Pignoramento Partita IVA Da Agenzia Entrate Riscossione: Come Funziona

Cosa significa il pignoramento per una partita IVA?

Il pignoramento rappresenta un atto esecutivo attraverso il quale l’Agenzia delle Entrate Riscossione (AER) intraprende azioni volte al recupero forzato di somme dovute da un debitore titolare di partita IVA.

Questo strumento è particolarmente invasivo, poiché consente di agire non solo sui conti correnti, ma anche su beni mobili, immobili e crediti vantati verso terzi, come i pagamenti dovuti dai clienti al debitore.

La procedura si avvia con la notifica di un atto di pignoramento, un documento che informa il debitore e le terze parti coinvolte del blocco delle somme o dei beni indicati. Tale notifica può avvenire senza l’autorizzazione preventiva di un giudice nel caso di debiti fiscali già accertati. Ad esempio, un professionista con un debito fiscale accertato pari a 20.000 euro potrebbe ricevere un atto di pignoramento che impone alla banca di bloccare i fondi sul suo conto corrente fino a concorrenza dell’importo dovuto, includendo anche le spese legali. Una situazione del genere può avere gravi ripercussioni sulla gestione quotidiana dell’attività, poiché impedisce l’accesso ai fondi necessari per pagare fornitori o sostenere altre spese operative indispensabili. Questo blocco perdura fino a quando il debitore non intraprende azioni per regolarizzare la sua posizione o ottenere una sospensione degli effetti del pignoramento.

Ma andiamo nei dettagli con Studio Monardo, gli avvocati specializzati in cancellazione debiti delle partite iva.

Quali beni di un partita iva possono essere pignorati da AER?

L’Agenzia delle Entrate Riscossione ha la facoltà di agire su diverse tipologie di beni, rendendo il pignoramento un procedimento ampio e incisivo. Tra i beni aggredibili vi sono i conti correnti del debitore, che possono essere bloccati fino a copertura del debito accumulato e delle spese esecutive. Inoltre, l’Agenzia può intervenire sui crediti vantati dal debitore verso terzi, come ad esempio i pagamenti non ancora ricevuti dai clienti, obbligandoli a versare tali somme direttamente all’Erario. Anche i beni mobili registrati, come autoveicoli utilizzati per l’attività lavorativa, possono essere soggetti a fermo amministrativo, rendendoli inutilizzabili fino alla risoluzione del debito. In situazioni più gravi, l’Agenzia può procedere anche con l’espropriazione di beni immobili, privando il debitore della proprietà dell’immobile.

Un esempio concreto è quello di un artigiano che vanta crediti dai suoi clienti per un totale di 15.000 euro. In seguito alla notifica di un atto di pignoramento, i clienti dell’artigiano potrebbero essere obbligati a versare queste somme direttamente ad AER, compromettendo la gestione finanziaria dell’attività. Tale intervento può avere effetti devastanti sulla liquidità del debitore, che si trova impossibilitato a pianificare le spese operative e potrebbe dover sospendere o ridimensionare la propria attività lavorativa.

Quali sono i limiti al pignoramento di una partita iva?

Sebbene il pignoramento sia un atto incisivo e spesso inevitabile per garantire il recupero dei crediti, esistono limiti imposti dalla legge volti a tutelare il debitore da eccessivi pregiudizi economici. Ad esempio, per quanto riguarda i conti correnti contenenti somme derivanti da stipendi o pensioni, il pignoramento può avvenire solo entro precise percentuali, come indicato dall’art. 545 del Codice di Procedura Civile. Queste limitazioni garantiscono che al debitore rimanga una quota sufficiente per le necessità essenziali di vita quotidiana. Tuttavia, per i titolari di partita IVA, la situazione è più complessa e meno garantita, poiché l’intero saldo di un conto corrente può essere bloccato fino a copertura del debito.

Se il debitore dimostra che le somme bloccate sono indispensabili per l’attività lavorativa, come nel caso di fondi destinati al pagamento di fornitori o dipendenti, è possibile presentare istanza al giudice per ottenere una riduzione dell’importo pignorato o una parziale liberazione delle somme. Ad esempio, un commerciante che utilizza il conto corrente per pagare fornitori essenziali o per coprire spese operative irrinunciabili può richiedere al giudice di valutare la situazione e, qualora vi siano i presupposti, di disporre il rilascio di una parte dei fondi bloccati. Questa tutela, benché subordinata a una verifica specifica, rappresenta un importante strumento per garantire la continuità lavorativa e minimizzare i danni economici causati dal pignoramento.

Quanto dura il pignoramento di una partita iva?

Il pignoramento dura fino alla completa estinzione del debito o fino alla revoca da parte del giudice, rappresentando un vincolo che può protrarsi per un periodo significativo, a seconda delle circostanze.

Una volta notificato l’atto, le somme bloccate restano vincolate, impedendo al debitore di accedere a quei fondi, fino alla decisione finale del tribunale. In assenza di opposizioni da parte del debitore, i fondi bloccati vengono trasferiti all’Agenzia delle Entrate Riscossione entro un termine massimo di 60 giorni dalla notifica, accelerando il recupero del credito da parte dell’ente. Tuttavia, nei casi in cui il pignoramento riguardi crediti vantati presso terzi, come i pagamenti dovuti dai clienti del debitore, il blocco delle somme può protrarsi ulteriormente, spesso fino al completamento delle procedure esecutive, che includono l’assegnazione formale delle somme da parte del giudice. Questa estensione dei tempi può causare ulteriori difficoltà economiche per il debitore, il quale rimane in attesa di una risoluzione definitiva che possa sbloccare almeno parte delle sue risorse.

Come difendersi dal pignoramento da parte di AER?

Esistono diverse strategie per difendersi, ciascuna delle quali offre opportunità specifiche di tutela a seconda della situazione del debitore. Una delle soluzioni più comuni è richiedere la rateizzazione del debito, una procedura che permette di suddividere l’importo dovuto in rate mensili gestibili, sospendendo temporaneamente le azioni esecutive. Questa opzione è particolarmente utile per chi intende regolarizzare la propria posizione senza subire il peso immediato di un pignoramento completo.

Se il debitore ritiene che l’atto esecutivo sia illegittimo, può presentare opposizione al giudice competente. Questo ricorso consente di contestare elementi specifici del pignoramento, come l’inclusione di somme destinate all’attività lavorativa o la mancanza di correttezza formale nell’atto notificato. Ad esempio, un imprenditore che utilizza il proprio conto corrente per pagare fornitori e dipendenti può dimostrare che i fondi bloccati sono indispensabili per la continuità dell’attività e richiedere la riduzione dell’importo pignorato.

In alternativa, il debitore può tentare di negoziare direttamente con AER per trovare una soluzione alternativa, come un accordo personalizzato che tenga conto delle sue difficoltà economiche. Questa opzione può risultare particolarmente vantaggiosa in casi di debiti complessi o di importi significativi, dove la disponibilità a trattare può portare a esiti più favorevoli.

Un esempio concreto è quello di un professionista che dimostra di avere un saldo di 5.000 euro sul conto corrente, interamente destinato al pagamento di fornitori strategici. Presentando un’opposizione ben documentata, con prove dell’importanza di quei fondi per la sopravvivenza della sua attività, potrebbe ottenere dal giudice la liberazione totale o parziale delle somme bloccate. Questo tipo di intervento, se condotto con precisione e tempestività, può fare la differenza tra la continuità dell’attività e il suo blocco totale.

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