Cosa Succede Se Si Chiude Un’Attività Con Debiti e Come Difendersi Con L’Avvocato

Chiudere un’attività con debiti è una situazione complessa e spesso piena di insidie legali e finanziarie. Molti imprenditori e lavoratori autonomi, trovandosi in difficoltà economica, scelgono di cessare la propria attività senza sapere esattamente cosa accadrà ai debiti accumulati. Tuttavia, la chiusura di un’attività non comporta automaticamente l’estinzione delle obbligazioni verso creditori, banche, fornitori e l’Agenzia delle Entrate.

In Italia, le normative aggiornate fino al 2025 prevedono diverse modalità di gestione del debito per le imprese che cessano l’attività, soprattutto nel caso di ditte individuali, società di persone o società a responsabilità limitata. La responsabilità del titolare o dei soci varia a seconda del tipo di impresa e delle specifiche obbligazioni contratte.

Molti imprenditori non sono consapevoli delle conseguenze della chiusura di un’attività in difficoltà. Se non gestiti correttamente, i debiti possono comportare pignoramenti, sequestri, iscrizioni ipotecarie o azioni legali da parte dei creditori.

Esistono, però, strumenti di difesa che possono essere adottati con l’aiuto di un avvocato esperto. In questo articolo analizziamo cosa succede ai debiti dopo la chiusura dell’attività, quali sono le strategie per proteggersi e come un avvocato può aiutare a risolvere la situazione senza compromettere il patrimonio personale.

Ma andiamo ora ad approfondire con Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti di società.

I debiti si estinguono con la chiusura dell’attività?

No, la chiusura dell’attività non comporta automaticamente l’estinzione dei debiti. Il destino delle obbligazioni varia in base alla forma giuridica dell’impresa:

  • Ditta individuale: il titolare risponde illimitatamente con il proprio patrimonio personale, il che significa che tutti i beni mobili e immobili di sua proprietà possono essere aggrediti dai creditori per soddisfare le obbligazioni della sua impresa. Questa esposizione diretta comporta un rischio elevato, in quanto l’imprenditore non ha alcuna separazione tra il patrimonio aziendale e quello personale.

In caso di debiti con il Fisco, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può procedere con il pignoramento del conto corrente, dell’abitazione (se non prima casa) e di altri beni registrati. Le banche possono agire direttamente sui beni personali se sono state sottoscritte fideiussioni a garanzia di prestiti aziendali. I fornitori, se non soddisfatti, possono ottenere decreti ingiuntivi e attivare procedure esecutive nei confronti dell’imprenditore.

Per difendersi, è possibile valutare diverse strategie, come la rinegoziazione dei debiti, la richiesta di saldo e stralcio, l’accesso alla procedura di sovraindebitamento o la liquidazione controllata, a seconda della gravità della situazione debitoria e della capacità di rientro dell’imprenditore.

  • Società di persone (SNC, SAS): i soci sono solidalmente responsabili e possono essere chiamati a rispondere con i propri beni, il che significa che se la società non è in grado di pagare i debiti contratti, i creditori possono rivalersi direttamente sui patrimoni personali dei soci, indipendentemente da chi abbia generato il debito.

Nel caso della Società in Nome Collettivo (SNC), la responsabilità è illimitata e solidale, ovvero ogni socio può essere chiamato a pagare l’intero importo dovuto dalla società, anche se il debito è stato contratto da un altro socio. Questo può portare a conseguenze molto gravi, come il pignoramento del conto corrente personale, il sequestro di beni immobili e mobili o il blocco di altri asset finanziari.

Nella Società in Accomandita Semplice (SAS), la situazione è leggermente diversa: i soci accomandatari rispondono in modo illimitato e solidale, mentre i soci accomandanti hanno una responsabilità limitata alla quota conferita, a meno che non abbiano assunto ruoli di gestione operativa. Tuttavia, anche in questo caso, se emergono fideiussioni personali o se il socio accomandante ha agito in violazione del suo ruolo, i creditori potrebbero rivalersi anche sul suo patrimonio personale.

Un avvocato esperto può aiutare a valutare le responsabilità specifiche di ciascun socio, a contestare eventuali richieste di pagamento ingiustificate e a negoziare con i creditori per evitare il rischio di azioni esecutive personali. Inoltre, possono essere analizzate strategie di protezione patrimoniale, come la separazione dei beni e l’eventuale accesso alla procedura di sovraindebitamento, per ridurre gli effetti negativi derivanti dalla chiusura dell’attività con debiti.

  • SRL e SPA: i soci hanno una responsabilità limitata, il che significa che, in linea generale, il loro patrimonio personale non è aggredibile per le obbligazioni contratte dalla società. Tuttavia, vi sono alcune eccezioni che possono determinare la responsabilità personale dei soci o degli amministratori.

Se un socio ha prestato fideiussioni personali per garantire prestiti o altre obbligazioni della società, le banche e i creditori possono rivalersi direttamente sui suoi beni personali in caso di insolvenza dell’azienda. Questo accade spesso nei finanziamenti bancari, nei contratti di leasing o nei rapporti con fornitori che richiedono garanzie supplementari.

Un altro caso in cui i soci o gli amministratori possono essere ritenuti responsabili è quello degli illeciti di gestione, come la distrazione di fondi, la cattiva amministrazione o l’occultamento di attivi. Se un tribunale riconosce che vi è stata mala gestio, è possibile che gli amministratori rispondano con il proprio patrimonio per le perdite causate alla società e ai creditori.

Inoltre, la responsabilità per il mancato versamento delle imposte può ricadere sugli amministratori se viene accertata una gestione fraudolenta o l’omissione dolosa di obblighi fiscali. L’Agenzia delle Entrate può agire direttamente contro di loro, con sanzioni severe e azioni esecutive sui loro beni personali.

Per evitare rischi, è fondamentale che i soci e gli amministratori adottino una gestione trasparente e si avvalgano della consulenza di un avvocato esperto per valutare le migliori strategie di tutela patrimoniale e difesa legale in caso di contestazioni o crisi aziendali.

Chiarire la natura della responsabilità è fondamentale per determinare i rischi e le possibili soluzioni.

Cosa succede ai debiti fiscali dopo la chiusura dell’attività?

I debiti con il Fisco e con l’Agenzia delle Entrate non si cancellano automaticamente. L’amministrazione finanziaria può agire in diversi modi:

  • Cartelle esattoriali: continuano ad essere attive e possono portare a pignoramenti di beni personali nel caso di ditte individuali e società di persone. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione può avviare azioni esecutive sui conti correnti, gli stipendi e le pensioni, oltre a iscrivere ipoteche sugli immobili di proprietà del debitore.

Inoltre, se il debito fiscale supera determinate soglie, l’amministrazione finanziaria può attivare misure cautelari come il fermo amministrativo dei veicoli o il blocco di altri asset registrati. Nel caso in cui il contribuente non riesca a saldare le cartelle, l’ente riscossore può procedere con il pignoramento presso terzi, aggredendo eventuali crediti vantati dal debitore nei confronti di clienti o committenti.

Per evitare queste azioni, è possibile accedere a piani di rateizzazione, transazioni fiscali o, nei casi più gravi, alla procedura di sovraindebitamento, che permette di ridurre o annullare i debiti non sostenibili. Un avvocato esperto può assistere il debitore nella verifica della legittimità delle cartelle, individuando eventuali vizi procedurali o prescrizioni che potrebbero consentire la loro contestazione.

  • Accertamenti fiscali retroattivi: anche dopo la chiusura dell’attività, l’Agenzia delle Entrate può effettuare controlli e accertamenti fino a dieci anni successivi. Questo significa che, anche se l’imprenditore ha cessato l’attività, può comunque ricevere notifiche di accertamenti tributari su dichiarazioni fiscali pregresse, redditi non dichiarati o deduzioni non spettanti.

L’Agenzia delle Entrate può avviare indagini approfondite analizzando i movimenti bancari, confrontando i dati fiscali e incrociando informazioni con altre banche dati pubbliche per verificare eventuali incongruenze. In particolare, i controlli possono riguardare:

  • IVA non versata: Se l’imprenditore non ha regolarmente dichiarato e versato l’IVA, l’amministrazione finanziaria può recuperare le somme dovute con interessi e sanzioni.
  • Omessi versamenti di contributi previdenziali: L’INPS può agire per il recupero dei contributi non pagati, anche tramite iscrizione a ruolo e successiva riscossione coattiva.
  • Disallineamenti nei redditi dichiarati: Se i redditi dichiarati non corrispondono ai movimenti bancari o alle spese sostenute, l’Agenzia delle Entrate può contestare la mancata dichiarazione di alcuni proventi.
  • Uso irregolare di fatture: Se vengono rilevate fatture false o inesistenti, possono essere applicate pesanti sanzioni, oltre al recupero delle imposte evase.

Gli accertamenti fiscali possono portare a cartelle esattoriali, pignoramenti e ipoteche sui beni del contribuente. Per difendersi, è possibile impugnare gli atti impositivi, richiedere la rateizzazione o accedere a strumenti di definizione agevolata, come la transazione fiscale o la rottamazione delle cartelle. Un avvocato esperto in diritto tributario può analizzare la situazione e individuare le strategie migliori per contestare richieste indebite e proteggere il patrimonio personale.

  • Fermi amministrativi e ipoteche: vengono attivati su beni mobili e immobili se il debito fiscale non viene saldato, con conseguenze dirette sulla capacità del debitore di gestire i propri beni e risorse finanziarie.

Il fermo amministrativo è un provvedimento che blocca l’utilizzo di veicoli intestati al debitore, impedendone la circolazione fino al saldo del debito. Questa misura è spesso applicata dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione nel caso di mancato pagamento di tributi, contributi previdenziali o altre imposte. Il fermo può riguardare non solo le automobili, ma anche motocicli e altri mezzi di trasporto registrati.

Le ipoteche fiscali vengono invece iscritte sugli immobili di proprietà del debitore e servono a garantire il credito dell’ente riscossore. Se il debito non viene saldato, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione può avviare la procedura di espropriazione forzata dell’immobile, mettendolo all’asta per recuperare il credito. Questa misura può colpire anche la prima casa del debitore, qualora il valore del debito superi determinati limiti e l’immobile non sia l’unico di proprietà.

Per evitare tali provvedimenti, il debitore può valutare diverse strategie, come la rateizzazione del debito, la transazione fiscale, la rottamazione delle cartelle o l’accesso alla procedura di sovraindebitamento. Un avvocato esperto può aiutare a individuare la soluzione più adatta alla situazione specifica, proteggendo il patrimonio del debitore e scongiurando l’applicazione di queste misure restrittive.

Le strategie difensive possono includere la rateizzazione del debito, la transazione fiscale e l’accesso alle procedure di sovraindebitamento.

Le banche possono rivalersi sul patrimonio personale?

Dipende dal tipo di impresa e dalle garanzie prestate.

  • Se l’imprenditore ha sottoscritto fideiussioni personali, la banca può agire sui beni privati, procedendo con il pignoramento di conti correnti, stipendi, immobili e altri asset di proprietà del garante. In questi casi, anche se l’attività è stata chiusa, la responsabilità del fideiussore resta attiva fino all’estinzione completa del debito.
  • Nei contratti di finanziamento spesso sono previste clausole che rendono il titolare responsabile anche dopo la chiusura dell’attività. Questo avviene soprattutto quando i prestiti o le linee di credito sono stati concessi con garanzie personali, indipendentemente dalla forma giuridica dell’impresa. Anche nel caso di una SRL, in presenza di fideiussioni, i soci potrebbero essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio personale.
  • È possibile negoziare un saldo e stralcio con l’aiuto di un avvocato per ridurre l’importo del debito. Questa strategia permette di chiudere la posizione debitoria pagando una somma inferiore rispetto al totale dovuto. Un avvocato esperto può trattare con la banca o la finanziaria per ottenere una riduzione significativa del debito, basandosi su fattori quali l’insolvenza del debitore, la difficoltà di recupero e la necessità dell’istituto di credito di evitare lunghe procedure giudiziarie.

In alcuni casi, si può anche richiedere una rimodulazione del debito, trasformando un’esposizione immediata in un piano di rientro a lungo termine, con rate più sostenibili e tassi di interesse più favorevoli. Un’altra opzione è rappresentata dalla transazione stragiudiziale, con cui si può ottenere una ristrutturazione del debito senza la necessità di ricorrere al tribunale, evitando così costi e complicazioni legali.

Un avvocato esperto in diritto bancario può analizzare il contratto di finanziamento, verificare la presenza di clausole abusive o illecite e proporre soluzioni concrete per limitare il rischio di aggressione patrimoniale da parte della banca.

I fornitori possono ancora agire legalmente dopo la chiusura di un’attività?

I fornitori possono agire legalmente contro l’imprenditore anche dopo la chiusura dell’attività se esistono debiti non saldati. La cessazione dell’attività non estingue automaticamente le obbligazioni contratte, quindi i creditori possono continuare a richiedere il pagamento delle somme dovute e, se necessario, avviare azioni legali per il recupero del credito.

Nel caso di una ditta individuale, il titolare risponde personalmente di tutti i debiti contratti durante l’attività, anche dopo la chiusura dell’impresa. Questo significa che i fornitori possono avviare decreti ingiuntivi, pignoramenti o altre azioni esecutive sui beni personali dell’imprenditore, come conti correnti, immobili o redditi futuri. La chiusura della Partita IVA non impedisce ai creditori di agire, a meno che il debitore non acceda a una procedura di esdebitazione o ristrutturazione del debito.

Se l’attività era svolta sotto forma di società di persone, come una SNC, i soci restano responsabili solidalmente e illimitatamente per i debiti aziendali, anche dopo la cancellazione della società. I fornitori possono quindi agire contro i singoli soci per ottenere il pagamento delle somme dovute. La chiusura della società non elimina il diritto dei creditori di richiedere il saldo delle fatture non pagate.

Nel caso di una società di capitali, come una SRL, i fornitori possono agire solo nei limiti del patrimonio societario, salvo che i soci o gli amministratori abbiano prestato garanzie personali o abbiano commesso irregolarità gestionali. Se l’attività è stata chiusa regolarmente e non vi sono beni societari disponibili per il pagamento, i creditori possono vedersi negata la possibilità di recuperare il credito, a meno che non riescano a dimostrare che vi sono state violazioni di legge, come la distrazione di beni aziendali o la mancata tenuta della contabilità.

I fornitori possono anche iscrivere un credito insoluto in una procedura di sovraindebitamento o di liquidazione controllata, se l’ex imprenditore vi accede per risolvere la sua situazione debitoria. In questo caso, dovranno attenersi alle regole stabilite dal tribunale e potrebbero ottenere solo un pagamento parziale o vedere il loro credito cancellato al termine della procedura.

Se il debito è già stato oggetto di una cartella esattoriale o di una cessione a una società di recupero crediti, il fornitore o l’ente riscossore può continuare ad agire fino alla prescrizione del credito. Il termine di prescrizione varia in base alla natura del debito, ma in assenza di azioni legali o riconoscimenti da parte del debitore, il diritto di recupero si estingue dopo un determinato periodo.

In conclusione, la chiusura di un’attività non impedisce ai fornitori di agire legalmente per il recupero dei crediti. L’effettiva possibilità di esecuzione dipende dalla forma giuridica dell’attività, dalla presenza di beni personali dell’ex titolare e dall’eventuale accesso a procedure di sovraindebitamento che possano limitare o annullare le richieste di pagamento. Chi si trova in difficoltà economica dopo la chiusura di un’attività può valutare soluzioni come la rateizzazione dei debiti, la ristrutturazione del passivo o l’esdebitazione per ottenere una protezione legale dai creditori.

Come difendersi dai creditori in caso di chiusura di un’attività con debiti?

I fornitori possono ancora agire legalmente per il recupero dei crediti anche dopo la chiusura di un’attività, poiché la cessazione formale non estingue automaticamente i debiti contratti. La responsabilità del pagamento rimane in capo all’imprenditore individuale o ai soci della società, a seconda della forma giuridica adottata.

Se l’attività era una ditta individuale, il titolare continua a rispondere personalmente di tutti i debiti contratti prima della chiusura. I fornitori possono quindi avviare o proseguire azioni legali per ottenere il pagamento, come la richiesta di un decreto ingiuntivo o il pignoramento di beni e conti correnti.

Se l’attività era svolta tramite una società di persone, come una SNC, i soci restano responsabili in modo illimitato e solidale per i debiti della società. Anche dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese, i creditori possono agire nei confronti dei soci per il recupero delle somme dovute, fino a cinque anni dalla chiusura della società.

Se l’attività era una società di capitali, come una SRL, i creditori possono agire solo nei confronti della società stessa, salvo che i soci o gli amministratori abbiano prestato garanzie personali o abbiano commesso irregolarità gestionali che li rendano responsabili verso i creditori. In assenza di patrimonio residuo nella società, il debito potrebbe restare inesigibile, salvo responsabilità specifiche accertate in tribunale.

Se i fornitori non hanno avviato azioni legali entro i termini di prescrizione, perdono il diritto di esigere il pagamento. In generale, i crediti commerciali si prescrivono in dieci anni, mentre quelli derivanti da forniture periodiche o prestazioni professionali possono avere termini più brevi, come cinque anni.

Se il debitore si trova in difficoltà economica, può accedere a strumenti di gestione della crisi come la legge sul sovraindebitamento, che permette di negoziare con i creditori un piano di rientro o, nei casi più gravi, ottenere la cancellazione dei debiti attraverso l’esdebitazione. La presentazione di una domanda di sovraindebitamento può sospendere le azioni esecutive e impedire nuovi tentativi di recupero da parte dei fornitori.

Anche dopo la chiusura dell’attività, i fornitori possono avviare azioni di recupero, ma il debitore ha diverse opzioni per difendersi, tra cui la verifica della prescrizione, la contestazione del debito o l’accesso a procedure di ristrutturazione e cancellazione del debito. Affidarsi a un professionista esperto in diritto commerciale o crisi d’impresa può aiutare a individuare la soluzione più adatta per gestire le richieste dei creditori e proteggere il patrimonio personale.

Quando conviene accedere alla procedura di sovraindebitamento ad un’attività chiusa con debiti?

Accedere alla procedura di sovraindebitamento è una scelta conveniente per un’attività chiusa con debiti quando il titolare non riesce più a far fronte alle obbligazioni residue e vuole evitare il rischio di azioni esecutive sui propri beni personali. La chiusura della partita IVA o della società non estingue automaticamente i debiti, che rimangono a carico dell’imprenditore o dei soci in base alla forma giuridica dell’attività. Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza offre strumenti per rinegoziare, ridurre o cancellare i debiti, permettendo di ripartire senza l’oppressione delle passività.

Conviene accedere alla procedura di sovraindebitamento quando il debito complessivo supera la capacità economica del debitore e non ci sono alternative sostenibili di rimborso. Se i creditori hanno già avviato azioni di recupero, come decreti ingiuntivi, pignoramenti o fermi amministrativi, la richiesta di accesso alla procedura consente di bloccare immediatamente queste azioni, offrendo tempo per trovare una soluzione strutturata. Anche se le azioni esecutive non sono ancora iniziate, ma il rischio è imminente, avviare la procedura può prevenire conseguenze peggiori.

Per chi aveva una ditta individuale, la procedura di sovraindebitamento è utile perché consente di trattare tutti i debiti in un’unica soluzione, evitando di dover negoziare separatamente con ogni creditore. Il piano di ristrutturazione del debito permette di proporre un rimborso parziale, con dilazioni più lunghe e sostenibili rispetto alle condizioni imposte dai creditori. Se il debitore non ha possibilità di rimborsare, la liquidazione controllata consente di destinare i beni disponibili al pagamento del debito, ottenendo al termine l’esdebitazione, ovvero la cancellazione definitiva delle somme residue.

Per chi aveva una SNC o un’altra società di persone, la procedura diventa conveniente quando i soci si trovano a dover rispondere con il proprio patrimonio per i debiti sociali. Poiché nelle società di persone i soci rispondono illimitatamente e solidalmente, possono essere chiamati a pagare l’intero debito anche se l’attività è cessata. In questo caso, la ristrutturazione del debito o la liquidazione controllata offrono una soluzione per proteggere i beni personali e ridurre l’importo dovuto.

Se l’ex imprenditore ha debiti con l’Agenzia delle Entrate o l’INPS, accedere alla procedura di sovraindebitamento può consentire di ottenere una rateizzazione o una riduzione del debito fiscale e contributivo. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione partecipa alle procedure e, in molti casi, accetta proposte di saldo parziale pur di evitare il rischio di insolvenza totale. Senza questa procedura, il Fisco potrebbe procedere con pignoramenti diretti su conti correnti, stipendi o immobili.

**Un’altra situazione in cui conviene accedere alla procedura di sovraindebitamento è quando il debitore non ha beni sufficienti per coprire i debiti, ma vuole ottenere una liberazione definitiva attraverso l’esdebitazione del debitore incapiente. Se il tribunale accerta che il debitore non ha alcuna possibilità di pagamento e che la sua condizione economica non migliorerà a breve, può concedere la cancellazione totale dei debiti, impedendo ai creditori di avanzare ulteriori richieste in futuro.

La procedura è vantaggiosa anche rispetto ad altre soluzioni come la semplice chiusura dell’attività con l’accumulo di debiti, perché fornisce un quadro legale che tutela il debitore da aggressioni dei creditori. Senza un piano strutturato, il debitore rischia di subire per anni richieste di pagamento, segnalazioni nelle banche dati e azioni di recupero che possono compromettere ogni possibilità di ripresa economica.

Se il debitore ha già tentato di negoziare con i creditori senza successo, il sovraindebitamento diventa l’unico strumento per imporre una soluzione accettabile. I creditori, infatti, non possono rifiutare una proposta approvata dal tribunale se è dimostrato che rappresenta la migliore soluzione possibile rispetto all’alternativa dell’insolvenza.

In conclusione, conviene accedere alla procedura di sovraindebitamento per un’attività chiusa con debiti quando il debitore non è in grado di far fronte agli obblighi finanziari e vuole evitare pignoramenti, blocchi dei conti e altre azioni esecutive. Questa procedura permette di ridurre il debito, dilazionarlo o, nei casi più gravi, ottenere la cancellazione totale delle somme non pagabili. Rivolgersi a un esperto in crisi d’impresa è fondamentale per scegliere la strategia più adatta e presentare la richiesta nel modo più efficace possibile.

Come farti aiutare dall’Avvocato Monardo, avvocato specializzato in cancellazione debiti societari

Affidarsi a un avvocato esperto è essenziale per evitare errori e ridurre al minimo le conseguenze economiche della chiusura dell’attività.

Gli Avvocati di Studio Monardo sono specializzati nella gestione delle controversie legali e finanziarie legate alla chiusura di attività con debiti.

Grazie alla loro esperienza, offrono assistenza per:

  • Analizzare la posizione debitoria e individuare le strategie più efficaci per proteggere il patrimonio personale.
  • Negoziare con i creditori per ottenere accordi vantaggiosi ed evitare azioni esecutive.
  • Accedere alla procedura di sovraindebitamento per ottenere l’esdebitazione e liberarsi dai debiti.
  • Difendere il cliente da pignoramenti, fermi amministrativi e altre misure coercitive.

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