Ricevere un’intimazione di pagamento è un evento che può generare molta preoccupazione. Si tratta di un atto con cui un creditore (banca, finanziaria, Agenzia delle Entrate-Riscossione, privato o azienda) intima ufficialmente il pagamento di un debito entro un certo termine. Ma cosa succede se non si paga? Quali sono le conseguenze legali e quali strumenti si possono usare per difendersi?
L’intimazione di pagamento è spesso il primo passo verso un’azione esecutiva, come il pignoramento dello stipendio, del conto corrente o di un immobile. Tuttavia, esistono modi per evitare il peggio, come il saldo e stralcio, l’opposizione o l’accesso a procedure di sovraindebitamento per ridurre o cancellare il debito.
In questo articolo risponderemo alle domande più comuni su cosa succede dopo un’intimazione di pagamento, analizzando le leggi aggiornate fino al 2025, i diritti del debitore e le strategie migliori per proteggere il proprio patrimonio.
Se hai ricevuto un’intimazione di pagamento e vuoi sapere cosa fare per evitare il pignoramento e risolvere il debito nel modo più vantaggioso, continua a leggere.
Ma andiamo ad approfondire con Studio Monardo, gli avvocati esperti in cancellazione debiti con l’Agenzia Entrate Riscossione:
Dopo L’Intimazione Di Pagamento Cosa Succede Nei Dettagli
L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui un creditore, solitamente l’Agenzia delle Entrate-Riscossione o un ente creditore privato, sollecita il pagamento di un debito già oggetto di una cartella esattoriale o di un titolo esecutivo. Ricevere un’intimazione di pagamento significa che il debitore ha un termine per pagare prima che vengano avviate azioni esecutive come pignoramenti o fermi amministrativi.
Dopo la notifica dell’intimazione di pagamento, il debitore ha 5 giorni di tempo per effettuare il pagamento dell’importo richiesto. Se non paga entro questo termine, il creditore può procedere con l’esecuzione forzata senza ulteriori avvisi. Questo può includere il pignoramento di beni mobili, immobili o somme depositate su conti correnti.
Se il debitore ritiene che l’intimazione sia illegittima, può presentare opposizione entro 20 giorni dalla notifica. L’opposizione deve essere motivata da errori nell’importo richiesto, prescrizione del debito o vizi di notifica. L’istanza va presentata presso il giudice competente, che può sospendere l’esecuzione fino alla decisione finale.
Se il pagamento non viene effettuato nei termini e l’opposizione non viene accolta, il creditore può avviare le seguenti azioni esecutive:
- Pignoramento del conto corrente, con blocco delle somme disponibili.
- Pignoramento dello stipendio o della pensione, con trattenuta fino a 1/5 dell’importo netto.
- Pignoramento immobiliare, con successiva vendita all’asta.
- Fermo amministrativo sui veicoli, impedendo l’utilizzo del mezzo.
In alcuni casi, il debitore può richiedere una rateizzazione del debito per evitare l’esecuzione forzata. Le rateizzazioni possono arrivare fino a 120 rate mensili, a seconda dell’importo dovuto e della situazione economica del debitore. Tuttavia, una volta iniziato il pignoramento, il pagamento rateale non è più un’opzione disponibile.
Di seguito una tabella riepilogativa degli effetti dell’intimazione di pagamento:
Fase | Descrizione |
---|---|
Notifica dell’intimazione di pagamento | Il debitore riceve l’atto e ha 5 giorni per pagare. |
Possibilità di opposizione | Il debitore può contestare l’intimazione entro 20 giorni. |
Mancato pagamento | Il creditore avvia l’esecuzione forzata. |
Azioni esecutive possibili | Pignoramento di conti, stipendi, immobili o veicoli. |
Possibilità di rateizzazione | Disponibile solo prima dell’inizio dell’esecuzione. |
Conclusione
L’intimazione di pagamento è l’ultimo avviso prima dell’esecuzione forzata. È fondamentale agire tempestivamente, valutando se pagare, opporsi o richiedere una rateizzazione. Ignorare l’intimazione può portare a conseguenze gravi come il pignoramento di beni e redditi. Se si è in difficoltà, è consigliabile rivolgersi a un avvocato o a un consulente esperto per valutare le opzioni disponibili.
Cos’è un’intimazione di pagamento?
Un’intimazione di pagamento è un atto ufficiale con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione comunica al debitore l’obbligo di saldare un debito entro un termine prestabilito, solitamente 5 giorni dalla notifica. Questo atto rappresenta un avviso formale che precede eventuali azioni esecutive, come il pignoramento di beni, conti correnti o stipendi. L’intimazione di pagamento viene emessa quando il debitore ha già ricevuto una cartella esattoriale ma non ha provveduto a pagare nei tempi previsti.
Questo atto ha una funzione di sollecito e di avvertimento, segnalando al debitore che, se non provvede al pagamento, l’ente di riscossione potrà procedere con misure coercitive. L’intimazione di pagamento riguarda debiti fiscali, contributivi o amministrativi, derivanti da imposte non pagate, multe, tributi locali o contributi previdenziali.
Quando un debitore riceve un’intimazione di pagamento, ha diverse opzioni per risolvere la situazione. Può scegliere di pagare l’intero importo dovuto per evitare conseguenze più gravi, può chiedere una rateizzazione del debito per diluire l’importo in più rate o può contestare l’intimazione se ritiene che vi siano errori o irregolarità nella richiesta di pagamento.
Se il debitore ignora l’intimazione di pagamento e non interviene entro i 5 giorni previsti, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può avviare procedure esecutive senza bisogno di ulteriori avvisi. Tra le misure più comuni ci sono il pignoramento del conto corrente, il fermo amministrativo su veicoli, il pignoramento dello stipendio o della pensione e, nei casi più gravi, l’ipoteca sugli immobili di proprietà del debitore.
L’intimazione di pagamento non è sempre legittima e può essere contestata in tribunale se contiene vizi di forma, se il debito è già prescritto o se vi sono errori nell’importo richiesto. Il debitore può presentare opposizione entro 60 giorni dalla notifica, chiedendo l’annullamento dell’atto e la sospensione delle eventuali azioni esecutive.
Se il debitore non è in grado di pagare il debito richiesto nell’intimazione di pagamento, può valutare soluzioni alternative, come l’accesso alla Legge Salva Debiti. Questa procedura consente di ristrutturare il debito in base alle reali possibilità economiche del debitore e, in alcuni casi, ottenere una riduzione dell’importo o la cancellazione del debito residuo.
Un’intimazione di pagamento è un atto che richiede attenzione immediata, perché rappresenta l’ultimo avviso prima che l’ente di riscossione avvii procedure di recupero forzoso. Ignorarla può portare a conseguenze gravi, mentre affrontarla con una strategia adeguata può permettere di risolvere la situazione senza subire pignoramenti o altre misure esecutive. Verificare la legittimità dell’atto, valutare le possibilità di opposizione o trovare un accordo con l’ente di riscossione sono le mosse più efficaci per gestire un’intimazione di pagamento in modo corretto.
Quanto tempo si ha per pagare dopo un’intimazione di pagamento?
Dopo aver ricevuto un’intimazione di pagamento, il debitore ha generalmente 5 giorni di tempo per saldare il debito prima che l’Agenzia delle Entrate-Riscossione possa avviare procedure esecutive. Questo termine decorre dalla data di notifica dell’atto e rappresenta l’ultima possibilità per evitare il pignoramento di beni, conti correnti, stipendi o altre misure di recupero forzoso.
Se il pagamento non avviene entro i 5 giorni previsti, l’ente di riscossione può procedere senza bisogno di ulteriori avvisi. Tuttavia, l’effettiva esecuzione delle misure coercitive può richiedere tempi variabili in base alla tipologia del debito e alle azioni che il creditore decide di intraprendere. In alcuni casi, il pignoramento può avvenire rapidamente, soprattutto se si tratta di conti correnti o di trattenute sullo stipendio, mentre per il pignoramento di immobili possono trascorrere settimane o mesi prima che la procedura venga completata.
Se il debitore non riesce a pagare l’importo richiesto entro il termine previsto, ha comunque alcune opzioni per evitare il recupero forzoso. Può richiedere una rateizzazione del debito, che blocca immediatamente le azioni esecutive e permette di saldare l’importo in più rate, rendendo il pagamento più sostenibile. La richiesta di rateizzazione deve essere presentata prima che l’ente avvii il pignoramento, altrimenti potrebbe non essere accolta.
In alternativa, se il debitore ritiene che l’intimazione di pagamento sia illegittima o presenti errori, può presentare opposizione entro 60 giorni dalla notifica. L’opposizione può essere motivata da vizi di forma, prescrizione del debito o altre irregolarità nella richiesta di pagamento. Se il ricorso viene accolto, l’intimazione può essere annullata e il debitore non sarà più obbligato a pagare l’importo richiesto.
In casi di grave difficoltà economica, il debitore può valutare soluzioni come l’accesso alla Legge Salva Debiti, che permette di ristrutturare il debito e ottenere un piano di pagamento sostenibile o, nei casi più estremi, la cancellazione del debito residuo attraverso l’esdebitazione.
Ignorare un’intimazione di pagamento è altamente rischioso, perché l’ente di riscossione può agire in tempi molto rapidi per recuperare il credito. Per questo motivo, è fondamentale intervenire immediatamente dopo la notifica, valutando tutte le possibilità di pagamento, rateizzazione o opposizione per evitare conseguenze più gravi come il pignoramento di beni e il blocco delle risorse finanziarie.
Cosa succede se non si paga un’intimazione di pagamento?
Se non si paga un’intimazione di pagamento, il creditore può intraprendere azioni legali più aggressive per recuperare il debito, fino ad arrivare al pignoramento dei beni. L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui il creditore sollecita il debitore a saldare quanto dovuto entro un termine stabilito, solitamente 5 o 10 giorni. Ignorare questa richiesta può avere conseguenze serie, sia dal punto di vista economico che legale.
Se l’intimazione proviene da un privato o da una banca, il passo successivo è solitamente la richiesta di un decreto ingiuntivo, un provvedimento che il creditore può ottenere dal tribunale per esigere il pagamento forzato. Una volta emesso il decreto, il debitore ha 40 giorni per opporsi. Se non lo fa, il titolo diventa esecutivo e il creditore può procedere con il pignoramento.
Se l’intimazione di pagamento riguarda una cartella esattoriale, la mancata risposta entro i termini indicati può portare a un’esecuzione forzata da parte dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione. In questo caso, il debitore rischia il pignoramento del conto corrente, dello stipendio, della pensione o dei beni immobili.
Nel caso di debiti bancari o finanziari, la banca potrebbe segnalare il debitore alla Centrale Rischi e ai Sistemi di Informazione Creditizia (CRIF, Experian, Cerved), compromettendo la possibilità di ottenere prestiti o mutui in futuro. In alcuni casi, il credito può essere ceduto a una società di recupero crediti, che potrebbe intensificare le richieste di pagamento.
Se il debito è particolarmente elevato e il debitore non ha beni sufficienti a coprirlo, si potrebbe arrivare alla liquidazione controllata del patrimonio, una procedura che comporta la vendita dei beni del debitore per soddisfare i creditori. Tuttavia, in presenza di una situazione di sovraindebitamento, è possibile valutare l’accesso alle procedure previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che permettono di ristrutturare o cancellare il debito.
In sintesi, ignorare un’intimazione di pagamento può portare a gravi conseguenze, tra cui il pignoramento dei beni, la segnalazione nelle banche dati dei cattivi pagatori e l’impossibilità di accedere al credito. Per evitare questi rischi, è fondamentale valutare le possibili soluzioni, come una rateizzazione, un saldo e stralcio o l’opposizione legale, a seconda del tipo di debito e delle proprie condizioni economiche. Agire tempestivamente è l’unico modo per evitare conseguenze peggiori.
Quando un’intimazione di pagamento è illegittima?
Un’intimazione di pagamento è illegittima quando presenta vizi di forma, errori sostanziali o riguarda debiti non più esigibili. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione è tenuta a rispettare precise regole nella notifica e nella gestione delle intimazioni di pagamento, e qualsiasi violazione di queste norme può rendere l’atto impugnabile.
Uno dei principali motivi di illegittimità è la prescrizione del debito. Se il credito richiesto è scaduto perché è trascorso il termine massimo per la riscossione, l’intimazione di pagamento non ha più valore legale. La prescrizione varia a seconda della tipologia del debito: le cartelle esattoriali relative a tributi come IVA e IRPEF si prescrivono in 10 anni, mentre quelle per multe stradali o contributi INPS si prescrivono in 5 anni. Se il debito è prescritto e l’intimazione viene comunque notificata, il debitore può opporsi e ottenere l’annullamento dell’atto.
Un altro caso di illegittimità si verifica quando l’intimazione di pagamento è stata notificata in modo irregolare. La notifica deve avvenire tramite posta raccomandata con avviso di ricevimento, PEC o ufficiale giudiziario. Se il contribuente non ha ricevuto correttamente la notifica della cartella esattoriale originaria, l’intimazione potrebbe essere nulla perché il debitore non ha avuto la possibilità di difendersi o di pagare nei tempi previsti.
L’intimazione di pagamento è illegittima anche se si riferisce a un debito già pagato o annullato. Se il debitore ha già saldato l’importo richiesto o ha ottenuto un provvedimento di annullamento della cartella esattoriale, l’ente di riscossione non può emettere un’intimazione di pagamento per lo stesso debito. È quindi fondamentale controllare i propri pagamenti e conservare le ricevute per dimostrare l’eventuale pagamento già effettuato.
Un vizio di forma nell’intimazione può renderla nulla. L’atto deve contenere tutte le informazioni necessarie, come l’importo dovuto, la natura del debito, la data di scadenza e la cartella esattoriale di riferimento. Se mancano questi elementi o se l’importo richiesto è errato, l’intimazione può essere contestata.
Se l’intimazione di pagamento è illegittima, il debitore può opporsi presentando un ricorso entro 60 giorni dalla notifica. L’opposizione può essere presentata alla Commissione Tributaria se riguarda tributi, al giudice ordinario per altre tipologie di debiti o al Tribunale Amministrativo Regionale in caso di multe o sanzioni amministrative. Il ricorso sospende le eventuali azioni esecutive fino alla decisione del giudice.
Se il debitore ritiene che l’intimazione sia ingiusta ma non è certo della sua illegittimità, può richiedere un riesame all’Agenzia delle Entrate-Riscossione o rivolgersi a un avvocato specializzato per valutare la possibilità di impugnazione. Un controllo tempestivo dell’atto consente di evitare problemi e di fermare eventuali azioni esecutive come pignoramenti o ipoteche su beni immobili.
Un’intimazione di pagamento è un atto con conseguenze serie, ma se è illegittima, il debitore ha il diritto di contestarla e di difendersi per evitare di pagare somme non dovute. Verificare la prescrizione del debito, la correttezza della notifica, l’eventuale pagamento già effettuato e la presenza di errori formali sono i primi passi per stabilire se l’intimazione può essere impugnata. Agire rapidamente è essenziale per evitare che l’ente di riscossione avvii procedure di recupero forzoso.
Come opporsi a un’intimazione di pagamento?
Come Opporsi a un’Intimazione di Pagamento?
L’intimazione di pagamento è un atto con cui un creditore, come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione o un privato, richiede formalmente il pagamento di un debito entro un termine prestabilito. Se il debitore ritiene che l’intimazione sia illegittima, può opporsi per evitare l’esecuzione forzata. L’opposizione deve essere presentata entro termini precisi e con motivazioni valide.
Per opporsi a un’intimazione di pagamento, il debitore deve individuare il tipo di vizio che rende l’atto impugnabile. Le principali motivazioni per l’opposizione sono:
- Errore nell’importo richiesto (es. calcoli errati o interessi non dovuti).
- Debito già pagato o accordi di saldo e stralcio non riconosciuti.
- Prescrizione del debito, se sono trascorsi i termini previsti dalla legge.
- Vizi di notifica, se l’intimazione non è stata comunicata correttamente.
- Illegittimità della cartella esattoriale sottostante, se l’atto su cui si basa l’intimazione è annullabile.
L’opposizione può essere presentata attraverso due modalità principali:
- Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.): se il debitore contesta l’esistenza del debito o il diritto del creditore a esigere il pagamento.
- Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.): se si contestano errori formali o vizi procedurali.
Per presentare opposizione, è necessario depositare un ricorso presso il tribunale competente entro 20 giorni dalla notifica dell’intimazione. Se il giudice ritiene fondata l’opposizione, può sospendere l’esecuzione forzata fino alla decisione finale. In alcuni casi, è possibile chiedere la sospensione immediata dell’atto per evitare pignoramenti.
Se l’opposizione viene accolta, l’intimazione viene annullata e il debitore non è più obbligato a pagare l’importo contestato. Se invece l’opposizione viene respinta, il creditore può proseguire con il recupero forzato del debito.
Ecco una tabella riepilogativa delle modalità di opposizione:
Tipo di opposizione | Motivo | Termine per presentare ricorso | Esito possibile |
---|---|---|---|
Opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) | Contestazione del debito o del diritto del creditore | Nessun termine fisso, ma da fare prima del pignoramento | Possibile annullamento dell’intimazione |
Opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.) | Errori di notifica o vizi di forma | 20 giorni dalla notifica | Possibile correzione o annullamento dell’atto |
Conclusione
L’opposizione a un’intimazione di pagamento è possibile, ma deve essere presentata tempestivamente e con motivazioni valide. Se si ritiene che l’intimazione sia errata o illegittima, è essenziale agire subito per evitare pignoramenti e altre conseguenze. Consultare un avvocato esperto in diritto esecutivo può essere determinante per ottenere un esito favorevole.
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