Quando si parla di accertamento fiscale, spesso si immagina qualcosa di oscuro e complicato, una procedura che riguarda solo chi ha commesso un errore grave o chi è sotto la lente d’ingrandimento del fisco per sospetti gravi. In realtà, l’accertamento fiscale è uno strumento ordinario con cui l’Agenzia delle Entrate controlla che i contribuenti – siano essi cittadini, lavoratori autonomi, professionisti o imprese – abbiano rispettato correttamente gli obblighi fiscali. Si tratta di una procedura prevista dalla legge e ben regolata, con fasi precise e diritti ben definiti per il contribuente.
Il fisco, cioè l’Agenzia delle Entrate, ha il compito di verificare che le dichiarazioni dei redditi, dell’IVA o di altri tributi siano corrette e che quanto dovuto allo Stato sia stato effettivamente versato. Questo significa che non si parla necessariamente di evasione fiscale o di comportamenti fraudolenti. L’accertamento può scattare anche per semplici errori materiali, omissioni involontarie o discordanze tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli in possesso dell’Agenzia delle Entrate.
Ogni anno, milioni di contribuenti presentano dichiarazioni fiscali: la mole di dati è enorme, e il controllo non può avvenire in modo sistematico per tutti. Per questo, l’Agenzia delle Entrate utilizza strumenti informatici e incrocia banche dati per individuare le posizioni che meritano approfondimenti. Quando emergono delle anomalie, può partire la procedura di accertamento. Si tratta, quindi, di un processo che si basa su logiche selettive, ma che deve sempre rispettare regole chiare e trasparenti.
È importante sapere che esistono diverse tipologie di accertamento, e ognuna di esse prevede tempi e modalità differenti. Ma tutte hanno un punto in comune: mirano a stabilire con precisione se il contribuente ha dichiarato correttamente i propri redditi e ha versato le imposte dovute. Questo accertamento può riguardare sia le imposte dirette (come l’IRPEF o l’IRES), sia l’IVA, l’imposta di registro, o altri tributi.
Il contribuente non è un soggetto passivo e inerme in questa procedura: ha diritti ben precisi, può presentare chiarimenti, fornire documenti, chiedere il contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, e – se necessario – impugnare l’atto di accertamento davanti a un giudice tributario. Questi diritti sono fondamentali perché servono a garantire un equilibrio tra il potere dello Stato di riscuotere le imposte e la tutela del cittadino.
Il primo elemento da comprendere è che l’accertamento fiscale non nasce dal nulla. Prima di arrivare a un accertamento vero e proprio, spesso ci sono segnali o avvisi che permettono al contribuente di comprendere che l’Agenzia delle Entrate sta approfondendo la sua posizione. A volte si ricevono lettere di compliance, cioè comunicazioni che indicano delle incongruenze nei dati dichiarati e invitano il contribuente a fornire chiarimenti o correggere spontaneamente eventuali errori. Questo è un momento importante, perché consente di rimediare senza incorrere in sanzioni gravi, approfittando degli strumenti di ravvedimento operoso.
Se le irregolarità non vengono sanate o i chiarimenti non convincono l’Agenzia delle Entrate, allora si passa alla fase vera e propria dell’accertamento fiscale. Anche in questo caso, non si tratta di una sorpresa improvvisa. In molte situazioni, prima dell’atto definitivo, il contribuente riceve un avviso di accertamento con adesione, cioè una proposta da parte del fisco di definire la controversia in modo agevolato, con la possibilità di ridurre le sanzioni e chiudere la questione senza dover arrivare al contenzioso.
L’accertamento fiscale ha tempi precisi e non può avvenire in modo arbitrario. La legge stabilisce dei termini entro i quali l’Agenzia delle Entrate può emettere un atto di accertamento: per esempio, per le imposte sui redditi, il termine ordinario è il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Se la dichiarazione non è stata presentata, il termine si allunga. Questo significa che non si può essere controllati “a vita” per un errore o una dimenticanza: ci sono limiti chiari, che servono a garantire certezza e stabilità nei rapporti tra contribuente e amministrazione.
È anche utile sapere che l’accertamento può basarsi su documenti, su dati bancari, su segnalazioni ricevute, ma anche su verifiche e ispezioni svolte direttamente presso la sede del contribuente o nei locali dell’impresa. In questi casi si parla di accessi, ispezioni e verifiche fiscali, che devono essere autorizzate e rispettare una serie di regole procedurali, come la presenza di un verbale, la possibilità di farsi assistere da un professionista, e il diritto al contraddittorio.
Durante tutte le fasi dell’accertamento, il contribuente ha diritto a conoscere gli atti, a presentare osservazioni, a chiedere il riesame della propria posizione, e a farsi rappresentare da un commercialista o da un avvocato tributarista. Questi strumenti sono fondamentali per evitare errori o valutazioni affrettate da parte dell’amministrazione finanziaria e per far valere le proprie ragioni.
Un altro aspetto importante riguarda le sanzioni. Quando si riceve un avviso di accertamento, le somme richieste non sono soltanto le imposte dovute, ma anche gli interessi e le sanzioni. Tuttavia, la normativa prevede vari strumenti per ridurre queste sanzioni, soprattutto se si accetta l’accertamento in tempi brevi o si aderisce a forme di definizione agevolata.
Il pagamento delle somme può avvenire anche a rate, in determinati casi, per evitare che l’impatto economico dell’accertamento sia eccessivo. E se il contribuente ritiene che l’accertamento sia infondato, può impugnarlo entro 60 giorni dalla notifica, presentando ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria. Anche in questa fase, il contribuente non è solo: può farsi assistere da un professionista, presentare prove, chiedere la sospensione dell’atto e ottenere, se ha ragione, l’annullamento totale o parziale delle somme richieste.
L’accertamento fiscale, quindi, non deve essere visto come una condanna automatica, ma come un procedimento che può essere affrontato con consapevolezza e con gli strumenti giusti. In molti casi, grazie a una buona consulenza, è possibile evitare che il procedimento degeneri in un contenzioso lungo e costoso, risolvendo tutto in modo più semplice e meno gravoso.
È anche vero che l’evoluzione tecnologica ha reso più efficiente e capillare l’azione dell’Agenzia delle Entrate. Oggi i controlli sono sempre più automatizzati e basati sull’incrocio di dati: dichiarazioni, movimenti bancari, fatture elettroniche, spese detraibili, registrazioni immobiliari, dati provenienti da altre pubbliche amministrazioni. Questo ha aumentato la capacità del fisco di individuare rapidamente le anomalie e di attivare controlli mirati. Ma allo stesso tempo, ha aumentato anche la possibilità di errori, interpretazioni sbagliate o disallineamenti che possono essere chiariti se affrontati per tempo.
Per questo è fondamentale prestare attenzione non solo al momento in cui si riceve un atto di accertamento, ma anche alla fase precedente, quella della dichiarazione dei redditi e della tenuta della documentazione fiscale. Conservare con cura i documenti, rivolgersi a professionisti affidabili, e monitorare eventuali comunicazioni ricevute dall’Agenzia delle Entrate può fare la differenza tra una situazione facilmente risolvibile e una vertenza complicata.
In sintesi, l’accertamento fiscale è un controllo legittimo e previsto dalla legge, ma non è un processo punitivo né ineluttabile. È una procedura che si articola in più fasi, in cui il contribuente ha diritto di parola e di difesa. Conoscere queste fasi è essenziale per evitare sorprese, per tutelarsi in modo corretto e per affrontare con maggiore serenità eventuali comunicazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Ma andiamo ad approfondire con Studio Monardo, i legali specializzati nel difenderti dagli accertamenti fiscali.
Quali Sono Le Fasi Dell’Accertamento Fiscale Tutto Dettagliato:
L’accertamento fiscale è il processo attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate, o altri enti fiscali, verificano la correttezza delle dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente. Se viene rilevato che ci sono stati errori o irregolarità nelle dichiarazioni, l’agenzia procede con l’accertamento per determinare l’importo effettivamente dovuto dal contribuente. Il processo di accertamento fiscale è complesso e comporta diverse fasi, che vanno dalla verifica delle dichiarazioni alla possibile sanzione o recupero coattivo delle somme dovute.
In questo articolo, esploreremo in dettaglio le fasi dell’accertamento fiscale, dalla sua avvio fino alle eventuali azioni legali che il contribuente può intraprendere per difendersi.
1. Cos’è un Accertamento Fiscale?
Un accertamento fiscale è una procedura con cui l’Agenzia delle Entrate verifica che il contribuente abbia correttamente dichiarato e versato le imposte. L’accertamento può avvenire a seguito di:
- Controlli sulle dichiarazioni presentate dal contribuente (modelli 730, Unico, IVA, ecc.).
- Incongruenze o anomalie tra i dati dichiarati e quelli risultanti dalle fonti esterne (come movimenti bancari, transazioni immobiliari, ecc.).
- Segnalazioni di evasione fiscale o di pratiche fiscali sospette.
Nel caso in cui vengano riscontrate irregolarità o errori, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento, che specifica le imposte dovute, le sanzioni e gli interessi.
2. Le Fasi dell’Accertamento Fiscale
Il processo di accertamento fiscale si sviluppa in diverse fasi. Vediamole in dettaglio.
1. Fase Preliminare: Il Controllo delle Dichiarazioni Fiscali
La fase iniziale dell’accertamento fiscale riguarda il controllo delle dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente. Quando il contribuente invia una dichiarazione fiscale (ad esempio, il modello 730 o Unico), l’Agenzia delle Entrate può avviare un controllo formale per verificare che i dati riportati siano corretti e completi.
Questo controllo include:
- Verifica dei redditi dichiarati: Si verifica che i redditi dichiarati siano congruenti con altre informazioni disponibili (come le comunicazioni di lavoro o i movimenti bancari).
- Controllo delle detrazioni e deduzioni: Le detrazioni o le deduzioni richieste dal contribuente vengono esaminate per accertare che siano giustificate.
Se non vengono riscontrate irregolarità, il processo di accertamento si conclude in questa fase, e il contribuente non riceve alcun avviso. Se invece emergono discrepanze, si passa alla fase successiva.
2. Fase di Comunicazione dell’Accertamento
Se l’Agenzia delle Entrate rileva delle irregolarità o delle differenze nei redditi dichiarati, invia al contribuente un avviso di accertamento. Questo avviso notifica al contribuente che sono stati riscontrati dei problemi nelle sue dichiarazioni fiscali, e che l’importo dovuto deve essere rettificato.
L’avviso di accertamento contiene:
- L’importo delle imposte dovute: Viene indicato l’importo che il contribuente deve versare, comprensivo di eventuali sanzioni e interessi di mora.
- Le ragioni dell’accertamento: L’Agenzia delle Entrate specifica le ragioni per cui è stato effettuato l’accertamento, come la sotto-dichiarazione dei redditi o l’errata applicazione delle deduzioni.
- I termini per il pagamento: L’avviso stabilisce una scadenza entro cui il contribuente deve saldare l’importo dovuto o contestare l’accertamento.
Il contribuente ha un periodo di tempo per controllare e rispondere all’avviso. Se non ritiene giusta l’operazione dell’Agenzia delle Entrate, può contestare l’accertamento. In genere, il termine per la contestazione è di 60 giorni.
3. Fase di Contestazione e Difesa
Se il contribuente ritiene che l’accertamento sia errato o che l’importo dovuto sia stato calcolato in modo errato, può decidere di contestare l’avviso di accertamento. In questa fase, il contribuente ha diverse opzioni per difendersi:
- Presentare un’istanza di riesame: Se si ritiene che ci siano errori materiali o di calcolo nell’accertamento, il contribuente può chiedere una rettifica all’Agenzia delle Entrate. In alcuni casi, l’ente può correggere l’accertamento in base alle evidenze fornite.
- Ricorso alla Commissione Tributaria: Se il riesame non porta a una soluzione favorevole, il contribuente può fare ricorso alla Commissione Tributaria. Il ricorso deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento. La Commissione esaminerà il caso e, se necessario, annullerà, modificherà o confermerà l’accertamento.
4. Fase di Sanzioni e Interessi
Se l’Agenzia delle Entrate ritiene che il contribuente abbia evaso le imposte, oltre a dover saldare il debito, il contribuente può essere soggetto a sanzioni e interessi di mora.
- Sanzioni: Se l’accertamento fiscale riguarda un importo non dichiarato o sottostimato, l’Agenzia applica delle sanzioni che variano in base alla gravità della violazione. Le sanzioni per infedele dichiarazione possono variare dal 100% al 200% dell’imposta evasa.
- Interessi di mora: Oltre alle sanzioni, l’Agenzia delle Entrate applica interessi di mora calcolati sull’importo non versato. Questi interessi sono definiti in base al tasso legale e vengono applicati dal giorno in cui il pagamento sarebbe dovuto.
5. Fase di Recupero Coattivo
Se il contribuente non paga l’importo dovuto nemmeno dopo l’emissione dell’avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate avvia la fase di recupero coattivo. In questa fase, l’ente fiscale può prendere misure per recuperare il debito, come:
- Pignoramento dei beni: L’Agenzia delle Entrate può avviare il pignoramento di beni del contribuente, come conti bancari, stipendi o immobili.
- Riscossione coattiva: Se il debito non viene saldato, l’Agenzia può procedere con la riscossione forzata tramite l’intervento dell’ufficiale giudiziario che esegue il pignoramento.
- Sospensione di attività economiche: In alcuni casi, se il contribuente è un’azienda, l’Agenzia delle Entrate può sospendere l’attività commerciale.
6. Fase di Transazione Fiscale (Accordo con l’Agenzia delle Entrate)
In alcuni casi, è possibile raggiungere un accordo con l’Agenzia delle Entrate tramite una transazione fiscale. Questo permette al contribuente di ridurre l’importo da pagare, in cambio di un pagamento immediato o dilazionato. La definizione agevolata o saldo e stralcio sono opzioni che possono essere offerte per evitare il pignoramento e concludere la questione in modo più rapido.
3. Tabella Riepilogativa delle Fasi dell’Accertamento Fiscale
Fase | Descrizione |
---|---|
Controllo delle dichiarazioni | Verifica formale delle dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente. |
Emissione dell’avviso di accertamento | Se vengono riscontrate irregolarità, l’Agenzia invia un avviso con l’importo dovuto, le sanzioni e gli interessi. |
Contestazione e difesa | Il contribuente può chiedere un riesame o fare ricorso alla Commissione Tributaria se non è d’accordo con l’accertamento. |
Sanzioni e interessi | In caso di violazione, vengono applicate sanzioni pecuniarie e interessi di mora sull’importo non pagato. |
Recupero coattivo | Se il debito non viene pagato, l’Agenzia avvia il pignoramento e la riscossione forzata dei beni. |
Transazione fiscale | Il contribuente può cercare di risolvere la questione tramite un accordo con l’Agenzia delle Entrate, come il saldo e stralcio. |
4. Conclusioni
L’accertamento fiscale è una procedura complessa che può comportare gravi conseguenze se non gestita correttamente. Le fasi dell’accertamento fiscale vanno dal controllo iniziale delle dichiarazioni, all’emissione dell’avviso di accertamento, fino alla possibilità di contestazione, ricorso, e nel caso di mancato pagamento, l’avvio della riscossione coattiva. È fondamentale che i contribuenti rispondano prontamente agli avvisi e considerino le opzioni di difesa, come il ricorso, per evitare sanzioni pesanti o il pignoramento dei beni.
Che cosa succede se ricevo una comunicazione di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate?
Ricevere una comunicazione di irregolarità da parte dell’Agenzia delle Entrate può generare una certa apprensione, soprattutto per chi non è abituato a confrontarsi con il linguaggio tecnico e burocratico del fisco. Tuttavia, è importante comprendere che una comunicazione di irregolarità non equivale a un’accusa di evasione fiscale o a un atto di accertamento formale, ma è piuttosto un invito al contribuente a chiarire la propria posizione in modo collaborativo e trasparente.
Questa comunicazione si inserisce nel cosiddetto processo di “compliance fiscale”, ovvero quel sistema di controlli preventivi con cui l’Agenzia delle Entrate cerca di favorire la correttezza dei rapporti tra contribuente e fisco, evitando il contenzioso. In altre parole, è un’opportunità per correggere eventuali errori, omissioni o disallineamenti tra quanto dichiarato e quanto risulta nei database dell’amministrazione finanziaria.
La comunicazione di irregolarità viene generalmente inviata dopo un controllo automatizzato o formale della dichiarazione dei redditi o dell’IVA, e contiene l’indicazione delle presunte anomalie riscontrate. Si tratta spesso di discordanze tra i dati dichiarati dal contribuente e quelli presenti in altre banche dati, come ad esempio le certificazioni dei redditi (CU), le fatture elettroniche, le comunicazioni bancarie, o le detrazioni per spese sanitarie o scolastiche.
Una volta ricevuta la comunicazione, è fondamentale non ignorarla. La prima cosa da fare è leggerla con attenzione e verificare se le irregolarità segnalate corrispondono effettivamente a un errore commesso. Talvolta si tratta di dimenticanze nella compilazione della dichiarazione, altre volte di errori di trascrizione, o ancora di mancata trasmissione di documenti da parte di soggetti terzi, come il datore di lavoro o la banca.
In caso di dubbio, è sempre consigliabile rivolgersi a un professionista – commercialista, consulente fiscale, CAF o avvocato tributarista – per analizzare nel dettaglio il contenuto della comunicazione e valutare la strategia più opportuna. Affrontare il problema in modo tempestivo e consapevole può fare una grande differenza, sia in termini economici che procedurali.
Se si riconosce che l’errore è effettivamente avvenuto, si può procedere al pagamento delle somme richieste entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione. Questo pagamento, che comprende l’imposta dovuta, gli interessi e una sanzione ridotta, permette di chiudere la questione senza ulteriori conseguenze. La sanzione, in questo caso, è pari al 10% dell’importo non versato, molto più bassa rispetto a quella che verrebbe applicata in caso di accertamento successivo, che può arrivare anche al 30% o più.
Il pagamento può essere effettuato in un’unica soluzione o, in alternativa, a rate, a condizione che la prima rata venga versata entro il termine previsto. La possibilità di rateizzazione rappresenta un’importante tutela per il contribuente, che può così gestire l’onere economico in maniera più sostenibile.
Nel caso in cui il contribuente ritenga che la comunicazione sia infondata o che ci siano elementi per contestare le irregolarità indicate, è possibile fornire spiegazioni e documentazione integrativa all’Agenzia delle Entrate. Questo può avvenire tramite il canale telematico del cassetto fiscale o recandosi fisicamente presso un ufficio dell’Agenzia, previo appuntamento. La fase del contraddittorio è un momento essenziale del procedimento: permette di chiarire la propria posizione e, se le spiegazioni sono ritenute valide, la comunicazione può essere annullata, senza alcun pagamento.
Ignorare la comunicazione è l’errore più grave che si possa commettere. Se entro il termine di 30 giorni non viene effettuato il pagamento, né fornita una risposta, l’Agenzia delle Entrate procederà a emettere un “avviso di accertamento”, che comporta sanzioni più elevate e può innescare un contenzioso tributario vero e proprio. A questo punto, le possibilità di definizione agevolata diminuiscono sensibilmente, e si rischia di dover affrontare un procedimento più lungo, costoso e complesso.
In alcuni casi, la comunicazione di irregolarità può derivare da un controllo formale, ossia da una verifica più approfondita dei documenti trasmessi a supporto della dichiarazione. In questo contesto, l’Agenzia può richiedere al contribuente l’invio di ulteriori documenti per giustificare deduzioni, detrazioni o crediti d’imposta. Anche in questo caso, la collaborazione è fondamentale: fornire rapidamente la documentazione richiesta consente di evitare lo sviluppo di una procedura più gravosa.
La normativa fiscale italiana, negli ultimi anni, ha puntato molto sulla prevenzione e sulla risoluzione anticipata delle irregolarità, prevedendo strumenti che premiano il contribuente che si dimostra collaborativo. Le comunicazioni di irregolarità rientrano in questa logica: non sono punitive, ma preventive. Si cerca di ridurre il ricorso all’accertamento e di favorire la regolarizzazione spontanea delle posizioni fiscali.
È importante ricordare che la ricezione della comunicazione non comporta alcuna iscrizione a ruolo, pignoramento o blocco dei conti correnti. Si tratta esclusivamente di un passaggio interlocutorio. Solo in caso di mancata risposta o pagamento, l’Agenzia può procedere con azioni più incisive, che però sono sempre precedute da ulteriori comunicazioni formali.
Anche dal punto di vista del profilo fiscale del contribuente, è preferibile chiudere la questione in fase di comunicazione, senza arrivare all’accertamento. Un avviso di accertamento può incidere negativamente sull’affidabilità fiscale del soggetto, soprattutto per imprese e professionisti che operano con la pubblica amministrazione o partecipano a bandi e gare. Mantenere un profilo fiscale regolare e collaborativo può rappresentare un valore aggiunto anche in termini di reputazione.
In conclusione, ricevere una comunicazione di irregolarità non è motivo di panico, ma deve essere considerato un momento di verifica e di possibile dialogo con l’amministrazione finanziaria. Comprendere il contenuto della comunicazione, valutare correttamente le irregolarità contestate, agire nei tempi previsti e con l’assistenza di un professionista, rappresentano le chiavi per affrontare con serenità e consapevolezza questo passaggio. Il sistema fiscale, per quanto complesso, offre al contribuente strumenti e occasioni per regolarizzare la propria posizione senza dover affrontare le conseguenze più gravi del contenzioso.
La trasparenza, la tempestività e la collaborazione restano le armi più efficaci per chi vuole mettersi in regola e risolvere eventuali problemi con il fisco senza complicazioni.
È possibile risolvere un accertamento senza arrivare in tribunale?
Nel panorama fiscale italiano, l’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate rappresenta una delle fasi più delicate nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria. Tuttavia, è importante sapere che esistono strumenti e procedure che permettono di chiudere una vertenza fiscale senza dover arrivare davanti a un giudice tributario, evitando così tempi lunghi, costi elevati e incertezze legali. La risoluzione extragiudiziale di un accertamento è non solo possibile, ma spesso auspicabile, sia per il contribuente che per l’amministrazione stessa.
Quando un contribuente riceve un avviso di accertamento, o anche solo una comunicazione preliminare, la legge prevede diverse forme di definizione agevolata, che consentono di sanare la propria posizione versando quanto dovuto con sconti sulle sanzioni e, in alcuni casi, anche sugli interessi. Questi strumenti sono stati potenziati nel corso degli anni proprio per favorire la compliance e ridurre il contenzioso, che rappresenta un onere rilevante per la giustizia tributaria.
Una delle modalità più comuni per risolvere l’accertamento senza andare in giudizio è l’accertamento con adesione. Si tratta di una procedura prevista dal decreto legislativo 218/1997, che permette al contribuente e all’Agenzia delle Entrate di trovare un accordo sulla base imponibile e sulle imposte dovute. Il vantaggio principale è la riduzione delle sanzioni a un terzo del minimo previsto dalla legge, oltre alla possibilità di pagare a rate.
L’accertamento con adesione può essere avviato su iniziativa dell’ufficio oppure su richiesta del contribuente, anche dopo la notifica di un avviso di accertamento, purché entro i termini previsti. Una volta avviato il procedimento, si apre una fase di confronto, detta “contraddittorio”, in cui le parti analizzano le contestazioni, esaminano la documentazione e cercano una soluzione condivisa. Questo dialogo è fondamentale per chiarire eventuali dubbi, rettificare errori e giungere a una definizione equa e condivisa.
Al termine di questa fase, se si raggiunge un accordo, viene redatto un atto di adesione, che ha valore di legge. Il contribuente può pagare l’importo stabilito in un’unica soluzione o in un massimo di otto rate trimestrali (sedici se l’importo supera i 50.000 euro), godendo comunque della riduzione delle sanzioni. L’adesione chiude definitivamente la questione, impedendo ogni ulteriore contestazione sull’annualità fiscale oggetto di accertamento.
Un altro strumento importante è la conciliazione giudiziale, che interviene quando il contribuente ha già presentato ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria. In questo caso, anche se la controversia è formalmente già in corso, è ancora possibile chiuderla in via amichevole prima della sentenza. La conciliazione può essere proposta dalle parti fino all’udienza di trattazione e consente di ridurre ulteriormente le sanzioni, anche fino al 40% o al 50%. Questo strumento evita la prosecuzione del contenzioso e consente una definizione rapida e meno onerosa della controversia.
Esiste poi l’istituto del ravvedimento operoso, che consente di regolarizzare spontaneamente la propria posizione prima che l’amministrazione avvii un accertamento formale. Il ravvedimento permette di versare le imposte dovute con una sanzione ridotta, proporzionale al ritardo con cui si effettua il pagamento. Si tratta di uno strumento preventivo ma estremamente utile, che spesso può evitare del tutto l’avvio di una procedura di accertamento.
A queste opzioni si aggiungono, periodicamente, le cosiddette “definizioni agevolate straordinarie”, introdotte da leggi finanziarie o decreti legge in particolari momenti storici. Si tratta di condoni o rottamazioni che, pur essendo eccezionali, hanno rappresentato per molti contribuenti una via d’uscita da situazioni complesse. Quando queste misure sono in vigore, è possibile chiudere i debiti fiscali con pagamento parziale delle somme dovute e abbattimento consistente delle sanzioni e degli interessi.
È utile ricordare che la risoluzione extragiudiziale è vantaggiosa anche per l’Agenzia delle Entrate, che preferisce chiudere le controversie con accordi piuttosto che affrontare lunghi e incerti contenziosi. Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, l’amministrazione è disposta a trattare e valutare con attenzione le proposte del contribuente.
Per affrontare correttamente un accertamento e cercare di risolverlo senza arrivare in tribunale, è fondamentale affidarsi a un professionista esperto, in grado di valutare i margini di trattativa e di assistere il contribuente nella fase del contraddittorio. La presenza di un avvocato tributarista o di un commercialista può fare la differenza nel raggiungimento di un accordo favorevole e nella corretta gestione dei termini procedurali.
È importante anche non perdere di vista i termini. Ogni procedura ha delle scadenze precise e il mancato rispetto di queste può precludere l’accesso a strumenti agevolativi. Per esempio, la richiesta di adesione deve essere presentata entro 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, e il ravvedimento operoso è possibile solo fino a quando l’amministrazione non avvia formalmente l’accertamento o la contestazione.
La possibilità di evitare il tribunale non riguarda solo gli importi rilevanti. Anche per le piccole contestazioni, gli strumenti extragiudiziali permettono di risolvere la questione con risparmio di tempo e denaro. Non è raro che accertamenti da poche migliaia di euro vengano definiti con successo grazie a un’adesione o a un ravvedimento ben gestito.
Infine, è importante sottolineare che risolvere un accertamento senza andare in giudizio non significa accettare passivamente le richieste del fisco, ma piuttosto valutare con intelligenza e realismo la propria posizione e scegliere la strada più vantaggiosa. In molti casi, infatti, il contribuente riesce a far valere le proprie ragioni durante il contraddittorio, ottenendo una riduzione significativa delle somme contestate o una diversa valutazione dei fatti.
In sintesi, la giustizia tributaria italiana offre al contribuente diversi strumenti per risolvere una vertenza fiscale senza dover ricorrere al tribunale, privilegiando la collaborazione, la trasparenza e il buon senso. Conoscere questi strumenti e sapere come utilizzarli rappresenta un vantaggio concreto per chiunque voglia affrontare un accertamento con lucidità e consapevolezza, trasformando un momento di difficoltà in un’opportunità per regolarizzare la propria posizione e tornare a operare serenamente.
In quali casi l’Agenzia delle Entrate può effettuare accessi e verifiche presso la sede del contribuente?
L’Agenzia delle Entrate ha il potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente quando vi sono elementi che giustificano la necessità di un controllo diretto e approfondito. Questi interventi, previsti dalla normativa fiscale, sono strumenti che l’amministrazione finanziaria utilizza per accertare la veridicità delle dichiarazioni fiscali e il corretto adempimento degli obblighi tributari da parte dei cittadini, dei professionisti e delle imprese. Non si tratta di azioni arbitrarie o casuali, ma di attività regolamentate e soggette a garanzie precise.
L’accesso presso la sede del contribuente è un’attività ispettiva che consente ai funzionari del fisco di recarsi direttamente nei luoghi in cui viene svolta l’attività economica, commerciale o professionale, al fine di acquisire documentazione, esaminare libri contabili, rilevare elementi di fatto, osservare l’organizzazione aziendale e verificare la corrispondenza tra quanto dichiarato e la realtà operativa. Queste operazioni possono avvenire anche presso il domicilio fiscale del contribuente, nel caso di lavoratori autonomi o professionisti che svolgono l’attività in casa.
L’accesso può essere disposto quando vi sono fondati sospetti di irregolarità, evasione o elusione fiscale, oppure quando emergono anomalie nei dati dichiarati, discordanze tra le fatture emesse e i corrispettivi incassati, discrepanze nei versamenti dell’IVA o negli obblighi contributivi. Può anche essere attivato a seguito di segnalazioni da parte di altri enti, denunce, esposti o controlli incrociati con altre banche dati pubbliche. Tuttavia, non è necessario che vi sia una prova certa: è sufficiente che esistano elementi oggettivi che rendano giustificata l’indagine.
Le ispezioni possono riguardare diverse tipologie di contribuenti, ma sono più frequenti nei confronti di imprese, artigiani, commercianti, liberi professionisti e soggetti con partita IVA, soprattutto se operano in settori considerati a rischio elevato di evasione, come la ristorazione, l’edilizia, i servizi alla persona, il commercio al dettaglio, il turismo. Anche i contribuenti che dichiarano redditi molto bassi a fronte di uno stile di vita elevato possono essere oggetto di attenzione da parte del fisco.
L’attività ispettiva deve essere autorizzata da un dirigente dell’Agenzia delle Entrate e può essere svolta solo da funzionari appositamente incaricati, che devono esibire un tesserino di riconoscimento e il provvedimento di autorizzazione. Gli accessi possono avvenire durante l’orario di lavoro e devono essere condotti nel rispetto della privacy e della dignità del contribuente. Quando si tratta di accedere in locali adibiti anche ad abitazione, è necessaria l’autorizzazione del giudice, in mancanza della quale l’accesso non può avvenire.
Durante la verifica, i funzionari possono acquisire documenti, estrarre copie, esaminare registri, interrogare il contribuente e i suoi collaboratori, acquisire informazioni verbali, effettuare controlli materiali e inventari. Ogni operazione deve essere verbalizzata e il contribuente ha diritto a ricevere copia dei verbali e a farsi assistere da un professionista, come un commercialista o un avvocato tributarista. Questo diritto di assistenza è fondamentale per garantire equilibrio tra il potere dell’amministrazione e la tutela del cittadino.
L’accesso e la verifica non sono necessariamente sintomo di irregolarità. In molti casi si tratta di controlli di routine o di verifiche a campione, finalizzate a migliorare la compliance fiscale e ad accertare il corretto adempimento degli obblighi tributari. Tuttavia, se nel corso dell’accesso emergono elementi di rilievo, il controllo può sfociare in un processo di accertamento vero e proprio, con conseguente notifica di un avviso e avvio di una procedura sanzionatoria o di recupero del credito erariale.
Il contribuente ha il diritto di presentare osservazioni e chiarimenti, anche successivamente alla verifica, fornendo documentazione integrativa e spiegazioni che possano giustificare eventuali anomalie rilevate. Questo momento è cruciale, poiché consente di evitare conseguenze più gravi e, in molti casi, di chiudere la verifica in modo favorevole, dimostrando la correttezza della propria posizione fiscale.
In alcuni casi, l’Agenzia delle Entrate può agire congiuntamente alla Guardia di Finanza, soprattutto quando vi siano indagini di particolare complessità o rilevanza. La Guardia di Finanza ha compiti di polizia tributaria e giudiziaria, e può intervenire anche con strumenti investigativi più penetranti, come le intercettazioni, il sequestro di documenti o l’acquisizione di dati da sistemi informatici. Anche in questi casi, il rispetto delle garanzie procedurali è essenziale e ogni abuso può essere oggetto di ricorso.
Dopo l’accesso e la conclusione delle operazioni ispettive, viene redatto un verbale di constatazione, che riassume tutte le attività svolte e gli elementi raccolti. Il contribuente ha diritto a riceverne copia e a presentare memorie difensive entro 60 giorni. Solo dopo questo termine l’Agenzia delle Entrate può emettere l’eventuale avviso di accertamento. Questo lasso di tempo rappresenta una finestra fondamentale per far valere le proprie ragioni.
La legge prevede che ogni accesso debba essere ispirato ai principi di proporzionalità, trasparenza e correttezza, e che il contribuente debba essere messo nelle condizioni di comprendere le motivazioni del controllo e di partecipare attivamente alla verifica. L’uso di strumenti tecnologici, come la fatturazione elettronica, il cassetto fiscale e le comunicazioni telematiche, ha reso più rapidi ed efficienti questi controlli, ma non ha eliminato la necessità del confronto diretto quando i dati digitali non sono sufficienti.
In conclusione, l’Agenzia delle Entrate può effettuare accessi e verifiche presso la sede del contribuente quando vi siano elementi che giustificano un controllo approfondito e diretto della sua posizione fiscale. Questi interventi, seppur invasivi, sono strumenti leciti e disciplinati dalla legge, finalizzati a garantire l’equilibrio del sistema tributario e a contrastare l’evasione. Per il contribuente, affrontare con preparazione, trasparenza e assistenza professionale queste verifiche rappresenta la strategia migliore per tutelare i propri diritti e risolvere eventuali contestazioni nel modo più sereno e collaborativo possibile.
Quanto tempo ha il Fisco per controllare una dichiarazione dei redditi?
Nel sistema fiscale italiano, uno degli aspetti più importanti da conoscere riguarda i termini entro i quali l’Agenzia delle Entrate può effettuare controlli sulle dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti. Questi termini, stabiliti dalla legge, rappresentano un elemento fondamentale di garanzia per il cittadino, poiché definiscono un limite temporale entro cui l’amministrazione può esercitare il proprio potere di verifica e accertamento. Una volta decorso tale termine, il contribuente non può più essere chiamato a rispondere di eventuali errori o omissioni, salvo nei casi di reati penali o dichiarazioni fraudolente.
Il termine ordinario per il controllo delle dichiarazioni dei redditi è fissato al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione è stata presentata. Questo significa, ad esempio, che una dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2023, presentata nel 2024, potrà essere controllata fino al 31 dicembre del 2029. Trascorso tale termine, salvo eccezioni specifiche, il diritto dell’amministrazione finanziaria di accertare l’imposta decade e non potrà più essere esercitato.
In caso di omessa dichiarazione, cioè quando il contribuente non ha presentato affatto la dichiarazione dei redditi, il termine di accertamento si estende fino al 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Quindi, per restare all’esempio precedente, se un contribuente non presenta la dichiarazione per l’anno 2023, l’Agenzia potrà intervenire fino al 31 dicembre del 2031.
Questi termini sono previsti dall’articolo 43 del DPR 600/1973, per le imposte dirette, e dall’articolo 57 del DPR 633/1972, per quanto riguarda l’IVA. Si tratta di disposizioni fondamentali che servono a garantire certezza nei rapporti tra fisco e contribuente e a evitare un potere di controllo indefinito nel tempo da parte dell’amministrazione. La decadenza dei termini, infatti, tutela il contribuente da verifiche retroattive che potrebbero compromettere la sua sicurezza giuridica e la corretta pianificazione delle attività economiche.
È utile precisare che i termini di accertamento possono essere sospesi o interrotti in determinati casi, ad esempio se il contribuente presenta istanze di autotutela, interpelli, adesioni, oppure in caso di eventi eccezionali come calamità naturali o emergenze sanitarie, che comportano proroghe stabilite per legge. Inoltre, alcune norme straordinarie possono modificare temporaneamente i termini, come accaduto durante la pandemia da Covid-19.
Anche le comunicazioni ricevute dal contribuente, come gli inviti al contraddittorio, le richieste di documentazione o gli inviti a comparire, possono determinare effetti sulla decorrenza o sulla sospensione dei termini di decadenza. Per questo motivo è sempre fondamentale conservare con cura ogni comunicazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate e valutarla attentamente con l’aiuto di un professionista.
Oltre ai termini per l’accertamento, la legge prevede anche tempi specifici per i cosiddetti controlli automatizzati e formali. Il controllo automatizzato consiste nella verifica dei dati indicati nella dichiarazione mediante l’incrocio con le informazioni già in possesso dell’Agenzia delle Entrate, come le certificazioni uniche (CU), i versamenti effettuati, i dati bancari, le spese sanitarie, ecc. Questo controllo avviene nei mesi successivi alla presentazione della dichiarazione e può generare una comunicazione di irregolarità.
Il controllo formale, invece, prevede un’analisi più approfondita dei dati dichiarati, con la possibilità per l’Agenzia di richiedere al contribuente la documentazione a supporto delle deduzioni e detrazioni indicate. Anche in questo caso, l’amministrazione ha tempo fino al termine di decadenza quinquennale per effettuare il controllo e contestare eventuali errori.
Per i sostituti d’imposta, ossia quei soggetti (come i datori di lavoro) che trattengono le imposte per conto del dipendente e le versano all’erario, i termini di controllo seguono le stesse regole previste per i contribuenti ordinari. Anche qui vale la distinzione tra dichiarazione presentata e omessa, con la conseguente differenza tra termine quinquennale e settennale.
È importante sapere che se l’Agenzia delle Entrate invia un atto di accertamento dopo il termine legale, questo atto è nullo per decadenza. Il contribuente, in tal caso, può contestarlo mediante ricorso presso la Corte di Giustizia Tributaria, dimostrando che l’atto è stato notificato oltre il termine previsto dalla legge. In caso di accoglimento del ricorso, l’intero accertamento decade, e non possono essere più richieste le somme contestate.
Per evitare che si verifichi una notifica tardiva, l’Agenzia delle Entrate solitamente intensifica le attività di controllo nell’ultimo anno utile, in prossimità della scadenza del termine. Questo comporta un aumento delle notifiche di accertamento nei mesi finali del quinto anno successivo alla dichiarazione. I contribuenti devono quindi prestare particolare attenzione a eventuali comunicazioni ricevute in quel periodo.
Un altro aspetto da tenere presente riguarda la prova della presentazione della dichiarazione. Per beneficiare del termine quinquennale anziché settennale, il contribuente deve poter dimostrare di aver effettivamente presentato la dichiarazione dei redditi. Questo significa conservare la ricevuta telematica rilasciata dal sistema dell’Agenzia delle Entrate o la ricevuta cartacea rilasciata da un CAF o da un intermediario abilitato. In mancanza di tale prova, l’amministrazione può considerare la dichiarazione come omessa, con conseguente estensione del termine di accertamento.
Nel caso delle dichiarazioni integrative, ossia quelle che rettificano o correggono una dichiarazione già presentata, il termine di accertamento si calcola a partire dalla data di presentazione della dichiarazione originaria, salvo che l’integrazione comporti una variazione in aumento del reddito o dell’IVA. In tal caso, il termine decorre dalla nuova dichiarazione. Questa distinzione è fondamentale per comprendere i margini temporali entro cui può agire il fisco.
In conclusione, l’Agenzia delle Entrate ha cinque anni di tempo per controllare una dichiarazione dei redditi correttamente presentata e sette anni in caso di dichiarazione omessa. Questi termini sono una garanzia per il contribuente, ma richiedono anche attenzione, precisione e consapevolezza. Conservare la documentazione, monitorare le scadenze, gestire correttamente la propria posizione fiscale sono comportamenti essenziali per affrontare con serenità eventuali controlli e per far valere i propri diritti in caso di contestazioni fuori termine. Il tempo, in ambito fiscale, non è solo una variabile, ma una protezione giuridica che va conosciuta e rispettata.
Come posso difendermi da un accertamento fiscale che ritengo ingiusto?
Nel momento in cui un contribuente riceve un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, la sensazione più comune è quella di smarrimento o ingiustizia, soprattutto se ritiene che le contestazioni fiscali siano infondate o frutto di errori. Tuttavia, è importante sapere che il contribuente non è un soggetto passivo ma ha il pieno diritto di difendersi e di far valere le proprie ragioni. L’ordinamento giuridico italiano prevede infatti una serie di strumenti di tutela che permettono di contestare un accertamento ritenuto ingiusto e di ottenere, nei casi dovuti, l’annullamento totale o parziale delle somme richieste.
La prima difesa è la conoscenza: leggere con attenzione l’avviso di accertamento è fondamentale per capire quali sono le contestazioni mosse dall’amministrazione finanziaria, quali importi sono richiesti, su quale base normativa si fondano e quale documentazione è stata presa in considerazione. Ogni accertamento deve contenere l’indicazione chiara e dettagliata dei motivi, degli elementi di prova e dei calcoli effettuati. Se l’atto è generico o lacunoso, può essere impugnato anche per vizi formali.
Il secondo passo è rivolgersi a un professionista qualificato: un avvocato tributarista o un commercialista con esperienza nella materia fiscale può analizzare l’accertamento, confrontarlo con la documentazione contabile e personale del contribuente, e valutare la strategia più opportuna. Agire in modo tempestivo è essenziale, poiché i termini per impugnare un accertamento sono rigidi e perentori. In genere, si hanno 60 giorni di tempo dalla data di notifica per presentare ricorso.
Prima di arrivare al contenzioso vero e proprio, è possibile attivare una fase preliminare di contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, che consente di presentare osservazioni, chiarimenti e documenti integrativi. Questo momento è molto importante, perché consente di risolvere la controversia in modo stragiudiziale, evitando i tempi e i costi del ricorso. Se le spiegazioni fornite dal contribuente vengono accolte, l’atto può essere annullato o modificato.
Un altro strumento utile è l’istanza di autotutela, che consiste nella richiesta formale all’amministrazione di annullare o correggere un atto che presenta errori evidenti, come il doppio conteggio di una stessa imposta, la mancata considerazione di un pagamento già effettuato, o l’errata individuazione del soggetto passivo. L’autotutela può essere attivata anche dopo la scadenza del termine per il ricorso, ma non sospende i termini di pagamento, salvo che l’amministrazione non accolga l’istanza.
Nel caso in cui il contribuente decida di impugnare l’accertamento, il ricorso va presentato alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado, competente per territorio. Il ricorso deve essere redatto in forma scritta, contenere i motivi della contestazione, le prove a sostegno e, preferibilmente, essere accompagnato da un’istanza di sospensione dell’atto, se sussiste un pericolo grave e irreparabile derivante dall’esecuzione immediata dell’accertamento.
Durante il processo tributario, il contribuente ha diritto a far valere ogni elemento a propria difesa: può produrre documenti, presentare memorie, richiedere l’audizione di testimoni, e sostenere le proprie tesi attraverso la rappresentanza del proprio difensore. Il giudice, esaminati gli atti e sentite le parti, decide se accogliere o respingere il ricorso, anche solo parzialmente. Se il contribuente vince la causa, l’accertamento viene annullato e le somme richieste non sono più dovute.
In caso di soccombenza, è possibile ricorrere in appello presso la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado, entro 60 giorni dalla notifica della sentenza. Anche in questa fase è fondamentale il supporto di un professionista, perché le regole processuali diventano più tecniche e stringenti. Dopo l’appello, resta la possibilità di ricorrere in Cassazione, ma solo per motivi di diritto, cioè quando si ritiene che il giudice di merito abbia interpretato in modo errato la legge.
Durante tutto l’iter, il contribuente può chiedere la rateizzazione delle somme eventualmente iscritte a ruolo, oppure cercare una conciliazione con l’Agenzia delle Entrate, che può avvenire anche in sede giudiziale. La conciliazione consente di chiudere la controversia con una riduzione delle sanzioni e un pagamento concordato, evitando l’incertezza della sentenza.
Un’altra forma di difesa è la verifica della legittimità dell’attività dell’amministrazione: se l’accertamento è stato emesso fuori termine, in violazione del diritto al contraddittorio, o senza i requisiti minimi di motivazione, può essere impugnato per vizi di forma e di procedura. La giurisprudenza ha stabilito più volte che la mancanza del contraddittorio, laddove obbligatorio, comporta la nullità dell’atto.
Anche il contenuto dell’accertamento può essere contestato nel merito. Il contribuente può dimostrare che le ricostruzioni dell’Agenzia delle Entrate sono basate su presunzioni errate, su dati incompleti, su interpretazioni arbitrarie o su una valutazione non congrua dei redditi. Ad esempio, in caso di accertamento bancario, il contribuente può spiegare e documentare ogni movimento contestato, dimostrando che si tratta di somme già tassate, di prestiti ricevuti, di rimborsi, o di operazioni non rilevanti fiscalmente.
La difesa da un accertamento ingiusto richiede preparazione, lucidità e tempestività. Non bisogna mai sottovalutare l’importanza della documentazione: conservare le fatture, i contratti, gli estratti conto, le ricevute di pagamento e ogni altro documento fiscale è il primo passo per potersi difendere in modo efficace. Un’accusa, per quanto grave, può essere respinta se il contribuente riesce a dimostrare con chiarezza e coerenza la verità dei fatti.
Inoltre, la normativa tributaria è in continua evoluzione e spesso soggetta a interpretazioni contrastanti. Per questo motivo, anche la giurisprudenza può giocare un ruolo fondamentale: le sentenze precedenti, specie se emesse dalla Corte di Cassazione o da sezioni unite, possono costituire un precedente utile a sostegno della difesa.
In conclusione, difendersi da un accertamento ritenuto ingiusto è non solo possibile, ma doveroso, per tutelare i propri diritti e affermare la legittimità della propria condotta fiscale. Le vie a disposizione sono molteplici, sia in via amministrativa che giudiziale, e tutte richiedono competenza, prontezza e volontà di affrontare il procedimento con rigore e trasparenza. Nessun contribuente deve sentirsi solo o impotente di fronte a una contestazione: la legge, se ben conosciuta e applicata, offre strumenti efficaci per ottenere giustizia e ristabilire la verità dei fatti.
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