione Negoziata: La si può attivare molto precocemente – già al segno di squilibrio – e anche in piena insolvenza (purché reversibile) . Quindi è flessibile sul presupposto. In genere, l’idea è attivarla appena ci sono segnali di crisi per massima efficacia.

Coinvolgimento dei creditori:

  • Piano Attestato: Non richiede un quorum né un coinvolgimento collettivo formale. Può essere un piano fatto unilateralmente dall’impresa e magari con accordi bilaterali (es. banche) attorno. I creditori non “votano”, si tratta con ciascuno e si cerca un consenso diffuso, ma legalmente ognuno fa accordo a sé.
  • Accordi di Ristrutturazione: Qui serve l’adesione formale di creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, quindi c’è già una logica di maggioranza (anche se la minoranza non aderente resta fuori dall’accordo – salvo alcuni casi di estensione ad omologa – però non può bloccarlo). I creditori non votano in assemblea, aderiscono firmando l’accordo.
  • Concordato Preventivo: Coinvolge tutti i creditori noti; c’è una votazione per classi o generale, con maggioranze richieste (maggioranza del valore crediti votanti in ogni classe, o in mancanza per sommatoria, etc.). Anche i dissenzienti, se il concordato è omologato, sono obbligati dal provvedimento del giudice. Quindi è uno strumento di cram-down forte.
  • Composizione Negoziata: Qui i creditori partecipano su base volontaria alle trattative. Non c’è voto né obbligo di adesione. Sta all’abilità dell’imprenditore e dell’esperto persuaderli. Possono decidere di non sedersi nemmeno al tavolo (non c’è obbligo legale di partecipare, ma un creditore che rifiuta aprioristicamente il dialogo potrebbe poi trovarsi comunque in fallimento con meno soddisfazione). Non esiste la regola di maggioranza: serve consenso individuale per ogni accordo.

Ruolo dell’autorità/terzi:

  • Piano Attestato: Ruolo terzo = l’attestatore, pagato dall’azienda, che certifica la ragionevolezza del piano. Nessun organo pubblico coinvolto; c’è una comunicazione eventuale al registro imprese come notizia finanziaria ma non obbligatoria.
  • Accordi di Ristrutturazione: Ruolo terzo = un esperto attestatore deve attestare che l’accordo assicura l’integrale pagamento dei creditori estranei nei 120 giorni scadenza (per omologa) e ragionevolmente attuabile. Inoltre interviene il tribunale per omologare e può nominare un ausiliario per verificare attestazione, ecc. Se richiesto, vi è un commissario giudiziale solo in caso di estensione ai dissenzienti (nel vecchio art.182-septies L.F.). Quindi c’è un controllo giudiziario, ma meno invasivo del concordato.
  • Concordato: C’è un commissario giudiziale nominato dal tribunale che supervisiona fin dall’inizio (dalla fase di ammissione), c’è il giudice delegato, e poi in omologa il tribunale decide. Quindi pieno coinvolgimento pubblico. L’attestatore qui pure c’è (serve relazione di un professionista indipendente sul piano, come per concordato).
  • Composizione Negoziata: C’è l’esperto indipendente nominato da commissione CCIAA, che assiste e vigila. Il tribunale entra in scena solo se misure protettive (conferma) o se si passa a concordato o accordo formale. Quindi per la maggior parte rimane stragiudiziale, ma con un attore terzo (esperto) che non esiste nel piano attestato standard.

Misure protettive e stay dei creditori:

  • Piano Attestato: Nessuno stay automatico. I creditori possono agire liberamente; il piano attestato di per sé non offre protezione. L’azienda deve confidare nella pazienza dei creditori mentre esegue il piano, oppure può ricorrere a stratagemmi come chiedere dilazioni durante la negoziazione. Ma legalmente, nessun divieto a pignoramenti salvo eventuali accordi bilaterali di standstill.
  • Accordo di Ristrutturazione: Possibile chiedere al tribunale misure protettive (simili a quelle del concordato) a partire dalla pubblicazione del ricorso di omologazione. Durante le trattative per raccogliere consensi, l’impresa può anche depositare in tribunale una richiesta di misure cautelari (nuovo art. 54 CCII) per bloccare azioni, ma tradizionalmente l’accordo di ristrutt. non aveva un automatic stay pre-omologa (a differenza del concordato in bianco). DL 118/2021 ha introdotto la convenzione di moratoria e la possibilità di ottenere protezione temporanea mentre si cerca le firme, se depositato ricorso in tribunale. Diciamo protezione limitata.
  • Concordato Preventivo: Forte protezione: dalla pubblicazione del ricorso per concordato, i creditori non possono iniziare o proseguire azioni esecutive né cautelari, ex lege; i contratti in corso non possono essere risolti per fatti pregressi, ecc. Insomma, automatic stay completo per tutta la procedura.
  • Composizione Negoziata: Ha le sue misure protettive facoltative come visto: su richiesta imprenditore, pubblicazione e poi conferma giudice. L’effetto è simile a quello del concordato: blocco delle azioni esecutive e delle ipoteche. Durata però limitata (massimo 6 mesi circa) e condizionata a reale prospettiva di risanamento. Quindi offre protezioni temporanee e circoscritte, all’occorrenza.

Esito e vincolatività:

  • Piano Attestato: Se funziona, i creditori vengono pagati secondo gli accordi bilaterali presi. Non c’è un provvedimento che imponi qualcosa a chi non aderisce; i pagamenti volontari fatti nel piano attestato non sono revocabili in fallimento (beneficio ex art.67 L.F.), quindi protezione per chi ha partecipato. Se non funziona e l’impresa fallisce, il piano attestato in sé non vincolava i creditori che non hanno ricevuto tutto: potranno insinuarsi.
  • Accordo di Ristrutturazione: Se omologato, è vincolante per i creditori aderenti come un titolo esecutivo; i creditori estranei restano coi loro diritti immutatiConfronto sintetico: In pratica, la composizione negoziata è più flessibile e informale del concordato e degli accordi omologati, ma offre meno certezza di vincolo e protezione. Si può vedere così:
  • PAR = molto flessibile, nessun intervento esterno, ma nessuna tutela legale diretta (a parte la non revocabilità dei pagamenti eseguiti) – richiede fiducia e cooperazione volontaria, utile se pochi creditori e ragionevoli.
  • Accordi di ristrutturazione = compromesso tra flessibilità e intervento giudiziale: serve una base di consenso, dopodiché si cristallizza con omologa e offre protezioni (stay e possibilità di coinvolgere tutti i principali creditori se sono d’accordo almeno in maggioranza qualificata). Meno costoso di un concordato e meno lungo, ma funziona solo se c’è già un discreto consenso.
  • Concordato preventivo = procedura “forte”, si usa quando c’è conflittualità o si deve assolutamente congelare la situazione e imporre una soluzione. Garantisce trasparenza (tutti i creditori informati, ruolo del giudice) e permette manovre anche contro la volontà di minoranze, però è complesso, costoso e pubblico.
  • Composizione negoziata = uno strumento precoce e volontario per costruire, se possibile, la base per un accordo. Non sostituisce gli altri strumenti, anzi li può precedere e sfociare in essi: è pensabile come un “ambiente protetto di negoziazione” che se va bene porta a un accordo privato come un piano attestato (ma con l’esperto che lo valida senza bisogno di attestatore esterno), e se va così così porta magari a un accordo omologato o concordato semplificato, se va male porta comunque a un fallimento ma con la consapevolezza di aver tentato ogni opzione.

Dalla prospettiva dell’imprenditore: conviene usare la composizione negoziata quando c’è ancora speranza di evitare il tribunale e si vuole provare la via del dialogo. Se invece la situazione è già talmente degradata che i creditori sono ostili, potrebbe essere necessario saltare direttamente al concordato per ottenere subito protezione e imporre una soluzione (ad esempio, in presenza di un gruppo di creditori “ostaggio” che non si riesce a mettere d’accordo). La bellezza della composizione negoziata è la tempestività: la si può attivare prima che una crisi diventi insolvenza grave, mentre molti in passato aspettavano di essere alle porte del fallimento per muoversi.

In conclusione, composizione negoziata vs altri strumenti in breve:

  • È più precoce e totalmente volontaria (nessun obbligo di votazione) rispetto a concordato e accordi.
  • Offre un esperto mediatore che negli altri strumenti non c’è (a meno di nominare consulenti privatamente).
  • Ha costi inferiori iniziali (niente spese di giustizia se non per misure protettive).
  • Mantiene l’impresa operativa e sotto controllo dell’imprenditore al 100% durante la procedura (nel concordato c’è il commissario e limitazioni).
  • Può confluire in accordo attestato (diventandone parte integrante), oppure in accordo ex 182-bis o in concordato semplificato – quindi è complementare, non esclusiva.

Per contro:

  • Non garantisce un esito – dipende tutto dal consenso che si riesce a costruire.
  • Non risolve se mancano totalmente risorse: è uno strumento, non la bacchetta magica, se l’impresa è decotta non la salva (ma questo vale anche per gli altri, se non c’è sostanza, nessun istituto fa miracoli).

Esempi Concreti di Composizione Negoziata

Per dare un’idea più tangibile di come la composizione negoziata funzioni nella pratica, presentiamo di seguito alcuni esempi ipotetici (ma realistici) e casi reali semplificati, illustrando le situazioni iniziali, lo svolgimento delle trattative e l’esito finale.

Esempio 1: PMI manifatturiera in crisi di liquidità (accordo con fornitori)

Scenario iniziale: La Alfa S.r.l. è un’azienda manifatturiera con 50 dipendenti che produce componenti meccanici. A causa dell’aumento dei costi delle materie prime e di un calo temporaneo degli ordini, Alfa ha accumulato debiti verso i suoi fornitori principali per 800.000 €. È in ritardo di 120 giorni medi nei pagamenti e alcuni fornitori hanno minacciato di interrompere le forniture. La banca ha ridotto gli affidamenti. Il bilancio dell’ultimo anno è in perdita e il patrimonio netto è sceso sotto il limite di legge per le srl. Gli amministratori vedono arrivare “luce rossa” sul cruscotto finanziario. Decidono, su consiglio del loro avvocato, di attivare la composizione negoziata, prima che qualche fornitore esasperato chieda il fallimento.

Svolgimento: Alfa S.r.l. presenta istanza sulla piattaforma, allegando i bilanci e un piano in cui propone di pagare i fornitori nell’arco di 2 anni, se questi concedono sconti e dilazioni, e di rinnovare il parco macchine per aumentare efficienza (con l’aiuto di un leasing finanziario già negoziato). Viene nominato un esperto (un commercialista esperto di crisi industriali). L’esperto, dopo l’incontro iniziale, ritiene che Alfa sia risanabile, perché ha un portafoglio ordini in ripresa e clienti fedeli; il problema è principalmente rifinanziare il debito verso fornitori. Convoca dunque 5 fornitori principali (che rappresentano il 70% del debito) e la banca locale. Nelle trattative, grazie anche all’intervento dell’avvocato di Alfa che rassicura i fornitori sulla serietà dell’azienda (mostrando anche gli ordini futuri) e alla presenza dell’esperto, si raggiunge un accordo:

  • i fornitori accettano un taglio del 20% sui loro crediti e la restante parte sarà pagata in 18 mesi;
  • la banca concede ad Alfa un nuovo finanziamento di 200.000 € assistito da garanzia MCC (Medio Credito Centrale) per fornire liquidità immediata, e in cambio chiede un piano di rimborso e l’impegno a destinare quel denaro principalmente ai fornitori per i primi pagamenti;
  • Alfa s’impegna a effettuare certe azioni di efficientamento (inserite come covenants nell’accordo, ad esempio riduzione scorte e outsourcing di lavorazioni secondarie). L’esperto supervisiona i termini dell’accordo e li ritiene sostenibili per Alfa (nel suo piano di cassa l’azienda può permettersi le rate concordate, grazie anche al nuovo prestito e al miglior margine dovuto allo sconto 20%). Si redige un accordo quadro firmato dall’imprenditore e dai 5 fornitori, con il placet dell’esperto. Gli altri fornitori minori (che hanno il 30% residuo dei debiti) non firmano formalmente, ma vengono informati che Alfa onorerà integralmente i loro crediti in 18 mesi (grazie al contributo di sconto dato dai maggiori, c’è respiro per pagare tutti gli altri senza decurtazione). I dipendenti non subiscono impatti (anzi vengono rassicurati che l’azienda evita licenziamenti).

Esito: L’esperto conclude la composizione negoziata con relazione positiva: “raggiunto accordo stragiudiziale con i principali creditori, piano di risanamento idoneo a riequilibrare Alfa S.r.l. entro 2 anni”. L’accordo sottoscritto ha effetto di piano attestato ex lege perché lo ha firmato anche l’esperto stesso, quindi proteggerà quei pagamenti da eventuali azioni revocatorie. Alfa S.r.l. nei mesi successivi esegue puntualmente i pagamenti concordati. I fornitori tornano a rifornirla normalmente (hanno preferito prendere 80% con continuità piuttosto che rischiare il fallimento di Alfa e perdere il cliente). Dopo un anno Alfa torna in utile. In questo caso, la composizione negoziata ha salvato un’azienda prima che finisse in default, con soddisfazione reciproca: l’imprenditore ha mantenuto in vita l’impresa e i posti di lavoro, i fornitori hanno evitato una perdita ben maggiore (in un fallimento forse avrebbero recuperato 20-30% chirografo e perso un cliente), la banca ha evitato una sofferenza e mantenuto un cliente affidato.

Esempio 2: Azienda commerciale con debiti fiscali (concordato semplificato)

Scenario iniziale: La Beta S.p.A. gestisce una catena di negozi di abbigliamento. Ha accumulato pesanti debiti fiscali e contributivi (€1,2 milioni tra IVA non versata e contributi arretrati) a causa di problemi di liquidità durante la pandemia. Anche i debiti verso i fornitori sono alti (€800.000). Il mercato però sta riprendendo e Beta potrebbe tornare profittevole, ma il fisco minaccia azioni esecutive (pignoramento dei conti) e un paio di fornitori hanno già ottenuto decreti ingiuntivi. Beta decide di tentare la composizione negoziata, chiedendo subito le misure protettive per congelare la situazione.

Svolgimento: Viene nominato un esperto (un avvocato specializzato in ristrutturazioni aziendali). Beta con l’aiuto dell’esperto elabora una proposta: trovare un investitore di minoranza disposto a immettere 500.000 € per rilanciare l’azienda, chiedere ai fornitori uno stralcio del 30%, e chiedere all’Erario una transazione fiscale (strumento nel concordato che permette di pagare parzialmente IVA e contributi con l’ok del tribunale). Si tengono trattative con alcuni possibili investitori ma nessuno si concretizza in tempo; i fornitori, riuniti al tavolo, si mostrano scettici di accettare un 70% dilazionato. Dopo 3 mesi, l’esperto prende atto che non c’è consenso sufficiente: troppi creditori preferirebbero vedere un concordato formale (anche perché coinvolge il fisco). Le misure protettive stanno per scadere. Esito delle trattative: niente accordo completo, ma Beta ha delineato un piano di massima realizzabile via concordato: chiudere 5 punti vendita meno redditizi per ridurre costi e proporre un concordato liquidatorio offrendo il ricavato dell’inventario e della liquidazione scorte per pagare i creditori.

Esito: L’esperto archivia la composizione negoziata come “esito negativo (nessun accordo di risanamento raggiunto)”. Tuttavia, Beta non aspetta i creditori: entro 60 giorni dalla fine, deposita un ricorso per concordato semplificato offrendo la liquidazione controllata degli asset (principalmente le merci in magazzino e arredi dei 5 negozi chiusi) con pagamento stimato del 40% ai creditori chirografari. Il tribunale, visto l’andamento della composizione (relazione dell’esperto allegata) e la trasparenza di Beta, omologa il concordato semplificato. In pochi mesi Beta cede le scorte e paga tutti i creditori privilegiati (Erario principalmente) e il 40% ai fornitori chirografari. L’azienda, ridimensionata, prosegue con i negozi restanti e torna in equilibrio (seppur più piccola). In questo esempio, la composizione negoziata non ha risolto direttamente la crisi, ma è servita da anticamera per un concordato semplificato, che ha permesso una liquidazione ordinata evitando il fallimento. Beta S.p.A. ha chiuso parte dell’attività ma è rimasta in vita come azienda più snella. I creditori hanno avuto il 40%, che considerata la situazione è più di quanto avrebbero preso se Beta fosse collassata mesi prima (probabilmente con i pignoramenti sparsi avrebbero avuto poco).

Esempio 3: Piccola impresa familiare (nessun accordo, fallimento evitato dai soci)

Scenario iniziale: Gamma SNC è una piccola impresa edile a conduzione familiare (due fratelli soci) con 10 dipendenti. A seguito di errori di preventivazione, l’azienda subisce grosse perdite su due cantieri e accumula debiti: 200.000 € verso fornitori di materiali, 150.000 € di banche (scoperti di c/c e leasing) e 100.000 € di debiti fiscali. I cantieri in perdita sono completati, ma Gamma non ha più liquidità e rischia insolvenza. I soci però hanno proprietà personali rilevanti. Decidono di provare la composizione negoziata per risolvere la crisi aziendale senza dover vendere la casa, se possibile.

Svolgimento: Durante le trattative coordinate dall’esperto, emerge che i creditori non si fidano della capacità di Gamma di generare utili futuri (il settore edile è incerto). I fornitori chiederebbero comunque garanzie reali; le banche sarebbero disposte a una moratoria solo se i soci mettono garanzie personali. In pratica, i creditori vogliono il sacrificio dei soci. Dopo alcune settimane, i fratelli soci realizzano che l’unica via per evitare il fallimento è immettere risorse proprie: provano a proporre la vendita di un terreno di loro proprietà per fare cassa e pagare i debiti. Ma la vendita richiede tempo e i creditori non aspettano.

Esito: La composizione negoziata si chiude senza un accordo formale di ristrutturazione, perché in sostanza i creditori vogliono essere pagati quasi integralmente (non c’è margine per stralci significativi). Tuttavia, i soci grazie alla procedura hanno preso coscienza della situazione e della disponibilità dei creditori: nessuno vuole mandare falliti i fratelli, purché paghino. Allora, subito dopo l’archiviazione, i fratelli vendono un immobile personale (un piccolo appartamento ereditato) e raccolgono liquidità, con cui pagano in via stragiudiziale tutti i fornitori e le banche in percentuale alta (80-100% del dovuto). Chiedono anche un prestito personale per saldare il fisco. In pochi mesi, utilizzando risorse personali, azzerano i debiti aziendali. Gamma SNC, sebbene tecnicamente fosse insolvente, evita il fallimento perché i creditori vengono soddisfatti. L’esperto nella relazione finale aveva comunque evidenziato che “l’azienda non appare risanabile con le sole sue forze, occorrerebbe un apporto esterno di capitale”: e così è stato, i soci hanno fatto quell’apporto.

In questo esempio, la composizione negoziata ha funzionato come diagnosi e moral suasion: pur non avendo portato a un piano concordato di dilazione, ha spinto i soci a immettere capitale e ha mostrato loro chiaramente che nessuno li avrebbe condonati, quindi tanto valeva pagare vendendo beni personali. Avrebbero potuto farlo anche senza composizione? Forse sì, ma la procedura li ha aiutati a quantificare esattamente il fabbisogno e a negoziare almeno la rinuncia a interessi e penali (i creditori, vedendo la buona fede, hanno rinunciato a sanzioni e interessi di mora). Inoltre, formalmente l’azienda non ha dovuto aprire un fallimento, preservando la reputazione locale.

Esempi reali (casi riportati):

Essendo uno strumento nuovo, la casistica reale si sta formando. Secondo notizie di stampa, nei primi mesi di applicazione (fine 2021 – 2022) sono state presentate centinaia di istanze di composizione negoziata soprattutto da PMI in vari settori (dalla moda al metalmeccanico). Molte di esse hanno trovato soluzioni negoziali o sono confluite in concordati semplificati.

Ad esempio, un caso riportato è quello di un’azienda del settore moda (X Srl, nome di fantasia) che, colpita dal lockdown, aveva accumulato debiti con i fornitori cinesi e italiani. Grazie alla composizione negoziata, è riuscita a concordare con i fornitori asiatici uno sconto significativo (preferivano prendere meno ma mantenere il cliente per il futuro) e con le banche una proroga dei finanziamenti, ottenendo inoltre capitale fresco da un nuovo socio individuato durante le trattative. L’azienda ha evitato il fallimento e ha continuato l’attività, poi nel 2023 è tornata in utile. L’esperto nominato in quel caso (un dottore commercialista) ha mediato via web call con i fornitori esteri, mostrando bilanci previsionali e piani di ordini futuri: una modalità innovativa di negoziazione internazionale facilitata proprio dall’esistenza formale della composizione negoziata.

In un altro caso reale, un gruppo di ristorazione con vari locali ha usato la composizione negoziata per rinegoziare tutti i contratti di locazione con i proprietari dei muri: l’esperto ha aiutato a predisporre un piano e ha convocato i locatori proponendo una riduzione temporanea dei canoni, evidenziando che ciò era preferibile al rischio di chiusura dei ristoranti. Si è raggiunto un accordo globale in cui i locatori hanno tagliato del 30% i canoni per 18 mesi. Il gruppo ha così recuperato margini e ha evitato di portare i libri in tribunale. Qui la composizione negoziata ha agito da piattaforma di mediazione collettiva, mentre in assenza di essa l’azienda avrebbe dovuto trattare uno a uno con rischi di esito disomogeneo.

Questi esempi evidenziano come la composizione negoziata sia adattabile a molte situazioni: aziende industriali con fornitori, imprese commerciali con locatori e fornitori, casi di debiti fiscali, ecc. Il comune denominatore dei successi è stato la volontà dell’imprenditore di mettersi attorno a un tavolo e la disponibilità delle controparti a trattare in modo pragmatico. Quando queste condizioni si danno, l’esperto può fare da catalizzatore di soluzioni creative. Quando invece c’è un rifiuto totale (da una parte o dall’altra), spesso si scivola verso il fallimento o comunque verso decisioni più drastiche.

Conclusione: Suggerimenti per Prevenire la Crisi d’Impresa

La miglior gestione della crisi è quella di prevenirla o intercettarla per tempo. Dall’esperienza maturata e dallo spirito delle norme recenti (Codice della Crisi), emergono alcuni suggerimenti operativi che ogni imprenditore dovrebbe far propri per prevenire situazioni di crisi o comunque trovarsi pronto ad affrontarle:

1. Predisporre “adeguati assetti” e monitorare i segnali deboli: La legge (art. 2086 c.c.) obbliga tutte le imprese a dotarsi di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensione dell’azienda. In pratica, significa avere un sistema di controllo di gestione anche semplificato, che permetta di capire l’andamento economico-finanziario in tempo quasi reale. Ciò include: bilanci periodici (trimestrali o mensili), controllo dei flussi di cassa, indicatori di allerta (ad esempio: indice di liquidità, indice di indebitamento). Suggerimento: instaurare in azienda una routine di analisi finanziaria: se l’imprenditore non ha competenze, si appoggi al commercialista per generare cruscotti trimestrali. Appena uno degli indicatori degenera (es: margine operativo netto in forte calo, patrimonio netto che scende sotto metà capitale, continuo aumento dei debiti a breve), suoni un campanello d’allarme. Questo permette di attivarsi prima che i problemi diventino emergenza.

2. Ascoltare l’organo di controllo (sindaci o revisore) e le banche: Se la tua azienda è abbastanza grande da avere sindaci o revisori, questi soggetti hanno per legge il compito di segnalare eventuali squilibri. Non prendere le loro segnalazioni come un intralcio, ma come un prezioso feedback. Allo stesso modo, se la banca inizia a ridurre gli affidamenti o a chiedere rientri, non accusarla soltanto: quello è un segnale che la tua rischiosità è percepita in aumento. Suggerimento: istituisci un rapporto franco con i controllori e i finanziatori: chiedi loro quali indicatori li preoccupano e cerca di capirne le ragioni. Se i sindaci segnalano formalmente la probabilità di crisi, prendi molto sul serio la cosa – la legge impone di rispondere entro 30 giorni con le iniziative intraprese. Meglio attivare subito misure correttive (o la stessa composizione negoziata) piuttosto che ignorare e incorrere in responsabilità.

3. Non aspettare l’ultimo momento per cercare aiuto: Un errore tipico è negare i problemi fino a quando diventano insolvenza conclamata. A quel punto le opzioni di risanamento sono poche e drastiche. Suggerimento: appena percepisci che la tua impresa sta entrando in difficoltà (ad esempio devi attingere sistematicamente a fidi per pagare spese correnti, o non riesci a pagare puntualmente stipendi e fornitori, o hai magazzino invenduto e scarsa liquidità), consulta tempestivamente i professionisti: il tuo commercialista, un avvocato d’impresa, magari un consulente aziendale. Fai un check-up indipendente. Spesso un occhio esterno vede problemi (e soluzioni) che chi è immerso nell’azienda non coglie. Inoltre, valuta l’opportunità di attivare subito strumenti come la composizione negoziata prima che i creditori perdano la fiducia. Ricorda: la composizione negoziata può essere avviata anche con squilibri iniziali, non serve essere sull’orlo del baratro. Anzi, più la attivi per tempo, più chance avrai di successo.

4. Coinvolgere i soci e rafforzare il capitale prima che sia troppo tardi: Molte crisi derivano da sottocapitalizzazione: l’impresa affronta momenti difficili con poco capitale proprio e troppo debito, quindi basta un soffio contrario per travolgerla. Suggerimento: se i numeri mostrano tensione finanziaria, parla con i soci (o con te stesso se sei socio unico) e considera un aumento di capitale o finanziamenti soci prima di arrivare al default. Introdurre liquidità fresca in azienda può prevenire l’insolvenza e dare il tempo di ristrutturare. I soci esiteranno ad investire? Ricorda loro che se l’azienda fallisce, probabilmente perderanno tutto comunque (tra valore azioni e crediti soci postergati). Meglio mettere qualcosa in più e salvare l’impresa. Inoltre, un’azienda con patrimonio rinforzato può negoziare meglio con le banche e i creditori perché mostra l’impegno dei proprietari nel risanamento.

5. Mantenere un dialogo aperto con i creditori chiave: Comunicare è fondamentale. Un creditore lasciato all’oscuro, se non viene pagato, tende a pensare al peggio e magari agisce legalmente. Un creditore informato sulla situazione e sulle prospettive, e coinvolto moralmente nella soluzione, è più incline alla pazienza. Suggerimento: identifica i tuoi creditori più importanti (fornitore principale, banca principale, Erario se hai grossi debiti fiscali) e, alle prime avvisaglie di difficoltà, convoca un incontro. Spiega con trasparenza le cause dei ritardi, mostra cosa stai facendo per rimediare e proponi un piano di rientro credibile. Magari non sottoscriveranno nulla subito, ma avranno la percezione che stai prendendo in mano la situazione. Questo può prevenire azioni aggressive. Ovviamente, non devi neanche dare false promesse (meglio dire “ti pago in 6 mesi e poi farlo davvero” che dire “ti pago domani” e non farlo). La credibilità è un asset: se la giochi male, poi anche la composizione negoziata farà fatica perché i creditori non si fidano.

6. Valutare lo strumento più adatto alla situazione: Come abbiamo visto, esistono più vie (piano attestato, accordi, composizione negoziata, concordato, ecc.). Suggerimento: insieme ai consulenti, valuta pro e contro in base alla situazione:

  • Se pensi che la crisi sia ancora gestibile in privato con pochi stakeholder, un piano attestato semplice o accordi individuali potrebbero bastare.
  • Se hai bisogno di bloccare i creditori subito e imporre tagli a qualcuno, il concordato può diventare necessario, ma ricorda che è pubblico e costoso.
  • La composizione negoziata può essere un ottimo primo passo, anche perché non preclude poi di scegliere accordo o concordato. Considerala come “tentare il dialogo con airbag pronti”.
  • Non trascurare i percorsi di soluzione negoziale minori: se sei micro-impresa potresti valutare gli strumenti di sovraindebitamento (ad esempio l’esdebitazione del debitore incapiente, se proprio sei destinato a chiudere, oggi c’è possibilità di liberarsi dai debiti residuali una volta liquidato il possibile).
  • In ogni caso, non perseverare su una strada inefficace per orgoglio: se hai iniziato con trattative private e vedi che un creditore blocca tutto, non aspettare di finire la cassa: a quel punto magari avvia la composizione negoziata o il concordato per non rimanere incastrato.

7. Tagliare i rami secchi e ridurre i costi in ottica prospettica: Prevenire la crisi significa anche migliorare la resilienza del business. Suggerimento: durante i periodi tranquilli, analizza la tua attività e individua eventuali inefficienze: un prodotto non profittevole, un cliente che paga male, un costo fisso troppo alto rispetto ai ricavi generati. Prendi decisioni difficili (chiudere linee improduttive, licenziare personale in esubero, rinegoziare contratti di affitto troppo onerosi) prima che diventino urgenti. Ogni euro risparmiato in tempi buoni è un euro che può fare la differenza in tempi di magra. Inoltre, diversifica il portafoglio clienti e fonti di finanziamento: dipendere da un solo cliente o da una sola banca è rischioso. Se quel pilastro viene meno, entri in crisi. Diversificando, se uno scricchiola, hai altri appoggi.

8. Formazione e cultura della crisi: Molti imprenditori sono bravissimi nel loro prodotto/servizio, ma non hanno conoscenze in materia finanziaria o legale. Questo li porta a sottovalutare segnali e ad agire tardi. Suggerimento: investire un po’ di tempo per formarsi su questi temi. Partecipare a un breve corso sulla gestione della crisi (anche le Camere di Commercio ne organizzano) può dare spunti utili. Sapere cosa significa DSCR (Debt Service Coverage Ratio) o come funziona un concordato può sembrare astruso finché le cose vanno bene, ma nel momento del bisogno fa la differenza. Almeno, conoscere l’esistenza degli strumenti: ad esempio, ora chi ha letto questa guida sa cos’è la composizione negoziata; un altro imprenditore ignaro potrebbe nemmeno sapere di avere questa opportunità e arrivare al fallimento senza provarla. La conoscenza è potere, anche nel prevenire la crisi.

9. Non farsi paralizzare dall’ottimismo (bias): L’imprenditore per natura tende all’ottimismo e alla sfida. È una qualità, ma in certe fasi può diventare un’illusione pericolosa (“andrà meglio il prossimo trimestre e recupererò”). Suggerimento: mantenere un sano realismo. Se i numeri contraddicono la tua speranza, affrontali. Circondati di qualche consulente o collega che faccia l’avvocato del diavolo. Meglio pianificare per tempo un ridimensionamento che ostinarsi e poi fallire. L’ottimismo va bilanciato con la pianificazione dello scenario peggiore (worst case): preparare un piano B ti aiuta a non farti trovare in panico se le cose vanno male.

10. Costruire relazioni di fiducia con partner e istituzioni: Un’impresa che, in tempi normali, ha costruito una reputazione di correttezza e trasparenza avrà più sostegno quando attraversa una crisi. Suggerimento: sii leale nei confronti di fornitori, banche, dipendenti e Fisco anche quando potresti fare il furbo. Ad esempio, presenta sempre dichiarazioni e bilanci anche se poi non riesci a pagare le imposte (la compliance formale è apprezzata dall’Erario e nei piani di rientro avrai più chances); mantieni i libri contabili in ordine (in crisi, avere contabilità caotica complica qualunque tentativo di salvataggio); comunica tempestivamente con la banca su difficoltà temporanee (meglio confessare un problema e chiedere aiuto che fare scoperti non autorizzati). Tutto questo paga: i creditori saranno più disposti a darti fiducia in una composizione negoziata se in passato hai dato prova di onorare gli impegni e di non nascondere la testa sotto la sabbia.

In definitiva, prevenire è meglio che curare. La composizione negoziata è una cura efficace per molte crisi, ma l’auspicio è che tu imprenditore possa attivarla quando la crisi è ancora ai primi sintomi, e magari nemmeno arrivare a doverla attivare se segui i consigli di buona gestione. E se anche la crisi ti colpirà – perché a volte fattori esterni sono incontrollabili – almeno avrai gli strumenti per reagire con lucidità e tempestività.

Come insegna la filosofia del nuovo Codice della Crisi, la parola chiave è “tempestività”: agire presto, agire informati, agire con gli esperti giusti. In questo modo, molte imprese potranno evitare di cadere e, se cadono, potranno rialzarsi più facilmente. La composizione negoziata, con il supporto dell’avvocato e degli altri consulenti, è un compagno di viaggio prezioso in quel percorso di risanamento che restituisce all’imprenditore il controllo del proprio destino, anche nei momenti più difficili.

Perché Affidarsi all’Avvocato Monardo per la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa

Quando un’impresa entra in difficoltà, muoversi in tempo è fondamentale per evitare il fallimento, la liquidazione giudiziale o il pignoramento dei beni aziendali.
In questi casi, la Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa, introdotta dal D.L. 118/2021, rappresenta lo strumento più innovativo e potente per cercare di salvare l’attività.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo significa avere al proprio fianco un professionista abilitato, esperto e strategico, capace di guidare l’impresa verso la soluzione più vantaggiosa.

Abilitato Come Esperto Negoziatore Della Crisi d’Impresa

L’Avvocato Monardo ha conseguito l’abilitazione ufficiale come Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa, riconosciuta dal Ministero della Giustizia.
Questo significa che può:

  • Gestire direttamente la Composizione Negoziata
  • Guidare l’imprenditore nei colloqui protetti con i creditori
  • Costruire piani di risanamento credibili e sostenibili
  • Mediare soluzioni che evitino la liquidazione o il fallimento

Il suo intervento è indispensabile per le imprese che vogliono provare a ristrutturare il debito, ottenere tempo, proteggere il patrimonio aziendale e salvare posti di lavoro.

Una Rete di Professionisti Specializzati al Tuo Servizio

Come coordinatore di avvocati e commercialisti esperti in diritto bancario e tributario a livello nazionale, Monardo offre:

  • Assistenza legale specializzata
  • Supporto contabile e fiscale di alto livello
  • Consulenza negoziale mirata alla crisi d’impresa

Ogni piano è costruito su misura, analizzando la situazione economica, finanziaria, patrimoniale e organizzativa dell’impresa, come richiesto dalla normativa sulla Composizione Negoziata.

Come Ti Aiuta Concretamente

Affidandoti all’Avvocato Monardo per la Composizione Negoziata della Crisi potrai:

  • Evitare azioni esecutive e blocchi giudiziari mentre si negozia con i creditori
  • Tutelare il valore dell’impresa, anche in fase di crisi
  • Ridurre il peso dei debiti attraverso accordi stragiudiziali
  • Sospendere il pagamento di alcuni creditori durante il percorso di negoziazione
  • Costruire un piano di risanamento credibile, richiesto dalla piattaforma telematica nazionale per l’accesso alla Composizione Negoziata
  • Difendere il patrimonio personale degli imprenditori (soprattutto in ditte individuali e società di persone)
  • Gestire la continuità aziendale, evitando la disgregazione della società

Inoltre, l’Avvocato Monardo assiste direttamente nella preparazione di tutta la documentazione richiesta, garantendo la correttezza formale e sostanziale necessaria a evitare rigetti o contestazioni.

Protezione Immediata e Seconda Opportunità

Con l’attivazione della procedura di Composizione Negoziata:

  • Le azioni esecutive dei creditori possono essere sospese (su richiesta al Tribunale)
  • Gli accordi raggiunti bloccano il fallimento e consentono una ristrutturazione controllata
  • L’imprenditore ottiene una protezione legale formale per tentare il risanamento in modo ordinato

È una vera seconda opportunità per chi rischia di vedere svanire anni di lavoro e sacrifici.

In conclusione

La Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa non è solo una formalità: è una corsa contro il tempo.
Affidarsi all’Avvocato Giuseppe Monardo ti garantisce l’assistenza di un professionista abilitato, esperto e con una rete di supporto nazionale, capace di negoziare soluzioni concrete, proteggere la tua azienda e costruirti una via d’uscita dalla crisi.

Qui di seguito tutti i contatti del nostro Studio Legale specializzato in cancellazione debiti e Composizione Negoziata della Crisi d’Impresa

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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