L’atto di pignoramento avviato dall’Agenzia delle Entrate rappresenta, per il contribuente, uno dei momenti più critici e delicati nel rapporto con il fisco. L’evoluzione normativa fino al 2025 ha ampliato il ventaglio di strumenti difensivi e, contestualmente, ha introdotto nuove procedure che, se da un lato mirano a semplificare l’azione di riscossione dell’Erario, dall’altro offrono maggiori tutele a chi si trova in stato di temporanea o definitiva difficoltà economica. La possibilità di opporsi a un pignoramento non rappresenta infatti un tentativo di sottrarsi indebitamente ai propri obblighi, ma piuttosto un diritto garantito dall’ordinamento, che consente di verificare la legittimità e la regolarità delle pretese avanzate. L’urgenza di comprendere a fondo tali meccanismi è esacerbata dall’aumento progressivo dei debiti fiscali riscontrato negli ultimi anni. Molti contribuenti, già gravati da crisi d’impresa o da difficoltà finanziarie personali, si sono trovati a dover gestire ingiunzioni di pagamento e atti di pignoramento in rapida successione, spesso senza una preparazione adeguata.
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Le novità introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), che ha dispiegato i suoi effetti in modo più intenso dal 2020 in poi, hanno aperto nuovi scenari. Il legislatore ha cercato di fornire strumenti sia all’impresa sia al consumatore per prevenire o gestire il sovraindebitamento, con l’obiettivo di salvaguardare asset strategici e patrimoni personali da procedure esecutive. Ciò ha un impatto diretto sulla possibilità di opporsi al pignoramento, soprattutto laddove si intraprendano percorsi di negoziazione assistita con i creditori o si attivino procedure di composizione della crisi. In molti casi, il pignoramento in essere può essere sospeso se si dimostra che è in corso un tentativo serio e concreto di ristrutturazione del debito o di soluzione concordata con i creditori.
Uno dei dati più significativi degli ultimi anni riguarda l’aumento di pignoramenti relativi a crediti fiscali e previdenziali, che si sono attestati in crescita di oltre il 20% rispetto al periodo precedente il 2020, secondo stime diffuse dagli addetti ai lavori. Questa tendenza riflette un quadro economico ancora fragile per molti settori, aggravato dalle continue incertezze globali. Per il contribuente non è raro imbattersi in un pignoramento su conti correnti, stipendi, pensioni o immobili, e in alcuni casi è possibile che tali azioni riguardino perfino strumenti di lavoro, sebbene la legge stabilisca limiti precisi per proteggere il minimo indispensabile alla sopravvivenza economica.
Opporsi a un pignoramento non significa soltanto sostenere di non avere debiti, ma vuol dire intraprendere un percorso complesso che può contemplare vizi di forma, illegittimità nella procedura e valutazioni circa la prescrizione del credito. Il D.P.R. n. 602/1973, insieme ad altre normative successive, stabilisce i principi di base della riscossione coattiva e l’Agenzia delle Entrate Riscossione deve attenersi a precisi criteri formali nel notificare le cartelle e avviare il successivo pignoramento. Se tali criteri non sono rispettati, il pignoramento può essere contestato per ottenere l’annullamento parziale o totale dell’atto. L’impugnazione può avvenire di fronte al giudice competente, che varia a seconda del tipo di tributo o della natura del credito, e richiede competenze specifiche.
Nel 2025, le regole sulla riscossione si sono ulteriormente aggiornate. Strumenti digitali di notifica (come la PEC) e forme di cooperazione rafforzata tra istituti bancari e Fisco hanno accelerato tempi e modalità di esecuzione. Questa efficienza, però, aumenta i rischi di errori o sovrapposizioni nell’azione di recupero del credito, imponendo al contribuente di essere costantemente vigile nel monitorare eventuali atti notificati. È fondamentale ricordare come la legge preveda termini piuttosto serrati per proporre opposizione. Una volta scaduti, anche un provvedimento viziato può acquisire efficacia definitiva, rendendo molto più difficile la difesa.
Nel prosieguo dell’articolo verranno affrontate le principali tematiche legate all’opposizione, le strategie di difesa e gli esempi pratici di maggiore rilievo. Verranno approfondite alcune situazioni tipiche, quali il pignoramento del conto corrente, il blocco dello stipendio e perfino il pignoramento immobiliare. Si cercherà di mettere in luce come i diversi strumenti giuridici, compresa la legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012), adesso armonizzata nel Codice della Crisi, possano effettivamente aiutare a risolvere o quanto meno alleggerire il carico debitorio. Verranno sollevate e analizzate alcune domande frequenti, la cui risposta è essenziale per chi si trova a dover fronteggiare un pignoramento dell’Agenzia delle Entrate. La conoscenza delle procedure, unita all’assistenza di professionisti competenti, permette di esercitare correttamente i propri diritti e di avvalersi di ogni possibilità di tutela prevista dall’ordinamento. Ricordiamo che la scelta delle strategie difensive più adeguate deve sempre tenere conto della storia debitoria specifica, della tipologia di credito e delle prospettive realistiche di pagamento o di transazione.
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Quali sono i fondamenti legali per opporsi a un pignoramento dell’Agenzia delle Entrate nel 2025?
I fondamenti legali che consentono di opporsi a un pignoramento promosso dall’Agenzia delle Entrate si trovano principalmente nel D.P.R. n. 602/1973, che regola la riscossione coattiva dei tributi e fornisce le linee guida sui poteri e i limiti dell’Agente della Riscossione. L’Agenzia delle Entrate Riscossione deve rispettare una procedura rigorosa: l’iscrizione a ruolo del debito, la notifica della cartella, l’intimazione di pagamento e soltanto dopo il decorso dei termini di legge può avviare il pignoramento. Se questa sequenza viene disattesa o se ci sono errori nella notifica, è possibile chiedere al giudice l’annullamento dell’atto. È inoltre consentito contestare la legittimità del credito oggetto di riscossione, per esempio in presenza di importi già pagati o di procedure di sgravio in corso. Il legislatore ha introdotto aggiornamenti normativi periodici, l’ultimo dei quali, in vigore nel 2025, consolida l’obbligo per l’Agente della Riscossione di fornire prove documentali di ogni passaggio, in modo che il contribuente possa verificare la correttezza delle azioni intraprese.
I termini temporali sono cruciali. Dal momento in cui il contribuente riceve l’atto di pignoramento, ha un limite rigoroso entro cui opporsi. È spesso di fondamentale importanza verificare se l’atto è stato notificato correttamente e se i termini per la difesa sono effettivamente iniziati a decorrere. In alcuni casi, può risultare decisivo dimostrare che la notifica non è avvenuta secondo i canoni previsti dalla legge, come la notifica via PEC a un indirizzo errato o la mancata consegna al destinatario effettivo. L’opposizione può basarsi anche sul merito della pretesa fiscale, qualora si riesca a provare che la somma richiesta non è dovuta o è stata già oggetto di un contenzioso pendente.
È importante ricordare che esistono diversi tipi di opposizione, principalmente l’opposizione agli atti esecutivi e l’opposizione all’esecuzione. La prima si focalizza sui vizi formali dell’atto, come notifiche inesistenti o incomplete, mentre la seconda attacca la validità sostanziale del titolo che legittima la riscossione. Conoscere esattamente quale tipo di opposizione utilizzare è determinante per evitare di incorrere in rigetti o decadenze. L’assistenza di un professionista specializzato, avvocato tributarista o commercialista abilitato in materia fiscale, può fare la differenza nel predisporre le memorie difensive e nel radicare la causa presso il giudice competente. La normativa del 2025 prevede inoltre che il contribuente possa richiedere la sospensione provvisoria del pignoramento qualora emergano gravi e fondati motivi che facciano apparire evidente l’illegittimità o l’erroneità dell’atto. È essenziale non sottovalutare questi strumenti e agirvi tempestivamente.
È possibile bloccare il pignoramento attraverso la legge sul sovraindebitamento o il Codice della Crisi d’Impresa?
La legge sul sovraindebitamento (L. 3/2012) ha introdotto in Italia uno schema normativo innovativo che, se ben utilizzato, può portare a sospensioni e persino cancellazioni dei debiti in determinate circostanze. Con l’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), tali disposizioni sono state in parte armonizzate all’interno di un quadro più ampio, che punta a garantire la continuità aziendale e la salvaguardia di persone fisiche in grave difficoltà economica. Una delle novità più rilevanti consiste nella possibilità di ottenere la sospensione delle procedure esecutive, incluso il pignoramento dell’Agenzia delle Entrate, una volta che si intraprenda una procedura di composizione della crisi o di liquidazione del patrimonio.
Se un consumatore o un imprenditore minore (che non rientri nelle procedure fallimentari tradizionali) si trovano in uno stato di grave insolvenza, possono proporre un piano di ristrutturazione del debito o di liquidazione del proprio patrimonio, rivolgendosi all’Organismo di Composizione della Crisi (OCC). Nel momento in cui il piano viene ammesso dal tribunale, i creditori sono in linea di massima tenuti a sospendere ogni azione esecutiva in corso, compreso il pignoramento. Ciò si traduce in un sollievo immediato per il debitore, che può così gestire il proprio debito in modo ordinato, evitando la paralisi delle proprie risorse finanziarie. È fondamentale, però, che il piano sia credibile e sostenibile, dimostrando che il debitore può rimettersi in carreggiata attraverso il pagamento parziale o rateale del debito, o con la cessione di alcuni beni non essenziali.
Un ulteriore strumento introdotto dal Codice della Crisi è l’esdebitazione del debitore incapiente, un istituto che, a determinate condizioni, cancella i debiti residui di chi non è obiettivamente in grado di adempiere. Questo meccanismo, però, non è automaticamente applicabile a tutti i casi. Il tribunale verifica l’assenza di colpa grave o di frode da parte del debitore e la completa collaborazione con gli organi della procedura. Anche in questo contesto, la presenza di un pignoramento dell’Agenzia delle Entrate può rientrare nella massa debitoria oggetto di esdebitazione. Se la procedura viene conclusa positivamente, il contribuente potrebbe liberarsi di parte o di tutti i debiti fiscali, a patto di soddisfare i requisiti previsti dalla legge. L’avvio di un percorso di sovraindebitamento o di composizione della crisi rappresenta dunque una leva importante, anche per frenare l’avanzare di un pignoramento, purché ci si muova per tempo e con l’adeguato supporto professionale.
Quali errori procedurali possono rendere nullo il pignoramento?
Un pignoramento, per essere legittimo, deve rispettare diverse formalità. Ogni difetto di notifica o di comunicazione può costituire motivo di nullità. Ad esempio, la notifica della cartella di pagamento tramite un indirizzo PEC non corretto rende l’atto inesistente nei confronti del contribuente, privandolo della possibilità di venire a conoscenza del debito. Una volta dimostrata in giudizio tale irregolarità, il pignoramento successivo diventa nullo. Altri errori procedurali riguardano la mancanza di un’intimazione di pagamento entro i termini stabiliti, la violazione delle soglie di impignorabilità (come quando viene pignorato l’intero stipendio oltre la quota stabilita dalla legge) o l’omessa indicazione delle modalità con cui il contribuente può opporsi.
Anche la tempistica riveste un ruolo cruciale. Se la cartella esattoriale è caduta in prescrizione e l’Agente della Riscossione non ha provveduto a rinnovarla nei termini, il debito non può più essere richiesto e ogni atto successivo, pignoramento incluso, è viziato. Spesso, poi, si rilevano inesattezze nei calcoli, con aggiunta di interessi o sanzioni non dovuti, o duplicazioni di ruoli che comportano la richiesta di somme già versate. In tali circostanze, è possibile chiedere al giudice di merito di escludere la parte non dovuta o di annullare completamente l’atto.
La legge stabilisce che l’opposizione a un pignoramento debba essere proposta davanti al giudice competente in base alla natura del credito. Nel caso di debiti tributari, ci si rivolge generalmente alle Commissioni Tributarie (Provinciale e Regionale). Però, qualora l’opposizione abbia per oggetto esclusivamente vizi procedurali dell’atto di esecuzione e non la fondatezza del credito, è possibile che la giurisdizione competente sia ordinaria. Questo aspetto procedurale è delicato, poiché il contribuente rischia di rivolgersi al giudice sbagliato e di subire un rigetto basato su motivi formali. Ciò sottolinea l’importanza di studiare il titolo di credito e di identificare correttamente l’oggetto dell’opposizione. Errori di questo tipo possono essere fatali per la difesa, poiché i termini per ripresentare l’opposizione davanti al giudice giusto potrebbero essere ormai scaduti.
Un’altra circostanza frequente è la mancata specificazione del dettaglio del debito o dei riferimenti alle cartelle alla base del pignoramento. Se l’Agenzia delle Entrate Riscossione non indica in modo puntuale i riferimenti che legittimano l’iscrizione a ruolo e non fornisce la documentazione relativa, l’atto perde la necessaria trasparenza, permettendo al contribuente di contestarne la validità. In simili situazioni, la giurisprudenza ha spesso riconosciuto la nullità dell’atto esecutivo, considerando la mancanza di chiarezza un vizio procedurale sostanziale.
Quali strumenti pratici esistono per ottenere la sospensione del pignoramento?
Ottenere la sospensione del pignoramento è un passaggio determinante per il contribuente che voglia guadagnare tempo e risorse utili a trovare una soluzione definitiva al debito. Lo strumento più diffuso è l’istanza di sospensione giudiziale, che può essere presentata quando si avvii un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi. Il giudice, se ritiene che vi siano gravi motivi, può disporre la sospensione dell’atto esecutivo sino alla definizione del giudizio. Tale provvedimento è di natura cautelare, quindi non necessita di una prova definitiva dell’illegittimità del debito, ma richiede la dimostrazione di un fumus boni iuris (ossia la probabilità che l’opposizione sia fondata) e del periculum in mora (il rischio di un danno grave e irreparabile qualora il pignoramento prosegua).
Un secondo strumento, sempre più utilizzato, è la richiesta di rateizzazione del debito avanzata direttamente all’Agenzia delle Entrate. Qualora il contribuente dimostri di essere in difficoltà economica, l’Agente della Riscossione può concedere un piano di dilazione dei pagamenti, a condizione che siano rispettate determinate soglie. La legge prevede che, in presenza di un piano di rateizzazione in regola, la procedura di pignoramento venga sospesa per tutta la durata dei versamenti, a meno che il contribuente non decada dalla rateizzazione per omesso pagamento delle rate. Questa soluzione è particolarmente interessante per chi dispone di redditi costanti ma insufficienti a estinguere il debito in un’unica soluzione.
Un terzo strumento può derivare dall’attivazione di una procedura di sovraindebitamento o dalla richiesta di ammissione a misure previste dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, come menzionato in precedenza. Non appena il giudice ammette il debitore alla procedura, può disporre la sospensione di tutte le azioni esecutive, compreso il pignoramento dell’Agenzia delle Entrate. Questo blocco consente al debitore di negoziare una soluzione con i creditori in un contesto controllato, evitando che il suo patrimonio venga aggredito nel frattempo. In ogni caso, per ottenere la sospensione, è indispensabile muoversi con prontezza. Il pignoramento, infatti, potrebbe portare, in tempi relativamente brevi, all’assegnazione di somme o alla vendita di beni, riducendo di molto lo spazio di manovra per eventuali accordi. Agire tempestivamente e con il supporto di professionisti esperti si rivela dunque la chiave per evitare danni irrimediabili al patrimonio e per salvaguardare la possibilità di trovare una soluzione concordata.
Come comportarsi in caso di pignoramento su stipendio, conto corrente o immobile?
Il pignoramento dello stipendio e quello del conto corrente sono tra i più comuni. Nel caso dello stipendio, la legge stabilisce che soltanto una certa percentuale possa essere trattenuta ogni mese, calcolata in base all’entità del reddito e alle esigenze fondamentali del debitore. Se si supera questa soglia, il pignoramento diventa illegittimo e può essere contestato. Anche in presenza di un pignoramento formalmente corretto, è possibile proporre opposizione se si ritiene che il debito sia prescritto o se si è già corrisposta la somma richiesta. Il pignoramento del conto corrente, invece, può colpire i saldi esistenti al momento in cui la banca riceve l’atto esecutivo, impedendo al debitore di utilizzare tali fondi. Se tuttavia la procedura non rispetta i canoni stabiliti dalla normativa o se il debitore riesce a dimostrare che i soldi presenti sul conto derivano da assegni familiari, pensioni minime o altre entrate impignorabili, è possibile contestare l’atto e chiedere la liberazione delle somme.
Più delicato risulta il pignoramento immobiliare, soprattutto quando riguarda la prima casa. La legislazione attuale prevede delle forme di protezione per l’abitazione principale del contribuente, salvo che non vi siano altre condizioni, come la natura di lusso dell’immobile o la presenza di ipoteche già iscritte. Se si verificano situazioni particolari, l’Agenzia delle Entrate può anche provvedere all’iscrizione di ipoteca come forma cautelare, ma ciò non equivale necessariamente a un pignoramento. In ogni caso, qualora inizi la procedura esecutiva per il recupero del credito, è fondamentale valutare se l’atto rispetta tutti i requisiti di legge e se l’immobile rientra o meno tra i beni protetti dalla normativa.
Numerosi esempi testimoniano come, grazie a un’opposizione ben strutturata, si possa ottenere la riduzione o addirittura l’annullamento del pignoramento. In un caso tipico, un contribuente che aveva ricevuto un pignoramento sullo stipendio è riuscito a dimostrare la prescrizione di parte del debito, facendo sì che la trattenuta mensile fosse ridimensionata e commisurata solo alla parte effettivamente dovuta. In un altro caso, un libero professionista ha bloccato con successo un pignoramento sul proprio conto corrente perché i fondi depositati derivavano in prevalenza da prestazioni assistenziali e da sussidi per il nucleo familiare, integralmente impignorabili. La tempestività con cui si analizza la provenienza delle somme gioca un ruolo cruciale: se il creditore o l’Agente della Riscossione vengono messi di fronte a prove certe dell’illiceità del pignoramento, la procedura può essere interrotta prima di creare danni irreversibili.
Altrettanto importante è la situazione in cui si presenti il rischio di perdere l’immobile di proprietà. Se l’abitazione in questione è effettivamente la prima casa e il contribuente non possiede altri immobili, la legge attuale, anche grazie alle modifiche intervenute negli ultimi anni, prevede limiti stringenti alla pignorabilità da parte dell’Agenzia delle Entrate, salvo che il debito non superi una certa soglia e che non si tratti di abitazione di lusso. Verificare se l’immobile rientra o meno in tali eccezioni è la prima mossa difensiva, un passaggio che spesso viene sottovalutato perché molti ritengono, erroneamente, che l’Agenzia delle Entrate possa pignorare qualsiasi bene in ogni circostanza. Soltanto con un’analisi accurata della situazione patrimoniale e delle norme specifiche si può stabilire se il pignoramento sia legittimo o se valga la pena intraprendere un’opposizione fondata.
Nell’insieme, l’approccio del contribuente dovrebbe basarsi sulla verifica dettagliata di tutti gli atti ricevuti, sulla ricerca immediata di eventuali vizi formali e sulla valutazione delle ragioni di merito (prescrizione, pagamento già effettuato, errore di calcolo). L’esame preliminare deve includere anche la possibilità di accedere alle procedure di sovraindebitamento o alle soluzioni proposte dal Codice della Crisi, così da mettere in campo tutte le strategie di tutela disponibili.
Nell’ordinamento italiano, dunque, le possibilità di opporsi a un pignoramento avviato dall’Agenzia delle Entrate nel 2025 sono molteplici e si dipanano tra vizi procedurali, contestazioni di merito e strumenti di risanamento delle passività. È fondamentale agire con tempestività, ben sapendo che le tempistiche sono serrate e che ogni errore nella scelta del rimedio giurisdizionale può compromettere l’esito della difesa. Le modifiche normative introdotte negli ultimi anni hanno reso il sistema più trasparente, ma anche più complesso. Da un lato, la digitalizzazione delle comunicazioni e la collaborazione incrociata tra banche e Agenzia delle Entrate accelerano i tempi della riscossione, dall’altro il contribuente dispone di procedure strutturate per concordare piani di rientro o per avvalersi di misure di salvaguardia, come la sospensione delle esecuzioni in caso di avvio di una procedura di composizione della crisi.
Se ci si trova in una situazione di grave e persistente insolvenza, è possibile valutare l’ipotesi di aprire una procedura di sovraindebitamento, eventualmente finalizzata all’esdebitazione del debitore incapiente. Questa soluzione, benché radicale, consente in determinati casi di cancellare definitivamente i debiti e ripartire da zero, a patto di dimostrare buona fede, collaborazione e di non avere commesso atti in frode ai creditori. Per chi invece conserva la capacità di rientrare dai propri debiti, la rateizzazione o le trattative con l’Agenzia delle Entrate restano la via preferibile, sia per evitare le conseguenze negative di un pignoramento sia per poter programmare una ripresa economica. L’importante è non attendere il perfezionarsi dell’esecuzione, poiché una volta che i beni o le somme pignorate vengano assegnati o messi all’asta, la strada per recuperarle diventa estremamente difficile.
Perché Affidarsi All’Avvocato Monardo Per Cancellare Debiti Con L’Agenzia Entrate e Riscossione
In un contesto di normative in continua evoluzione, il ruolo dei professionisti è di primaria importanza. L’Avvocato Monardo, in particolare, ha maturato competenze specifiche in materia di diritto bancario e tributario e coordina avvocati e commercialisti esperti a livello nazionale, offrendo un supporto completo a chi si trova ad affrontare debiti con l’Agenzia delle Entrate o con altri creditori pubblici e privati. In qualità di Gestore della Crisi da Sovraindebitamento (L. 3/2012), è iscritto presso gli elenchi del Ministero della Giustizia e figura tra i professionisti fiduciari di un OCC (Organismo di Composizione della Crisi), permettendo un servizio altamente specializzato per la definizione delle situazioni debitorie più complesse. L’esperienza maturata nel coordinare azioni legali e strategie di risanamento finanziario consente di individuare, caso per caso, gli strumenti più efficaci: dall’opposizione agli atti esecutivi alla proposizione di un piano del consumatore, fino alla liquidazione del patrimonio o all’esdebitazione del debitore incapiente.
La chiave del successo in ogni procedura di opposizione o di ristrutturazione del debito è la tempestività e la competenza con cui si affrontano i problemi. L’intervento di professionisti aggiornati sulle ultime normative del 2025 è essenziale per evitare errori che potrebbero allungare i tempi del contenzioso o addirittura compromettere in modo definitivo la possibilità di salvare beni e risorse. Ricorrere a un legale esperto, coadiuvato da consulenti fiscali o commercialisti, rappresenta la strada più sicura per ottenere sospensioni del pignoramento, individuare errori di forma o di sostanza, impostare piani di rateizzazione sostenibili e, quando necessario, avviare procedure di sovraindebitamento e composizione della crisi.
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