Pignoramento Del Quinto Dello Stipendio E Licenziamento: Cosa Succede E Cosa Fare

Il pignoramento del quinto dello stipendio è una procedura esecutiva che permette ai creditori di trattenere una parte dello stipendio di un lavoratore per il pagamento di un debito. Questa misura è spesso utilizzata per il recupero di somme dovute a banche, finanziarie, ex coniugi per il mantenimento o enti pubblici per tributi non versati. Tuttavia, una questione cruciale che si pone è: cosa accade al pignoramento del quinto in caso di licenziamento?

Il licenziamento di un lavoratore può verificarsi per molteplici motivi: dimissioni volontarie, chiusura dell’azienda, licenziamento disciplinare o economico. In tutti questi casi, il pignoramento già attivo sullo stipendio non si estingue automaticamente, ma segue specifiche regole stabilite dal Codice di procedura civile.

Per comprendere l’impatto del licenziamento sul pignoramento del quinto dello stipendio, è essenziale analizzare diversi aspetti, tra cui il trattamento di fine rapporto (TFR), la possibilità di una nuova assunzione, i diritti del creditore e le tutele previste per il debitore.

Vediamo nel dettaglio cosa succede in caso di licenziamento con un pignoramento in corso, quali azioni può intraprendere il creditore per recuperare il proprio credito e quali strumenti ha a disposizione il debitore per gestire al meglio questa situazione.

Ma andiamo nei dettagli con Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione di pignoramenti del quinto dello stipendio.

Il Pignoramento Del Quinto Si Estingue Con Il Licenziamento?

No, il pignoramento del quinto dello stipendio non si estingue automaticamente in caso di licenziamento.

La legge prevede che, nel caso in cui il lavoratore venga licenziato o presenti dimissioni, il pignoramento si trasferisca automaticamente sulle somme spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR). Questo significa che il creditore può continuare a recuperare il credito esecutando la quota parte del TFR spettante al debitore, ma con limiti precisi stabiliti dal Codice di procedura civile.

Se il TFR non è sufficiente a coprire l’importo residuo del debito, il creditore potrà richiedere un nuovo pignoramento qualora il debitore trovi un nuovo impiego. Tuttavia, affinché il pignoramento possa riprendere sullo stipendio del nuovo lavoro, il creditore deve attivarsi e notificare un nuovo atto esecutivo al nuovo datore di lavoro. La procedura, dunque, non è automatica e potrebbe richiedere tempistiche più lunghe.

Un caso comune è quello del lavoratore che, dopo il licenziamento, percepisce un TFR insufficiente a coprire l’intero debito e trova un nuovo impiego dopo alcuni mesi. In questo caso, il creditore può avviare una nuova istanza di pignoramento, ma il debitore potrebbe valutare delle strategie per evitare una nuova esecuzione, come la richiesta di una rateizzazione o il ricorso alle procedure di sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019).

Se il debitore si trova in uno stato di difficoltà economica, potrebbe anche valutare la possibilità di richiedere l’esdebitazione del debitore incapiente, che consente la cancellazione totale dei debiti non pagabili, impedendo così nuovi pignoramenti sul futuro stipendio.

Il Creditore Può Pignorare Il Trattamento Di Fine Rapporto (TFR)?

Sì, il creditore può pignorare il TFR, ma con limiti precisi.

L’articolo 545 del Codice di procedura civile stabilisce che il TFR può essere pignorato nei limiti previsti dalla legge. In particolare:

  • Se il pignoramento è stato effettuato per debiti ordinari (banche, finanziarie, crediti privati), il creditore può ottenere solo una parte del TFR, in genere nella stessa misura del pignoramento del quinto dello stipendio. Tuttavia, la percentuale effettiva dipende da vari fattori, come l’ammontare complessivo del debito e l’eventuale esistenza di altri pignoramenti in corso.

In genere, il creditore può richiedere fino al 20% del TFR, ma questa percentuale può variare in base alle decisioni del giudice e alla capacità del debitore di soddisfare altre obbligazioni. Inoltre, se il debitore ha accumulato più debiti soggetti a pignoramento, il tribunale può ridistribuire le quote pignorabili tra i diversi creditori, riducendo l’importo destinato a ciascun soggetto.

Un altro aspetto rilevante è che, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, il creditore può agire direttamente presso l’ente previdenziale per ottenere parte del TFR prima che venga corrisposto al debitore. Questo significa che, anche se il lavoratore non ha più una busta paga da cui trattenere la quota di pignoramento, il recupero del debito può comunque proseguire attraverso le somme maturate con il rapporto lavorativo cessato.

È importante per il debitore monitorare la situazione e, se necessario, valutare opzioni alternative come la richiesta di una rateizzazione del debito o l’accesso a procedure di sovraindebitamento per evitare che l’intero TFR venga aggredito senza possibilità di negoziazione.

  • Se il pignoramento è stato effettuato per debiti alimentari, come il mantenimento dei figli o dell’ex coniuge, il creditore può ottenere fino al 50% del TFR. Tuttavia, questa percentuale può variare in base alle circostanze specifiche del debitore e alle decisioni del giudice.

Ad esempio, nel caso in cui il debitore abbia più obblighi alimentari in corso, il tribunale può decidere di suddividere il TFR tra più creditori, determinando una quota proporzionale per ciascuno. Se il debitore ha già subito pignoramenti precedenti sullo stipendio per debiti alimentari, il giudice potrebbe applicare un criterio di equità per non privarlo completamente delle risorse necessarie per il proprio sostentamento.

Inoltre, il creditore alimentare ha una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori, e la richiesta di pignoramento del TFR può essere avanzata con priorità rispetto a debiti di natura ordinaria o tributaria. Questo significa che, in alcuni casi, l’intero importo disponibile potrebbe essere assegnato per il pagamento degli obblighi di mantenimento, lasciando scoperti altri debiti in sospeso.

Se il debitore si trova in difficoltà nel far fronte a queste trattenute, può valutare soluzioni alternative come la rinegoziazione dell’importo dovuto o la richiesta di revisione delle condizioni del mantenimento presso il tribunale. Inoltre, in presenza di una situazione economica particolarmente compromessa, può accedere alle procedure di sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) per cercare una soluzione più sostenibile.

  • Se il debito è di natura tributaria (tasse non pagate), l’Agenzia delle Entrate Riscossione può pignorare una percentuale maggiore del TFR, a seconda del caso specifico. In particolare, per debiti fiscali di importo elevato, l’Agenzia delle Entrate ha il diritto di pignorare fino al 100% del TFR, se il debitore non dispone di altre fonti di reddito o beni aggredibili.

Secondo l’articolo 72-bis del D.P.R. 602/1973, l’Agenzia può procedere con il pignoramento senza necessità di un’autorizzazione preventiva da parte del giudice, rendendo la procedura più rapida rispetto a quella prevista per i crediti ordinari.

Inoltre, se il contribuente ha una posizione debitoria superiore a 50.000 euro, l’Agenzia delle Entrate Riscossione può avviare azioni esecutive più incisive, tra cui il blocco immediato delle somme maturate come TFR presso il datore di lavoro o l’ente previdenziale.

Se il debitore è già soggetto a trattenute per altri pignoramenti, l’Agenzia delle Entrate deve comunque rispettare il limite del 50% del TFR, come stabilito dall’articolo 545 del Codice di procedura civile. Tuttavia, nei casi in cui il debito tributario sia stato accertato con una sentenza definitiva, può essere richiesta una percentuale superiore.

Per evitare la totale escussione del TFR, il contribuente può valutare l’accesso a strumenti di rateizzazione del debito fiscale o tentare di rientrare in una delle procedure di sovraindebitamento, che consentono di ridefinire le modalità di rimborso e proteggere una parte delle somme maturate.

Cosa Succede Se Il Debitore Trova Un Nuovo Lavoro?

Il pignoramento riprende con il nuovo datore di lavoro.

Se il debitore ottiene una nuova occupazione, il creditore ha diritto di notificare un nuovo atto di pignoramento presso il nuovo datore di lavoro. La procedura non è automatica: il creditore deve attivarsi e presentare un’istanza per rinnovare l’azione esecutiva. Questo passaggio richiede il deposito di una nuova richiesta presso il tribunale competente e l’identificazione del nuovo datore di lavoro attraverso i registri previdenziali o altre fonti ufficiali.

In alcuni casi, il periodo di transizione tra un impiego e l’altro può rappresentare un’opportunità per il debitore di negoziare un piano di rientro con il creditore o valutare l’accesso a procedure di sovraindebitamento per ottenere una ristrutturazione o cancellazione del debito. Inoltre, se il creditore non si attiva tempestivamente, il debitore potrebbe percepire il proprio stipendio senza trattenute per un certo periodo di tempo, fino a quando il nuovo pignoramento non venga formalmente notificato al datore di lavoro.

Esistono inoltre situazioni in cui il nuovo impiego comporta un reddito inferiore rispetto al precedente. In questi casi, il debitore può chiedere una revisione della quota pignorata, dimostrando che la trattenuta originaria risulta eccessivamente gravosa rispetto alle sue nuove condizioni economiche. Questo aspetto è particolarmente rilevante per chi ha subito una riduzione significativa dello stipendio, poiché il tribunale potrebbe ridurre la percentuale del quinto pignorato o applicare misure di protezione per garantire un minimo vitale adeguato al lavoratore.

Come Può Difendersi Il Debitore Da Un Pignoramento Del Quinto?

Il debitore ha diverse opzioni per gestire al meglio il pignoramento del quinto in caso di licenziamento:

  • Opposizione al pignoramento, se ritiene che la trattenuta sia stata applicata in modo errato o eccessivo. Il debitore può contestare il pignoramento attraverso un’opposizione formale dinanzi al tribunale, evidenziando eventuali irregolarità nella procedura esecutiva. Ad esempio, se la trattenuta supera i limiti di legge previsti dall’articolo 545 del Codice di procedura civile o se il pignoramento è stato disposto senza il rispetto delle garanzie procedurali, il giudice potrebbe sospendere o ridurre la misura esecutiva.

Un altro motivo di opposizione riguarda i casi in cui il debitore ha già altre trattenute in corso che compromettono la sua capacità di mantenimento. Se il cumulo delle trattenute supera la soglia prevista dalla normativa, il tribunale può intervenire per riequilibrare la situazione, riducendo la quota pignorata e garantendo al lavoratore un minimo vitale adeguato.

L’opposizione può inoltre essere presentata nel caso in cui il debitore dimostri che il credito sia già stato estinto o non sia più esigibile, magari a seguito di un accordo di saldo e stralcio o di una transazione avvenuta in precedenza. In questi casi, il giudice può dichiarare l’illegittimità della trattenuta e disporne l’annullamento.

È essenziale agire tempestivamente per presentare un’opposizione efficace, poiché i termini per contestare il pignoramento sono stringenti. Un avvocato esperto in esecuzioni forzate può aiutare il debitore a raccogliere la documentazione necessaria e a formulare le giuste argomentazioni per ottenere una revisione della misura esecutiva.

  • Accordo con il creditore, per evitare un nuovo pignoramento e stabilire un piano di rientro personalizzato. Questa soluzione consente di evitare le lunghe procedure esecutive e permette al debitore di definire un pagamento sostenibile in base alle proprie capacità economiche.

L’accordo può essere raggiunto attraverso una trattativa diretta con il creditore oppure con l’intervento di un avvocato o di un mediatore, il quale può facilitare la negoziazione e garantire condizioni più favorevoli.

Un’opzione comune è il saldo e stralcio, in cui il debitore offre una somma inferiore rispetto al debito totale in cambio della chiusura della pendenza. Questo è particolarmente vantaggioso per chi dispone di una certa liquidità immediata e desidera evitare ulteriori trattenute dallo stipendio.

Se il debitore non ha la possibilità di pagare una somma unica, può proporre una rateizzazione del debito, stabilendo un piano di pagamento mensile che sostituisca la trattenuta del quinto. In molti casi, i creditori preferiscono un accordo rateale piuttosto che attendere i tempi del pignoramento, che può essere lungo e incerto.

L’accordo con il creditore può anche essere formalizzato in un atto di transazione, firmato da entrambe le parti e registrato ufficialmente, per garantire il rispetto degli impegni presi.

Infine, nei casi in cui il debitore abbia difficoltà a ottenere un’intesa diretta, può ricorrere a strumenti di mediazione obbligatoria, previsti dalla legge per risolvere le controversie in modo stragiudiziale. Questo permette di evitare il contenzioso e di raggiungere una soluzione equa senza ulteriori aggravi economici.

  • Accesso alle procedure di sovraindebitamento, previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), che consentono di ottenere una riduzione del debito o l’esdebitazione, rappresentando un’importante tutela per coloro che si trovano in una condizione di difficoltà economica non temporanea.

Le principali procedure disponibili includono:

  • Piano del consumatore, dedicato a chi ha contratto debiti senza colpa e si trova in uno stato di grave squilibrio finanziario. Questa procedura permette di ristrutturare il debito in base alle proprie possibilità economiche, evitando azioni esecutive come il pignoramento.
  • Accordo con i creditori, che consente di negoziare un piano di rientro del debito approvato da almeno il 60% dei creditori. Se approvato, blocca le azioni esecutive in corso e fornisce una soluzione sostenibile per il debitore.
  • Liquidazione controllata del patrimonio, che prevede la messa a disposizione di parte dei beni del debitore per soddisfare i creditori, con la possibilità di ottenere l’esdebitazione al termine del processo.
  • Esdebitazione del debitore incapiente, applicabile a chi non possiede beni o entrate sufficienti per ripagare i creditori. Questa procedura consente la cancellazione totale dei debiti, offrendo un’opportunità di ripartenza.

Per accedere a queste misure, è fondamentale dimostrare l’incapacità di far fronte ai debiti con il reddito disponibile e presentare un piano sostenibile per la risoluzione della crisi. Le procedure di sovraindebitamento rappresentano spesso l’ultima possibilità per chi è oppresso da debiti insostenibili e rischia di subire ulteriori pignoramenti o azioni esecutive.

L’Esdebitazione Del Debitore Incapiente Può Eliminare Il Pignoramento?

Sì, nei casi previsti dalla legge.

L’esdebitazione del debitore incapiente è una misura introdotta dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, che permette ai soggetti che non hanno la possibilità di pagare i propri debiti di ottenere la cancellazione totale degli stessi, offrendo una seconda opportunità economica e una ripartenza finanziaria.

Per poter accedere a questa procedura, il debitore deve dimostrare di trovarsi in una situazione di insolvenza irreversibile, ovvero di non avere alcun patrimonio disponibile o entrate sufficienti per soddisfare le pretese dei creditori. Inoltre, la legge richiede che il debitore abbia tenuto un comportamento corretto e trasparente nella gestione delle proprie obbligazioni, evitando atteggiamenti fraudolenti o atti di malafede.

Una volta accertata l’incapienza del debitore, il tribunale può concedere l’esdebitazione totale, che comporta l’annullamento definitivo dei debiti residui, inclusi quelli soggetti a pignoramento del quinto dello stipendio. Questo significa che, anche se il debitore dovesse ottenere un nuovo impiego, il creditore non potrà più rivalersi su di lui per il pagamento delle somme precedentemente dovute.

L’esdebitazione rappresenta quindi una soluzione estrema ma efficace per chi si trova in una condizione di sovraindebitamento cronico, senza possibilità di risanamento. La richiesta deve essere presentata presso il tribunale competente, con l’assistenza di un professionista qualificato come un gestore della crisi da sovraindebitamento, che seguirà il debitore durante tutto il percorso per garantire il rispetto delle procedure e massimizzare le possibilità di accoglimento della domanda.

Come Ti Aiuterà L’Avvocato Monardo In Materia Di Cancellazione Di Pignoramenti In Busta Paga

L’Avvocato Monardo è un punto di riferimento per la gestione del pignoramento del quinto dello stipendio e le problematiche legate al licenziamento.

È Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia e tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi).

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  • Impugnazione di pignoramenti eccessivi o irregolari

L’impugnazione di un pignoramento eccessivo o irregolare rappresenta una delle principali tutele per il debitore, soprattutto quando le trattenute superano i limiti di legge o sono state disposte senza il rispetto delle procedure previste dal Codice di procedura civile. Il debitore ha il diritto di contestare un pignoramento che ritiene illegittimo, presentando opposizione dinanzi al tribunale competente.

Un primo motivo di impugnazione riguarda i limiti massimi di pignorabilità dello stipendio, stabiliti dall’articolo 545 del Codice di procedura civile. Se il pignoramento supera la soglia consentita (generalmente un quinto dello stipendio netto, salvo specifiche eccezioni per debiti alimentari o fiscali), il debitore può chiedere una riduzione della trattenuta. In alcuni casi, il giudice può valutare la situazione economica del debitore e decidere di abbassare la percentuale pignorata per garantire un minimo vitale sufficiente alla sopravvivenza del lavoratore e della sua famiglia.

Un altro motivo di impugnazione è la mancata corretta notifica dell’atto di pignoramento, che potrebbe rendere nulla la procedura. Se il debitore non ha ricevuto una comunicazione ufficiale o se il datore di lavoro è stato coinvolto in modo irregolare, il pignoramento potrebbe essere annullato.

Inoltre, se il pignoramento è stato disposto nonostante il debito sia già stato estinto o ridotto a seguito di un pagamento parziale, il debitore può opporsi e chiedere la revoca della misura. Anche nel caso in cui il debitore abbia raggiunto un accordo stragiudiziale con il creditore o abbia avviato una procedura di sovraindebitamento, può essere richiesto l’annullamento o la sospensione della trattenuta.

Infine, in presenza di vizi di forma o errori procedurali, come l’omissione di atti essenziali o la mancata indicazione chiara dell’importo esatto dovuto, il debitore può impugnare il provvedimento e chiedere al giudice una revisione del pignoramento. È fondamentale agire tempestivamente, poiché i termini per l’opposizione sono stringenti. Un avvocato specializzato può fornire il supporto necessario per valutare la legittimità del pignoramento e presentare un ricorso efficace.

  • Difesa del debitore nel recupero crediti e nelle esecuzioni forzate

Affrontare un procedimento di recupero crediti o un’esecuzione forzata può essere estremamente complesso per il debitore, ma esistono strumenti legali che consentono di difendersi e limitare le conseguenze economiche più gravi. Il debitore ha il diritto di contestare le azioni esecutive che ritiene ingiuste o sproporzionate e di richiedere l’intervento del giudice per una valutazione equa della sua situazione.

Una delle principali difese del debitore è l’opposizione all’esecuzione forzata, che può essere presentata quando il titolo esecutivo su cui si basa il pignoramento risulta nullo, inesatto o prescritto. Se il debitore dimostra che il credito contestato è già stato estinto, che vi sono vizi formali nell’atto esecutivo o che la procedura non è stata correttamente notificata, il giudice può sospendere o annullare l’azione esecutiva.

Un’altra strategia importante è la richiesta di riduzione della quota pignorata, soprattutto se la trattenuta compromette la sussistenza del debitore e della sua famiglia. Il tribunale può rivedere l’importo trattenuto e stabilire una percentuale inferiore, garantendo un equilibrio tra il diritto del creditore al recupero del credito e il diritto del debitore a mantenere un reddito sufficiente per le necessità primarie.

Il debitore può inoltre avvalersi delle procedure di sovraindebitamento, previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), per ottenere una ristrutturazione del debito o persino la sua cancellazione definitiva in caso di incapacità economica. Grazie a strumenti come il piano del consumatore, l’accordo con i creditori o l’esdebitazione del debitore incapiente, è possibile fermare le esecuzioni in corso e trovare una soluzione più sostenibile per il rimborso dei debiti.

Infine, la negoziazione stragiudiziale con il creditore rappresenta un’ulteriore possibilità di difesa. In molti casi, il creditore può accettare un accordo di saldo e stralcio o una dilazione del pagamento più favorevole rispetto al pignoramento forzato. Questa opzione può essere particolarmente utile per evitare azioni esecutive aggressive e per raggiungere una soluzione equa senza ricorrere a lunghe controversie giudiziarie.

  • Soluzioni per la ristrutturazione e l’annullamento dei debiti tramite le procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) rappresentano una soluzione fondamentale per chi si trova in una situazione di grave difficoltà economica e non riesce più a far fronte ai propri debiti. Attraverso questi strumenti, è possibile bloccare le azioni esecutive, ristrutturare il proprio debito in modo sostenibile e, in alcuni casi, ottenere la cancellazione totale delle pendenze.

Una delle opzioni più utilizzate è il piano del consumatore, che consente ai soggetti non fallibili di proporre un piano di pagamento rateizzato in base alle proprie possibilità economiche, senza necessità di ottenere il consenso della maggioranza dei creditori. Questo strumento è particolarmente utile per chi ha debiti contratti per esigenze personali e non derivanti da attività imprenditoriali.

Un’altra alternativa è l’accordo con i creditori, che permette di negoziare un piano di rientro del debito con il consenso di almeno il 60% dei creditori. Se approvato dal tribunale, l’accordo ha effetto vincolante anche per i creditori dissenzienti e impedisce nuove azioni esecutive contro il debitore.

Per chi non ha alcuna possibilità di rimborsare i debiti, esiste l’esdebitazione del debitore incapiente, una misura che consente la cancellazione totale delle obbligazioni economiche, garantendo una ripartenza finanziaria. Questa procedura è destinata a soggetti che si trovano in uno stato di assoluta indigenza e che non possiedono beni aggredibili dai creditori.

Infine, la liquidazione controllata del patrimonio rappresenta una soluzione per chi possiede beni da mettere a disposizione dei creditori per saldare il debito. Una volta terminata la procedura, il debitore può ottenere l’esdebitazione e liberarsi definitivamente dalle obbligazioni residue.

Accedere a queste soluzioni richiede una valutazione approfondita della propria situazione economica e il supporto di un professionista qualificato per individuare la procedura più adatta e massimizzare le possibilità di successo.

  • Negoziazione di piani di rientro con i creditori per evitare nuove trattenute sullo stipendio

La negoziazione di un piano di rientro con i creditori è una strategia efficace per evitare ulteriori trattenute sullo stipendio e riprendere il controllo della propria situazione finanziaria. Questo approccio consente di definire un piano di pagamento sostenibile, evitando il protrarsi di azioni esecutive che possono compromettere la stabilità economica del debitore.

Uno degli strumenti più utilizzati è l’accordo transattivo, in cui il debitore e il creditore stabiliscono un nuovo piano di pagamento, generalmente a rate, che sostituisce il pignoramento. Questa soluzione può essere vantaggiosa per entrambe le parti: il debitore evita il blocco di una parte significativa del suo stipendio, mentre il creditore ottiene un rimborso regolare senza dover ricorrere a ulteriori procedure legali.

Per rendere più efficace la negoziazione, è consigliabile dimostrare la propria capacità di pagamento attraverso un’analisi dettagliata delle proprie entrate e spese. I creditori sono più propensi ad accettare un piano di rientro se vedono che il debitore ha un reddito sufficiente per rispettare gli impegni concordati. In alcuni casi, può essere utile coinvolgere un avvocato o un mediatore finanziario per facilitare la trattativa e garantire che gli accordi siano formalizzati correttamente.

Un altro strumento a disposizione è il saldo e stralcio, che consiste nel pagamento di una somma inferiore rispetto al debito totale in cambio della chiusura della pendenza. Questa soluzione è particolarmente utile se il debitore dispone di una somma una tantum da offrire al creditore per estinguere il debito in modo definitivo.

Infine, se la negoziazione diretta con il creditore non porta a un risultato soddisfacente, il debitore può valutare l’accesso alle procedure di sovraindebitamento, che permettono di ristrutturare o ridurre i debiti in modo legale e sostenibile, evitando nuove trattenute sullo stipendio e trovando una soluzione a lungo termine per il risanamento finanziario.

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