Cosa Succede Dopo La Notifica Di Un Avviso Di Accertamento Esecutivo?

Ricevere un avviso di accertamento esecutivo dall’Agenzia delle Entrate rappresenta un momento critico per qualsiasi contribuente. Questo atto, introdotto per rendere più rapide le procedure di riscossione, ha effetti immediati e molto concreti. Non si tratta di una semplice comunicazione o di un avvertimento: l’avviso di accertamento esecutivo ha lo stesso valore di un titolo esecutivo. In altre parole, equivale a una sentenza già passata in giudicato, pronta per essere messa in esecuzione. È quindi fondamentale comprendere bene cosa comporta e come ci si deve comportare una volta ricevuto.

Con la notifica di un avviso di accertamento esecutivo, l’Agenzia delle Entrate comunica ufficialmente che ritiene dovute delle somme a titolo di imposte non versate, sanzioni e interessi. La particolarità è che, trascorso un certo periodo di tempo dalla notifica, senza che il contribuente abbia pagato o presentato ricorso, l’Agenzia può avviare direttamente la riscossione coattiva. Questo significa che il debito può essere riscosso senza ulteriori passaggi giudiziari, tramite pignoramenti, fermi amministrativi o ipoteche.

Dopo la notifica, il contribuente ha 60 giorni di tempo per reagire. In questo periodo può pagare le somme contestate, presentare un’istanza di autotutela, oppure proporre ricorso alla competente Commissione Tributaria. Superati i 60 giorni senza che vi sia stata alcuna opposizione o pagamento, l’avviso diventa definitivo ed esecutivo. È a questo punto che l’Agenzia può trasmettere il debito all’Agente della Riscossione, come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, per avviare le procedure forzate.

Molti contribuenti vengono colti di sorpresa, anche perché spesso non hanno ben chiaro il significato e le conseguenze di questo documento. Una delle caratteristiche principali dell’avviso esecutivo è che unisce in un unico atto l’accertamento del tributo e il titolo per esigerlo. Non c’è più bisogno di un ulteriore passaggio per richiedere il pagamento. Questo meccanismo è stato introdotto per semplificare le operazioni dell’amministrazione finanziaria, ma ha reso più difficile per il cittadino difendersi in tempo utile.

Il rischio concreto è che, se non si agisce rapidamente, si possa arrivare a subire un pignoramento del conto corrente, dello stipendio, della pensione o di altri beni. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può infatti agire in via esecutiva senza passare dal giudice, proprio perché l’avviso di accertamento è già un titolo valido per l’esecuzione. Questo rappresenta un salto di qualità nell’efficacia dell’azione esattoriale, ma anche un aggravio per il contribuente che non conosce i propri diritti.

Per questo è importante, appena si riceve un avviso di accertamento esecutivo, leggere con attenzione tutto il contenuto dell’atto. Di solito vi sono indicati i motivi dell’accertamento, l’importo complessivo richiesto, le modalità di pagamento e i termini per impugnare. Controllare la correttezza dei dati, la legittimità delle pretese fiscali e la congruità delle sanzioni è un passaggio essenziale. Spesso infatti gli avvisi possono contenere errori materiali, come il calcolo errato degli interessi o l’indicazione di somme già versate.

La presentazione del ricorso, se ben motivata e tempestiva, può sospendere gli effetti dell’avviso. Tuttavia, in caso contrario, l’Agenzia non attende oltre: decorsi i termini, passa all’azione. Per evitare che si arrivi a misure invasive come il pignoramento, è opportuno consultare un legale esperto già nei primi giorni dopo la notifica. Lo stesso vale per l’istanza di autotutela, che può essere presentata per chiedere l’annullamento in tutto o in parte dell’atto, in caso di evidenti illegittimità.

Un’altra conseguenza importante da conoscere è che, con l’avviso esecutivo, non è necessario attendere la cartella esattoriale. Questo vuol dire che, se prima c’erano più passaggi (accertamento, cartella, esecuzione), ora il passaggio è immediato. Ricevuto l’avviso, decorso il termine, si può essere direttamente sottoposti ad azioni di recupero forzato.

Va detto che non tutti gli avvisi portano immediatamente al pignoramento. In alcuni casi l’Agenzia può decidere di inviare un sollecito o un preavviso, ma la normativa consente l’azione esecutiva anche senza ulteriori comunicazioni. Questo dipende anche dalla natura e dall’entità del debito, oltre che dal comportamento pregresso del contribuente.

In ogni caso, è sempre utile tenere traccia di tutte le comunicazioni ricevute e non sottovalutare mai la notifica di un avviso di accertamento esecutivo. Spesso infatti può trattarsi di un’occasione per sistemare situazioni pregresse prima che degenerino in contenziosi più gravi. Anche la possibilità di rateizzare il debito, se prevista, può offrire una soluzione sostenibile per evitare problemi maggiori.

Chi ha ricevuto un avviso di accertamento esecutivo non deve sentirsi solo o impotente. Esistono strumenti di difesa, vie legali da percorrere e soluzioni che possono essere trovate con l’aiuto di professionisti competenti. Ignorare l’avviso è l’errore più grave che si possa commettere: una volta che il procedimento di riscossione è avviato, diventa molto più difficile fermarlo.

La chiave, come in molti altri ambiti legali, è la tempestività. Agire nei termini di legge, valutare con attenzione il contenuto dell’atto e attivarsi con l’assistenza di esperti è fondamentale per tutelare i propri diritti. Spesso si tende a rimandare o a minimizzare l’importanza di questi atti, ma con l’avviso di accertamento esecutivo non c’è spazio per le esitazioni.

Ma andiamo ad approfondire con Studio Monardo, i legali specializzati nel difenderti dai pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche e debiti con l’Agenzia Entrate Riscossione.

Cosa Succede Dopo La Notifica Di Un Avviso Di Accertamento Esecutivo Tutto Dettagliato

Dopo la notifica di un avviso di accertamento esecutivo, il contribuente entra in una fase cruciale del rapporto con il Fisco: si apre ufficialmente la strada alla riscossione forzata, anche senza ulteriori comunicazioni. Questo tipo di accertamento, introdotto con il D.L. 78/2010 e poi esteso ad altre imposte, ha la particolarità di unire in un unico atto l’accertamento e il titolo esecutivo, rendendo immediatamente avviabile il recupero coattivo delle somme indicate, trascorsi 60 giorni dalla notifica, se il contribuente non paga né fa ricorso.

Vediamo nel dettaglio cosa significa riceverne uno, quali effetti produce, cosa si può fare e quali sono le scadenze fondamentali da rispettare.

🧾 Cos’è un avviso di accertamento esecutivo

È un atto notificato dall’Agenzia delle Entrate (o da un altro ente impositore) con cui viene contestata al contribuente un’evasione o un’irregolarità fiscale, e che contiene già l’ordine di pagamento e la possibilità di procedere con il pignoramento, in caso di mancato adempimento.

Riguarda imposte come:

  • IRPEF, IRES, IVA, IRAP;
  • imposte di registro, successione, donazione;
  • tributi locali, contributi previdenziali, altre entrate patrimoniali.

🕒 Cosa succede dopo la notifica: la linea del tempo

GiornoEventoEffetto per il contribuente
Giorno 0Notifica dell’avvisoParte il termine per pagare o fare ricorso
Entro 60 giorniPossibilità di: – pagare – impugnare – aderireIl debito NON è ancora esecutivo
Dal 61° giornoIl debito diventa esecutivoL’Agenzia può trasmettere il carico ad AdER
Dal 180° giornoPossibile riscossione forzata (pignoramenti, fermi, ipoteche)Scatta l’esecuzione coattiva

📌 Opzioni per il contribuente

Dopo la notifica dell’avviso di accertamento esecutivo, si hanno tre possibilità principali:

1. Pagare l’importo richiesto

  • Può essere pagato in unica soluzione o a rate.
  • Se si paga entro 60 giorni, si beneficia della riduzione delle sanzioni a 1/3.
  • Si evitano sanzioni aggiuntive e interessi di mora.

2. Presentare ricorso tributario

  • Da presentare alla Corte di Giustizia Tributaria, entro 60 giorni.
  • Sospende l’esecutività se si chiede anche la sospensione cautelare.
  • In caso di rigetto del ricorso, il debito sarà comunque esigibile.

3. Aderire con accertamento con adesione

  • Permette di definire il debito senza contenzioso, con sanzioni ridotte.
  • Sospende i termini del ricorso per 90 giorni.
  • Si chiude con il pagamento (anche rateale) e blocca la riscossione.

⚠️ Cosa accade se non si fa nulla entro 60 giorni

Se il contribuente non paga, non aderisce e non presenta ricorso, il debito diventa immediatamente esecutivo. Questo comporta:

  • Trasmissione del carico all’Agenzia delle Entrate Riscossione (AdER);
  • Notifica di un’intimazione di pagamento (entro 180 giorni dalla scadenza);
  • Se l’intimazione non viene pagata entro 5 giorni, iniziano le azioni esecutive:
    – Pignoramento del conto corrente
    – Pignoramento dello stipendio o della pensione
    – Fermo amministrativo sul veicolo
    – Ipoteca sugli immobili

🔍 Tabella riepilogativa – Effetti dell’avviso di accertamento esecutivo

AspettoDettaglio
Cos’èUn atto che unisce accertamento e titolo esecutivo
Cosa contieneImposte, interessi, sanzioni, invito al pagamento
Termine per agire60 giorni dalla notifica
Conseguenze del mancato pagamentoRiscossione forzata da parte dell’AdER
Possibilità di rateizzareSì, su richiesta e in base all’importo
Come evitare l’esecuzioneRicorso, adesione, pagamento entro i termini
Notifica dell’intimazioneDopo 60 giorni + massimo 180 giorni
Azioni esecutiveDal 5° giorno dopo l’intimazione

🧠 Aspetti critici da tenere presente

  • L’avviso di accertamento esecutivo è l’ultima fermata prima del pignoramento. Non occorre che venga notificata una cartella: basta che passino i 60 giorni e si può agire.
  • Se si presenta ricorso senza chiedere la sospensione, l’Agenzia può comunque procedere con la riscossione.
  • In presenza di situazioni economiche difficili, è possibile richiedere rateizzazione fino a 72 rate, o avviare una procedura di sovraindebitamento per sospendere l’esecuzione.

✅ Conclusione

La notifica di un avviso di accertamento esecutivo è un passaggio cruciale: si può ancora agire, ma i tempi sono strettissimi e le conseguenze gravi. Se non si fa nulla, la macchina della riscossione si mette in moto con effetti devastanti: fermi, pignoramenti, blocchi bancari.

Difendersi è possibile, ma occorre muoversi subito: valutare se il debito è corretto, se ci sono vizi da impugnare, se conviene aderire, o se è il caso di chiedere una dilazione o aprire una trattativa.

Un avvocato tributarista può analizzare il caso, bloccare l’esecutività e guidarti nelle scelte più efficaci.

Cosa significa che l’avviso di accertamento esecutivo ha valore di titolo esecutivo?

Ricevere un avviso di accertamento esecutivo dall’Agenzia delle Entrate può sembrare, a prima vista, una normale comunicazione fiscale, ma in realtà si tratta di un atto con un peso giuridico rilevante e immediato. L’attribuzione del valore di titolo esecutivo a questo documento significa che l’amministrazione finanziaria ha il potere di procedere alla riscossione forzata delle somme indicate, senza dover passare attraverso un giudice o ottenere una sentenza. È una novità che ha modificato radicalmente il rapporto tra cittadino e fisco, introducendo un automatismo che impone al contribuente una reazione tempestiva e consapevole.

Un titolo esecutivo è un atto che, secondo la legge, legittima l’avvio della procedura esecutiva per il recupero coattivo di un credito. Nella pratica, è ciò che consente a un creditore – in questo caso lo Stato – di pignorare beni, conti, stipendi, pensioni o altri valori del debitore. Prima dell’introduzione dell’avviso di accertamento esecutivo, questo titolo si formava solo dopo una serie di passaggi: accertamento del debito, eventuale ricorso, emissione della cartella esattoriale e solo in seguito, se necessario, l’azione giudiziaria. Con la riforma, tutti questi passaggi sono stati accorpati: l’avviso stesso incorpora la contestazione del tributo e la legittimazione all’esecuzione.

Ciò che cambia radicalmente per il cittadino è il tempo e lo spazio di manovra per difendersi. Il contribuente non può più contare su un margine temporale dilatato per valutare la sua posizione o contestare l’addebito. Dal momento in cui riceve l’atto, ha esattamente 60 giorni per decidere se pagare, contestare o chiedere la revisione dell’accertamento. Trascorso questo periodo, l’avviso diventa definitivo e l’Agenzia delle Entrate può agire per riscuotere quanto richiesto senza ulteriori avvisi.

Questo sistema è stato concepito con l’obiettivo di rendere più efficiente la macchina fiscale, riducendo i tempi della riscossione e contrastando l’evasione. Tuttavia, dal punto di vista del contribuente, comporta rischi notevoli. La possibilità di subire un’azione esecutiva senza passaggi intermedi può cogliere impreparato anche chi magari intendeva regolarizzare la sua posizione o non era pienamente consapevole della contestazione.

La natura esecutiva dell’avviso si fonda sulla presunzione di legittimità dell’atto amministrativo. In parole semplici, lo Stato presume che quanto indicato nell’avviso sia corretto e fondato. Tocca al cittadino dimostrare il contrario, attraverso un ricorso motivato o una richiesta di autotutela. Questo capovolgimento dell’onere della prova rende ancora più importante agire con prontezza e con l’assistenza di un professionista qualificato.

Un aspetto da non trascurare è che l’avviso di accertamento esecutivo non necessita di convalida giudiziaria per essere efficace. Questo vuol dire che non serve una pronuncia di un tribunale per avviare il pignoramento di un bene o il blocco di un conto corrente. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, ricevuto il carico fiscale, può procedere direttamente, applicando le misure previste per la riscossione coattiva.

In pratica, ricevere un avviso di accertamento esecutivo equivale ad avere una sentenza esecutiva già pronta. Non è necessario attendere un giudizio, non si ha diritto a un’udienza automatica, né si può chiedere una sospensione solo per motivi generici. L’unico modo per fermare il meccanismo è presentare un ricorso valido e tempestivo, oppure pagare quanto dovuto o ancora dimostrare che l’atto è viziato o ingiusto attraverso l’istanza di autotutela.

Questa realtà pone il contribuente in una posizione delicata. Non sempre infatti si ha la piena consapevolezza del significato tecnico-giuridico di ciò che si riceve per posta raccomandata o tramite PEC. Capita spesso che un cittadino, spaventato dal tono dell’atto ma ignaro delle sue conseguenze, rimanga inerte, pensando che vi sarà tempo o che si tratti solo di un primo passo. Invece, il tempo stringe e, scaduti i termini, la macchina fiscale si mette in moto senza più possibilità di bloccarla facilmente.

Va anche sottolineato che l’avviso ha effetti non solo fiscali, ma anche patrimoniali molto concreti. Un titolo esecutivo consente il pignoramento diretto del conto corrente bancario, dello stipendio presso il datore di lavoro, o addirittura dell’immobile di proprietà, se il debito supera determinate soglie. Non sono misure ipotetiche o teoriche: sono strumenti reali e frequentemente utilizzati dagli enti riscossori.

È fondamentale comprendere che un avviso di accertamento esecutivo non è una proposta di pagamento, ma un ordine. Non si tratta quindi di un invito a regolarizzare, ma dell’affermazione perentoria che una determinata somma è dovuta e che, in assenza di opposizione, verrà incassata forzatamente.

Anche per questo, l’assistenza di un professionista diventa un elemento cruciale. Un avvocato esperto in diritto tributario può analizzare l’atto, verificare eventuali illegittimità, suggerire se presentare ricorso o chiedere la revisione. Non sempre infatti l’accertamento è corretto: a volte si basano su presunzioni errate, su documenti incompleti, su interpretazioni discutibili delle norme fiscali.

Non è raro che, a seguito di una difesa ben articolata, l’ente annulli o modifichi l’atto. Anche l’accesso agli strumenti deflattivi del contenzioso, come la conciliazione o l’adesione, può portare a una riduzione significativa del debito e delle sanzioni.

In conclusione, dire che un avviso di accertamento ha valore di titolo esecutivo significa che lo Stato può agire come se avesse già una sentenza in mano, e lo può fare in tempi brevissimi. È un potere importante, che però deve essere bilanciato dalla consapevolezza del cittadino e dalla possibilità concreta di difendersi. Lasciare correre i termini, sperare in una seconda comunicazione o ignorare l’atto sono comportamenti pericolosi, che possono portare a conseguenze gravi e difficili da gestire.

Chi riceve un avviso di accertamento esecutivo deve sapere che ha in mano un atto già efficace, che può cambiare la propria situazione economica e patrimoniale in pochissimo tempo. Non è solo una questione fiscale, ma un tema di tutela dei propri diritti e della propria serenità. Per questo, agire subito, con l’aiuto di professionisti competenti, è l’unica strada per affrontare la situazione con lucidità e sicurezza.

Quali sono le conseguenze se non si reagisce entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso?

Quando si riceve un avviso di accertamento esecutivo, il tempo diventa un fattore cruciale. Il termine di 60 giorni non è una semplice scadenza indicativa, ma rappresenta un limite preciso entro il quale il contribuente può esercitare i propri diritti. Trascorso questo periodo senza che vi sia stata alcuna reazione, l’avviso acquisisce piena efficacia esecutiva e apre la strada alla riscossione forzata. Questo significa che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione potrà agire senza ulteriori preavvisi, avviando il recupero delle somme indicate nell’atto.

Il silenzio del contribuente equivale, agli occhi dell’amministrazione finanziaria, ad una tacita accettazione del contenuto dell’avviso. Non importa se la mancata opposizione sia frutto di dimenticanza, ignoranza delle conseguenze, difficoltà economiche o incertezza sul da farsi. La legge è chiara: decorsi i 60 giorni dalla notifica, l’atto diventa definitivo e inoppugnabile. Questa irrevocabilità implica che le somme indicate non potranno più essere contestate in sede amministrativa o tributaria, salvo rari e circoscritti casi di gravi vizi formali.

Una volta superato il termine dei 60 giorni, l’avviso si trasforma da un semplice atto di accertamento in uno strumento operativo per la riscossione forzata. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione riceve il carico fiscale e può dare avvio alle azioni esecutive senza bisogno di ulteriori autorizzazioni. Ciò può includere il pignoramento del conto corrente, del quinto dello stipendio, della pensione, il fermo dell’auto, l’iscrizione di ipoteca sugli immobili e altre misure coercitive previste dall’ordinamento.

Non sono previste nuove notifiche, avvisi o cartelle. Il contribuente potrebbe ritrovarsi da un giorno all’altro con il conto corrente bloccato o con una trattenuta diretta sulla propria retribuzione. Questo perché l’avviso di accertamento esecutivo, dopo 60 giorni dalla notifica, ha già tutti i requisiti per consentire l’esecuzione forzata. Non c’è bisogno di ulteriori atti giudiziari, né di nuove comunicazioni: la procedura è automatica e pienamente legittima.

Le conseguenze economiche e patrimoniali possono essere molto gravi. Un pignoramento può compromettere la gestione quotidiana delle spese familiari, impedire il pagamento di mutui, affitti o bollette. L’ipoteca su un immobile può precludere la possibilità di vendita o accesso al credito. Il fermo amministrativo di un veicolo può ostacolare il lavoro, soprattutto per chi lo utilizza per motivi professionali. Tutto questo può avvenire in tempi brevi, e spesso senza che il contribuente abbia realmente compreso la gravità della situazione.

Anche sul piano giuridico, la perdita della possibilità di impugnare l’avviso rappresenta un danno serio. Dopo i 60 giorni, il ricorso non è più proponibile e l’atto diventa definitivo. Le Commissioni Tributarie non potranno più entrare nel merito della pretesa fiscale, e ogni tentativo di difesa potrà essere respinto per inammissibilità. Restano aperti solo strumenti eccezionali, come la revocazione o l’opposizione all’esecuzione, che però richiedono presupposti molto stringenti e non sempre sono efficaci.

Il contribuente perde anche la possibilità di accedere ad alcune agevolazioni. In particolare, trascorso il termine, potrebbe non essere più possibile beneficiare di piani di rateizzazione agevolati, di definizioni agevolate previste per chi si attiva entro certi limiti temporali, o di istituti deflattivi del contenzioso. Questo può rendere il pagamento ancora più oneroso e difficile da gestire, aggravando una situazione già critica.

Un altro aspetto importante è che, con il decorso dei 60 giorni, il debito inizia ad accumulare ulteriori interessi e sanzioni. La cifra dovuta cresce nel tempo, e ciò rende ancora più complesso il rientro dalla posizione debitoria. In alcuni casi, il valore delle sanzioni può superare l’imposta originaria, con effetti sproporzionati e penalizzanti per il contribuente.

Non reagire entro i termini può inoltre compromettere la reputazione creditizia. L’iscrizione di ipoteche o di altri atti pregiudizievoli può essere registrata nelle banche dati consultate da istituti bancari e finanziari, influenzando negativamente la possibilità di ottenere prestiti, mutui o altre forme di finanziamento. Questo tipo di segnalazioni può restare visibile anche per anni, incidendo pesantemente sul profilo finanziario della persona coinvolta.

Perdere il diritto alla difesa significa anche non poter far valere eventuali errori contenuti nell’avviso. È noto che, in molti casi, gli atti fiscali possono contenere inesattezze nei calcoli, omissioni di pagamenti già effettuati, oppure contestazioni basate su presunzioni infondate. Ma se non si interviene nei tempi previsti, anche un errore evidente diventa difficile da correggere. L’amministrazione riterrà valido l’atto, e solo con molta fatica – e in casi eccezionali – si potrà ottenere una rettifica.

In sintesi, i 60 giorni successivi alla notifica rappresentano una finestra decisiva. Chi agisce entro questo termine può difendersi, chiedere chiarimenti, proporre soluzioni alternative o rateizzazioni. Chi lascia trascorrere il tempo senza intervenire, perde l’occasione di far valere i propri diritti e si espone ad un’esecuzione immediata, con tutte le conseguenze che ne derivano. È per questo che ogni contribuente, al momento della notifica, deve agire con la massima rapidità e consapevolezza.

La tempestività è l’unica vera difesa contro le conseguenze dell’inazione. Non esistono scorciatoie, né appigli legali che possano compensare l’inerzia. Ignorare l’avviso o sottovalutarne la portata è un errore che può costare caro. Il sistema fiscale italiano, con l’introduzione dell’avviso di accertamento esecutivo, ha scelto di rendere più veloci ed efficaci le procedure di riscossione, ma ciò implica che il cittadino debba essere più informato, più attento e meglio assistito.

Solo attraverso una risposta consapevole e tempestiva si può evitare che l’avviso diventi una condanna patrimoniale certa e definitiva. Conoscere i propri diritti, consultare un esperto, valutare tutte le strade possibili è l’unico modo per non subire passivamente un processo che, una volta avviato, diventa difficile da fermare. L’obiettivo è evitare che l’inerzia si trasformi in un danno irreversibile, non solo economico ma anche personale e familiare.

È possibile bloccare un pignoramento avviato dopo la notifica dell’avviso esecutivo?

Bloccare un pignoramento che è stato avviato a seguito della notifica di un avviso di accertamento esecutivo è un’operazione complessa, ma non impossibile. Le possibilità di difesa del contribuente esistono, ma richiedono tempestività, conoscenze tecniche e il supporto di professionisti esperti in diritto tributario. La prima cosa da chiarire è che l’avvio della procedura esecutiva non significa che tutto sia perduto, ma rappresenta una fase molto avanzata del procedimento di riscossione. Intervenire in tempo è fondamentale per tentare di fermare o almeno rallentare le azioni dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Il pignoramento è una misura coercitiva che viene adottata quando il contribuente non ha adempiuto spontaneamente all’obbligo di pagamento indicato nell’avviso di accertamento esecutivo. Questo strumento consente allo Stato di aggredire direttamente i beni del debitore, come il conto corrente, lo stipendio, la pensione o gli immobili, per soddisfare il credito fiscale. Una volta che l’atto di pignoramento viene notificato, la situazione è già in fase esecutiva, ma ci sono ancora alcune vie legali percorribili.

La prima strada è l’opposizione all’esecuzione, prevista dall’articolo 615 del Codice di procedura civile. Questa azione giudiziaria si può intraprendere quando si ritiene che manchi uno dei presupposti per l’esecuzione forzata, ad esempio perché l’avviso di accertamento è nullo, già pagato o prescritto. In questi casi, il contribuente può rivolgersi al giudice competente per chiedere la sospensione e l’annullamento dell’esecuzione. È necessario fornire prove concrete e documentazione a supporto delle proprie ragioni, perché l’onere della prova ricade su chi propone l’opposizione.

Un altro strumento utile è l’opposizione agli atti esecutivi, regolata dall’articolo 617 del Codice di procedura civile. Questa opposizione si basa su vizi formali o procedurali dell’atto di pignoramento, come errori nella notifica, nella determinazione delle somme o nella corretta identificazione del debitore. Anche in questo caso è possibile chiedere la sospensione dell’esecuzione, ma i tempi sono molto stretti: l’opposizione va presentata entro 20 giorni dalla notifica dell’atto impugnato.

Un altro canale è l’istanza di sospensione all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Si tratta di una richiesta amministrativa in cui si chiede la sospensione temporanea delle azioni esecutive in attesa della definizione di un contenzioso già avviato, oppure per segnalare gravi irregolarità. Questa istanza può essere accompagnata da documenti che dimostrino l’esistenza di motivi validi per sospendere il procedimento. Non sempre viene accolta, ma rappresenta comunque un’opportunità per fermare l’esecuzione in modo meno oneroso rispetto all’azione giudiziaria.

Il contribuente può anche chiedere la rateizzazione del debito. Anche se il pignoramento è già stato avviato, in alcuni casi la presentazione e l’accoglimento di un piano di rateizzazione possono determinare la sospensione delle azioni esecutive. Tuttavia, questo dipende dalla volontà dell’Agente della Riscossione e dalla situazione debitoria del soggetto. È quindi importante presentare la domanda in modo corretto e tempestivo, con tutta la documentazione necessaria.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è la possibilità di ricorrere all’autotutela. Questo strumento consente di chiedere all’ufficio che ha emesso l’avviso di accertamento di annullare o rettificare l’atto se presenta errori evidenti. Anche se è meno incisivo rispetto a un’azione in tribunale, l’autotutela è uno strumento utile soprattutto quando l’errore è chiaro e documentabile. Se l’ufficio riconosce l’errore, l’esecuzione viene interrotta e l’atto annullato o modificato.

Tutte queste possibilità, però, devono essere valutate e attivate con estrema rapidità. Una volta che il pignoramento è stato notificato, i tempi per reagire sono molto brevi e le conseguenze possono essere immediate. Per questo motivo, la consulenza di un avvocato specializzato diventa fondamentale: solo un professionista può valutare con precisione quale strada intraprendere, quali documenti raccogliere e quali strategie adottare.

Il pignoramento è uno strumento legittimo nelle mani dello Stato, ma ciò non significa che ogni esecuzione sia giusta o corretta. Esistono margini di intervento e la legge prevede delle tutele per il cittadino. Il problema principale è che molte persone non sono informate o arrivano troppo tardi per difendersi in modo efficace. Capita spesso che un contribuente si accorga del pignoramento solo quando il proprio conto è già stato bloccato o quando riceve una trattenuta sulla busta paga. A quel punto, le opzioni si riducono e la strada diventa in salita.

Intervenire prima che l’esecuzione sia completata può fare la differenza tra una difesa efficace e un danno irreversibile. Il diritto alla difesa esiste e va esercitato con tempestività, informazione e competenza. Non basta avere ragione: bisogna dimostrarlo nei tempi e nei modi previsti dalla legge. La buona fede non è sufficiente a bloccare un pignoramento; servono atti concreti, prove solide e un’azione immediata.

In conclusione, bloccare un pignoramento avviato dopo la notifica dell’avviso esecutivo è possibile, ma richiede un’azione decisa, rapida e competente. Non è una strada semplice, e ogni caso ha le sue particolarità, ma esistono strumenti legali che permettono di tutelare i propri diritti. Lasciare correre il tempo è il rischio più grande: ogni giorno che passa può trasformare un problema risolvibile in una perdita concreta di risorse, serenità e opportunità future.

Cosa si può fare se l’importo richiesto nell’avviso di accertamento è errato o già pagato?

Ricevere un avviso di accertamento esecutivo con un importo errato o già pagato rappresenta una situazione piuttosto frequente, ma non per questo meno grave. Quando ci si trova di fronte a una cifra che non corrisponde al reale debito, o peggio, a somme che risultano già saldate, è fondamentale agire con prontezza per evitare che un errore si trasformi in un danno economico ingiustificato. L’amministrazione finanziaria, per quanto strutturata, può commettere imprecisioni, spesso causate da problemi di aggiornamento dei dati, ritardi nelle registrazioni contabili o comunicazioni mancanti tra uffici diversi.

Il primo passo è la verifica puntuale dell’importo indicato nell’avviso. Confrontare la cifra richiesta con la propria posizione fiscale è essenziale per capire l’origine del debito contestato. Se si dispone delle ricevute di pagamento, delle quietanze bancarie o dei modelli F24 utilizzati, questi documenti vanno subito recuperati e controllati. Conservare e archiviare tutte le prove di pagamento è una buona abitudine che può fare la differenza in situazioni come questa.

Una volta verificato che l’importo richiesto è effettivamente errato o che il debito è stato già estinto, è possibile attivarsi attraverso vari strumenti previsti dall’ordinamento. Lo strumento più diretto è l’istanza di autotutela, che può essere presentata all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso l’avviso. Con questa richiesta, il contribuente chiede all’amministrazione di annullare o rettificare l’atto per evidenti motivi di illegittimità o di errore. L’autotutela non ha costi e può essere avviata anche in assenza di un ricorso formale.

Nell’istanza vanno allegati tutti i documenti utili a dimostrare l’errore, come le copie dei versamenti effettuati, le comunicazioni precedenti, eventuali ricevute telematiche e ogni altra prova utile. L’ufficio, una volta ricevuta la richiesta, ha il dovere di esaminarla e di dare una risposta, anche se non ci sono termini perentori previsti dalla legge. In molti casi, soprattutto quando l’errore è palese, l’amministrazione procede all’annullamento o alla correzione dell’atto, interrompendo eventuali procedure esecutive già avviate.

Tuttavia, l’autotutela non sospende automaticamente gli effetti dell’avviso. Per evitare che si proceda con pignoramenti o altre azioni coercitive durante l’esame dell’istanza, è opportuno chiedere contestualmente la sospensione cautelare dell’esecuzione. Anche in questo caso è fondamentale agire tempestivamente, presentando la richiesta prima che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dia corso alle operazioni di recupero forzato.

Un’altra via percorribile è la presentazione di un ricorso alla Commissione Tributaria competente. Se l’errore non viene riconosciuto in autotutela, o se l’amministrazione non risponde entro tempi ragionevoli, il contribuente può proporre un’azione legale entro 60 giorni dalla notifica dell’avviso. Nel ricorso si dovranno indicare in modo chiaro i motivi dell’opposizione e allegare tutta la documentazione a supporto. La proposizione del ricorso comporta, in alcuni casi, la sospensione degli effetti esecutivi, se viene accolta una specifica istanza cautelare.

In parallelo, è possibile comunicare direttamente con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione per chiarire la posizione debitoria. Spesso gli errori derivano da mancate comunicazioni tra uffici o da ritardi negli aggiornamenti delle banche dati. Una segnalazione ben documentata può indurre l’ente a sospendere cautelativamente l’esecuzione in attesa di chiarimenti. In molti casi, un semplice riscontro positivo può evitare un contenzioso, risolvendo la questione in via amministrativa.

Quando il pagamento è già stato effettuato, ma non risulta registrato, la prova più importante è rappresentata dalla ricevuta del versamento. Questa può essere acquisita presso la propria banca, attraverso il cassetto fiscale online o tramite il commercialista. L’assenza della registrazione può dipendere da errori nei codici tributo, nei periodi di riferimento o nei dati anagrafici inseriti. In questi casi, una comunicazione tempestiva con i dati corretti consente spesso di risolvere rapidamente il disguido.

Anche se l’importo richiesto è solo parzialmente errato, è opportuno intervenire per rettificare l’atto. Pagare comunque, per poi chiedere il rimborso, è una strada rischiosa e spesso lunga. L’amministrazione potrebbe rifiutare il rimborso, sostenendo che il contribuente ha accettato implicitamente l’importo. Inoltre, un pagamento non dovuto, anche se parziale, può compromettere eventuali azioni future a tutela dei propri diritti.

L’assistenza di un professionista è determinante per affrontare al meglio queste situazioni. Un avvocato o un tributarista può analizzare l’atto, valutare i margini di intervento, redigere l’istanza di autotutela o il ricorso e seguire tutti i passaggi successivi. In molti casi, la sola presenza di un difensore induce l’amministrazione a una maggiore attenzione e celerità nella gestione della pratica.

Ignorare l’errore o sottovalutarne le conseguenze è il peggior errore che si possa commettere. Un importo inesatto può trasformarsi in una procedura esecutiva ingiustificata, con gravi ripercussioni economiche e patrimoniali. Una volta avviata l’esecuzione, bloccarla diventa più difficile e richiede tempi e risorse maggiori.

In definitiva, quando ci si accorge che l’importo indicato in un avviso di accertamento esecutivo è errato o già pagato, è necessario reagire subito. Documentare la propria posizione, attivare i canali corretti e, se necessario, ricorrere alle vie legali è l’unico modo per evitare conseguenze ingiuste. La legge offre strumenti di difesa, ma il loro successo dipende dalla tempestività e dalla precisione con cui vengono utilizzati.

La correttezza dell’importo non è un dettaglio secondario, ma il cuore dell’intero procedimento fiscale. Ogni errore, anche minimo, può trasformarsi in una richiesta indebita che va affrontata con serietà, metodo e determinazione. Solo così è possibile far valere i propri diritti e tutelare il proprio patrimonio.

In quali casi è utile presentare un’istanza di autotutela all’Agenzia delle Entrate?

L’istanza di autotutela è uno degli strumenti più importanti che il contribuente ha a disposizione per difendersi da errori o ingiustizie contenuti in un atto dell’Amministrazione Finanziaria. Si tratta di una richiesta formale rivolta all’ufficio che ha emesso un atto impositivo, con lo scopo di ottenere la correzione o l’annullamento totale o parziale dell’atto stesso, qualora presenti evidenti vizi o irregolarità. Non è un ricorso giurisdizionale e non richiede il coinvolgimento di un giudice, ma ha valore amministrativo ed è spesso la via più veloce per risolvere una controversia senza avviare un contenzioso.

Presentare un’istanza di autotutela è utile in tutte quelle situazioni in cui l’atto emesso dall’Agenzia delle Entrate risulta manifestamente errato, infondato o illegittimo. Tra i casi più comuni troviamo la richiesta di tributi già pagati, l’indicazione di importi palesemente errati, l’errata intestazione dell’atto, la presenza di vizi formali gravi, come la mancanza della motivazione o della firma del funzionario, oppure l’applicazione di norme non più in vigore o in modo palesemente distorto.

L’autotutela si rivela particolarmente utile anche quando l’atto è stato notificato a soggetti diversi dal destinatario corretto, o quando vi sono errori nei dati anagrafici o fiscali. Questi sono aspetti che, pur potendo sembrare secondari, possono rendere l’atto illegittimo o non valido. Anche il mancato rispetto dei termini procedurali o la violazione del principio del contraddittorio possono costituire validi motivi per richiederne l’annullamento.

Un altro ambito frequente di applicazione dell’autotutela riguarda la doppia imposizione o il cumulo di imposte non dovute. Può accadere che un contribuente si veda recapitare due atti per lo stesso periodo d’imposta o per la medesima fattispecie. In casi del genere, è fondamentale attivarsi subito per evitare di pagare due volte quanto dovuto, presentando la documentazione necessaria a dimostrare la duplicazione dell’addebito.

Uno dei grandi vantaggi dell’autotutela è che può essere attivata in qualsiasi momento, anche oltre i termini per la presentazione di un ricorso tributario. Questo rende lo strumento particolarmente prezioso per chi si accorge in ritardo dell’errore, oppure per chi non ha avuto modo di reagire entro i 60 giorni dalla notifica dell’atto. Ovviamente, più si aspetta e più aumentano i rischi di esecuzione forzata, ma la richiesta resta comunque possibile e in certi casi può fermare l’intera procedura.

Dal punto di vista pratico, l’istanza deve essere redatta in forma scritta e indirizzata all’ufficio che ha emesso l’atto contestato. Deve contenere l’indicazione precisa del provvedimento impugnato, le motivazioni per cui se ne chiede la modifica o l’annullamento e i documenti a supporto della propria posizione. Non esiste un modulo standard obbligatorio, ma molti uffici rendono disponibili dei facsimile per facilitare la compilazione.

Presentare l’istanza di autotutela non comporta costi e non richiede assistenza legale obbligatoria, ma affidarsi a un professionista può aumentare notevolmente le probabilità di successo. Un avvocato o un consulente fiscale può valutare con attenzione i vizi dell’atto, costruire una documentazione solida e presentare l’istanza in modo efficace. Questo approccio è particolarmente utile quando l’errore non è immediatamente evidente o quando si tratta di questioni complesse.

L’ufficio che riceve l’istanza ha l’obbligo di esaminarla, ma non esiste un termine entro cui deve necessariamente rispondere. Questo può essere un limite dello strumento, perché nei fatti lascia l’amministrazione libera di decidere i tempi di risposta. Tuttavia, in caso di silenzio prolungato o di rigetto non motivato, è possibile ricorrere a strumenti ulteriori, come la segnalazione al Direttore dell’ufficio o il ricorso gerarchico.

In presenza di un atto esecutivo già in corso, è fondamentale accompagnare l’istanza di autotutela con una richiesta di sospensione delle azioni di riscossione. Questa richiesta, se accolta, può bloccare temporaneamente le procedure in attesa della valutazione dell’ufficio. In mancanza della sospensione, però, l’esecuzione va avanti e può arrivare al pignoramento anche se l’atto è palesemente sbagliato.

Non va sottovalutata l’importanza dell’autotutela anche in ottica preventiva. Chi ha già ricevuto un avviso bonario, o un atto preliminare, può presentare un’istanza prima ancora che venga notificato l’avviso esecutivo, evitando così la formalizzazione dell’errore. In molti casi, anticipare l’intervento permette di evitare la formazione di un debito e l’avvio di una procedura coattiva.

L’autotutela è uno strumento che valorizza il principio di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione. Permette di correggere autonomamente i propri errori senza obbligare il cittadino a ricorrere al giudice, riducendo i costi per entrambe le parti e favorendo un rapporto più trasparente tra contribuente e fisco.

Tuttavia, è fondamentale non confondere l’autotutela con un semplice reclamo. Non si tratta di una lamentela informale, ma di un atto amministrativo a tutti gli effetti, che deve essere costruito con rigore e precisione. Ogni affermazione deve essere supportata da documenti, norme o sentenze pertinenti, e deve seguire un percorso ben definito.

In conclusione, l’istanza di autotutela rappresenta un’opportunità preziosa per chi si trova di fronte a un atto fiscale errato o ingiusto. Consente di evitare contenziosi, di risparmiare tempo e denaro, e di ottenere giustizia in tempi più rapidi. Non è la soluzione a tutti i problemi, ma in molti casi è la strada migliore per rimettere le cose a posto senza dover affrontare un lungo processo tributario. La chiave è intervenire subito, con gli strumenti giusti e con l’assistenza di chi conosce bene la materia.

L’Agenzia delle Entrate può procedere al pignoramento anche senza cartella esattoriale?

Negli ultimi anni, il sistema della riscossione fiscale in Italia ha subito profonde modifiche, una delle quali ha riguardato l’introduzione dell’avviso di accertamento esecutivo. Questo documento, a differenza del passato, non ha bisogno di essere seguito da una cartella esattoriale per permettere allo Stato di agire contro il contribuente. La cartella esattoriale, un tempo passaggio obbligato per procedere all’esecuzione forzata, oggi non è più necessaria nei casi in cui l’accertamento abbia già valore esecutivo. Questo ha modificato in modo significativo i tempi, le modalità e i diritti di difesa del cittadino.

L’avviso di accertamento esecutivo è un atto unico che unisce due funzioni: accertare il debito e autorizzare la riscossione coattiva. Quando il contribuente riceve questo tipo di comunicazione dall’Agenzia delle Entrate, ha un termine di 60 giorni per opporsi o per regolarizzare la propria posizione. Se non lo fa, l’amministrazione può trasmettere il debito all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che è l’ente incaricato della riscossione coattiva, senza dover notificare ulteriori atti.

Questo significa che, decorsi i 60 giorni dalla notifica dell’avviso esecutivo, il contribuente può subire il pignoramento dei beni senza aver ricevuto alcuna cartella. È una procedura del tutto legittima e perfettamente aderente alla normativa vigente. La legge ha voluto snellire il processo, eliminando un passaggio che spesso causava ritardi e aumentava la possibilità di evasione. Per questo motivo, chi aspetta la cartella come segnale finale prima del pignoramento commette un grave errore di valutazione.

Il pignoramento può avvenire sul conto corrente, sullo stipendio, sulla pensione, su beni mobili o immobili, e anche su crediti vantati nei confronti di terzi. La procedura è rapida ed efficace. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, in possesso del carico esecutivo, può avviare l’azione direttamente. Il contribuente potrebbe scoprire solo a cose fatte di essere stato colpito da un atto di pignoramento, senza aver avuto alcun preavviso ulteriore dopo l’avviso di accertamento esecutivo.

Questa automatizzazione della procedura rende fondamentale la consapevolezza dei diritti e dei termini di legge. Il cittadino deve sapere che l’unico momento utile per difendersi o regolarizzare la propria posizione è quello che segue immediatamente la notifica dell’avviso. Trascorso quel tempo, ogni margine di manovra si restringe drasticamente. È per questo che la tempestività assume un ruolo centrale nel nuovo modello di riscossione.

Non esiste alcun obbligo, da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, di avvisare nuovamente il contribuente con una cartella. Questo vale anche se il contribuente non ha mai avuto precedenti esperienze con l’amministrazione fiscale e si trova per la prima volta a gestire un atto di questo tipo. L’avviso esecutivo vale già come titolo per agire, e nessun ulteriore passaggio è richiesto per pignorare.

È importante sottolineare che la Corte di Cassazione ha confermato più volte la legittimità del pignoramento diretto in assenza di cartella, purché vi sia stato un avviso di accertamento regolarmente notificato e decorso il termine di legge. Le sentenze in materia sono chiare: il titolo esecutivo si forma con l’avviso e non necessita di ulteriori convalide. Questo ha reso più difficile per il contribuente trovare spazi difensivi, ma allo stesso tempo ha richiesto una maggiore attenzione nella gestione della propria situazione fiscale.

Chi riceve un avviso esecutivo deve quindi considerarlo come un allarme rosso, un atto che può condurre rapidamente a gravi conseguenze patrimoniali. Non ci sarà una seconda occasione per fermare il processo in modo semplice. La difesa deve avvenire subito, con la verifica della legittimità dell’atto, il controllo dei conteggi, la valutazione delle possibilità di rateizzazione o il ricorso.

Anche per gli intermediari professionali, questa evoluzione normativa ha comportato un cambio di approccio. Non si può più pensare di poter attendere la cartella per impostare una strategia difensiva. Bisogna agire fin da subito, informare il cliente, preparare la documentazione e, se necessario, presentare l’istanza di autotutela o il ricorso nei termini previsti. Ogni giorno di ritardo può portare alla perdita di beni o a danni finanziari difficili da recuperare.

Il cittadino che ignora un avviso di accertamento esecutivo nella speranza che vi siano ulteriori passaggi prima del pignoramento si espone al rischio concreto di vedere compromessa la propria situazione economica. La riscossione senza cartella è oggi una realtà consolidata e pienamente operativa. Le regole sono cambiate, e il livello di consapevolezza del contribuente deve adeguarsi di conseguenza.

In conclusione, l’Agenzia delle Entrate può, a pieno titolo, procedere al pignoramento anche in assenza della cartella esattoriale, purché vi sia stato un avviso di accertamento esecutivo notificato e non impugnato nei termini. È un cambiamento epocale nella gestione della riscossione fiscale, che impone a tutti maggiore attenzione, rapidità e consapevolezza. La difesa non inizia più dopo la cartella: comincia il giorno stesso in cui si riceve l’avviso esecutivo.

Come ti aiuta Studio Monardo In Caso di Notifica Di Un Avviso Di Accertamento Esecutivo

Quando ricevi una notifica di avviso di accertamento esecutivo, il tempo gioca contro di te. Le conseguenze patrimoniali e legali possono essere rapide e gravi, e ogni errore, ogni ritardo, ogni sottovalutazione può costarti caro. È proprio in questi momenti che l’intervento dell’avvocato Monardo diventa determinante. Grazie a una struttura composta da avvocati e commercialisti esperti su tutto il territorio nazionale, l’avvocato Monardo offre un’assistenza tempestiva e personalizzata per affrontare al meglio la situazione.

L’avvocato Monardo coordina un team specializzato in diritto tributario e bancario, in grado di analizzare fin da subito la legittimità dell’atto ricevuto, individuare eventuali vizi formali o sostanziali, e predisporre con precisione la strategia difensiva più efficace. In presenza di errori nei calcoli, notifiche viziate, somme già pagate o contestazioni infondate, il suo intervento permette di attivare l’autotutela, fermare la procedura o proporre un ricorso ben fondato.

Essendo gestore della Crisi da Sovraindebitamento iscritto agli elenchi del Ministero della Giustizia, l’avvocato Monardo è anche in grado di attivare procedure che consentono la sospensione delle azioni esecutive e la ristrutturazione del debito in caso di gravi difficoltà economiche. Questo significa che può aiutare anche chi, oltre all’avviso di accertamento, ha altre posizioni debitorie aperte e rischia di perdere il controllo della propria situazione patrimoniale.

Nel caso in cui il debito fiscale sia solo una delle problematiche che affliggono l’impresa o la persona fisica, entra in gioco anche la qualifica di Esperto Negoziatore della Crisi d’Impresa. Grazie a questa abilitazione, Monardo è in grado di gestire tavoli di trattativa con l’Agenzia delle Entrate e con gli altri creditori, puntando a soluzioni concordate che salvaguardino il patrimonio del contribuente e garantiscano il rispetto delle norme.

Ogni pratica viene gestita con attenzione, concretezza e chiarezza: l’avvocato Monardo non si limita a indicare i problemi, ma costruisce le soluzioni. Dopo l’esame dell’avviso, viene elaborato un piano di intervento che può includere la richiesta di sospensione, l’avvio di un ricorso, la rateizzazione del debito, oppure l’accesso alle misure di composizione della crisi. Ogni fase viene condivisa passo dopo passo con il cliente, che riceve supporto costante e aggiornamenti puntuali.

Non è solo una questione tecnica, ma anche umana. In un momento di tensione, di paura per il futuro e di incertezza economica, sapere di poter contare su un professionista riconosciuto, che opera nel rispetto della legge ma anche con sensibilità, fa una differenza enorme. Il rapporto diretto, la trasparenza e la disponibilità sono parte integrante del servizio offerto dallo Studio Monardo.

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