Quanto Tempo Passa Da Intimazione A Pignoramento? Cosa Sapere

Quando si riceve un’intimazione di pagamento da parte di un creditore, la prima domanda che sorge spontanea è: quanto tempo passa prima che si arrivi al pignoramento? Questo interrogativo è cruciale per chi si trova in difficoltà economica e teme l’azione esecutiva. La risposta, tuttavia, dipende da molteplici fattori, tra cui la natura del credito, le tempistiche legali e le eventuali opposizioni che il debitore può sollevare.

È fondamentale comprendere che ogni caso è unico e i tempi possono variare in base a molteplici circostanze. Alcuni creditori possono essere più solleciti nell’attivare il procedimento esecutivo, mentre altri possono impiegare più tempo, valutando attentamente costi e benefici dell’azione forzata. Una delle prime cose da considerare è la natura del credito: un debito bancario ha tempistiche diverse rispetto a un debito commerciale o fiscale. Inoltre, è importante valutare se esistono già procedure esecutive pendenti o se il creditore ha tentato altre forme di recupero crediti prima di giungere al pignoramento.

Nel contesto dell’esecuzione forzata, il creditore deve seguire una procedura specifica prima di poter procedere con il pignoramento. La legge impone precisi passaggi: la notifica del titolo esecutivo, l’atto di precetto e, solo in caso di mancato pagamento entro i termini previsti, l’avvio del pignoramento vero e proprio. In alcuni casi, i creditori cercano di avviare soluzioni alternative, come la negoziazione diretta o il tentativo di saldo e stralcio prima di procedere formalmente.

Il debitore non è mai lasciato senza strumenti di difesa. Esistono diverse azioni che possono essere intraprese per rallentare o addirittura bloccare l’esecuzione forzata, come le opposizioni o le richieste di rateizzazione. Molti debitori non sanno che esistono strumenti specifici che permettono di dilazionare il pagamento o addirittura ridurre il debito complessivo. Un esempio pratico è il ricorso all’istanza di conversione del pignoramento, che consente al debitore di sostituire il bene pignorato con una somma di denaro, dilazionabile nel tempo. Questo strumento può rivelarsi essenziale per evitare la vendita forzata di beni di grande valore.

Inoltre, con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), sono state introdotte importanti novità per la gestione del sovraindebitamento, offrendo ai debitori strumenti per uscire da situazioni di difficoltà economica senza subire le drastiche conseguenze dell’espropriazione forzata. Questa normativa ha ampliato le possibilità di accesso a procedure di esdebitazione, consentendo ai soggetti in grave difficoltà di ristrutturare i propri debiti in modo più equo e sostenibile.

Ad esempio, un imprenditore in difficoltà potrebbe accedere alla procedura di liquidazione controllata del patrimonio, che consente di ridurre il debito in base alle effettive capacità di pagamento. Un lavoratore dipendente con uno stipendio pignorato potrebbe invece beneficiare di un piano del consumatore per riorganizzare i propri debiti e ridurre l’impatto dell’esecuzione forzata. Le soluzioni esistono, ma è necessario agire tempestivamente per evitare conseguenze irreversibili.

Questo articolo esaminerà nel dettaglio le tempistiche e le dinamiche del procedimento esecutivo, analizzando le normative più recenti e fornendo numerosi esempi pratici per comprendere meglio i propri diritti e doveri. Verranno illustrati casi reali di pignoramento evitato grazie a interventi legali mirati, evidenziando come una strategia difensiva efficace possa fare la differenza tra la perdita di beni preziosi e la possibilità di rientrare gradualmente dal debito senza traumi economici e personali.

Ma andiamo ad approfondire con Studio Monardo, i legali specializzati nel cancellare i debiti.

Quando si riceve un’intimazione di pagamento, quali sono i primi passi del creditore?

L’intimazione di pagamento rappresenta il primo passo con cui un creditore avvia la procedura esecutiva contro un debitore inadempiente. Si tratta di un atto formale, solitamente preceduto da solleciti bonari, inviato tramite atto notificato da un ufficiale giudiziario. Questo atto può provenire da una banca, da un ente pubblico come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione o da un privato che abbia ottenuto un titolo esecutivo nei confronti del debitore. In ogni caso, la notifica dell’intimazione rappresenta un momento critico per il debitore, che deve valutare rapidamente come reagire.

Affinché il creditore possa avviare un pignoramento, deve essere in possesso di un titolo esecutivo, come una sentenza, un decreto ingiuntivo reso esecutivo o un assegno protestato. L’atto di precetto segue questa fase e rappresenta un’ingiunzione formale di pagamento entro 10 giorni. Questo significa che il debitore ha un periodo molto limitato per provvedere al pagamento o per trovare una soluzione alternativa. È importante sapere che, in alcuni casi, i creditori possono essere disponibili a trattare un accordo di pagamento rateale per evitare di procedere con il pignoramento.

Se il debitore non riesce a saldare il debito entro il termine previsto, il creditore può avviare il pignoramento. A seconda del tipo di debito e del patrimonio del debitore, il pignoramento può colpire beni mobili, immobili o crediti presso terzi. Ad esempio, un debitore con uno stipendio fisso potrebbe subire un pignoramento presso terzi, con la trattenuta di una percentuale dello stipendio direttamente dalla busta paga. Se possiede un immobile, il creditore potrebbe avviare un pignoramento immobiliare, il quale può sfociare nella vendita all’asta dell’immobile stesso. Ogni scenario ha tempistiche e modalità diverse, rendendo fondamentale l’intervento tempestivo di un professionista esperto per valutare le opzioni migliori per il debitore.

Dopo l’intimazione, quanto tempo passa prima del pignoramento?

Dopo che il creditore ha emesso l’intimazione di pagamento, il debitore entra in una fase critica in cui il rischio di subire un pignoramento diventa concreto. Il tempo che intercorre tra l’intimazione e l’effettivo pignoramento può variare in base a diversi fattori, tra cui la natura del debito, la prontezza del creditore nel procedere e la tipologia di esecuzione forzata che si intende attivare. Inoltre, il carico di lavoro degli uffici giudiziari, la presenza di eventuali festività o periodi di sospensione feriale dei termini processuali possono ulteriormente incidere sui tempi.

L’intimazione di pagamento è un atto formale che segna l’inizio della procedura esecutiva. Viene notificata al debitore per invitarlo a saldare il debito entro un termine specifico, solitamente fissato in 5 giorni dalla ricezione dell’atto. Questo termine è previsto dall’articolo 480 del Codice di Procedura Civile e rappresenta un periodo minimo, durante il quale il debitore può evitare l’esecuzione forzata pagando quanto dovuto. Tuttavia, in presenza di circostanze straordinarie, come controversie in corso o accordi di pagamento parziali, questo termine potrebbe non essere sufficiente per definire la situazione.

Tuttavia, trascorsi i 5 giorni senza che il debitore abbia provveduto al pagamento, il creditore può procedere con il pignoramento. Non esiste un termine massimo entro cui il creditore deve agire dopo l’intimazione, ma l’efficacia dell’atto di precetto ha una durata di 90 giorni. Se il pignoramento non viene avviato entro questo periodo, il creditore dovrà notificare un nuovo precetto per poter procedere. Questo aspetto è particolarmente rilevante nei casi in cui il creditore decida di adottare una strategia attendista per motivi tattici o per verificare eventuali cambiamenti nella situazione patrimoniale del debitore.

Il pignoramento può avvenire in tempi diversi a seconda della tipologia. Ad esempio, il pignoramento presso terzi (come il pignoramento dello stipendio o del conto corrente) può essere avviato rapidamente, spesso entro pochi giorni dal termine dei 5 giorni previsti per il pagamento. Questo perché il creditore può notificare direttamente l’atto di pignoramento al terzo debitore (datore di lavoro o banca) e al debitore stesso, senza la necessità di ulteriori autorizzazioni. Inoltre, l’uso di procedure telematiche ha reso più veloce la comunicazione tra le parti coinvolte, riducendo ulteriormente i tempi.

Al contrario, il pignoramento immobiliare richiede tempi più lunghi, in quanto prevede ulteriori passaggi procedurali, come la trascrizione del pignoramento nei registri immobiliari e la presentazione dell’istanza di vendita o di assegnazione dell’immobile. In questi casi, potrebbero passare diverse settimane o mesi tra l’intimazione e l’effettivo pignoramento. Inoltre, la necessità di effettuare perizie sul valore dell’immobile e di organizzare aste pubbliche può ulteriormente allungare i tempi, specialmente se l’immobile presenta problematiche legali o occupazioni abusive.

Un ulteriore elemento che può influire sui tempi è la strategia adottata dal creditore. Alcuni creditori, per motivi tattici o organizzativi, possono decidere di attendere prima di procedere con il pignoramento, anche se il termine dei 90 giorni li obbliga comunque a non procrastinare eccessivamente l’azione esecutiva. Questa attesa può essere dovuta a valutazioni sull’opportunità economica del pignoramento, considerando costi e benefici dell’operazione, oppure alla speranza che il debitore risolva autonomamente la situazione debitoria.

È importante sottolineare che, in presenza di debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, i tempi possono variare ulteriormente. L’Agenzia può procedere con il pignoramento dei beni senza dover ricorrere all’autorità giudiziaria, riducendo significativamente i tempi di attesa tra l’intimazione e l’esecuzione forzata. Questo potere è disciplinato da normative specifiche che conferiscono all’Agenzia una posizione privilegiata rispetto ai creditori privati, consentendole di agire con maggiore rapidità ed efficienza.

Il debitore ha comunque alcune possibilità di difesa durante questo periodo. Oltre a poter saldare il debito per evitare il pignoramento, può presentare opposizione al precetto se ritiene che l’intimazione sia infondata o viziata da irregolarità formali. In caso di opposizione, il giudice competente dovrà pronunciarsi, e questo può comportare un rallentamento o una sospensione temporanea della procedura esecutiva. Inoltre, il debitore può valutare soluzioni alternative, come la richiesta di rateizzazione del debito, l’accesso a procedure di sovraindebitamento o la negoziazione di accordi transattivi con il creditore.

In definitiva, dopo l’intimazione di pagamento, il pignoramento può avvenire in tempi molto rapidi, soprattutto nel caso di crediti liquidi ed esigibili, come quelli derivanti da sentenze o decreti ingiuntivi già passati in giudicato. Tuttavia, la complessità del caso specifico, la tipologia di beni da pignorare e la strategia processuale del creditore possono determinare significative variazioni nei tempi. Anche la capacità del debitore di attivarsi tempestivamente per risolvere o contestare la situazione può fare la differenza, influendo notevolmente sull’esito e sulla tempistica della procedura esecutiva.

Esistono differenze tra il pignoramento mobiliare, immobiliare e presso terzi?

Sì, esistono differenze sostanziali. Il pignoramento mobiliare riguarda beni di valore del debitore, come auto, mobili, gioielli e richiede l’intervento dell’ufficiale giudiziario presso il domicilio del debitore. Questo tipo di pignoramento può avvenire direttamente nell’abitazione o nei luoghi di pertinenza del debitore, dove vengono identificati e catalogati i beni suscettibili di espropriazione. In alcuni casi, i beni possono essere immediatamente rimossi e custoditi in appositi magazzini fino alla vendita all’asta, mentre in altri viene apposto un sigillo sugli stessi, impedendone l’uso.

Il pignoramento immobiliare colpisce immobili di proprietà del debitore e comporta una procedura più lunga, che include la trascrizione dell’atto nei registri immobiliari, la perizia del valore dell’immobile, la fissazione dell’asta giudiziaria e la successiva eventuale vendita. I tempi possono essere particolarmente lunghi, soprattutto se l’immobile non attira subito acquirenti o se vengono presentate opposizioni. Ad esempio, in alcune situazioni, l’asta può andare deserta più volte, comportando ribassi progressivi del prezzo di vendita, con un impatto significativo sulla liquidazione del debito.

Il pignoramento presso terzi coinvolge somme dovute al debitore da soggetti terzi, come il datore di lavoro (per lo stipendio) o la banca (per il conto corrente). Questo è spesso il più rapido, in quanto non richiede la presenza fisica di un ufficiale giudiziario. Nel caso del pignoramento dello stipendio, una parte della retribuzione viene direttamente trattenuta dal datore di lavoro e versata al creditore, secondo i limiti previsti dalla legge. Per i conti correnti, invece, la banca congela immediatamente le somme disponibili fino all’importo stabilito, impedendo al debitore di accedere a tali fondi. Tuttavia, esistono limiti e tutele, come il minimo vitale per i lavoratori dipendenti e la non pignorabilità di alcuni tipi di somme, come quelle derivanti da pensioni sociali o assegni di accompagnamento.

Il debitore può opporsi al pignoramento?

Dopo che il creditore ha emesso l’intimazione di pagamento, il debitore entra in una fase critica in cui il rischio di subire un pignoramento diventa concreto. Il tempo che intercorre tra l’intimazione e l’effettivo pignoramento può variare in base a diversi fattori, tra cui la natura del debito, la prontezza del creditore nel procedere e la tipologia di esecuzione forzata che si intende attivare. Inoltre, il carico di lavoro degli uffici giudiziari, la presenza di eventuali festività o periodi di sospensione feriale dei termini processuali possono ulteriormente incidere sui tempi. Da non trascurare è anche la variabile legata alla complessità del caso specifico, che potrebbe richiedere verifiche documentali o accertamenti patrimoniali più dettagliati.

L’intimazione di pagamento è un atto formale che segna l’inizio della procedura esecutiva. Viene notificata al debitore per invitarlo a saldare il debito entro un termine specifico, solitamente fissato in 5 giorni dalla ricezione dell’atto. Questo termine è previsto dall’articolo 480 del Codice di Procedura Civile e rappresenta un periodo minimo, durante il quale il debitore può evitare l’esecuzione forzata pagando quanto dovuto. Tuttavia, in presenza di circostanze straordinarie, come controversie in corso, difficoltà economiche gravi o accordi di pagamento parziali, questo termine potrebbe non essere sufficiente per definire la situazione. In questi casi, il debitore può tentare di negoziare con il creditore per ottenere una proroga o concordare una dilazione del pagamento.

Tuttavia, trascorsi i 5 giorni senza che il debitore abbia provveduto al pagamento, il creditore può procedere con il pignoramento. Non esiste un termine massimo entro cui il creditore deve agire dopo l’intimazione, ma l’efficacia dell’atto di precetto ha una durata di 90 giorni. Se il pignoramento non viene avviato entro questo periodo, il creditore dovrà notificare un nuovo precetto per poter procedere. Questo aspetto è particolarmente rilevante nei casi in cui il creditore decida di adottare una strategia attendista per motivi tattici o per verificare eventuali cambiamenti nella situazione patrimoniale del debitore. Alcuni creditori, infatti, preferiscono monitorare l’evoluzione della situazione finanziaria del debitore prima di intraprendere azioni definitive.

Il pignoramento può avvenire in tempi diversi a seconda della tipologia. Ad esempio, il pignoramento presso terzi (come il pignoramento dello stipendio o del conto corrente) può essere avviato rapidamente, spesso entro pochi giorni dal termine dei 5 giorni previsti per il pagamento. Questo perché il creditore può notificare direttamente l’atto di pignoramento al terzo debitore (datore di lavoro o banca) e al debitore stesso, senza la necessità di ulteriori autorizzazioni. Inoltre, l’uso di procedure telematiche ha reso più veloce la comunicazione tra le parti coinvolte, riducendo ulteriormente i tempi. Tuttavia, anche in questi casi, possono sorgere complicazioni se il terzo pignorato contesta la legittimità del pignoramento o se vi sono più creditori concorrenti.

Al contrario, il pignoramento immobiliare richiede tempi più lunghi, in quanto prevede ulteriori passaggi procedurali, come la trascrizione del pignoramento nei registri immobiliari e la presentazione dell’istanza di vendita o di assegnazione dell’immobile. In questi casi, potrebbero passare diverse settimane o mesi tra l’intimazione e l’effettivo pignoramento. Inoltre, la necessità di effettuare perizie sul valore dell’immobile e di organizzare aste pubbliche può ulteriormente allungare i tempi, specialmente se l’immobile presenta problematiche legali o occupazioni abusive. Le difficoltà possono aumentare se vi sono ipoteche o altri gravami registrati sull’immobile, che richiedono ulteriori verifiche da parte del tribunale.

Un ulteriore elemento che può influire sui tempi è la strategia adottata dal creditore. Alcuni creditori, per motivi tattici o organizzativi, possono decidere di attendere prima di procedere con il pignoramento, anche se il termine dei 90 giorni li obbliga comunque a non procrastinare eccessivamente l’azione esecutiva. Questa attesa può essere dovuta a valutazioni sull’opportunità economica del pignoramento, considerando costi e benefici dell’operazione, oppure alla speranza che il debitore risolva autonomamente la situazione debitoria. In certi casi, il creditore potrebbe preferire stipulare accordi transattivi piuttosto che affrontare le spese e le incertezze di una lunga procedura esecutiva.

È importante sottolineare che, in presenza di debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, i tempi possono variare ulteriormente. L’Agenzia può procedere con il pignoramento dei beni senza dover ricorrere all’autorità giudiziaria, riducendo significativamente i tempi di attesa tra l’intimazione e l’esecuzione forzata. Questo potere è disciplinato da normative specifiche che conferiscono all’Agenzia una posizione privilegiata rispetto ai creditori privati, consentendole di agire con maggiore rapidità ed efficienza. Tuttavia, anche l’Agenzia deve rispettare determinati termini procedurali e garantire il diritto del debitore di essere informato e di opporsi alle decisioni prese.

Il debitore ha comunque alcune possibilità di difesa durante questo periodo. Oltre a poter saldare il debito per evitare il pignoramento, può presentare opposizione al precetto se ritiene che l’intimazione sia infondata o viziata da irregolarità formali. In caso di opposizione, il giudice competente dovrà pronunciarsi, e questo può comportare un rallentamento o una sospensione temporanea della procedura esecutiva. Inoltre, il debitore può valutare soluzioni alternative, come la richiesta di rateizzazione del debito, l’accesso a procedure di sovraindebitamento o la negoziazione di accordi transattivi con il creditore. In alcuni casi, può risultare utile consultare un avvocato specializzato in diritto esecutivo per esaminare tutte le opzioni disponibili e scegliere la strategia più adeguata per proteggere il proprio patrimonio.

Il debitore può opporsi al pignoramento in diverse circostanze e attraverso specifiche azioni legali. L’opposizione può essere di merito, quando si contesta l’esistenza del debito o la legittimità del titolo esecutivo, oppure di forma, se si rilevano irregolarità procedurali nell’atto di pignoramento stesso. L’opposizione deve essere presentata presso il giudice competente, generalmente entro 20 giorni dalla notifica dell’atto esecutivo, sebbene questo termine possa variare a seconda del tipo di opposizione e delle specifiche normative applicabili.

L’opposizione può basarsi su diversi motivi: inesistenza o estinzione del debito, vizi formali nella notifica degli atti, mancanza di requisiti del titolo esecutivo o eccessività del pignoramento rispetto all’importo dovuto. Durante il processo di opposizione, il giudice può decidere di sospendere temporaneamente l’efficacia del pignoramento per evitare danni irreparabili al debitore fino alla definizione del giudizio. Questa sospensione, nota come “sospensione dell’efficacia esecutiva”, viene concessa in presenza di gravi motivi.

Inoltre, il debitore può richiedere la riduzione del pignoramento se ritiene che l’importo sequestrato sia sproporzionato rispetto al debito residuo. Questa richiesta può essere fatta anche se il pignoramento è già in corso, con l’obiettivo di tutelare il minimo vitale del debitore o di preservare beni essenziali per l’attività lavorativa.

Infine, il debitore può ricorrere a procedure straordinarie come la definizione agevolata del debito, l’accordo di composizione della crisi o il piano del consumatore, strumenti previsti dalla normativa sul sovraindebitamento. Queste procedure consentono di ottenere una ristrutturazione del debito o, in alcuni casi, la sua cancellazione parziale o totale, con l’approvazione del giudice.

In definitiva, dopo l’intimazione di pagamento, il pignoramento può avvenire in tempi molto rapidi, soprattutto nel caso di crediti liquidi ed esigibili, come quelli derivanti da sentenze o decreti ingiuntivi già passati in giudicato. Tuttavia, la complessità del caso specifico, la tipologia di beni da pignorare e la strategia processuale del creditore possono determinare significative variazioni nei tempi. Anche la capacità del debitore di attivarsi tempestivamente per risolvere o contestare la situazione può fare la differenza, influendo notevolmente sull’esito e sulla tempistica della procedura esecutiva.

Quali strumenti legali esistono per evitare il pignoramento?

Un debitore può intraprendere diverse azioni per evitare il pignoramento. Può tentare un accordo con il creditore, attraverso una rinegoziazione del debito o un saldo e stralcio. Questo può avvenire attraverso una trattativa diretta con il creditore, che spesso è disposto ad accettare una soluzione alternativa piuttosto che avviare lunghe procedure esecutive. Può chiedere la rateizzazione del debito, se prevista dalla normativa o concordata con il creditore, evitando così il rischio di un’immediata esecuzione forzata. In alcuni casi, è possibile ottenere una sospensione temporanea del pagamento per permettere al debitore di recuperare una situazione economica più stabile.

Può ricorrere agli strumenti del sovraindebitamento, previsti dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza. Ad esempio, attraverso il piano del consumatore, il debitore può ottenere una ristrutturazione dei propri debiti con il benestare del tribunale, che valuterà la sostenibilità del piano proposto. Se il debitore è un imprenditore in difficoltà, può optare per la liquidazione controllata del patrimonio, che gli consente di ridurre il debito in modo equo. In casi estremi, esiste la possibilità di ottenere l’esdebitazione del debitore incapiente, ovvero la cancellazione dei debiti per chi non ha alcuna prospettiva di pagamento.

Un esempio pratico di utilizzo di questi strumenti è rappresentato da un lavoratore dipendente che, avendo subito un pignoramento dello stipendio, decide di accedere a una procedura di sovraindebitamento per rinegoziare il proprio debito e ridurre l’importo trattenuto mensilmente. In un altro caso, un piccolo imprenditore con debiti bancari potrebbe evitare la liquidazione dei propri beni accedendo a un piano di rientro autorizzato dal giudice.

Agire tempestivamente è fondamentale, perché più si attende, più le possibilità di difendersi si riducono. Consultare un professionista esperto in diritto bancario e del sovraindebitamento permette di individuare la soluzione più adatta alla propria situazione e di evitare le conseguenze più gravi del pignoramento.

Il sovraindebitamento può fermare un pignoramento?

Sì, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) offre diverse soluzioni per il debitore in difficoltà, tra cui il piano del consumatore, che consente di rinegoziare i debiti con l’intervento del tribunale e permette di ottenere un piano di pagamento personalizzato basato sulle effettive capacità economiche del debitore, evitando così l’aggressione diretta dei creditori.

Un’altra possibilità è l’accordo di composizione della crisi, destinato a chi ha più creditori e necessita di una soluzione strutturata per riorganizzare le proprie obbligazioni. Questo strumento permette di negoziare con tutti i creditori coinvolti, trovando una soluzione collettiva che, se approvata dal tribunale, diventa vincolante per tutti. È una soluzione ideale per imprenditori o liberi professionisti che hanno un’elevata esposizione debitoria e necessitano di un intervento complessivo per ristabilire il proprio equilibrio finanziario.

Infine, vi è l’esdebitazione del debitore incapiente, che consente di ottenere la cancellazione dei debiti per chi non ha alcuna prospettiva di pagamento. Questa misura è particolarmente utile per coloro che si trovano in condizioni di totale insolvenza e che non hanno beni o redditi sufficienti per onorare i propri debiti. Grazie a questa procedura, il debitore può liberarsi dal peso dei debiti e ripartire economicamente senza il timore di subire nuove azioni esecutive.

L’applicazione di queste soluzioni dipende dalla specifica situazione del debitore e dalla tipologia di debiti accumulati. Per questo motivo, è fondamentale avvalersi di un esperto in materia che possa guidare il debitore verso la procedura più adatta alla sua condizione, valutando caso per caso le possibilità di successo e i benefici concreti derivanti dall’adesione a questi strumenti normativi.

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È iscritto negli elenchi del Ministero della Giustizia come gestore della Crisi da Sovraindebitamento e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi). Questo ruolo gli permette di supportare privati e aziende in difficoltà economica, aiutandoli a evitare il pignoramento e ad accedere a procedure di rinegoziazione del debito. Offre consulenza qualificata per analizzare la posizione debitoria, valutare le possibili opposizioni all’esecuzione e identificare la soluzione più vantaggiosa per il cliente.

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