Qual È La Differenza Tra Una Cartella Esattoriale E Un Avviso Di Accertamento?

Quando si riceve una comunicazione dall’Agenzia delle Entrate o dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, è normale sentirsi disorientati. Tra le lettere più comuni che possono arrivare c’è la cartella esattoriale, oggi chiamata ufficialmente “cartella di pagamento”, e l’avviso di accertamento. Questi due strumenti vengono spesso confusi, ma hanno funzioni, contenuti e conseguenze molto diverse. Capire bene la differenza tra una cartella esattoriale e un avviso di accertamento è fondamentale per sapere come comportarsi, entro quali tempi e con quali strumenti difendersi, se necessario.

La cartella esattoriale è un documento che viene emesso dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione (ex Equitalia) e serve per riscuotere coattivamente un debito già accertato. In parole semplici, si tratta di un atto con cui lo Stato o un ente pubblico chiede il pagamento di somme che sono già state stabilite come dovute attraverso un altro atto precedente. La cartella non nasce da sola, ma è la conseguenza di un procedimento precedente: può derivare, ad esempio, da un avviso di accertamento non impugnato, da una dichiarazione dei redditi in cui il contribuente ha indicato dei debiti ma non li ha pagati, da sanzioni amministrative, multe, contributi INPS non versati o tributi locali.

In altre parole, la cartella esattoriale è come il “conto finale” che arriva dopo che il fisco ha già deciso che devi pagare. Ti sta dicendo: “Hai un debito nei nostri confronti, ed è ora di pagare”. Se non si paga nei termini indicati, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può attivare delle misure molto incisive, come il pignoramento dello stipendio, del conto corrente, dell’auto o anche dell’abitazione.

L’avviso di accertamento, invece, è un atto completamente diverso. È l’atto con cui l’Agenzia delle Entrate comunica al contribuente che ha riscontrato delle irregolarità nella sua posizione fiscale. Questo significa che, dopo aver esaminato le dichiarazioni, i dati incrociati, i controlli o le verifiche, l’ufficio ritiene che ci siano delle imposte non pagate o pagate in misura insufficiente. L’avviso di accertamento è quindi una contestazione formale che avvia un vero e proprio procedimento amministrativo.

A differenza della cartella esattoriale, l’avviso di accertamento non richiede subito il pagamento forzoso, ma lascia al contribuente la possibilità di difendersi. Entro un certo termine (di solito 60 giorni dalla notifica), si può fare ricorso davanti alla giustizia tributaria per contestare la fondatezza dell’accertamento. In alternativa, il contribuente può decidere di accettare l’accertamento e pagare, beneficiando in alcuni casi di una riduzione delle sanzioni. Ci sono anche delle forme di definizione agevolata, come l’accertamento con adesione, che permettono di chiudere la questione con un accordo.

La differenza principale tra i due atti è quindi nel momento e nello scopo: l’avviso di accertamento serve per accertare un debito, la cartella esattoriale per riscuoterlo. In altre parole, l’accertamento è l’inizio del procedimento, la cartella è quasi sempre la fine (almeno per quanto riguarda la fase amministrativa).

Un’altra distinzione importante riguarda il soggetto che li emette. L’avviso di accertamento viene emesso direttamente dall’Agenzia delle Entrate (cioè l’ufficio che controlla le dichiarazioni e la correttezza dei versamenti), mentre la cartella esattoriale viene emessa dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che ha il compito di incassare le somme dovute. Sono due enti diversi, anche se spesso vengono confusi perché entrambi fanno parte dell’amministrazione finanziaria.

Anche i tempi e le modalità di impugnazione sono differenti. L’avviso di accertamento si impugna entro 60 giorni dalla notifica, mentre la cartella esattoriale può essere impugnata solo in certi casi, ad esempio se il debito è già prescritto, se non è mai stato notificato l’atto presupposto (come l’avviso di accertamento), o se ci sono vizi formali. In molti casi, però, non si può più entrare nel merito del debito, proprio perché è già stato accertato in precedenza e non è stato contestato nei termini.

Conoscere queste differenze non è solo una questione teorica, ma ha conseguenze pratiche molto importanti. Ad esempio, se ricevi una cartella esattoriale relativa a un avviso di accertamento che non hai mai visto, potresti avere diritto a contestarla per mancata notifica. Oppure, se ricevi un avviso di accertamento, sai di avere ancora tempo per valutare la tua posizione e decidere se pagare, fare ricorso o cercare una soluzione concordata con l’amministrazione.

Inoltre, la natura dell’atto incide anche sulle strategie difensive e sulle scelte da fare. Con l’avviso di accertamento, si gioca ancora la partita: si possono raccogliere documenti, presentare memorie, cercare un confronto con l’ufficio, valutare gli errori. Con la cartella esattoriale, invece, si entra in una fase in cui bisogna agire in fretta per evitare che il debito venga riscosso con strumenti pesanti e automatici.

Non bisogna poi dimenticare che in certi casi l’avviso di accertamento può avere effetto esecutivo, cioè può trasformarsi automaticamente in un titolo per la riscossione coattiva se non viene impugnato o pagato. Questo accade, ad esempio, per gli avvisi notificati dopo il 2011 che contengono l’intimazione a pagare entro 60 giorni: se il contribuente non fa nulla, l’atto diventa esecutivo e non c’è bisogno della cartella. In questi casi, l’avviso di accertamento fa anche da cartella esattoriale, con la conseguenza che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere al pignoramento direttamente.

Quindi, anche se formalmente si parla di due atti distinti, nella pratica possono intrecciarsi. Ecco perché è così importante leggere con attenzione ciò che si riceve, controllare la data, l’ente che l’ha emesso e capire bene di cosa si tratta. Spesso, un errore o una disattenzione possono costare caro: non presentare un ricorso nei termini, ad esempio, può significare perdere per sempre la possibilità di difendersi.

Infine, è utile sapere che non tutte le cartelle esattoriali o gli avvisi di accertamento sono legittimi o corretti. Possono contenere errori materiali, mancanze di notifiche, irregolarità nei calcoli o violazioni di legge. Per questo motivo, prima di pagare o ignorare qualsiasi atto, è sempre consigliabile consultare un esperto, come un avvocato o un commercialista, che possa verificare la correttezza del documento e suggerire il modo migliore di procedere.

Ricevere un avviso di accertamento o una cartella esattoriale non è mai piacevole, ma avere le idee chiare su cosa si ha davanti aiuta a non farsi prendere dal panico e ad agire con consapevolezza. Il primo passo per difendersi è capire. E una volta capito, è possibile trovare soluzioni, chiedere rateizzazioni, contestare ciò che non è giusto e, in molti casi, evitare problemi ben più gravi in futuro.

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Qual È La Differenza Tra Una Cartella Esattoriale E Un Avviso Di Accertamento Tutto Dettagliato

Quando si parla di fisco e di obblighi tributari, due dei termini che possono generare confusione sono cartella esattoriale e avviso di accertamento. Entrambi sono atti ufficiali emessi dall’Agenzia delle Entrate o dagli enti di riscossione per richiedere il pagamento di imposte dovute, ma hanno funzioni, finalità e procedimenti differenti. In questo articolo, esploreremo in dettaglio la differenza tra una cartella esattoriale e un avviso di accertamento, chiarendo cosa succede in ciascun caso, come vengono emessi e quali sono le implicazioni per il contribuente.

1. Cos’è un’Avviso di Accertamento?

Un avviso di accertamento è un atto fiscale che viene emesso dall’Agenzia delle Entrate (o da altre autorità fiscali) per notificare al contribuente che sono stati riscontrati errori o irregolarità nelle sue dichiarazioni fiscali. L’avviso di accertamento viene emesso quando:

  • L’Agenzia delle Entrate ha effettuato un controllo fiscale sui redditi, le imposte o le dichiarazioni IVA e ha rilevato delle discrepanze rispetto a quanto dichiarato dal contribuente.
  • Si sospetta che ci sia stata evasione fiscale, sottostima del reddito o errori nei calcoli delle imposte.

L’avviso di accertamento non è un atto di riscossione: serve piuttosto ad accertare l’importo effettivo delle imposte che il contribuente deve pagare e a comunicarglielo ufficialmente. In altre parole, è il primo passo che l’Agenzia delle Entrate fa per correggere eventuali errori e determinare il debito fiscale finale.

Caratteristiche principali dell’avviso di accertamento:

  • Verifica fiscale: Serve a comunicare che è stata effettuata una verifica sulle dichiarazioni fiscali del contribuente e che sono stati riscontrati errori.
  • Sanzioni e interessi: Oltre all’importo delle imposte dovute, l’avviso può contenere sanzioni per la violazione delle normative fiscali e interessi di mora per il ritardo nel pagamento.
  • Tempi per la risposta: Il contribuente ha 60 giorni dalla ricezione dell’avviso di accertamento per fare ricorso o pagare l’importo dovuto.
  • Ricorso: Se il contribuente non è d’accordo con l’avviso, può contestarlo attraverso un ricorso tributario, presentando la propria difesa alla Commissione Tributaria.

2. Cos’è una Cartella Esattoriale?

La cartella esattoriale è un atto emesso da Equitalia (ora Agenzia delle Entrate – Riscossione) o da un altro ente di riscossione per richiedere il pagamento forzato delle imposte dovute. Questo avviene quando il contribuente non ha pagato l’importo delle imposte che gli è stato precedentemente richiesto, per esempio, tramite un avviso di accertamento, o se non ha rispettato una scadenza fiscale.

La cartella esattoriale contiene:

  • L’importo da pagare: Includendo sia il debito principale che eventuali sanzioni e interessi di mora accumulati.
  • Il termine di pagamento: Entro il quale il contribuente deve saldare l’importo, altrimenti verranno avviate misure di riscossione forzata (pignoramento, fermo amministrativo, ecc.).

Caratteristiche principali della cartella esattoriale:

  • Riscossione forzata: La cartella esattoriale viene emessa quando il contribuente non ha pagato quanto dovuto e l’ente di riscossione deve recuperare il credito.
  • Contiene debito, sanzioni e interessi: A differenza dell’avviso di accertamento, la cartella esattoriale include già tutte le sanzioni e gli interessi per il ritardo nel pagamento.
  • Avvio della riscossione: Se il contribuente non paga, l’ente di riscossione può avviare misure coercitive, come il pignoramento di beni, il fermo amministrativo del veicolo, o il blocco di conti bancari.
  • Termini per il pagamento: La cartella esattoriale fissa un termine per il pagamento, che può variare in base alle circostanze (generalmente 60 giorni).
  • Piano di rientro: Se il contribuente non può pagare l’importo completo, può richiedere un piano di rientro dilazionato in rate.

3. Differenze Tra Avviso di Accertamento e Cartella Esattoriale

La differenza principale tra un avviso di accertamento e una cartella esattoriale risiede nel fatto che l’avviso riguarda la verifica e la determinazione dell’importo delle imposte dovute, mentre la cartella esattoriale è il documento ufficiale che richiede il pagamento delle imposte e delle eventuali sanzioni. Di seguito sono riepilogate le principali differenze tra i due atti:

CaratteristicaAvviso di AccertamentoCartella Esattoriale
DefinizioneAtto che comunica il debito accertato e le irregolarità fiscaliAtto che richiede il pagamento delle imposte non pagate
EmittenteAgenzia delle EntrateAgenzia delle Entrate – Riscossione (ex Equitalia)
FinalitàVerifica fiscale delle dichiarazioni fiscaliRecupero forzato dei tributi dovuti
ContenutoImporto delle imposte dovute, sanzioni, interessiImporto totale da pagare (tributo, sanzioni, interessi di mora)
Quando viene emessoQuando ci sono irregolarità nelle dichiarazioni fiscaliQuando il contribuente non ha pagato quanto dovuto
Tempi di rispostaIl contribuente ha 60 giorni per contestare o fare ricorsoIl contribuente ha 60 giorni per pagare o contestare
EffettoRette un’importo che il contribuente deve pagare, ma non è ancora in fase di riscossione coattivaInizia la fase di riscossione forzata, con misure coercitive
Misure di recuperoNessuna misura coercitiva immediataSe non pagato, scatta il pignoramento o altre misure forzate

4. Quando Scatta la Cartella Esattoriale?

La cartella esattoriale viene emessa quando il contribuente non paga quanto dovuto, nonostante l’avviso di accertamento o altre comunicazioni dell’Agenzia delle Entrate. La cartella esattoriale scatta quando:

  • Il contribuente non paga l’importo dovuto entro i termini stabiliti dall’avviso di accertamento.
  • L’Agenzia delle Entrate avvia la procedura di recupero del credito tramite un ente di riscossione come Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Se il contribuente riceve una cartella esattoriale, ha la possibilità di contestare l’importo tramite ricorso alla Commissione Tributaria, se ritiene che ci siano errori nel calcolo dell’importo dovuto o se l’atto è stato emesso in modo illegittimo.

5. Cosa Può Fare il Contribuente?

Se il contribuente riceve un avviso di accertamento o una cartella esattoriale, può agire in vari modi:

  • Contestare l’avviso di accertamento: Se il contribuente non è d’accordo con l’importo delle imposte accertate, può fare ricorso alla Commissione Tributaria entro 60 giorni dalla notifica.
  • Richiedere un piano di rientro: Se il contribuente non può pagare l’importo dovuto in un’unica soluzione, può chiedere un piano di rientro per dilazionare il pagamento in rate mensili.
  • **Accedere a misure di saldo e stralcio: In alcuni casi, è possibile ridurre il debito tramite un accordo con l’Agenzia delle Entrate.

6. Conclusioni

La cartella esattoriale e l’avviso di accertamento sono entrambi strumenti utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per richiedere il pagamento delle imposte, ma svolgono ruoli differenti. L’avviso di accertamento serve a verificare l’esistenza di un debito fiscale e a determinare l’importo dovuto, mentre la cartella esattoriale è il documento che avvia la riscossione forzata delle somme dovute, una volta che il contribuente non ha pagato l’importo accertato. In ogni caso, è fondamentale rispondere tempestivamente e, se necessario, contestare l’avviso o la cartella per evitare complicazioni o sanzioni più severe.

Che cosa succede se non si paga una cartella esattoriale nei tempi indicati?

Ricevere una cartella esattoriale non è mai un’esperienza piacevole. Spesso genera ansia, preoccupazione e confusione. Tuttavia, ignorare il problema o rimandare la decisione su cosa fare può avere conseguenze gravi e molto concrete. Quando l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia una cartella esattoriale, il contribuente ha un tempo ben preciso per pagare quanto richiesto. Se questo termine non viene rispettato, il debito entra automaticamente in una fase di riscossione forzata, con tutto ciò che ne consegue.

In primo luogo, è importante sapere che la cartella esattoriale contiene già un’intimazione a pagare entro 60 giorni dalla notifica. Questo significa che, se il pagamento non avviene in quel lasso di tempo, l’ente della riscossione può procedere senza bisogno di ulteriori avvisi. Non ci saranno nuovi solleciti, lettere o telefonate: la legge dà all’amministrazione il potere di attivare direttamente le misure di recupero coattivo.

Il primo passo di questa fase esecutiva è il fermo amministrativo dei beni mobili registrati, in particolare dell’automobile. Se sei intestatario di un veicolo, potresti trovarti nell’impossibilità di utilizzarlo, venderlo o rottamarlo. Il fermo viene iscritto al Pubblico Registro Automobilistico e può essere rimosso solo dopo il pagamento del debito o dopo l’accordo per una rateizzazione. Questo strumento è molto diffuso, perché semplice e veloce da attuare.

Un’altra misura molto frequente è il pignoramento del conto corrente bancario o postale. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione invia direttamente alla banca un ordine di blocco delle somme presenti sul conto, fino alla concorrenza dell’importo dovuto. Il pignoramento può avvenire senza preavviso, e ciò significa che un giorno potresti accorgerti che il tuo conto è bloccato, con tutte le conseguenze del caso: impossibilità di prelevare, pagamenti respinti, gestione economica compromessa.

Tra le azioni più temute c’è il pignoramento dello stipendio o della pensione. Questo avviene mediante comunicazione diretta al datore di lavoro o all’ente previdenziale. Una parte della retribuzione viene trattenuta alla fonte e versata all’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Le percentuali variano in base all’importo del reddito, ma possono arrivare fino a un quinto dello stipendio netto. Anche le collaborazioni occasionali e le prestazioni professionali possono essere soggette a pignoramento.

Non meno rilevante è la possibilità del pignoramento immobiliare, cioè l’avvio di un’esecuzione forzata sulla casa o su altri immobili di proprietà del debitore. Questa misura, più lenta e complessa, viene utilizzata di solito per debiti consistenti e in presenza di beni rilevanti. Dopo l’iscrizione dell’ipoteca, l’Agenzia può procedere alla vendita all’asta dell’immobile per recuperare le somme dovute.

Tutte queste misure possono essere adottate anche cumulativamente. Questo vuol dire che una stessa persona può vedersi bloccato il conto corrente, pignorato lo stipendio e fermato il veicolo contemporaneamente. La legge consente infatti all’ente di riscossione di scegliere gli strumenti più rapidi ed efficaci per ottenere il pagamento.

Oltre alle misure esecutive, il mancato pagamento comporta anche un aggravio di costi. Ogni giorno che passa dopo la scadenza dei 60 giorni fa maturare interessi di mora. Inoltre, vengono addebitati oneri di riscossione, spese per le notifiche, eventuali spese legali e costi di procedura. Questo significa che più si aspetta, più il debito aumenta, rendendo sempre più difficile la possibilità di saldarlo.

È importante sottolineare che l’ente di riscossione non ha bisogno di chiedere l’autorizzazione a un giudice per avviare queste misure. Le sue azioni si basano su un titolo esecutivo già valido, che è appunto la cartella esattoriale. Questo rende la procedura molto più rapida rispetto a una causa civile. In poche settimane, si può passare dalla notifica della cartella al blocco dei beni.

Tuttavia, non tutto è perduto. Anche dopo la scadenza dei termini, ci sono strumenti per cercare di risolvere la situazione. Il primo tra questi è la rateizzazione del debito. Se il contribuente si trova in difficoltà economica, può chiedere di pagare a rate, presentando una semplice domanda online o presso gli sportelli dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. La rateizzazione consente di bloccare le azioni esecutive e di gestire il debito in modo più sostenibile.

Un’altra possibilità è quella di verificare la legittimità della cartella. Se ci sono irregolarità nella notifica, errori nei conteggi o mancanza di documentazione, si può presentare un ricorso al giudice tributario. Anche se i termini ordinari per contestare la cartella sono scaduti, in alcuni casi eccezionali si può chiedere la revoca o la sospensione dell’atto. Questo accade, ad esempio, se il debito era già stato pagato, se era prescritto, oppure se non era mai stato notificato l’atto presupposto.

Esistono poi le definizioni agevolate, introdotte periodicamente dal legislatore, come la rottamazione delle cartelle o il saldo e stralcio. In queste situazioni, è possibile chiudere il proprio debito pagando solo una parte dell’importo, senza interessi o sanzioni. Tuttavia, si tratta di misure straordinarie e a scadenza, per cui è necessario informarsi tempestivamente quando vengono attivate.

L’aspetto più importante, comunque, è non restare immobili. L’errore più grave che si possa fare è ignorare la cartella, metterla in un cassetto o sperare che il problema si risolva da solo. La macchina della riscossione è automatica, precisa e, una volta avviata, difficile da fermare. Agire subito, informarsi, chiedere consulenza e valutare le opzioni è l’unico modo per evitare conseguenze molto pesanti.

Infine, è bene ricordare che ogni situazione è diversa. Il tipo di debito, l’importo, le condizioni economiche del contribuente e le eventuali irregolarità dell’atto richiedono un’analisi personalizzata. Non esiste una risposta valida per tutti, ed è per questo che rivolgersi a un professionista è spesso la scelta migliore. Un avvocato, un commercialista o un consulente esperto possono aiutare a capire se ci sono possibilità di contestazione, quale forma di rateizzazione conviene, quali sono i tempi da rispettare e come proteggere il proprio patrimonio.

In conclusione, non pagare una cartella esattoriale nei tempi previsti significa esporsi al rischio di misure di recupero forzato molto invasive. Il pignoramento del conto, dello stipendio o della casa non sono ipotesi teoriche, ma strumenti reali che vengono usati ogni giorno dall’amministrazione per riscuotere i crediti. L’unico modo per affrontare la situazione è agire con consapevolezza, informarsi e, se necessario, chiedere aiuto. Il tempo è un fattore cruciale: prima si interviene, più possibilità ci sono di risolvere il problema senza subire danni irreparabili.

In quali casi l’avviso di accertamento si trasforma automaticamente in un atto esecutivo?

Nel sistema tributario italiano, l’avviso di accertamento è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate comunica al contribuente che ha riscontrato delle irregolarità nei versamenti o nelle dichiarazioni fiscali. È un atto che accerta la pretesa tributaria e, nella sua forma tradizionale, lasciava spazio alla possibilità di impugnazione o pagamento da parte del contribuente prima che venisse avviata la riscossione forzata. Tuttavia, negli ultimi anni, la normativa ha subito delle modifiche importanti che hanno reso alcuni avvisi di accertamento immediatamente esecutivi, cioè validi anche per iniziare l’azione di recupero coattivo senza bisogno della cartella esattoriale.

L’avviso di accertamento diventa automaticamente esecutivo nei casi previsti dall’art. 29 del Decreto Legge 78/2010, convertito nella Legge 122/2010. Questa norma ha introdotto una trasformazione significativa nella prassi della riscossione. In particolare, ha stabilito che gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate con riferimento ai tributi erariali (come IRPEF, IRES, IVA, ecc.) acquistano efficacia esecutiva decorso il termine di 60 giorni dalla notifica, se non sono stati impugnati dal contribuente.

Questo significa che, trascorsi quei 60 giorni senza che sia stato presentato un ricorso o effettuato il pagamento, l’Agenzia delle Entrate può trasmettere direttamente il ruolo all’Agenzia delle Entrate-Riscossione, che può attivare le procedure esecutive come pignoramenti, fermi amministrativi, ipoteche e così via, senza dover passare dalla notifica di una cartella di pagamento. In pratica, l’avviso di accertamento diventa un titolo esecutivo a tutti gli effetti.

Perché questo accada, però, è necessario che l’avviso contenga l’intimazione ad adempiere entro 60 giorni. Si tratta di una formula specifica, che deve essere inserita nell’atto. L’intimazione è l’elemento che trasforma un atto amministrativo in un atto capace di produrre effetti esecutivi. Se l’intimazione manca, l’avviso non può essere utilizzato direttamente per avviare l’esecuzione forzata.

Inoltre, dal 2011 in poi, tutti gli avvisi di accertamento relativi a imposte sui redditi, IVA e IRAP, notificati con l’intimazione a pagare entro 60 giorni, sono diventati esecutivi automaticamente. Questa automatizzazione ha lo scopo di snellire le procedure e rendere più rapida la riscossione dei tributi, ma ha anche sollevato non poche critiche, perché può portare a situazioni in cui il contribuente si trova direttamente esposto a misure coercitive senza aver avuto un’ulteriore comunicazione intermedia.

Il mancato ricorso nei termini equivale a un’accettazione implicita del contenuto dell’avviso. Non fare nulla dopo aver ricevuto un avviso esecutivo significa, di fatto, lasciare che l’amministrazione possa agire per la riscossione. Questo accade anche nei casi in cui il contribuente non abbia ricevuto una corretta informazione o non si sia accorto della gravità dell’atto ricevuto. Per questo motivo, è fondamentale leggere attentamente ogni avviso e agire tempestivamente, anche solo per chiedere chiarimenti o fare verifiche sulla legittimità della pretesa.

Un altro caso in cui l’avviso diventa esecutivo automaticamente riguarda gli avvisi di accertamento emessi con adesione. Se il contribuente accetta l’adesione e non paga entro i termini concordati, l’avviso sottoscritto diventa esecutivo e l’Agenzia delle Entrate può procedere alla riscossione coattiva. Anche in questo caso, la fase di accertamento si fonde con quella della riscossione, eliminando la necessità di ulteriori atti.

È bene precisare che l’effetto esecutivo dell’avviso non significa che il contribuente non possa più fare nulla. Esistono comunque delle possibilità di difesa, anche dopo il decorso dei 60 giorni, ma diventano più complesse. In presenza di vizi gravi, come la mancata notifica dell’atto o la sua nullità per difetto di motivazione, è possibile presentare ricorso anche oltre i termini, se si riesce a dimostrare che l’atto non è mai stato effettivamente portato a conoscenza del contribuente. In questi casi, si apre una battaglia legale più articolata, che richiede necessariamente l’assistenza di un avvocato o di un professionista esperto.

Dal punto di vista pratico, il contribuente deve sapere che l’avviso di accertamento esecutivo equivale ormai, in molti casi, a una cartella esattoriale. Questo cambiamento di funzione ha conseguenze importanti: i termini per pagare sono brevi, le possibilità di difesa devono essere esercitate rapidamente, e le azioni dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione possono iniziare senza ulteriori formalità. Questo rende il sistema più efficiente per l’amministrazione, ma più rischioso per il cittadino che non è ben informato.

Esiste comunque la possibilità di richiedere la rateizzazione del debito anche in presenza di un avviso esecutivo. Se il contribuente non è in grado di saldare l’importo in un’unica soluzione, può presentare domanda di pagamento dilazionato. La richiesta sospende temporaneamente le azioni esecutive, a condizione che venga accolta e che le rate vengano regolarmente versate.

Va inoltre ricordato che anche in caso di avviso esecutivo, l’amministrazione ha l’obbligo di notificare l’atto in modo valido. La notifica deve avvenire secondo le modalità previste dalla legge: a mezzo posta raccomandata con ricevuta di ritorno, tramite PEC per i soggetti obbligati, oppure tramite ufficiale giudiziario. Una notifica irregolare rende l’atto inefficace e costituisce motivo per chiederne l’annullamento.

La Corte di Cassazione ha più volte confermato che l’avviso di accertamento con valore esecutivo deve contenere in modo chiaro tutti gli elementi essenziali, compresi gli estremi per la riscossione e l’indicazione precisa dell’importo dovuto. Se mancano dati rilevanti o se l’intimazione al pagamento non è adeguatamente evidenziata, l’atto può essere considerato nullo o inefficace.

In conclusione, l’avviso di accertamento si trasforma automaticamente in un atto esecutivo quando contiene l’intimazione a pagare e decorrono inutilmente i 60 giorni dalla notifica. In questi casi, l’amministrazione può agire direttamente per il recupero forzato del credito, senza passare per la cartella esattoriale. È quindi essenziale che il contribuente prestii massima attenzione ai termini, ai contenuti dell’atto ricevuto e alle eventuali possibilità di contestazione. Agire per tempo, chiedere chiarimenti, valutare l’opportunità di un ricorso o di una rateizzazione può fare la differenza tra una situazione sotto controllo e un’escalation di problemi finanziari. La consapevolezza giuridica e fiscale è oggi più che mai uno strumento di difesa indispensabile.

È possibile contestare una cartella esattoriale anche se non si è impugnato l’avviso di accertamento?

Il sistema di riscossione dei tributi in Italia prevede una sequenza ben precisa di atti: prima l’amministrazione finanziaria accerta un debito attraverso un avviso, poi, se il contribuente non paga o non contesta nei tempi previsti, si passa alla fase della riscossione, che può avvenire con l’emissione di una cartella esattoriale. Ma cosa accade se il contribuente non ha impugnato l’avviso di accertamento nei termini, e riceve solo in un secondo momento la cartella? La domanda è delicata e la risposta, pur non essendo univoca, è sì: in alcuni casi è possibile contestare la cartella anche se non si è presentato ricorso contro l’atto presupposto.

La regola generale è che, se non si impugna un avviso di accertamento entro 60 giorni dalla notifica, esso diventa definitivo, cioè non più contestabile. Di conseguenza, la cartella che ne deriva è considerata un atto meramente esecutivo, che si limita a riscuotere un debito già accertato. Tuttavia, ci sono delle eccezioni importanti che aprono la possibilità di contestare la cartella, anche quando il termine per opporsi all’avviso è scaduto.

Una prima ipotesi è quella in cui l’avviso di accertamento non sia mai stato notificato regolarmente. Se il contribuente non ha mai ricevuto l’atto presupposto, oppure se la notifica è avvenuta con modalità irregolari (ad esempio inviata a un indirizzo errato, notificata a un soggetto non legittimato, o mai ricevuta del tutto), allora la cartella esattoriale può essere contestata. In questo caso, il contribuente ha diritto a difendersi e a sollevare l’eccezione di nullità o inesistenza della notifica, dimostrando che non ha avuto modo di conoscere il contenuto dell’avviso originario.

La mancata notifica dell’atto presupposto è uno dei motivi più frequenti di impugnazione delle cartelle esattoriali. La giurisprudenza ha chiarito che, in assenza di una valida notifica dell’avviso, la cartella è priva di legittimazione, perché basata su un atto mai divenuto definitivo. Il contribuente, in questo caso, può proporre ricorso contro la cartella entro 60 giorni dalla sua notifica, facendo valere il vizio dell’atto presupposto.

Un’altra ipotesi è quella della prescrizione del credito tributario. Anche se l’avviso è divenuto definitivo, il diritto dell’amministrazione a riscuotere il tributo può cadere in prescrizione. I termini di prescrizione variano in base alla natura del tributo: generalmente sono di 10 anni per i tributi erariali, 5 anni per le sanzioni amministrative, e termini diversi per contributi previdenziali e multe stradali. Se la cartella viene notificata dopo la scadenza di questi termini, e non ci sono stati atti interruttivi validi, il debito può considerarsi estinto. In questo caso, è perfettamente legittimo contestare la cartella, anche se non si è mai fatto ricorso contro l’avviso originario.

La prescrizione è un’arma molto potente a disposizione del contribuente, ma va fatta valere tempestivamente e con l’assistenza di un esperto, perché richiede una verifica attenta delle date e degli atti eventualmente notificati nel tempo. Ogni atto notificato (come solleciti, intimazioni di pagamento o altri atti interruttivi) può far ripartire il termine di prescrizione, e dunque invalidare la difesa se non viene considerato correttamente.

Un’altra possibilità di contestazione della cartella è data dalla mancanza di motivazione o da errori materiali. Se la cartella presenta vizi formali, come l’assenza degli estremi dell’atto presupposto, l’indicazione errata dell’importo, la mancanza del dettaglio del calcolo, oppure errori nei dati del contribuente, si può presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, anche se non si è contestato l’avviso. In questi casi, la contestazione si basa sulla nullità della cartella in sé, e non sull’accertamento sottostante.

Esiste anche la possibilità di impugnare la cartella in via incidentale, cioè nell’ambito di un giudizio relativo ad altro atto collegato. Ad esempio, se il contribuente riceve un preavviso di fermo o un’intimazione di pagamento e decide di impugnare quest’ultimo atto, può in quella sede mettere in discussione anche la cartella, e indirettamente l’avviso, facendo valere le irregolarità che ne compromettono la legittimità.

In alcuni casi, poi, la giurisprudenza ha riconosciuto al contribuente il diritto di sollevare l’illegittimità dell’atto presupposto anche oltre i termini, in presenza di vizi particolarmente gravi, come la nullità assoluta o l’inesistenza giuridica dell’avviso di accertamento. Si tratta di situazioni eccezionali, ma non impossibili: ad esempio, un avviso firmato da un soggetto non autorizzato, o emesso da un ufficio incompetente, può essere considerato inesistente e dunque contestabile in ogni tempo.

Un altro strumento che il contribuente ha a disposizione è la domanda di annullamento in autotutela, rivolta all’ente che ha emesso l’atto presupposto o alla stessa Agenzia delle Entrate-Riscossione. Anche se questa domanda non sospende automaticamente gli effetti della cartella, l’ente ha il potere di correggere o annullare l’atto, anche dopo che sia divenuto definitivo, in presenza di errori evidenti o di circostanze particolari. È una via meno formale rispetto al ricorso, ma in certi casi può portare alla soluzione del problema senza necessità di affrontare un giudizio.

Infine, è bene ricordare che il contribuente ha sempre diritto all’accesso agli atti, per ottenere copia dei documenti che hanno dato origine alla cartella. Questo diritto può essere esercitato anche dopo la notifica della cartella, e rappresenta un passaggio fondamentale per valutare se ci sono irregolarità da far valere. La mancata risposta dell’amministrazione o il rifiuto immotivato di fornire la documentazione può, a sua volta, essere oggetto di contestazione.

In conclusione, la mancata impugnazione dell’avviso di accertamento non chiude in modo definitivo ogni possibilità di difesa contro la cartella esattoriale. Esistono numerose situazioni in cui il contribuente può contestare l’atto di riscossione, facendo valere la mancata notifica dell’atto presupposto, la prescrizione del credito, vizi formali, errori materiali o irregolarità procedurali. È fondamentale, però, agire tempestivamente entro i termini previsti per la cartella, che sono generalmente di 60 giorni dalla notifica, e affidarsi a professionisti capaci di analizzare con precisione la documentazione.

Il sistema tributario è complesso e spesso poco trasparente, ma riconosce ai contribuenti importanti diritti di difesa, anche dopo la fase dell’accertamento. Con le giuste competenze e con una conoscenza chiara dei propri diritti, è possibile evitare ingiustizie, bloccare la riscossione di debiti non dovuti e, in molti casi, ottenere l’annullamento o la riduzione dell’importo richiesto. La parola d’ordine è non arrendersi, ma affrontare la situazione con lucidità, strumenti adeguati e assistenza qualificata.

Quali vantaggi offre l’accertamento con adesione rispetto al contenzioso tributario?

Nel panorama delle procedure fiscali italiane, l’accertamento con adesione rappresenta uno strumento fondamentale che permette al contribuente di risolvere una controversia con l’amministrazione finanziaria in via anticipata e consensuale, evitando così di affrontare un giudizio davanti alla Commissione Tributaria. Si tratta di una procedura prevista dal Decreto Legislativo n. 218 del 1997, che consente al contribuente di raggiungere un accordo con l’Agenzia delle Entrate sull’ammontare delle imposte dovute, beneficiando in cambio di importanti agevolazioni, sia economiche che procedurali.

Il vantaggio principale dell’accertamento con adesione è la possibilità di ottenere una significativa riduzione delle sanzioni amministrative. In caso di accordo, infatti, le sanzioni vengono ridotte a un terzo del minimo previsto dalla legge. Questo significa che, a fronte di un debito fiscale, il contribuente può pagare una somma inferiore rispetto a quella che verrebbe imposta in caso di soccombenza nel giudizio tributario. Tale riduzione rappresenta un incentivo concreto alla definizione bonaria della controversia, soprattutto nei casi in cui il contribuente ritiene difficile sostenere una difesa efficace o vuole evitare rischi maggiori.

Un ulteriore beneficio è la possibilità di rateizzare l’importo concordato fino a un massimo di otto rate trimestrali, o dodici se l’importo supera i 50.000 euro. Questa flessibilità permette di affrontare l’esborso in maniera più sostenibile, soprattutto per le imprese o i lavoratori autonomi in difficoltà finanziaria. Inoltre, la rateizzazione blocca l’avvio delle azioni esecutive, a condizione che le rate vengano pagate regolarmente.

L’accertamento con adesione offre anche un vantaggio in termini di tempo e di semplificazione procedurale. Evitando il contenzioso, il contribuente si risparmia mesi, se non anni, di attesa per la definizione della causa, oltre ai costi di giudizio, alle incertezze dell’esito e al rischio di dover pagare spese legali e processuali. L’accordo viene concluso direttamente con l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate competente, attraverso un contraddittorio che può essere più rapido, diretto ed efficace rispetto a un processo.

Il dialogo con l’amministrazione permette anche di chiarire eventuali errori materiali, fraintendimenti o interpretazioni controverse della normativa fiscale, trovando soluzioni condivise che, spesso, non sarebbero possibili in sede giudiziale. Il contribuente può presentare documenti, spiegazioni, argomentazioni, e l’ufficio può valutare con maggiore flessibilità la situazione concreta, tenendo conto di elementi di fatto e non solo giuridici.

Dal punto di vista formale, l’accertamento con adesione può essere attivato sia su iniziativa del contribuente, sia su invito dell’amministrazione. Nel primo caso, il contribuente presenta un’istanza all’Agenzia delle Entrate prima della scadenza dei termini per impugnare l’avviso di accertamento. Nel secondo caso, è l’ufficio che propone l’adesione, invitando il contribuente a comparire per discutere l’atto. In entrambi i casi, la presentazione dell’istanza sospende i termini per il ricorso, consentendo alle parti di avviare un dialogo senza fretta e con maggiore serenità.

La firma dell’atto di adesione comporta la definitiva rinuncia a ogni forma di impugnazione dell’avviso di accertamento. Questo significa che l’accordo chiude la vicenda in modo stabile, dando certezza giuridica e fiscale sia al contribuente che all’amministrazione. Inoltre, l’atto ha valore di titolo esecutivo, quindi in caso di mancato pagamento l’amministrazione può attivare le procedure di riscossione coattiva, ma solo per le somme concordate, e non per l’importo originario dell’accertamento.

È importante evidenziare che l’accertamento con adesione non è una confessione di colpevolezza, ma una scelta strategica, spesso guidata da considerazioni economiche, pratiche o di opportunità. Molti contribuenti scelgono questa strada pur ritenendosi nel giusto, per evitare un processo lungo, costoso e incerto. Altri vi ricorrono per sanare situazioni complesse, dove la documentazione è incompleta o dove le probabilità di vittoria in giudizio sono basse.

Dal punto di vista dell’Agenzia delle Entrate, l’accertamento con adesione rappresenta uno strumento efficace per ridurre il contenzioso, incassare più rapidamente le imposte dovute e migliorare il rapporto con i contribuenti. Questo dialogo costruttivo contribuisce a creare un clima di maggiore fiducia e collaborazione, in un sistema fiscale che spesso viene percepito come rigido e punitivo.

Un altro aspetto positivo è che l’accordo raggiunto nell’ambito dell’accertamento con adesione non comporta l’obbligo di riconoscere lo stesso importo negli anni successivi, né ha effetti vincolanti su altre posizioni fiscali del contribuente. Questo significa che ogni accertamento resta un caso a sé, e che l’adesione non crea un precedente automatico. La libertà di valutazione e la riservatezza del procedimento sono elementi che tutelano il contribuente.

Non va trascurato nemmeno il vantaggio reputazionale. Evitare un contenzioso pubblico, che potrebbe danneggiare l’immagine dell’impresa o del professionista, è spesso un obiettivo importante. L’accertamento con adesione si svolge in forma riservata, senza pubblicità, e consente di risolvere la questione in modo discreto.

Tuttavia, come ogni scelta, anche l’adesione comporta delle valutazioni. Non sempre è conveniente accettare l’accordo, soprattutto se l’accertamento è manifestamente infondato o contiene errori evidenti. In questi casi, il ricorso può essere la strada più opportuna per far valere i propri diritti e ottenere l’annullamento dell’atto. È per questo che prima di aderire è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista esperto, che sappia valutare i pro e i contro, l’effettiva convenienza dell’accordo e le prospettive di un eventuale giudizio.

È anche importante sapere che non tutti gli atti possono essere oggetto di accertamento con adesione. Ad esempio, non è possibile aderire ad accertamenti esecutivi già scaduti o a ruoli già trasmessi all’agente della riscossione. Per questo motivo, è fondamentale agire tempestivamente, e non attendere l’ultimo momento per valutare la possibilità dell’adesione.

In sintesi, l’accertamento con adesione offre numerosi vantaggi rispetto al contenzioso tributario: riduzione delle sanzioni, possibilità di rateizzazione, risparmio di tempo e costi, semplificazione procedurale, maggiore flessibilità e certezza del diritto. È uno strumento che consente di gestire il rapporto con il fisco in modo più equilibrato e meno conflittuale, ma va usato con intelligenza e consapevolezza. Con il supporto di un consulente qualificato, può diventare una risorsa preziosa per chiudere contenziosi potenzialmente dannosi e riprendere il controllo della propria posizione fiscale.

Come distinguere correttamente se il documento ricevuto è un avviso di accertamento o una cartella esattoriale?

Quando arriva una comunicazione da parte dell’Agenzia delle Entrate o dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, può non essere immediato capire di quale tipo di atto si tratti. L’aspetto dei documenti, spesso molto simile, unito a un linguaggio tecnico e a numerose informazioni, può generare confusione anche nei contribuenti più attenti. Tuttavia, distinguere correttamente se il documento ricevuto è un avviso di accertamento o una cartella esattoriale è fondamentale per capire come comportarsi, quali sono i propri diritti e quali sono le scadenze da rispettare.

L’avviso di accertamento è un atto con cui l’Agenzia delle Entrate contesta al contribuente delle irregolarità nei versamenti o nelle dichiarazioni fiscali. Si tratta quindi di un documento che arriva prima di qualunque azione esecutiva e ha lo scopo di accertare un debito. Contiene una spiegazione dei motivi per cui si ritiene che il contribuente debba pagare delle somme non dichiarate o non versate, insieme al calcolo delle imposte, sanzioni e interessi. Spesso riporta la dicitura “avviso di accertamento” ben visibile, ma non è raro che venga confuso con altri atti, specie se notificato via PEC o raccomandata semplice, senza un’adeguata lettura del contenuto.

La cartella esattoriale, invece, è un atto dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione e ha una funzione completamente diversa: non accerta il debito, ma ne richiede il pagamento. Arriva quando un debito è già stato accertato o è comunque certo, liquido ed esigibile. La cartella riporta un elenco dettagliato delle somme da pagare, con l’indicazione dell’ente creditore, l’importo del tributo, gli interessi, le sanzioni e gli oneri di riscossione. Può derivare da un avviso di accertamento non impugnato, da dichiarazioni non pagate, da contributi non versati, da multe, da sanzioni amministrative o tributi locali.

Una prima differenza evidente è quindi nell’ente che firma l’atto: l’avviso di accertamento è emesso dall’Agenzia delle Entrate; la cartella esattoriale è firmata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Controllare il logo, l’intestazione, e il mittente è un modo semplice per capire subito di che tipo di documento si tratta.

Anche il contenuto dell’atto aiuta a riconoscerlo. L’avviso di accertamento contiene di norma una spiegazione dettagliata delle violazioni riscontrate, dei metodi di calcolo, delle normative applicate. È un atto motivato, che può riferirsi a specifici periodi d’imposta, dichiarazioni omesse o errori nei versamenti. È accompagnato da un invito a pagare entro un certo termine oppure a presentare ricorso, e spesso specifica anche la possibilità di aderire in via agevolata all’accertamento con adesione.

La cartella esattoriale, invece, è molto più sintetica nella motivazione. Riporta in modo schematico l’elenco delle somme richieste, gli estremi dell’atto presupposto, la data di esecutività, e l’intimazione a pagare entro 60 giorni dalla notifica. Non spiega il perché del debito, perché quel lavoro è già stato fatto nell’atto che la precede. Se il contribuente non ha mai visto o non ricorda l’atto presupposto, può fare richiesta di accesso agli atti per ottenere una copia.

Un altro aspetto da considerare è la conseguenza della mancata azione da parte del contribuente. L’avviso di accertamento non comporta immediatamente azioni esecutive: lascia un tempo di 60 giorni per presentare ricorso. Se non si impugna nei termini, l’avviso diventa definitivo e può trasformarsi in un titolo per la riscossione. La cartella esattoriale, invece, è già un titolo esecutivo: se non si paga entro i 60 giorni, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere con pignoramenti, fermi amministrativi e ipoteche, senza bisogno di ulteriori autorizzazioni.

Oggi, in alcuni casi, l’avviso di accertamento può avere anche valore esecutivo. Se contiene l’intimazione a pagare entro 60 giorni, e se dopo quel termine non è stato presentato ricorso, l’Agenzia delle Entrate può attivare direttamente la riscossione, senza passare per la cartella. In questi casi, l’avviso e la cartella si fondono in un unico atto, ma la natura originaria dell’atto resta riconoscibile, soprattutto leggendo attentamente l’intestazione e le informazioni riportate.

Anche il tipo di linguaggio e struttura dell’atto aiuta a distinguerli. L’avviso di accertamento ha un impianto discorsivo, spesso articolato, che include motivazioni giuridiche, riferimenti normativi e calcoli. La cartella è più burocratica, con una struttura tabellare e un linguaggio più secco. Anche il codice dell’atto e il numero di protocollo possono aiutare a riconoscere l’origine: ogni atto ha un codice identificativo che può essere decifrato con l’aiuto di un professionista.

Infine, è utile ricordare che il contribuente ha sempre diritto a farsi assistere da un professionista per analizzare il contenuto dell’atto. Se si hanno dubbi su quale tipo di documento si è ricevuto, o su come comportarsi, rivolgersi a un avvocato tributarista o a un commercialista può evitare errori irreparabili. Il mancato rispetto dei termini o l’inattività possono portare a conseguenze gravi, come l’avvio delle procedure esecutive o la decadenza dal diritto di impugnazione.

In conclusione, riconoscere se si ha di fronte un avviso di accertamento o una cartella esattoriale è un passaggio cruciale per decidere cosa fare. Controllare il mittente, leggere attentamente l’intestazione, verificare la presenza dell’intimazione al pagamento, osservare la struttura dell’atto e analizzarne il contenuto permette di capire in quale fase ci si trova del procedimento tributario. Agire tempestivamente, con consapevolezza e con il supporto di un esperto, è la chiave per tutelare i propri diritti e gestire al meglio il proprio rapporto con il fisco. In un sistema fiscale complesso come quello italiano, la conoscenza degli strumenti è il primo vero strumento di difesa.

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La consulenza fisica, a differenza di quella digitale, viene organizzata a partire da due settimane dal primo contatto.

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