Chi Paga I Debiti Di Una SRL Che Fallisce?

Quando una società a responsabilità limitata, più comunemente conosciuta come SRL, si trova in gravi difficoltà economiche e arriva al punto di fallire, una delle domande più frequenti è: chi dovrà pagare i debiti che la società ha lasciato?

Per rispondere con chiarezza, bisogna partire dal concetto base che sta alla radice di questo tipo di società. La SRL è una forma societaria pensata proprio per limitare la responsabilità patrimoniale dei soci. Questo significa, in termini semplici, che chi partecipa alla società con una quota non rischia i propri beni personali per i debiti contratti dalla società, ma solo il capitale che ha deciso di investire. Se un socio ha messo 10.000 euro nella SRL, quello è il massimo che rischia, anche se la società fallisce e ha debiti per milioni di euro.

Tuttavia, questa regola generale ha delle eccezioni e delle sfumature che è importante conoscere. I creditori della società fallita non possono aggredire direttamente il patrimonio personale dei soci, ma possono farlo in alcuni casi ben precisi, che dipendono dal comportamento dei soci o degli amministratori nel corso della vita della società.

Un primo punto da chiarire riguarda la figura dell’amministratore. In una SRL, l’amministratore è la persona che gestisce concretamente l’attività della società: prende decisioni, firma contratti, guida le scelte operative. Se l’amministratore ha agito in modo negligente, imprudente o addirittura doloso, può essere chiamato a rispondere con il proprio patrimonio personale. Per esempio, se ha continuato a fare debiti quando la società era già in uno stato di insolvenza evidente, oppure se ha omesso di presentare i libri contabili al tribunale, oppure ancora se ha distratto fondi della società a proprio vantaggio.

Esiste poi un altro principio importante: quello dell’abuso della personalità giuridica. Succede quando la SRL viene utilizzata non come uno strumento imprenditoriale autonomo, ma come un semplice “schermo” per coprire gli interessi personali dei soci o dell’amministratore. In questi casi, il giudice può decidere di “superare lo schermo” della società e andare a colpire direttamente i beni personali dei soci o degli amministratori, se ritiene che abbiano usato la SRL in modo illecito o fraudolento.

Va anche detto che i debiti della società si distinguono in varie categorie: ci sono quelli verso i fornitori, quelli verso le banche, quelli verso i dipendenti, e soprattutto quelli verso lo Stato, come le tasse e i contributi previdenziali. Se la società fallisce, il curatore fallimentare cerca di soddisfare i creditori vendendo ciò che resta del patrimonio societario: immobili, macchinari, merci, crediti da riscuotere, e così via. Ma spesso questo non basta a coprire tutto. E allora che succede?

In linea di massima, se i soci e gli amministratori si sono comportati correttamente, nessuno può pretendere da loro altri soldi. Il fallimento sarà una perdita per i creditori, che dovranno accettare di non ricevere quanto sperato. Ma se emergeranno irregolarità, allora si potranno aprire delle azioni legali specifiche per far valere la responsabilità personale di chi ha gestito male la società.

Un altro caso particolare è quello delle fideiussioni personali. A volte, per ottenere un finanziamento o un prestito bancario, i soci o gli amministratori firmano garanzie personali. Questo significa che si impegnano, a titolo individuale, a pagare i debiti in caso di insolvenza della società. In questi casi, anche se la SRL fallisce, la banca potrà rivolgersi direttamente al garante per recuperare il denaro. Quindi è sempre fondamentale sapere cosa si sta firmando, perché una garanzia personale annulla di fatto la protezione data dalla forma della SRL.

C’è anche da considerare il ruolo dell’Agenzia delle Entrate e dell’INPS. Se la SRL ha accumulato debiti fiscali o previdenziali, lo Stato cercherà di recuperarli nel modo più ampio possibile, e può cercare responsabilità dirette degli amministratori se questi non hanno rispettato gli obblighi di legge. Ad esempio, se non hanno versato l’IVA incassata dai clienti, o se hanno omesso i versamenti INPS pur avendo trattenuto i contributi ai dipendenti. Anche in questi casi, il patrimonio personale dell’amministratore può essere messo a rischio.

Quindi, per riassumere: in linea generale, i soci di una SRL non rispondono con i propri beni dei debiti della società, ma esistono numerose eccezioni legate a comportamenti scorretti, firme di garanzie personali, violazioni di legge. È proprio per questo che chi decide di costituire o amministrare una SRL deve farlo con attenzione, serietà e competenza, affidandosi quando serve a professionisti esperti.

La forma della SRL è senza dubbio una delle più diffuse in Italia, perché offre una protezione importante al patrimonio personale. Ma non è uno scudo assoluto contro ogni rischio. Anzi, proprio la leggerezza o la disinformazione possono trasformare un’opportunità in un incubo giudiziario. Il consiglio, in ogni caso, è sempre quello di agire con trasparenza, di tenere una contabilità corretta e aggiornata, di rispettare i termini fiscali e legali e, in caso di difficoltà, di affrontarle tempestivamente, senza nascondere la testa sotto la sabbia.

Il fallimento di una SRL non è la fine del mondo, ma va gestito con competenza per evitare danni personali. E sapere in anticipo quali sono i propri diritti e doveri può fare davvero la differenza tra un problema superabile e un disastro personale.

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Chi Paga I Debiti Di Una SRL Che Fallisce Tutto Dettagliato

Quando una SRL (Società a Responsabilità Limitata) non riesce più a far fronte ai propri debiti e finisce in liquidazione o in fallimento (oggi “liquidazione giudiziale” nel nuovo Codice della Crisi), molti si chiedono: chi dovrà pagare quei debiti? Il socio? L’amministratore? I fornitori che attendono i pagamenti? Oppure nessuno?

La risposta dipende da come è stata gestita la società, dal ruolo dei soggetti coinvolti e dal tipo di debito contratto. Vediamo in modo chiaro e completo chi risponde dei debiti di una SRL che fallisce, quando il patrimonio personale dei soci o dell’amministratore è a rischio, e cosa succede ai creditori.

🧾 SRL: cos’è la responsabilità limitata?

La SRL è una forma societaria in cui i soci rispondono solo nei limiti del capitale conferito. Significa che:

  • Se la SRL ha debiti bancari, fiscali, con fornitori o dipendenti,
  • I creditori possono aggredire solo il patrimonio della società (cioè ciò che è intestato alla SRL)

👉 In linea generale, i soci non pagano con i propri beni personali, anche se la società fallisce.

✅ Chi paga i debiti in caso di fallimento della SRL?

1. La società, con il suo patrimonio

La SRL risponde dei propri debiti con tutto ciò che le appartiene:

  • Conti correnti aziendali
  • Beni mobili e immobili intestati
  • Crediti da incassare
  • Magazzino, attrezzature, veicoli

👉 Se il patrimonio non è sufficiente, i creditori restano insoddisfatti. Nessuno può costringere automaticamente i soci a coprire il resto.

2. I soci NON pagano i debiti della società (salvo eccezioni)

In linea generale:

  • I soci di una SRL non rispondono con il proprio patrimonio personale
  • Anche se la società fallisce con centinaia di migliaia di euro di debiti

📌 Eccezioni in cui il socio può rispondere personalmente:

Caso specificoResponsabilità del socio
Capitale non interamente versatoPagamento della quota mancante
Finanziamenti fatti senza atto formalePotrebbero essere considerati perdite
Garanzie personali (fideiussioni firmate)Il socio risponde con i propri beni
Comportamenti fraudolenti (società fittizia)Possibile estensione della responsabilità

👉 Se hai firmato una fideiussione bancaria, potresti essere chiamato a pagare il debito garantito anche dopo il fallimento.

3. L’amministratore può rispondere se ha gestito male

Anche l’amministratore della SRL non è automaticamente responsabile dei debiti, ma:

  • Se ha violato gli obblighi di legge, come non tenere la contabilità, occultare beni o aggravare il dissesto,
  • Se ha tardato nel chiedere la liquidazione giudiziale nonostante le condizioni critiche della società,
  • Se ha agito con negligenza grave o dolo,

👉 Allora può essere chiamato a rispondere personalmente con un’azione di responsabilità promossa:

  • Dalla procedura concorsuale (curatore o liquidatore)
  • Dai creditori stessi

4. Cosa succede ai creditori della SRL fallita?

Dopo la dichiarazione di fallimento:

  • I creditori devono insinuarsi al passivo, cioè dichiarare i loro crediti
  • I beni della SRL vengono venduti all’asta e i proventi ripartiti tra i creditori secondo un ordine di priorità
  • Se non ci sono abbastanza beni, i crediti restano insoddisfatti

👉 I fornitori, le banche, i dipendenti e il Fisco non possono rivalersi sui soci (salvo i casi sopra descritti).

📋 Tabella riepilogativa – Chi paga i debiti della SRL fallita?

SoggettoDeve pagare i debiti?In quali casi?
La SRL✅ SìCon tutto il patrimonio aziendale
Soci❌ No (in generale)✅ Solo se non hanno versato il capitale o hanno firmato garanzie personali
Amministratore❌ No (in generale)✅ Solo se ha agito con dolo, negligenza o in violazione di legge
Creditori (banche, fornitori)❌ No (non pagano, sono creditori)Possono insinuarsi al passivo ma non sempre recuperano

⚠️ Attenzione: i rischi reali per soci e amministratori

RischioPer chi valeCosa può succedere
Firma di fideiussioni personaliSoci o amministratoriDevono pagare con i propri beni se la società non lo fa
Ritardo nella richiesta di liquidazione giudizialeAmministratoreAzione di responsabilità e obbligo di risarcimento
Comportamenti fraudolenti o distrazioni di fondiSoci/amministratoriRischio di responsabilità civile e penale
Omessa tenuta contabile o false comunicazioniAmministratoreRischio di condanna per bancarotta

🎯 In conclusione

Se una SRL fallisce, i debiti restano in capo alla società, e in linea generale non si estendono ai soci né all’amministratore. Tuttavia, se ci sono errori gestionali gravi, garanzie personali firmate o violazioni di legge, la responsabilità può estendersi anche alle persone fisiche coinvolte. Per i creditori, il rischio concreto è non recuperare nulla, specie se la SRL è vuota o priva di beni.

L’Avvocato Giuseppe Monardo, fiduciario di un OCC e massimo esperto in diritto societario, assiste soci e amministratori di SRL in crisi nella gestione corretta della liquidazione, nella difesa da responsabilità personali e nella tutela del patrimonio personale. Se sei coinvolto in una SRL che ha debiti o rischia il fallimento, agisci prima. E difendi tutto ciò che puoi. Legalmente.

Gli amministratori di una SRL possono essere ritenuti responsabili dei debiti della società?

Quando si parla di società a responsabilità limitata, una delle prime certezze che vengono messe sul tavolo è quella della protezione del patrimonio personale dei soci. Tuttavia, nel caso degli amministratori, la questione è più articolata. Gli amministratori di una SRL possono essere chiamati a rispondere personalmente dei debiti della società in determinate circostanze, soprattutto quando non hanno rispettato i doveri che la legge impone loro.

Per comprendere a fondo la questione, bisogna partire dal ruolo dell’amministratore all’interno della SRL. L’amministratore è la figura che ha la responsabilità di gestire l’attività quotidiana della società: prendere decisioni operative, firmare contratti, mantenere i rapporti con clienti e fornitori, tenere la contabilità in ordine, adempiere agli obblighi fiscali e contributivi. Questa figura ha un obbligo di diligenza e correttezza, e deve agire sempre nell’interesse della società e dei soci, nel rispetto delle norme di legge e dello statuto.

Quando l’amministratore viola questi doveri, può andare incontro a responsabilità personali molto serie. In termini semplici, se i debiti della società derivano da una sua gestione scorretta, negligente o fraudolenta, il suo patrimonio personale può essere aggredito per risarcire i danni causati.

Un esempio classico è quello della mala gestio: se l’amministratore, pur sapendo che la società è in una situazione di crisi profonda, continua a contrarre debiti con fornitori o banche, senza alcuna prospettiva realistica di ripagare quanto dovuto, si configura una responsabilità diretta. In queste situazioni, i creditori possono agire contro l’amministratore personalmente, dimostrando che ha agito in modo contrario alla normale prudenza e diligenza che la legge richiede.

Ma non è solo una questione di cattiva gestione. La legge impone agli amministratori di adottare tempestivamente i provvedimenti necessari in caso di perdita del capitale sociale, come ad esempio la convocazione dell’assemblea per decidere un aumento di capitale o lo scioglimento della società. Se l’amministratore non interviene, e la società continua a operare in perdita, la sua responsabilità si aggrava.

Ancora più gravi sono i casi in cui l’amministratore commette vere e proprie irregolarità contabili o fiscali. Se non vengono versate le imposte dovute, come l’IVA o le ritenute d’acconto, oppure se non si effettuano i versamenti INPS per i dipendenti, l’Agenzia delle Entrate o l’INPS possono chiedere conto direttamente all’amministratore. Questo perché si presume che egli abbia trattenuto somme che non appartenevano alla società, ma che dovevano essere versate allo Stato o agli enti previdenziali.

In tal caso, la responsabilità non riguarda più solo la cattiva gestione, ma un vero e proprio illecito. E le sanzioni possono essere pesanti, fino a coinvolgere la responsabilità penale, oltre che quella civile e amministrativa.

Esiste anche il concetto di responsabilità verso i soci e verso la società stessa. In pratica, se un amministratore compie atti che danneggiano la società, i soci possono agire contro di lui per ottenere un risarcimento. Ad esempio, se vende un immobile societario a un prezzo irrisorio, o se favorisce un fornitore in cambio di vantaggi personali, si tratta di comportamenti che ledono l’interesse della società e dei suoi partecipanti.

Un altro caso emblematico riguarda la bancarotta. Se la società viene dichiarata fallita, il curatore fallimentare ha il compito di analizzare la gestione dell’amministratore, per valutare se ci siano state irregolarità che abbiano contribuito al dissesto. Se emergono elementi gravi, come distrazione di beni, falso in bilancio, occultamento di documenti contabili, l’amministratore può essere accusato di bancarotta fraudolenta. In questo caso, oltre alle responsabilità patrimoniali, si aprono anche scenari penali.

Va inoltre considerato un altro aspetto molto importante: la responsabilità dell’amministratore può estendersi anche dopo la cessazione del suo incarico, se le sue azioni passate hanno provocato danni che emergono solo in seguito. Ciò significa che dimettersi non mette automaticamente al riparo da possibili rivalse, se ci sono prove che dimostrano condotte scorrette o dannose nel periodo in cui era in carica.

Un tema a parte riguarda le garanzie personali. Spesso gli amministratori, per ottenere finanziamenti bancari o dilazioni di pagamento, firmano fideiussioni a titolo personale. In questo caso, anche se la società è formalmente una SRL, la banca può agire direttamente sul patrimonio dell’amministratore, indipendentemente dalla sua gestione. Si tratta di una responsabilità contrattuale volontaria, ma che nei fatti annulla le protezioni della forma societaria. Ecco perché bisogna sempre valutare con attenzione cosa si firma e con quali conseguenze.

In conclusione, l’amministratore di una SRL non è automaticamente responsabile dei debiti della società, ma può esserlo in molti casi specifici, legati al mancato rispetto dei suoi doveri, alla firma di garanzie personali o a comportamenti illeciti. La legge prevede tutele per chi agisce in buona fede, ma è altrettanto severa con chi abusa del proprio ruolo o trascura le proprie responsabilità.

Essere amministratori di una SRL richiede quindi non solo competenze tecniche, ma anche consapevolezza dei rischi giuridici e patrimoniali. In caso di dubbio, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista esperto, per evitare che errori di valutazione si trasformino in problemi gravi e duraturi. La gestione societaria non è un terreno da affrontare con leggerezza, soprattutto quando in gioco ci sono la serenità e il patrimonio personale.

In quali casi i soci di una SRL rischiano il proprio patrimonio personale?

Quando si costituisce una società a responsabilità limitata, una delle principali ragioni che spingono imprenditori e investitori a scegliere questa forma giuridica è proprio la protezione che essa garantisce al patrimonio personale dei soci. Il principio base della SRL è che i soci rispondono delle obbligazioni sociali solo nei limiti del capitale conferito. In altre parole, se un socio ha versato 5.000 euro nella società, quello è il massimo che rischia, anche se la società contrae debiti per cifre ben più elevate. Ma questa regola, pur fondamentale, non è assoluta. Esistono infatti diverse situazioni nelle quali i soci possono trovarsi esposti a responsabilità personali e, di conseguenza, al pericolo che i propri beni vengano aggrediti dai creditori della società.

Un primo caso riguarda le garanzie personali. Spesso, soprattutto quando la società è giovane o non ha ancora una solida storia creditizia, le banche o i fornitori chiedono ai soci di firmare fideiussioni personali per garantire i debiti della SRL. Chi firma queste garanzie si espone volontariamente al rischio di dover pagare con i propri beni anche se la società fallisce o non riesce a onorare i propri impegni. La garanzia personale annulla, di fatto, la limitazione della responsabilità, perché consente al creditore di aggredire direttamente il patrimonio del socio garante.

Un altro caso si verifica quando i soci confondono il proprio patrimonio con quello della società, ad esempio utilizzando il conto corrente aziendale per spese personali, oppure facendo entrare e uscire denaro senza una giustificazione economica o contabile. Questo comportamento, se accertato, può indurre il giudice a ritenere che la SRL è stata utilizzata in modo scorretto, come uno strumento fittizio per gestire affari privati. In questi casi, si può applicare il principio del “superamento dello schermo societario” (o “lifting the corporate veil”), che consente di ignorare la personalità giuridica della società e di chiamare i soci a rispondere direttamente dei debiti societari.

Un terzo scenario è legato al mancato versamento dei conferimenti. Quando si costituisce una SRL, i soci si impegnano a versare una determinata somma a titolo di capitale sociale. Se tale somma non viene effettivamente versata, i creditori sociali possono chiedere ai soci il pagamento fino alla concorrenza di quanto promesso e non versato. Questo vale anche nel caso in cui la quota sia stata formalmente sottoscritta, ma il socio non abbia mai versato i soldi o li abbia ritirati successivamente senza diritto.

C’è poi un altro aspetto da considerare: la responsabilità per mala gestio nei casi di gestione occulta. A volte, pur non ricoprendo formalmente la carica di amministratore, un socio esercita un potere decisionale costante e diretto sulle scelte aziendali. Questo tipo di socio viene definito “amministratore di fatto”. Se la società fallisce e si dimostra che il socio ha influenzato la gestione in modo sostanziale, può essere chiamato a rispondere personalmente, come se fosse un amministratore ufficiale.

La responsabilità dei soci può sorgere anche in caso di atti di frode o abuso di diritto. Se i soci costituiscono la società con l’intento di eludere obblighi fiscali, di sottrarre beni ai creditori personali o di ottenere vantaggi illeciti, il giudice può riconoscere una responsabilità diretta e personale. Ad esempio, se un imprenditore trasferisce attività e beni a una SRL fittizia per sottrarli al fisco o ai propri creditori, il tribunale può dichiarare la nullità di questi atti e ordinare il sequestro dei beni personali.

Inoltre, i soci che deliberano atti contrari alla legge o allo statuto societario possono rispondere dei danni causati, soprattutto se da tali atti derivano obbligazioni che la società non può onorare. Ad esempio, l’approvazione di un bilancio falso o di una distribuzione illegittima di utili può esporre i soci a un’azione di responsabilità da parte della società stessa, di altri soci o dei creditori.

Anche in fase di scioglimento e liquidazione della società, i soci devono prestare attenzione. Se ricevono somme o beni dalla società prima che siano stati pagati tutti i creditori, possono essere obbligati a restituire quanto ricevuto, proprio per tutelare le ragioni di chi vanta ancora crediti verso la SRL. Questo principio vale anche per le distribuzioni di patrimonio non giustificate o effettuate senza rispettare le procedure previste dalla legge.

Infine, è importante menzionare la responsabilità solidale che può derivare da patti parasociali o accordi interni non formalizzati. In alcune occasioni, i soci si accordano privatamente per spartirsi gli utili, decidere le strategie o assumere decisioni operative, anche al di fuori delle regole previste dallo statuto o dalla legge. Se questi accordi producono effetti dannosi verso terzi, i soci coinvolti possono essere chiamati a rispondere in solido, cioè tutti insieme, dell’intero danno subito dai creditori o dagli altri soci.

In sintesi, anche se la SRL è pensata per limitare la responsabilità dei soci, ci sono molte situazioni in cui questa barriera può essere superata. I comportamenti illeciti, le negligenze, le garanzie personali e l’ingerenza nella gestione sono tra le principali cause che mettono a rischio il patrimonio individuale dei soci. La protezione garantita dalla forma societaria non deve mai essere intesa come un lasciapassare per agire con leggerezza o furbizia. Anzi, proprio la consapevolezza di questi rischi dovrebbe spingere ogni socio a mantenere un comportamento corretto, trasparente e conforme alle regole.

Essere soci di una SRL comporta diritti ma anche responsabilità, e spesso la differenza tra una posizione sicura e una esposizione personale pericolosa sta nella conoscenza delle regole e nella loro corretta applicazione. Per questo, è sempre consigliabile, soprattutto nei momenti cruciali della vita societaria, affidarsi al parere di un esperto. Una decisione presa con leggerezza può avere conseguenze molto più gravi di quanto si possa immaginare all’inizio.

Cosa succede se un socio o un amministratore firma una fideiussione personale per un debito della società?

Nel mondo delle imprese e della gestione societaria, uno degli strumenti più diffusi ma anche più sottovalutati nei suoi effetti è la fideiussione personale. Si tratta di un impegno, assunto volontariamente, con cui una persona garantisce con il proprio patrimonio il pagamento di un debito contratto da un altro soggetto, in questo caso la società. Quando un socio o un amministratore di una SRL firma una fideiussione personale, si espone direttamente e senza protezione alla responsabilità economica per il debito garantito. Questo significa che, in caso di insolvenza della società, il creditore può rivolgersi direttamente al garante per ottenere quanto gli spetta.

Molti sottovalutano la gravità di questo impegno, pensando che la forma della SRL li protegga in ogni caso. Ma la fideiussione personale rappresenta un obbligo autonomo, distinto dal rapporto societario, e proprio per questo ha il potere di superare lo schermo protettivo della responsabilità limitata. Una volta apposta la firma, non importa più se la società è a responsabilità limitata, se ha fallito o se ha cessato l’attività: il garante è tenuto a pagare, anche con i propri beni personali.

Le fideiussioni possono essere richieste in molte occasioni: per ottenere un prestito bancario, per sottoscrivere un contratto di leasing, per aprire una linea di credito con un fornitore o anche per ottenere una dilazione nei pagamenti. Le banche e gli istituti finanziari, in particolare, pretendono quasi sempre garanzie personali quando si tratta di SRL di nuova costituzione o con pochi mezzi propri, perché considerano il solo patrimonio sociale insufficiente a tutelare il proprio credito. Ecco perché soci e amministratori si trovano spesso a firmare queste garanzie, talvolta senza comprendere appieno le conseguenze.

Firmare una fideiussione significa assumersi un rischio personale potenzialmente molto alto, perché in caso di inadempimento da parte della società, il creditore può escutere il garante senza nemmeno passare dal tribunale. Basta che il debito sia certo, liquido ed esigibile. Non è nemmeno necessario dimostrare la colpa della società o la responsabilità dell’amministratore. Il creditore ha un titolo immediato per agire.

Non è raro, infatti, che quando una società si trova in difficoltà o viene dichiarata fallita, i creditori si concentrino subito sui garanti personali, perché è spesso l’unica via per recuperare concretamente almeno una parte del credito. E i garanti, a quel punto, si trovano a dover fronteggiare richieste di pagamento anche molto elevate, senza avere più il tempo o gli strumenti per difendersi efficacemente.

Le fideiussioni possono essere di diversi tipi. La più comune è quella solidale, che comporta che il creditore possa rivolgersi direttamente al garante senza dover prima escutere il debitore principale, cioè la società. In pratica, il garante diventa debitore a tutti gli effetti, e non può pretendere che si provi prima a recuperare dalla SRL. C’è poi la fideiussione a prima richiesta, ancora più stringente, che consente al creditore di ottenere il pagamento immediato dal garante anche in presenza di contestazioni sul debito principale. In questi casi, opporsi diventa quasi impossibile, se non per vizi formali del contratto o per abusi evidenti.

Il rischio è particolarmente alto quando la fideiussione non ha limiti temporali o di importo. Capita spesso che i contratti contengano clausole generiche che impegnano il garante per tutte le obbligazioni presenti e future della società, anche quelle che nasceranno successivamente alla firma. In assenza di limiti precisi, il garante può ritrovarsi responsabile per debiti che non avrebbe mai potuto prevedere. Per questo, è fondamentale leggere con attenzione ogni clausola e pretendere che siano specificati l’importo massimo garantito e la durata dell’impegno.

Un aspetto spesso trascurato è che la fideiussione personale può avere effetti devastanti sul piano patrimoniale e familiare del garante. I creditori possono pignorare conti correnti, stipendi, beni mobili e immobili, senza alcun bisogno di passare per una causa. Se il garante non dispone della somma richiesta, rischia di perdere la casa, l’auto, o altri beni di valore. In alcuni casi, può addirittura arrivare al sovraindebitamento personale e trovarsi costretto a ricorrere a procedure di composizione della crisi, con tutte le difficoltà che ciò comporta.

Non bisogna inoltre dimenticare che la fideiussione può essere attivata anche se il garante non è più socio o amministratore della società. Se non è stato previsto e formalizzato un meccanismo di liberazione dalla garanzia, l’ex socio o ex amministratore rimane responsabile per i debiti sorti durante la validità della fideiussione. Questo crea situazioni paradossali, in cui una persona non più coinvolta nella gestione della SRL si trova a rispondere per scelte fatte da altri.

Una delle poche vie di tutela per chi ha firmato una fideiussione personale è quella del regresso nei confronti della società o degli altri soci. Se il garante è costretto a pagare, ha il diritto di rivalersi su chi ha effettivamente beneficiato del credito. Ma si tratta di una strada difficile e spesso infruttuosa, soprattutto se la società è fallita o se gli altri soci non dispongono di beni aggredibili. Inoltre, l’azione di regresso richiede tempo, spese legali e dimostrazione formale dell’obbligo assolto.

Per evitare sorprese, è fondamentale che soci e amministratori valutino con grande attenzione ogni richiesta di garanzia personale. Firmare una fideiussione deve essere una scelta consapevole, e non un atto automatico. Prima di firmare, è bene consultare un legale di fiducia, chiedere copia del contratto, farsi spiegare ogni clausola e, se possibile, negoziare i termini. Le garanzie dovrebbero avere sempre un importo massimo, una durata definita e la possibilità di recesso.

Infine, è bene sottolineare che la firma di una fideiussione non può mai essere imposta con la forza o con l’inganno. Se si riesce a dimostrare che la firma è stata ottenuta con pressioni indebite, informazioni false o in circostanze di evidente squilibrio, si può tentare di contestare la validità della garanzia. Ma si tratta di casi limite e non facili da dimostrare.

In conclusione, la fideiussione personale è uno degli strumenti più pericolosi e sottovalutati nella gestione delle SRL. Rende inutile la protezione offerta dalla responsabilità limitata e può avere conseguenze pesantissime sul patrimonio del garante. Prima di firmare, è essenziale capire fino in fondo cosa si sta facendo e quali rischi si stanno assumendo. La prudenza, in questo caso, non è mai troppa.

Lo Stato può agire contro l’amministratore per debiti fiscali o contributivi non pagati?

Nel contesto delle società a responsabilità limitata, l’amministratore riveste un ruolo centrale e delicato. Non solo guida la gestione operativa della società, ma ha anche il compito di garantire che gli obblighi fiscali e contributivi vengano rispettati. Quando la società non versa imposte, tasse o contributi previdenziali, lo Stato ha la facoltà di agire direttamente contro l’amministratore, attribuendogli una responsabilità personale che può mettere a rischio il suo patrimonio.

Questo principio nasce dal fatto che l’amministratore è colui che controlla le scelte economiche e finanziarie della società. Se sceglie consapevolmente di non pagare l’IVA, l’IRPEF trattenuta ai dipendenti o i contributi INPS, può essere considerato personalmente responsabile, anche penalmente, per l’omesso versamento. In particolare, il legislatore ha introdotto norme molto severe per contrastare i comportamenti omissivi più gravi, ritenendoli non solo inadempimenti civilistici ma vere e proprie violazioni di interesse pubblico.

Un esempio classico riguarda il mancato versamento dell’IVA. Quando una società incassa l’IVA dai propri clienti, non si tratta di un guadagno, ma di una somma che deve essere interamente riversata allo Stato. Se l’amministratore decide di utilizzare quelle somme per coprire altre spese aziendali, magari con la speranza di regolarizzare in seguito la posizione, commette un illecito. L’articolo 10-ter del Decreto Legislativo 74/2000 stabilisce che il mancato versamento dell’IVA oltre una certa soglia costituisce reato penale, punibile con la reclusione fino a sei anni.

La stessa logica vale per le ritenute operate ai lavoratori dipendenti. L’amministratore, ogni mese, trattiene una quota dello stipendio per conto del fisco. Se non versa queste ritenute, pur avendole prelevate, risponde personalmente, perché ha sottratto allo Stato risorse che gli spettano. Anche in questo caso, il comportamento viene considerato particolarmente grave, perché l’amministratore si è appropriato di denaro che non apparteneva alla società, ma che era solo transitato per il suo conto.

Non va dimenticato il ruolo dell’INPS e degli altri enti previdenziali. Ogni impresa che impiega lavoratori ha l’obbligo di versare contributi per la pensione, la malattia, la disoccupazione. Se questi versamenti non vengono effettuati, l’ente può agire in via esecutiva contro la società, ma anche promuovere azioni di responsabilità nei confronti dell’amministratore, qualora emerga che l’omissione è frutto di una gestione irregolare, dolosa o gravemente negligente.

La giurisprudenza ha chiarito che l’amministratore non può giustificarsi dicendo che la società non aveva liquidità sufficiente. Se vi è scarsità di fondi, l’obbligo è quello di dare priorità ai versamenti fiscali e previdenziali. Diversamente, si incorre nella responsabilità personale. Le imposte e i contributi sono considerati debiti privilegiati, e chi dirige una società deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere a questi obblighi prima di soddisfare altri creditori.

Ciò non significa che ogni amministratore è automaticamente responsabile se la società non paga le tasse. Perché ci sia responsabilità personale, è necessario dimostrare che l’amministratore abbia avuto un ruolo diretto nell’omissione, oppure che abbia tollerato o nascosto comportamenti scorretti. Ma nella pratica, le prove vengono spesso tratte da documenti contabili, bilanci, corrispondenza e decisioni societarie, rendendo difficile sottrarsi se si era realmente a capo della gestione.

Particolarmente rilevante è anche la posizione dell’amministratore che si dimette. Le dimissioni non cancellano automaticamente la responsabilità per omissioni avvenute durante il periodo in cui si era in carica. Se il debito è nato per scelte gestionali prese prima delle dimissioni, lo Stato può comunque agire contro l’ex amministratore. In più, se le dimissioni non sono state formalmente depositate e comunicate alla Camera di Commercio, si può essere considerati ancora responsabili agli occhi del fisco.

Esiste anche il caso dell’amministratore di fatto. A volte, la gestione societaria viene esercitata da chi non è formalmente iscritto come amministratore, ma prende decisioni operative, firma contratti e gestisce i conti. Anche questo soggetto può essere ritenuto responsabile personalmente dei debiti fiscali e contributivi, proprio perché ha agito come se fosse amministratore, assumendone i poteri e, di conseguenza, i doveri.

In alcune circostanze, l’Agenzia delle Entrate può notificare un avviso di accertamento anche direttamente all’amministratore, richiedendo il pagamento delle somme non versate. Se il debito non viene saldato, l’amministratore può subire l’iscrizione di ipoteche, fermi amministrativi o pignoramenti sui beni personali, senza passare per la società. Inoltre, se la condotta viene considerata dolosa o fraudolenta, si può aprire un procedimento penale con tutte le conseguenze che ne derivano.

Va poi evidenziato che la responsabilità dell’amministratore nei confronti dello Stato è diversa da quella verso gli altri creditori. Mentre nei rapporti con banche e fornitori la responsabilità si limita al comportamento scorretto o all’esistenza di garanzie personali, nei confronti dello Stato essa deriva direttamente dalla legge. Non si tratta quindi di un’opzione, ma di un obbligo che, se non rispettato, attiva automaticamente gli strumenti di tutela pubblica.

Per questi motivi, l’amministratore di una SRL deve prestare particolare attenzione alla gestione fiscale e contributiva, adottando tutti gli strumenti necessari per assicurare la regolarità dei versamenti. Tenere la contabilità in ordine, aggiornare tempestivamente le scritture, affidarsi a consulenti esperti, controllare personalmente le scadenze fiscali: sono tutte attività fondamentali per evitare responsabilità future.

Nel caso in cui la società si trovi in difficoltà economica, è fondamentale non nascondere il problema, ma affrontarlo per tempo. Attendere troppo, o peggio ancora proseguire l’attività aggravando il debito, può configurare una gestione dolosa. Al contrario, intraprendere tempestivamente una procedura di ristrutturazione del debito, o valutare il ricorso agli strumenti di composizione della crisi, può rappresentare una scelta responsabile, che dimostra la volontà dell’amministratore di tutelare i creditori e agire secondo legge.

In conclusione, sì, lo Stato può agire direttamente contro l’amministratore per debiti fiscali e contributivi non pagati, se viene dimostrato che la mancata corresponsione di quanto dovuto è riconducibile a sue scelte o omissioni. Questa responsabilità personale, che può arrivare fino a coinvolgere la sfera penale, rappresenta uno dei rischi più seri per chi riveste incarichi di gestione. Agire con correttezza, tenere sotto controllo la situazione finanziaria della società, rispettare le priorità nei pagamenti: sono questi gli strumenti più efficaci per prevenire problemi e tutelare il proprio futuro personale e professionale.

Cosa significa “superamento dello schermo societario” in una SRL?

Nel mondo del diritto societario, il concetto di “schermo societario” rappresenta la separazione netta tra la società e le persone fisiche che la compongono. In particolare, nella società a responsabilità limitata (SRL), questa barriera serve a proteggere il patrimonio personale dei soci, i quali rispondono dei debiti sociali solo nei limiti del capitale che hanno conferito. Tuttavia, esistono situazioni in cui questa separazione può essere ignorata dal giudice, consentendo ai creditori di rivolgersi direttamente contro i beni personali dei soci o degli amministratori. Questo fenomeno giuridico prende il nome di “superamento dello schermo societario”, noto anche con l’espressione inglese “piercing the corporate veil”.

Il superamento dello schermo societario si verifica quando la società viene utilizzata in modo distorto, non come soggetto autonomo, ma come semplice strumento per perseguire interessi personali, eludere obblighi o compiere atti illeciti. In questi casi, il giudice può decidere di non riconoscere la personalità giuridica separata della società e di attribuire responsabilità dirette a chi ne ha fatto un uso abusivo.

Le ipotesi più ricorrenti in cui si verifica il superamento dello schermo societario riguardano l’abuso della forma societaria, la confusione dei patrimoni, la sottocapitalizzazione fittizia e la gestione fraudolenta. Nel caso dell’abuso della forma societaria, la SRL viene costituita e gestita con l’obiettivo di proteggere i beni personali di chi la controlla, mentre in realtà viene impiegata per attività illecite o per aggirare obblighi fiscali e debitori.

Ad esempio, un soggetto che ha già debiti personali con il fisco o con altri creditori, può costituire una SRL per intestare ad essa i propri beni o per far transitare attraverso di essa i propri redditi, evitando così il pignoramento. In casi come questi, il giudice può stabilire che la società è solo uno schermo fittizio e ordinare l’aggressione diretta dei beni personali del socio o amministratore.

La confusione dei patrimoni si verifica quando non esiste una chiara distinzione tra i beni della società e quelli dei soci o amministratori. Se, ad esempio, il socio utilizza il conto corrente societario per spese personali, oppure versa fondi propri nei conti aziendali senza una formale giustificazione contabile, si crea una commistione che rende difficile distinguere chi possiede cosa. In tali circostanze, si perde il senso della separazione patrimoniale e il giudice può considerare la società come una prosecuzione della persona fisica, con la conseguenza che anche i beni personali possono essere aggrediti dai creditori della società.

La sottocapitalizzazione fittizia è un’altra causa frequente di superamento dello schermo societario. Una società si considera sottocapitalizzata quando, pur esercitando attività economicamente rilevanti, viene costituita con un capitale sociale del tutto insufficiente a far fronte ai rischi connessi. Se la società assume obbligazioni che non è in grado di adempiere e risulta evidente che la sua struttura finanziaria era inadeguata sin dall’inizio, si può presumere la volontà di scaricare i rischi economici sui terzi creditori. In queste situazioni, il giudice può ritenere che il socio abbia agito in modo irresponsabile o addirittura in mala fede, e può estendere la responsabilità ai suoi beni personali.

La gestione fraudolenta, infine, si verifica quando gli amministratori pongono in essere atti dolosi o illegali, come falsificazioni contabili, distrazione di beni societari, vendite simulate, trasferimenti fittizi di denaro. Se si dimostra che la società è stata strumentalizzata per commettere reati o frodi, la giurisprudenza consente di “oltrepassare” la personalità giuridica e di chiamare a rispondere in prima persona chi ha tratto vantaggio da questi comportamenti.

È importante chiarire che il superamento dello schermo societario non avviene automaticamente, ma richiede un accertamento giudiziario. Spetta al creditore dimostrare che la SRL è stata usata in modo anomalo e che ci sono elementi concreti che giustificano l’estensione della responsabilità ai soci o agli amministratori. Non basta il semplice fallimento della società o la sua insolvenza: serve la prova di un comportamento scorretto, fraudolento o gravemente negligente.

Una volta accertata la situazione, gli effetti giuridici sono molto rilevanti. Il giudice può autorizzare l’iscrizione di ipoteche sui beni personali, ordinare pignoramenti o sequestri, e in alcuni casi disporre anche sanzioni penali. Inoltre, il soggetto che ha abusato della forma societaria può essere escluso da future attività imprenditoriali, specialmente se viene accertato il dolo o la recidiva.

Nonostante la sua rilevanza, il superamento dello schermo societario è una misura eccezionale, che viene adottata solo in presenza di circostanze gravi e documentate. Il sistema giuridico italiano riconosce e tutela il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta, che è alla base della SRL, ma al tempo stesso si preoccupa di impedire che questo principio venga piegato a fini distorti. La responsabilità personale è quindi l’eccezione, non la regola, ma resta sempre possibile se l’interesse collettivo lo richiede.

Per i soci e amministratori, questo significa che occorre rispettare con rigore le regole di gestione societaria, mantenere separate le risorse personali da quelle aziendali, adottare una contabilità trasparente e veritiera, e astenersi da qualunque condotta che possa apparire come un abuso della forma societaria. Agire in modo corretto, leale e professionale è l’unico vero scudo contro il rischio di vedersi coinvolti personalmente nei debiti della SRL.

In sintesi, il superamento dello schermo societario è uno strumento giuridico che consente di tutelare i creditori e di colpire chi utilizza la SRL in modo illecito o fraudolento. Non è un’ipotesi frequente, ma è una possibilità concreta che ogni imprenditore e socio dovrebbe conoscere. La SRL offre protezione, ma solo a chi la usa con responsabilità e nel rispetto delle regole. Chi, invece, la impiega per sottrarsi ai propri obblighi, rischia di perdere tutto, anche il proprio patrimonio personale.

Come si comporta il curatore fallimentare nel caso di fallimento di una SRL?

Quando una società a responsabilità limitata viene dichiarata fallita, entra in scena una figura fondamentale per l’intero procedimento: il curatore fallimentare. Il curatore fallimentare è un professionista nominato dal tribunale che ha il compito di gestire tutte le fasi del fallimento della società, con l’obiettivo di tutelare i creditori, accertare le cause della crisi e, per quanto possibile, recuperare risorse per soddisfare i debiti.

La sua attività comincia subito dopo la sentenza che dichiara il fallimento. Da quel momento, la gestione della società non è più in mano agli amministratori, ma passa completamente sotto il controllo del curatore. Tutti i poteri decisionali vengono revocati agli organi societari, e l’amministrazione dei beni della società spetta interamente al curatore, che agisce nell’interesse della massa dei creditori.

Il primo passo del curatore è l’inventario dell’attivo fallimentare. Significa che deve fare una fotografia precisa e documentata di tutto ciò che appartiene alla società: beni mobili, immobili, crediti verso terzi, disponibilità finanziarie, partecipazioni, brevetti e ogni altra risorsa economica. Questo inventario è essenziale per capire quale patrimonio sia effettivamente disponibile per pagare i debiti. In parallelo, viene anche redatta una relazione sulle cause del fallimento, che deve indicare se la crisi deriva da errori di gestione, dal mercato, da eventi esterni o da condotte illecite.

Contemporaneamente, il curatore inizia a raccogliere i crediti che la società vantava prima del fallimento. Questo significa che invia solleciti di pagamento, avvia azioni giudiziarie se necessario, e cerca di convertire in liquidità tutto ciò che può essere utile a rimpinguare l’attivo della procedura. In molti casi, deve anche recuperare beni che sono stati ceduti in maniera irregolare o sottratti poco prima del fallimento. Queste azioni si chiamano “revocatorie fallimentari” e servono a riportare nella massa fallimentare quello che è uscito illecitamente.

Il curatore ha anche il compito di esaminare i comportamenti degli amministratori e dei soci, per verificare se ci siano state irregolarità, negligenze o vere e proprie frodi. Se emergono condotte che hanno aggravato il dissesto o causato danni ai creditori, il curatore può promuovere azioni di responsabilità civile, patrimoniale o addirittura penale. Questo significa che può chiedere al tribunale di condannare gli amministratori a risarcire il danno subito dalla società o dai creditori, con i loro beni personali.

Altro aspetto centrale dell’attività del curatore è la formazione dello stato passivo. Con questo termine si indica l’elenco ufficiale e dettagliato di tutti i creditori della società fallita e dei rispettivi crediti, ordinati secondo criteri di priorità stabiliti dalla legge. Il curatore riceve le domande di ammissione al passivo da parte dei creditori, verifica la documentazione allegata e formula una proposta al giudice delegato. Solo i creditori ammessi allo stato passivo hanno diritto di partecipare alla distribuzione dell’attivo.

Dopo aver completato l’inventario e approvato lo stato passivo, il curatore procede alla liquidazione dell’attivo. Ciò significa che mette in vendita i beni della società fallita: immobili, veicoli, macchinari, attrezzature, merci, crediti, partecipazioni. Le vendite avvengono solitamente tramite asta pubblica, e il ricavato viene versato su un conto vincolato gestito dal tribunale. Ogni operazione di vendita deve essere autorizzata dal giudice delegato, che vigila sul rispetto della legalità e sull’interesse dei creditori.

Una volta che l’attivo è stato monetizzato, si passa alla fase della distribuzione. Il curatore redige un piano di riparto, che stabilisce in che modo suddividere le somme incassate tra i vari creditori, seguendo l’ordine di privilegio stabilito dalla legge: prima i creditori privilegiati (come l’Erario e l’INPS), poi quelli garantiti e infine i chirografari, cioè i creditori ordinari. Spesso le somme disponibili non bastano a coprire tutto il debito, quindi i creditori ricevono solo una percentuale di quanto vantato.

Durante tutta la procedura fallimentare, il curatore deve relazionare periodicamente al giudice delegato e al comitato dei creditori. Le sue attività devono essere trasparenti, documentate e giustificate. Inoltre, è tenuto a tenere una contabilità separata e a rispettare rigorosamente i termini di legge. Qualsiasi omissione o irregolarità nella sua gestione può comportare la sua revoca o la responsabilità personale.

In casi particolarmente gravi, il curatore può anche promuovere la dichiarazione di bancarotta fraudolenta, se emerge che gli amministratori o i soci hanno nascosto attivi, falsificato bilanci, distrutto documenti o compiuto altri atti dolosi per danneggiare i creditori. La bancarotta fraudolenta è un reato penale molto grave, punito con la reclusione fino a dieci anni. Il curatore, quindi, ha anche un ruolo di vigilanza e denuncia, oltre che di gestione economica.

Una volta completate tutte le fasi della procedura, il curatore redige il rendiconto finale, cioè un documento che riepiloga tutte le operazioni svolte: cosa è stato incassato, cosa è stato pagato, quali creditori sono stati soddisfatti, quali no. Questo documento viene sottoposto all’approvazione del giudice e del comitato dei creditori. Se approvato, si dichiara la chiusura del fallimento, con la conseguente cessazione dell’incarico del curatore.

In alcuni casi, il curatore può anche proporre un concordato fallimentare, cioè un accordo tra la massa dei creditori e un soggetto (di solito un terzo o un socio) che si impegna a pagare una parte del debito in cambio della chiusura anticipata della procedura. Questa soluzione è possibile solo se vi è il consenso della maggioranza dei creditori e se viene giudicata più conveniente rispetto alla prosecuzione del fallimento.

In sintesi, il curatore fallimentare è il perno dell’intera procedura concorsuale. La sua azione è determinante per garantire legalità, trasparenza e giustizia nella gestione della crisi aziendale. Attraverso la sua attività, si cerca di salvaguardare quanto più possibile i diritti dei creditori, di far emergere eventuali responsabilità e di concludere la vicenda societaria nel rispetto delle regole. Il suo compito non è solo tecnico-contabile, ma anche profondamente umano e sociale, perché incide sulle sorti economiche di molti soggetti coinvolti nella crisi.

Come Studio Monardo ti aiuta in caso di debiti di una SRL

Affrontare i debiti di una società a responsabilità limitata può essere un’esperienza complessa, che richiede competenze specifiche e una guida esperta. In queste situazioni, l’avvocato Monardo rappresenta un punto di riferimento autorevole per chi cerca una soluzione concreta e legalmente solida. Il suo profilo professionale unisce l’esperienza giuridica alla conoscenza tecnica delle dinamiche fiscali e bancarie, offrendo un supporto completo e personalizzato.

L’avvocato Monardo coordina un team di avvocati e commercialisti specializzati a livello nazionale nei settori del diritto bancario e tributario, due ambiti spesso centrali nei casi di indebitamento societario. Questo significa che, se la tua SRL ha accumulato debiti verso banche, Agenzia delle Entrate o INPS, puoi contare su un’assistenza integrata che prende in carico ogni aspetto della crisi, dalla valutazione delle esposizioni al contenzioso, fino alla gestione delle trattative con i creditori.

La sua figura professionale non si limita all’assistenza legale. In qualità di Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia, l’avvocato Monardo può attivare strumenti di composizione della crisi previsti dalla legge, rivolti alle SRL che, pur essendo escluse dalla procedura di fallimento, si trovano in una situazione di grave squilibrio economico. Questo tipo di procedura permette di congelare i debiti, bloccare pignoramenti e azioni esecutive e proporre un piano di rientro sostenibile approvato dal tribunale.

Essendo anche professionista fiduciario di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), l’avvocato Monardo ha accesso diretto agli strumenti conciliativi previsti per legge, con la possibilità di negoziare soluzioni vantaggiose con i creditori pubblici e privati. La sua rete di collaborazioni e la sua competenza tecnica garantiscono una gestione tempestiva e conforme ai requisiti normativi, elemento essenziale per ottenere l’omologa del piano da parte del giudice.

Un ulteriore vantaggio è rappresentato dalla sua abilitazione come Esperto Negoziatore della Crisi di Impresa, secondo il D.L. 118/2021. Questo ruolo, introdotto per facilitare il risanamento delle imprese in difficoltà, consente di attivare una procedura di composizione negoziata, finalizzata a ristrutturare i debiti e a preservare la continuità aziendale. Se la tua SRL ha ancora un potenziale operativo, ma è schiacciata dai debiti, questa potrebbe essere la strada giusta per evitare la liquidazione e rilanciare l’attività.

L’approccio dell’avvocato Monardo si basa su un’analisi dettagliata della situazione patrimoniale, finanziaria e fiscale della società, con l’obiettivo di individuare la strategia più efficace e meno invasiva possibile. Ogni caso viene valutato con attenzione, considerando non solo la mole dei debiti, ma anche le responsabilità personali dei soci e degli amministratori, l’esposizione verso l’erario, l’esistenza di fideiussioni o ipoteche, e le possibili azioni legali in corso o imminenti.

Grazie alla sua esperienza trasversale, l’avvocato Monardo può assisterti anche in caso di fallimento già dichiarato, collaborando con il curatore fallimentare o proponendo soluzioni alternative, come il concordato o il risanamento tramite soggetti terzi. In caso di azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori o soci, offre difesa tecnica in sede civile e penale, tutelando il tuo patrimonio personale da aggressioni ingiustificate.

Affrontare i debiti di una SRL con l’aiuto dell’avvocato Monardo significa non trovarsi soli di fronte alla legge, ma poter contare su una strategia costruita su misura, con il sostegno di professionisti competenti e riconosciuti. In tempi di incertezza, la differenza la fa chi ti accompagna con competenza, lucidità e conoscenza delle regole.

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